Intervista a Paolo Virzì su Ferie d'Agosto

di Nicoletta Gemmi
- il regista non ha rivisto il testo dell'intervista -

Ferie d'agosto mi è sembrato una commedia all'italiana riportata ai giorni nostri. Se sei d'accordo quali sono stati i tuoi maestri, chi ti ha influenzato e formato?

Sono assolutamente d'accordo, ma vorrei specificare quale tipo di commedia all'italiana mi ha influenzato. Un mio maestro, il più importante, è stato Furio Scarpelli. È stato il mio insegnante al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma e poi si è preso la briga di prendermi con sé nei miei primi passi di attività professionale. Un maestro sotto tutti i punti di vista, non solo quello morale. Poi, per conto mio, ho guardato tanto cinema e non solo la commedia all'italiana. Sono particolarmente lagato ad un tipo di cinema fatto come un romanzo, quindi, ritornando alla commedia all'italiana, è quella fatta da sceneggiatori che mi interessa. La mia è una professionalità che deriva dalla scrittura, come la maggior parte del nostro miglior cinema. Io distinguo le commedie che hanno scritto Age e Scarpelli, poi che le abbia dirette Scola o Monicelli è importante ma viene dopo. Mi piace quello che scrivevano: storie con molta ironia ma anche con un grande impegno civile. Attualmente non sopporto la commedia, i film comici italiani di successo che sono razzisti sopprattutto verso i poveracci. Nei film di Age e Scarpelli, quando prenndevano in giro Manfredi per il suo modo di parlare in Straziami ma di baci saziami, o Mastroianni, non ci vedevano cattiveria ma una vera e propria empatia con il personaggio. Nelle commedie stagionali odierne dedicate agli yuppies, ai tifosi di calcio o alle modelle non c'è questo discorso di empatia con il personaggio, si salvano solo alcuni bravi attori comici, Benigni o Verdone, veerso i quali non riesco però a provare la simpatia che sento per quelli soprannominati.

A proposito di maestri e quindi di padri, nel tuo film mi sembra che manchino le figure paterne. Il personaggio di Fantastichini ha una figlia ma tra loro non c'è alcun rapporto, Silvio Orlando fa da papà a una bambina non sua. Molti sono i personaggi alla ricerca di un padre che non c'è, è vero?

Sì, sono tutte paternità difficoltose, perché i maschi di Ferie d'Agosto sono tutti malati d'infantilismo. Ti dirò di più, recentemente su una rivista di psicologia, una antropologa ha scritto un lunghissimo articolo di analisi del mio film sotto questo punto di vista. Io non l'ho capito fino in fondo se devo essere sincero, comunque lei dice una cosa molto vera: che è un film dove non ci sono madri. È vero perché io che non avevo neanche pensato più a questo problema della mancata paternità mentre creavo i personaggi, pensavo però di dare vita a personaggi maschili un po' infantili, animosi e pronti a tirar fuori le piume per sfidarsi tra di loro sparando giudizi, e dall'altra parte delle femmine un po' infingarde però molto astute che stanno silenziosamente alle loro spalle, benevolmente tramano e tengono in pugno il destino delle famiglie.

In effetti sono le situazioni che si creano tra queste due famiglie così diverse che portano a trarre determinate conclusioni. Il finale, per esempio, dove laura Morante dice a Orlando che aspetta un figlio, è un segnale di speranza. Questo bambino avrà un padre come Orlando che ha già dimostrato di essere un bravo genitore anche con un figlio non suo...

Per me quello è il famoso happy end, io volevo fare un finale lieto e quello lo è.

Certo diventa padre colui che se lo merita maggiormente?

Sì. Il personaggio di Silvio Orlando ha proprio una vocazione alla paternità, anche se probabilmente è una vocazione da frustrato. Il personaggio di Fantastichini, della famiglia Mazzalupi, quella più burina, ha un atteggiamento arcaico, da padre di famiglia vecchio stampo che si sente in competizione con il figlio maschio sul versante del comando e proprio per questo motivo lo maltratta senza ragione. Al contrario, cerca sempre di conquistare l'universo femminile e quindi vuole l'affetto della figlia che invece lo guarda con disprezzo. Un punto va sottolineato: quando si realizzano dei film corali come questo, con tanti persoanggi, si creano dei legami tra di loro che non erano stati pensati nel momento del concepimento. Questo è molto bello e molto inaspettato nello stesso tempo. Mi fa piacere che coloro che vedono il film, scovino aspetti e motivazioni all'interno del mio lavoro, alle quali io non avevo pensato.

Credo che comunque questo accada spesso. Molte volte si fanno osservazioni ai registi e loro rispondono che non ci avevano pensato ma che sono o non sono d'accordo con quello che gli si dice.

Verissimo. Per esempio, mi hanno detto anche che le due famiglie, il gruppo capeggiato da Silvio Orlando e quello di Fantastichini, rappresentano la sinistra e la destra italiana, dato che nel primo i caratteri sono di persoanggi democratici, intellettuali e libertari, mentre nell'altro sono più rozzi, animaleschi e burini. Non sono d'accordo con questa divisione che è troppo in bianco e nero. Io, piuttosto, pensavo di ritrarre due mondi: quello di Capalbio e quello di Ladispoli; due modi diversi di consumo, uno legato ai giornali e l'altro alla televisione; due diverse antropologie.

In realtà volevo farti questa domanda ma premettendo che non ho visto assolutamente nel film uno schematismo così manicheo. È chiaro che il gruppo di Orlando è più democratico, intelligente...

Indubbiamente quelli votano a sinistra e gli altri no... È vero che ad un certo punto fra i due gruppi c'è uno scontro di argomento politico, che scade anche nel luogo comune pur di ribadire certi concetti fondamentali, ma non sono d'accordo con i giornali che lo hanno defiito un film che "racconta vizi e virtù di tutti e due gli schieramenti". Penso piuttosto che l'aspetto politico sia stato alimentato dal fatto che il film è uscito in pieno periodo elettorale e allora i giornali tendono a portare tutto all'interno di un mainstream da prima pagina. Quello che mi interessava sottolineare era coe la cultura, purtroppo, non riesca a sfondare il muro dell'incultura, non ce la faccia a comunicare con il diverso e d'altra parte come la rozzezza, l'incultura sfoderino una animalesca felicità. Come dice Bisio in una sua battuta da cabaret: "Il cervello è di sinistra mentre il corpo è di destra". Ecco, questo era ciò che mi interessava dire e non tanto fare un'analisi di una sinistra elitaria che si porta appresso tanti problemi, sono polemiche da giornale e non mie.

È assolutamente vero ed è evidente anche nel film ciò che dici, tanto che all'interno della storia questi due mondi li fai in qualche modo incontrare. Si formano delle coppie che avranno vita breve ma che per un momento si conoscono. Mi riferisco al personaggio di Sabrina Ferilli con Gigio Alberti o ad Antonella Ponziani con Piero Natoli...

Assolutamente sì. Questa è una commedia di personaggi a tutto tondo, con le loro contraddizioni, le loro debolezze e le loro certezze. Non è possibile e giusto descrivere le persone in maniera schematica ed è vero, come dici tu, che si incontrano, perchè sono sempre stato affascinato dal pensare che tra di loro, così diversi, esistano delle segrete attrazioni. Personalmente, verso l'umanità di Ladispoli, di Tor Baianica, delle villette a schiera, io sento una curiosità un interesse, un senso di empatia. È un mondo che, dal punto di vista dell'autore, del romanziere, mi attrae molto. Mi sembra un mondo dove pullula una misteriosa sofferenza e quindi ci sono personaggi degni di grandi romanzi. Ci tenevo anche a dire che, non so bene perché, ma una certa cultura di sinistra è sempre stata attratta più da mondi lontani dal nostro - nel film sono amici di un senegalese - che da questa umanità che ci circonda. C'è sempre stata una chiusura verso il ceto medio, una chiusura anche in termini di umana curiosità. Io questo non lo trovo giusto perché la mia intenzione è quella di raccontare delle persone a tutto tondo, degli esseri umani e nn mi chiudo davanti ad una certa umanità, anche se non mi appartiene.

Il personaggio di Silvio Orlando è uno che sta attento a come parla, corregge anche gli altri, dà molta importanza al discorso. Questo mi ha ricordato un personaggio legato a Nanni Moretti...

Sì, certo. Il personaggio di Silvio Orlando è uno che sta attento a come parla per una difesa della sua identità. Il primo bisticcio tra lui e la sua compagna, Laura Morante, è su una questione di lessico. Questo mi diverte molto. Non lo ha inventato Nanni Moretti questo problema del linguaggio, lui lo ha raccontato benissimo nei suoi film. Diciamo che Sandro (Silvio Orlando) e i suoi hanno visto tutti i film di Moretti. Sandro potrebbe essere un amico di Michele Apicella.

Per quanto riguarda la scelta degli attori, mi pare che a monte esista un lavoro lungo e pensato. Come già ne La bella vita, anche qui gli attori calzano a pennello con il loro personaggio. Sembra quasi che gli attori debbano fisicamente, visceralmente assomigliare a chi andranno a interpretare. È così?

Ti dico solo che per me fare il cast è il momento più importante nel mestiere di un regista. Io sono uno sceneggiatore che voleva, all'inizio della carriera, dimostrare ai suoi amici registi che con buoni attori e una buona sceneggiatura non ci vuole nulla per fare un film. Poi mi sono ricreduto, però sono ancora convinto che essere un buon regista non voglia dire fare movimenti di macchina particolari, come un dolly sulla verdura o un primo piano di un carciofo, ma sia fare il cast.

Con quale criterio scegli i tuoi attori?

Per ciascun attore c'è un criterio diverso. Ad alcuni attori mi sono avvicinato con l'intento di rubare loro qualcosa, con altri avevo l'intenzione di far mettere in piedi a loro qualcosa di diverso da se stessi. Ad esempio, con Natoli mi divertivo a far incontrare un personaggio di fallito, vigliacco, ex-cantante, con un allegro e un po' irresponsabile regista. A lui non ho chiesto tanto una performance quanto di essere lì, di essere presente in alcune scene e questo, con alcune persone, è sufficiente. È davvero bello e affascinante il lavoro che si fa con gli attori, perché continui a sviluppare, a scrivere un personaggio con la pelle, l'anima di una persona reale. Cominci a vedere un carattere attraverso gli occhi di un essere umano.

Per il ruolo di Sandro hai pensato da subito a Silvio Orlando?

Assolutamente sì. Ma per quasi tutti gli attori è avvenuto questo, li pensavo mentre scrivevo il soggetto e poi ho cercato di averli quando ho fatto il casat. Io avevo in mente quel tipo di antropologia e di umanità che ciascuno attore si porta dietro. Orlando ha fatto finora personaggi di grande bonomia, dei cordiali molto spesso vittime della loro stessa bontà mentre io volevo un uomo più complesso che avesse persino una patina ostile, non simpatica di primo acchito.

E per Sabrina Ferilli....

Anche a lei ho chiesto di fare un personaggio molto diverso dalla Mirella di La bella vita che era una vittima dolce e poetica della modernità; al contrario Marisa è figlia di questa modernizzazione un po' selvaggia, è una figlia amara e quasi rassegnata. Il primo era un carattere più puro, più candido che si scontrava con un finale drammatico, questo è un personaggio che ha anche qualcosa di sinistro. Sabrina è una persona dalla quale rubi volentieri, anche proprio dei modi di dire un po' antichi, pre-moderni, che sono tutti suoi.

Quali sono gli autori che ti piacciono del cinema italiano?

Ce ne sono molti che mi piacciono. Mi sento molto affine a quella generazione con la quale condivido la medesima formazione, la stessa passione per una letteratura, un tipo di romanzo che in Italia non c'è stato. Penso a Francesca Archibugi, a Carlo Mazzacurati... a Martone anche se è più drammatico. Recentemente mi è piaciuto molto il film di Peter Del Monte, Compagna di viaggio e mi è piaciuto moltissimo Il Postino che per me è qualcosa di più di un film. Ma la verità è che a me non piace moltissimo il cinema, mi piace l'umanità che può venire fuori da un film. La capacità di stordimento del cinema mi lasci aindifferente e sono poco disponibile a farmi catturare dalle grandi macchine per le emozioni degli americani, non per snobismo ma perchè sono poco cinefilo, sono poco spettatore di cinema. Mi piace molto Gianni Amelio che per me rappresenta l'incontro tra la tradizione del cinema italiano, Rossellini, e l'epos del cinema americano, con un cuore che è più grande di quello di un regista di cinema.

E guardando all'estero...

Mi piacciono moltissimo i figlioli di Dickens che per me è stato un grandissimo, a suo modo, cineasta, quindi autori come Stephen Frears o Ken Loach. Dickens è se vuoi, paradossalmente, il mio regista preferito, io provengo dalla scrittura e lui è stato uno dei più grandi sceneggiatori mai esistiti.


(intervista realizzata nel maggio 1996, tratta da "QUADERNI DI VENTIQUATTROALSECONDO", a cura dell'Ufficio Cinema del Comune di Reggio Emilia) 1