Rassegna Stampa

Tratto da "Musica!" Suppl. di La Repubblica - Numero 259 • 09/11/2000

Brevetti &software: un timbro sul cervello di Filippo Bianchi

Il 20 novembre l'Europa discute se adeguarsi alla legge americana.

Il 20 novembre, a Monaco di Baviera, si riunirà l'European Parliament Office, per decidere di estendere a tutti i Paesi dell'Unione Europea la protezione giuridica del software attraverso i brevetti anziché attraverso il copyright. Poi la parola passerà all'Europarlamento. Un software è, in sostanza, una compilazione di righe di codice. La pratica del copyright si applica ad un software nel suo complesso, non alle sue parti. Il brevetto, al contrario, può essere imposto su ogni riga di codice, su ogni singolo algoritmo.

"La situazione - diceva Ennio Flaiano - è drammatica, ma non seria". E più o meno questo è lo scenario che ci troveremo davanti, se e quando passerà quel provvedimento. Avremo una situazione drammatica, perché praticamente sviluppare software - campo occupazionale e creativo in impetuoso sviluppo - diventerà un'attività fuorilegge. E sarà anche una situazione poco seria, perché ormai, fermare il popolo degli smanettoni, e cioè dei softwaristi professionisti e dilettanti, è sostanzialmente impossibile. Le attività legate all'informatica diventerebbero un'unica intricatissima bega giudiziaria, e i computer, ironia della sorte, finirebbero sepolti sotto montagne di quella carta bollata che avevano promesso di eliminare dal mondo: Carta da bollo 2: la vendetta.

Allo stato attuale, gran parte delle legislazioni europee richiedono, per consentire il brevetto, caratteristiche di "originalità", e quindi non sono applicabili a mere formule matematiche, quali gli algoritmi. Negli Usa, al contrario, si è già brevettato praticamente di tutto. Ciò che sta per avvenire, quindi, è una sorta di "mondializzazione" delle leggi americane. Il concetto di "frontiera" è elemento fondante di quella civiltà. Bene. Se oggi l'informatica è la "nuova frontiera", quel concetto viene esportato nel resto del mondo imponendo un territorio dove tutte le "proprietà" siano ormai già tutte assegnate.

Quali motivazioni inducano gli europei a un simile autolesionistico atto rimane misterioso.. Di certo, da domani, chiunque avrà un'idea, dovrà seriamente pensare alle conseguenze legali di ciò che fa, prima ancora di svilupparla. Chi mai si azzarderebbe a scrivere un libro, sapendo che qualcuno ha brevettato tutte le parole? Naturalmente gli hacker, nell'incontro che hanno recentemente tenuto a Barcellona, si sono mobilitati per impedire la trasformazione del cyberspazio da "grande pascolo delle idee" in "grande pascolo degli avvocati". Sul fronte delle aziende, non c'è un blocco granitico, ma un ventaglio di posizioni molto articolato: alcuni vorrebbero imporre il brevetto anche sul cervello, altri ritengono che sia applicabile solo per prodotti realmente innovativi, altri ancora giudicano l'attuale copyright una tutela più che sufficiente. In tutto ciò, la politica dovrebbe mediare, tenendo a mente soprattutto l'interesse generale, che raramente coincide con gli interessi delle lobbies.

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Tratto da "Musica!" Suppl. di La Repubblica - Numero 263-264 • 14/1/2000

Il far web salverà gli indipendenti

di Daniele Silvestri

Ci si abitua a tutto, anche al 2000. Personalmente, mi fa ancora effetto scrivere una data con il "2" davanti, in cima a una lettera o su un assegno. Ma al di là di questo, il nuovo millennio non ha cambiato di una virgola le nostre vite e il loro corso. Sarebbe stato stupido aspettarsi il contrario. Per dirlo meglio, le cose - soprattutto la forma delle cose - continuano a cambiare vorticosamente come già facevano, e perfino a questo ci siamo abituati. Con una eccezione: la musica. Per il mondo della discografia sembra proprio che il 2000 coincida con l'inizio di una vera rivoluzione, e se si voleva constatarne l'entità bastava partecipare al MEI - Meeting delle Etichette Indipendenti - tenutosi a Faenza il 25 e 26 novembre. Intendiamoci, il meeting in sé non ha presentato nessun evento sconvolgente, anzi. Ne ho apprezzato proprio la semplicità e il poco "lusso". Eppure la "rivoluzione" dava ugualmente segni di sé, se ci si fermava a leggere tra le righe. E le "righe" tra cui leggere cominciavano tutte con "WWW.". A testimoniare come l'indipendenza musicale - che esiste o cerca di esistere da molto più tempo di quanto io possa ricordare - sembra aver trovato il suo "luogo" ideale. È un terreno enorme, sconfinato e fertile, un po' come il vecchio West. Ma il nostro Far Web è più vicino, e molto meno violento e selvaggio - almeno per ora. Certo, ci sono già i latifondisti, così come è vero, parlando di discografia, che multinazionali e majors fanno già di tutto per far valere il loro peso. Ma la verità è che la Rete è per sua stessa natura incline al nuovo, per quanto piccolo possa essere. Su Internet i mezzi sono meno importanti delle idee e della creatività e la visibilità si conquista attraverso i percorsi più imprevedibili. Al MEI tutto questo era palpabile. L'aria che tirava era quella di una incasinatissima sosta di un viaggio comune, affrontato con ambizioni diverse e diverse ricette. Un viaggio che chiunque può affrontare, perché la musica sembra di nuovo potersi liberare delle strutture che negli ultimi decenni l'hanno dominata. Perfino il supporto che la musica dovrebbe diffondere è sempre meno importante: sempre meno dischi si vendono, e sempre più musica si produce e si diffonde. Il futuro si stabilizzerà, magari presto, in un presente che nessuno di noi può completamente prevedere. Ma per adesso l'avventura è appena cominciata, e le iscrizioni sono ancora aperte.

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MP3, la rivoluzione musicale in Rete

di Michele Mancaniello

E' ormai ufficiale: nel giro di qualche anno, dopo aver aggiornato la nostra discografia passando dal "mitico" vinile al più comodo CD, vivremo un nuovo stravolgimento nella modalità di fruizione della musica; il futuro sembra, infatti, riposto nell'MP3, il nuovo formato digitale, di qualità superiore a quella dei CD e capace di comprimere file audio fino a dimensioni di gran lunga inferiori al formato WAV.

Per acquistare musica "domani", non avremmo, quindi, più bisogno di recarci in un negozio (che peccato, non voglio neanche pensare a quale fine farà il maestoso Virgin MegaStore di Parigi!!!): basterà collegarsi in rete e prelevare, direttamente e con tempi di download brevissimi, il brano o i brani dei nostri autori preferiti, che potremmo poi ascoltare dal nostro Pc con del software dedicato o magari portare in giro utilizzando un lettore portatile, dotato di memoria interna che ci eviterà, così, l'ingombro di nastri o CD.

A dire il vero quanto ho appena descritto, è già realtà: sono migliaia i siti che offrono audio MP3 ed in commercio già troviamo i nuovi lettori, che a breve soppianteranno i fortunatissimi Walkman.Il processo di diffusione del nuovo standard è però, come del resto era facile prevedere, sensibilmente rallentato dalla ferma opposizione posta dall'industria discografica, che con l'MP3 vede togliersi un mercato ed un giro di affari astronomico; con MP3 chiunque, infatti, può diffondere in rete, liberamente, musica (già prodotta o inedita) senza tener conto di case discografiche, editori, autori, distributori, etc.etc.

Per evitare il tracollo, i discografici stanno approntando (se ne occupa un'apposita commissione negli States, l'SDMI) un formato compresso che, comunque, consentirà di scaricare musica da Internet, facilmente e ad una alta qualità, ma che nello stesso tempo garantirà un adeguato livello di sicurezza tutelando l'industria, da episodi di pirateria, e gli autori dal mancato riconoscimento dei diritti sui propri brani.

Personalmente, in qualità di musicista, trovo eccezionale la possibilità offerta dalla Rete con MP3, di far veicolare liberamente e gratuitamente la musica, e per quel che mi riguarda estenderei tale possibilità a qualsiasi forma d'arte: l'arte è prima di tutto comunicazione, emozione trasmessa da cuore a cuore...perché mai qualcuno deve specularci sopra?

Pensate poi a chi da anni lavora ad un proprio progetto, che giudicato però poco interessante o commerciabile dalle major, non avrai mai possibilità di esser ascoltato e distribuito...

Finalmente, la rivoluzione è in atto!!!

© Michele Mancaniello <Prometheo Staff>

Articolo#01: [scritto il 14/05/99]

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Tratto da "La Republica" del 13-12-2000

Su RaiDue meno di 2 milioni di spettatori per il loro concerto

Lùnaflop, delude in tv il gruppo rivelazione

di CARLO MORETTI  

ROMA - Con un po' di cattiveria lo hanno già ribattezzato "Lùnaflop". Appena un milione e 800 mila spettatori in prima serata (6,8 per cento di share) per il concerto di lunedì su RaiDue degli emiliani Lùnapop, un solo disco all'attivo (Squérez?) e un successo di vendite senza precedenti. Per settimane sono stati in vetta alle classifiche, la loro tournée è stata seguita da centinaia di migliaia di ragazzini urlanti ma in tv è stato un mezzo disastro: è andata meglio persino a "Stasera al circo", al suo non irresistibile debutto su Retequattro.

Numeri sufficienti per sollevare un vespaio intorno a Carlo Freccero, il "capitano coraggioso" di RaiDue con il gusto delle provocazioni. Stavolta è stato come sbattere il mostro in prima pagina: un gruppo di giovani in pasto alla platea televisiva. I Lùnapop sono comunque soddisfatti: "A noi è stato proposto un concerto, non un programma televisivo, l'audience non ci interessa, lo show è andato benissimo".

Freccero non ha avuto difficoltà a riconoscere la fragilità dei risultati: "Sono dispiaciuto per l'audience negativa. Ci interessava di lanciare un "promo" per una rete giovane ha aggiunto è un investimento per il futuro che mi sembrava giusto fare. Gli ascolti non ci hanno premiato ma due milioni di spettatori non sono comunque pochi. D'altra parte mi aspettavo un 910 per cento di share, non di più. Siamo andati un po' sotto, ma se non si rischia nulla si continua a navigare nell'ambiguità. Questa serata ci serviva per dare un'immagine di una rete che da gennaio, con l'arrivo di Serena Dandini e Daniele Luttazzi, farà altre cose importanti per la fascia di pubblico giovane".

Il risultato dei Lùnapop suscita la riflessione di due grandi nomi della musica pop italiana. Durissimo Antonello Venditti: "Non è vero che la musica in televisione non funziona. Il fatto è che i Lùnapop sono un fenomeno di nicchia e una trasmissione televisiva deve essere popolare. I Lùnapop hanno una grande presa sul pubblico giovanile e certamente non sul pubblico televisivo. Mi sembra che quella di RaiDue sia stata una scelta azzardata, anche coraggiosa, ma non popolare. Questo non significa che la musica in tv non fa ascolti: basta vedere il successo ottenuto in passato da Baglioni, Morandi e dal sottoscritto". Baglioni, forte degli oltre 8 milioni di spettatori su RaiDue per il suo doppio concerto il 6 e 7 giugno '98, non infierisce. "Oggi sarebbe dura per chiunque fare ascolti con un concerto dal vivo. In televisione la musica è sempre stata travestita da varietà. E' stata svenduta, come un grande karaoke...". Forse per i Lùnapop andrà meglio alla radio: il 22 dicembre si esibiranno per "Radioshow", alle 16 su RadioDue.

(13 dicembre 2000)

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Tratto dal sito www.worldonline.it il giorno 23-12-2000

Alleluja. Il bene - e Babele Dunnit - trionfano ancora. Bill Gates e la sua cricca del BSA condannati dal giurì della pubblicità per il loro odioso spot.

Un motivo in più per gioire del Natale. E riflettere su Copyright e Open Source. La denuncia di Babele

Cantico di Natale

Il compilatore C++ oggi può aspettare. Oggi si fa festa. Oggi è un grande giorno. Ricevo da Emmanuele Somma, il primo a presentare denuncia al Garante per l’odioso spot BSA, la seguente mail:

Ciao, Ricevo dall'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e rendo pubblica la decisione del Giuri'. È anche responsabilità tua girarla e postarla dovunque, dandole la massima pubblicità possibile. Roma, 14/12/2000 - Il Giuri' ha condannato lo spot pubblicitario della BSA come pubblicità ingannevole e per lo sfruttamento di credulità e paura. La BSA non potrà mai più usare lo spot in questione.

Emmanuele Somma esomma@ieee.org

ed in particolare ecco dove i nostri hanno fatto male i loro conti:

__________________________________________________________

Art. 2 - Pubblicità ingannevole La pubblicità deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, il prezzo, la gratuità, le condizioni di vendita, la diffusione, l'identità delle persone rappresentate, i premi o riconoscimenti.

Art. 8 - Superstizione, credulità, paura La pubblicità deve evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità e, salvo ragioni giustificate, della paura. __________________________________________________________

Seguono altri dettagli, ma sto già eseguendo complicate evoluzioni rituali di festeggiamento – Danza Neogotica di Giullare Ubriaco, direbbe il Reverendo - e corro in cantina a cercare quella cassa di bottiglie di Dom Perignon del 1964 che mi ha regalato John Wayne quella volta. Ci stiamo avvicinando alle feste, di brindisi ne faremo molti; io personalmente mi occuperò di celebrare una vittoria importante. Grazie Emmanuele.

Poi mi capita di leggere un articolo anonimo su ZeusNews, che mi colpisce in particolare in un punto del quale riporto testuali parole: “eventuali perdite per fraudolenta copiatura possono aversi solo per il software attualmente presente nei negozi”. Per Giove, potrà essere un concetto semplice, ma non ci avevo mai pensato a fondo. Lo scenario illustrato dall’Innominato Autore, che prende il via dalle “solite” considerazioni sul diritto di autore, ha una sua coerenza interna, della quale avevo personalmente catturato solo una faccia della medaglia. Mi spiego: da una parte c’è il matrimonio/combutta tra MicroSo*T e Int*l (sostituite opportunamente gli asterischi) ove ognuno dei due aiuta l’altro – maggiori prestazioni, più memoria, sistemi operativi più affamati, quindi ancora maggiori prestazioni e via cosi. Risultato: chi vuole rimanere aggiornato ogni sei mesi deve aprire lo scatolotto elettronico e cacciarci dentro nuove schede, nuovi dischi etc, fino al momento di buttare via tutto perché è arrivata la Nuova Generazione. Per carità, non ho nulla da dire.

Non so bene se sia completamente grazie a queste leggi di mercato che i nostri scatolotti elettronici sono diventati supercomputers nel giro di cinque anni. Ma sicuramente hanno dato una mano. Mi sono occupato, tra le altre cose, di Realtà Virtuale e so che razza di belve ci vogliano per certe applicazioni. Beh, ora quelle belve ce le abbiamo in casa e questa è una Buona Cosa. Ma io, come tanti, sono un caso limite: molti di voi, là fuori, scommetto sarebbero felici di avere un computer affidabile con il quale fare cose ben più tranquille. Leggere la posta, scrivere delle lettere, fare dei conti non troppo complicati, mantenere un bilancio familiare, andare in giro per Internet senza dover attendere ere geologiche. E allora come la mettiamo con voialtri? Come facciamo per obbligarvi a comprare l’ultimo computer superfico con il processore Ottium e la scheda grafica da ottantamiliardidipoligonialsecondo? Semplice: primo, vi rendiamo tutti incompatibili il più possibile. Ad ogni nuova release cambiamo i formati dei files e tutti gli standard possibili e immaginabili, dotando le varie applicazioni di claudicanti compatibilità all’indietro. Non che sia impossibile scambiarsi i dati, per carità, ma che come minimo facciate un pò di fatica.

Secondo, ritiriamo dal mercato il vecchio software. Diciamoci la verità: a quanti di voi potrebbe andare benissimo un computer W95 con Word 2.0, se non fosse che poi gli altri non riuscirebbero a leggere i vostri documenti e le vostre mail, voi non riuscireste a vedere correttamente i siti internet e ogni tentativo di installare software aggiornato come l’ultima versione di Explorer o Netscape sarebbe fonte di horribile dolore? A molti, immagino. Ma quella roba non la vendono più. E se la copiate siete teoricamente fuorilegge…. ma esaminiamo meglio questo ultimo concetto.

Davvero mi piacerebbe, come fa notare sempre questo Innominato dal quale sto attingendo a piene mani, sapere se le cifre astronomiche che Mamma Microsoft segna nella colonnina delle perdite, dicitura “software copiato”, si riferiscano tutte e solo a software tuttora in vendita o meno. Se così non fosse, intravedo un interessante problema legale. Se io copio oggi Windows 95 io non procuro nessun danno a Microsoft, perché comunque loro da Windows 95 ormai di soldi, non vendendolo, non ne prendono più. Non sono quindi passibile di aver apportato con la mia azione un mancato guadagno, poiché ormai Windows 95 è un non-prodotto.

Ok, la tecnologia di W95 è confluita nei suoi successori, per cui una possibile linea di attacco potrebbe essere: copiando W95 in realtà tu copi una versione particolare di Windows 2000, attualmente in commercio. La risposta è che fino a quando non mi fanno vedere i sorgenti non ci credo che in W2000 ci sia della “tecnologia” di W95. Va bene, una battutaccia. Ma questa è una delle poche mosse che mi viene in mente. Penso di dover lavorare ancora un po' prima di potermi firmare Perry Mason.

Qui s'innesta poi una digressione sul concetto di Diritto d’Autore, che dimostra come ci sia molta confusione nella testa della gente (nella mia in particolare, ma io, come Jango Edwards, sono pagato per essere confuso). Primaditutto voglio far notare che quello che viene chiamato in lingua anglofona Copyright è erroneamente (a mio modesto parere, che peraltro condivido - Bergonzoni) chiamato e tradotto Diritto d’Autore, anzichè Diritto di Copia. Non voglio addentrarmi nella giurisprudenza, non ne ho titoli o cultura sufficiente, ma spero e prego che eventuali giuristi che leggano queste mie farneticazioni vogliano aggiungere qualcosa. Quello che è evidente è comunque il fatto che, copiando Windows 95, io infrango i diritti di copia, mentre non tento certamente di spacciarmi come autore dello stesso. In inglese funziona: infrango il copyright. In italiano no: infrango i diritti di autore, almeno nel “parlato comune”. Non va bene.

Urge una chiarificazione. Il diritto d’autore include i diritti di copia secondo la giurisprudenza italiana? Una cosa sono i diritti di copia, l’altra è la proprietà intellettuale; penso che dovrebbero essere fatte delle ben precise distinzioni. Se volete, chiamate tutto globalmente “diritto d’autore”, ma dite chiaramente qual è il motivo per cui copiare software è illegale e soprattutto fateci capire se sono previste pene diverse per queste due azioni – copiatura e usurpazione della proprietà intellettuale - radicalmente diverse tra loro.

Bene, finalmente sento le voci pro-Microsoft: “Non ti obbliga nessuno a usare quei prodotti. Arrangiati.” Esatto. Adesso, finalmente, forse il momento di arrangiarci è arrivato davvero, visto che adesso possiamo farlo con Linux, StarOffice e la compagnia bella di tutto l’Open Source. E stiamo persino cominciando ad alzare la testa, a guardarci intorno e a renderci conto di come gira veramente il mondo. Voi, intanto, cominciate a toglierci dalle scatole quello spot del cacchio.

Grazie. E Buone Feste. Tanti crash di sistema anche a voi.

Aaron Brancotti a.k.a. Babele Dunnit

PS: In quanto autore di questo pezzo io, Aaron Brancotti a.k.a. Babele Dunnit, rinuncio ai diritti di copia (Copyright) sullo stesso, rendendolo liberamente duplicabile e ridistribuibile su ogni mezzo elettronico, cartaceo e per via orale, in toto o in parte, senza che a me sia dovuto alcunchè e purchè di questo pezzo vengano rispettati la dignità e proprietà intellettuale, ovvero purchè in seguito a tagli e/o modifiche non ne venga alterato il significato e che nessuno dichiari di esserne autore in mia vece. Inoltre ringrazio l’Innominato Autore citato nel testo per gli ottimi spunti.

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