TESTIMONE DI UN SECOLO
Sono nato nell’anno 1913 da una famiglia di artigiani che, dal 1805 ad oggi, hanno tramandato di padre in figlio il mestiere di falegname. In quell’epoca il nostro paese di Avio faceva da confine fra l’Impero austro-ungarico, comandato da Francesco Giuseppe, ed il Regno d’Italia, con a capo Vittorio Emanuele III.
A scuola, sebbene fossimo sotto l’Austria, non c’era l’insegnamento della lingua tedesca. Una classe contava mediamente quarantacinque alunni e dopo le elementari proseguivano gli studi solo pochi figli di signori benestanti. Vi posso dire che fra gli alunni nati nell’anno 1913 non uscì nessun direttore o maestro o ragioniere, né un prete né un frate. Per essere sinceri, solamente una ragazza di nome Raffaella Benvenuti diventò suora. Ma a quel tempo, fortunatamente, non circolava la famigerata droga, quasi tutti i giovanotti bevevano un buon sincero bicchiere di vino e a mente serena tutti si recavano al lavoro.
Nell’anno 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria e così Avio si trovò in prima linea di guerra. Il 27 maggio, dopo tre soli giorni dalla dichiarazione del 24 maggio, il nostro paese fu conquistato dai militari italiani. Ricordo ancora lo scoppio delle bombe e dei cannoni austriaci sulle nostre abitazioni che causò la morte di qualche persona. I soldati italiani in avanzata arrivarono fino a Chizzola-Serravalle e qui il fronte rimase fermo per tre anni, per cui tutti gli abitanti rimasero in prima linea fino alla fine della prima guerra mondiale, sancita dall’armistizio del 4 novembre 1918, firmato ad Avio nella villa dei conti Pellegrini Malfatti e consolidato poi a S. Leonardo, vicino a Borghetto, nella villa de marchesi conti Gonzaga.
Dopo qualche anno sorse in Italia il partito nazionale fascista con a capo Benito Mussolini che voleva creare un nuovo impero. Tutta la gioventù di allora veniva addestrata - sebbene attraverso lo sport - per scopi militari.
Passarono ancora degli anni finché nel 1935 l’Italia dichiarò guerra all’Abissinia, nel 1939 all’Albania, alleandosi definitivamente con la Germania di Hitler contro russi, inglesi e americani. Fu veramente uno sfracello.
Nel 1942-1943 incominciarono i bombardamenti un po’ dappertutto da parte degli aerei nemici contro centri militari, ferrovie o città. Tutta la gioventù fu mobilitata per combattere russi, inglesi e americani.
Nel mese di gennaio del 1943 sposai Elda, la sorella di Tullio, nonno del vostro compagno Andrea Pavana, e dopo pochi mesi fui chiamato a prestare servizio per esigenze di guerra in qualità di pompiere in una cittadina romana. Nel frattempo gli americani sbarcarono in Sicilia.
Nel mese di settembre, precisamente l’8, rimasi coinvolto in un bombardamento aereo a tappeto da parte di aerei americani con conseguenze disastrose. Non sto a dilungarmi su questo argomento, ma vi voglio dire che a Frascati, una cittadella di diecimila abitanti, dove mi trovavo in servizio, ci furono 2500 morti più i feriti. Dopo questo bombardamento, dal quale fortunatamente ne uscii salvo, ritornai a casa sempre continuando il mio servizio di pompiere assieme a quelli locali, rimasti a disposizione per qualsiasi esigenza.
Dovete sapere che a Sabbionara c’erano le postazioni antiaeree tedesche sempre pronte ad intervenire in caso di incursioni aeree nemiche. Tali postazioni non passarono inosservate agli aerei nemici e il 12 febbraio 1945 alle ore 14:00 lanciarono su Sabbionara bombe dirompenti e incendiarie al fosforo, incendiando otto case e danneggiandone altre tre; in date diverse, per altre quattro volte, sganciarono sempre bombe incendiarie dirompenti.
Tornando al bombardamento del 12 febbraio, prontamente noi pompieri intervenimmo con gli scarsi mezzi che avevamo a disposizione per salvare il salvabile. Figuratevi voi che come mezzo di primo intervento per trasportare le nostre attrezzature avevamo un carretto con due grandi ruote e con timone da tirare a mano. Vi preciso che eravamo tre pompieri a portare il carretto: io, Giacomo Giuliani e Ivo Bertagnolli.
In quella incursione, a causa di una bomba incendiaria, rimase gravemente ustionata la signorina Virginia Bonfante. All’istante saltò dentro una fontana piena d’acqua, ma quel gesto non servì a niente perché la poveretta in seguito morì.
Altro pericolo erano i bombardamenti notturni con aereo - da tutti chiamato Pippo - il quale ostacolava il ripristino di strade, ferrovie ed altro e quando scorgeva un lumicino sganciava le sue micidiali bombe.
Qui in paese degli uomini stavano lavorando in località Campiglio e Pippo, vedendo un lumicino, sganciò una bomba che colpì Michele Cavagna (fratello di Gino). Portato in ospedale morì dissanguato. Pochi giorni dopo, nel centro di Vigo, a pochi metri dalle case delle famiglie Pavana, Peterlini e Sega, Pippo scorse una piccola luce colpendo in pieno due corriere della ditta Peterlini e le facciate delle case vicine.
La paura era forte e tutti cercavano di rifugiarsi nel modo migliore. I più fortunati trovarono posto nelle case della Valle dei Mulini, altri dormivano nelle stalle o nelle cantine.
Io e la mia famiglia, assieme a quelle di due miei cognati, visto che in valle non c’era più un locale libero, costruimmo una baracca sotto un "cengio", sempre in valle, detto "Coel del Saiori" e là rimanemmo fino a guerra finita.
I soldati tedeschi negli ultimi tempi di guerra temevano tremendamente le azioni dei partigiani e non c’era angolo che non fosse controllato. Nel periodo in cui abitavo con la famiglia in valle, mi recavo nella mia bottega di falegname al mattino per ritornare alla baracca la sera tarda. Una mattina, con lo zaino del pranzo in spalla, partii dalla baracca per andare come sempre a lavorare, quando nei pressi dell’allora Mulini Zinelli scorsi da lontano, ai margini della strada, tre soldati tedeschi sdraiati con la mitragliatrice al centro puntata verso di me. Mi colse un attimo di panico, ma con calma e mente serena proseguii il mio cammino come se niente fosse.
Una pattuglia tedesca nascosta tra i cespugli m’intimò l’alt. Mi fermai e uno di loro che parlava anche l’italiano m’interrogò, ma poi mi lasciarono andare.
Così tra disagi, ansie e paure giunse il giorno tanto atteso della fine del conflitto mondiale. Era il 25 aprile 1945 quando le campane suonarono a distesa annunciando che la guerra era finita, tra baci, abbracci e brindisi per tutti.
Un doveroso pensiero vada a tutti quelli che per la guerra morirono, militari e civili, ai familiari in lacrime che non videro più ritornare a casa i loro cari e a tutti quei giovani che nella loro più bella età, per ben sette anni di guerra o di prigionia, furono lontani dalle loro famiglie.
Alla fine anche Hitler e Mussolini fecero una misera fine assieme ai loro stretti collaboratori.
Per concludere, cari ragazzi, spero di non avervi stancati con il mio racconto e vi auguro buon lavoro.
Un cordiale saluto a tutti voi
Da: Rino Sega
testimone: Rino Sega
anno di nascita: 1913
provenienza: Avio
professione: falegname
autori dell’intervista: Marco Bademer, Vittorio Calliari, Fabiano Giuliani, Daniele Cavedine, Andrea Pavana
data dell’intervista: febbraio 1998
zzz