Avvenire           AgorÀ                          

  Domenica 27 gennaio 2002                                   CULTURA  SPETTACOLI  COSTUME  RELIGIONI

INTERVISTA

 

«C’è chi vorrebbe riconquistare

l’amore con un colpo di bisturi

Bellezza? Le rughe di Madre Teresa»

 

Opera solo una donna su sette: «Le altre inseguono illusioni».Parla il chirurgo estetico Assaf

 

IL LIFTING DELL’ANIMA

 

MARINI CORRADI

       nostro inviato

 

BOLOGNA. Aveva sessant’anni, ed era malata di cancro. «Dottore, la prego, mi rifaccia il viso. Voglio vedermi bella come quando ero giovane, prima di morire». «Signora-rispose il chirurgo-, non posso operarla:lei ha bisogno di tutte le sue energie per guarire. E poi, le assicuro, in paradiso saremo comunque tutti giovani e belli».

Dal diario di un chirurgo estetico, ma un po’ fuori della norma. Uno che, su sette pazienti, accetta di operarne uno, e gli altri li dissuade, spiegando che non è il naso, o il seno, o quel piccolo difetto il loro vero problema. Diario di un mago del bisturi che, riavvicinatosi alla fede, ha affrontato quel suo lavoro con un altro sguardo. Il libro si intitola  Specchio, specchio delle mie brame (Vita nuova edizioni, tel. 045/8101761). L’autore, Antoine Assaf, libanese di nascita, è un medico di 49 anni con una prestigiosa carriera alle spalle. Fino a dieci anni fa’ era semplicemente un ottimo chirurgo estetico, uno che operava bene e guadagnava tanto. Poi, la conversione lo mette in crisi: quel suo lisciare rughe, tagliare, riempire, gli sembra solo un compiacere il narcisismo del prossimo. Le mani restano d’oro, ma il dottore conteso dalle pazienti non sa più se ha voglia di continuare.

«Mi sono interrogato molto-racconta oggi, nel suo studio in una clinica privata sulle colline di Bologna-e ho chiesto il parere di amici teologi. Mi è stato detto che un intervento estetico, per quanto riguarda il chirurgo, non è moralmente illecito: quanto al paziente, è lui che sa se è onesto o no il fine per cui vi si sottopone. Ma a me questa risposta non bastava. Incontravo tante persone che si illudevano, con un colpo di bisturi, di ritrovare un amore perduto. Allora mi sono posto questa norma: io opero solo quando ritengo che l’intervento possa essere oggettivamente utile alla serenità di quel determinato paziente».

  Ed è una bella selezione: in pochi passano il giudizio del dottor Assaf. Molti ascoltano stupiti quel chirurgo che, anziché spingere per un intervento che costa milioni, spiega perché è meglio non farlo. «in tanti -dice-mi ringraziano:se non altro capiiscono che non agisco solo per denaro».

  Ma perché si va da un chirurgo, e perché sempre più persone ci vanno?

  «Ogni età ha un suo movente caratteristico. L’adolescente viene perché crede che, "dopo", troverà un fidanzato. E anche perché dai mass media arriva l’imperativo alla bellezza obbligatoria, cui è difficile sottrarsi. A quarant’anni, si va dal chirurgo perché non si accetta di invecchiare. Il tempo lascia i suoi segni come sempre è accaduto, ma oggi siamo sottomessi a questo culto della bellezza fisica. È la bellezza e la giovinezza, il vero dio cui si sacrifica tutto, il caso classico è quello della moglie abbandonata per una donna più giovane, che insegue il sogno di una rivincita. A questo tipo di paziente, come alla sedicenne che ha paura che il fidanzato la lasci se non è perfetta, io cerco di far capire che cosa cercano davvero. Veramente un seno nuovo o le labbra rifatte garantiranno loro quell’amore che cercano? Tento di indurre queste persone a riflettere. Arrivano le ragazzine, tante, di sedici anni, magari con la mamma già disposta a dire si. Voglio parlare da solo con loro. E una parola dopo l’altra viene fuori la verità: dietro quel presunto difetto c’è la fragilità di chi è stato ferito da bambino, e addebita al naso o alla forma dell labbra la sua insicurezza, e la paura di non essere amato».

 

  A giudicare dal diffondersi della chirurgia plastica, si direbbe che "feriti" siamo in tanti.

  «sempre di più. Dalle famiglie che si rompono vengono adolescenti segnati, fragili, sensibilissimi al giudizio altrui. Anche maschi vent’anni fa erano una minoranza e adesso sono il 25 per cento dei pazienti. Anche gli uomini hanno assunto una fragilità, una sensibilità ai commenti altrui sul proprio aspetto, che una volta era solo femminile».

 

 

  Chi è quel paziente su sette, per cui invece è utile un intervento?

  «Sono i casi in cui a un difetto fisico corrisponde un autentico complesso, come può accadere negli adolescenti.  È il caso della ragazzina che ha un solo seno sviluppato, e cammina curva, si nasconde per la vergogna, non esce di casa. Sono le orecchie a sventola per cui tutti a scuola ti prendono in giro. Ci sono difetti fisici che fanno soffrire davvero».

 

  Ma la domanda più diffusa è quella di sembrare più giovani. Lei, cosa risponde?

  «Valuto. Se capisco che una donna spera con un intervento di essere amata da chi non l’ama più. Le spiego che si illude, e che non mi sento di operarla. Ma c’è anche un tipo di domanda che non trovo illegittima: è quella della donna che si guarda allo specchio e in quel guardarsi soffre, non perché debba riconquistare nessuno, ma semplicemente perché il tempo l’ha segnata. Non trovo nulla di male in questo desiderio di guardarsi ancora con serenità. Anche se…».

  Anche se?

   «.È chiaro che guardarsi allo specchio significa affrontare il proprio invecchiare. Affrontarlo pienamente vorrebbe dire prenderne atto, e non averne paura. Ma è una cosa difficile, e non tutti ne sono capaci. È come scalare una montagna, mentre l’intervento chirurgico è paragonabile a una funivia che ti facilita il confronto difficile col tempo che passa. È una scorciatoia, ma gli psicologi non la sconsigliano, a chi soffre per il suo invecchiare e non è capace di sopportarlo altrimenti. Non è facile, sapersi opporre a questa legge dura per cui chi non è giovane e bello viene scartato».

 

  Tuonava Shakespeare contro le donne imbellettate: «Donne, Dio vi ha dato una faccia, e voi ve ne fate un’altra! ». Lei, dottore, che ne pensa?

  «No, non sono d’accordo con Shakespeare. È vero, Dio ci ha dato una faccia, ma questa faccia è segnata dal peccato che corrompe tutto. Perché non dovrebbe essere lecito desiderare di tornare come "prima", prima della corruzione del male e del tempo?»

 

  Per tornare come "prima", basta un bisturi? Il cambiamento non è innanzitutto interiore?

  «È vero, e infatti io quando ho davanti un credente gli raccomando di cercare di guarire prima di tutto interiormente. Ma non tutti hanno fede, e non tutti ne hanno abbastanza». (E tra le pagine del diario del medico intravedi storie umane, donne sole, o rimaste vedove, con gli anni che avanzano e lo spettro della solitudine davanti. E l’ansia d’essere belle ancora, giovani ancora, perché qualcuno ancora le ami).

 

  Quante donne, superata la quarantina, cambierebbero qualcosa di sé?

  «Nove su dieci. Almeno a giudicare dalla ressa che mi si forma attorno se a una cena o a una festa dico che sono un chirurgo estetico. Quasi tutte vorrebbero, almeno in un momento della vita. Spesso, nella menopausa:anche le più forti, nel momento in cui non si sentono più fertili, hanno un vacillamento».

 

  Per lei, dottore, la vera bellezza cos’è?

  «La bellezza? È la faccia di Teresa di Calcutta. Riesce a immaginare un volto più rugoso?Eppure, in quella faccia è riflesso il volto di Dio. Che è lo stesso augurio che ho inviato per Natale ai miei pazienti».

 

  Una canzone di Gaber dice: «La smorfia che porta sul viso. Un uomo a tracciarla ci impiega una vita». Non le spiace, cancellare questo disegno?

  «È bello questo verso di Gaber, e sono d’accordo. È un peccato cancellare i segni sulla nostra faccia. Ma sono i pazienti che lo chiedono, perché nel loro stesso volto rileggono grandi sofferenze e dolori, e sperano, cancellando le rughe, di dimenticare. Come quella madre che aveva perso una figlia, e venne da me a rifare il viso. Certo, non avrebbe scordato il suo lutto. Ma capivo il suo tentare di rinascere, di vivere ancora».

1