(...)
Ci eravamo rivisti il 7 marzo 1918. Non ci saremo più lasciati fino al 1° giugno 1925 - sette anni di piacere durante i quali abbiamo riguadagnato il tempo perduto.
Non restavamo più di sei ore senza telefonarci, dodici ore senza vederci, ventiquattr'ore senza scriverci...
L'uomo
Ebbe due virtù: il pudore e la dignità. Pudore morale e fisico.
Non ci fu mai nulla in lui di meschino o di lezioso.
Non era mai nervoso - oppure allora dominava i nervi - e non l'ho mai visto impaziente.
Poteva rifare per dieci volte il nodo mal riuscito della cravatta senza sospettarla di centrarci per qualcosa.
Aveva orrore di affrettarsi, d'altronde non si affrettava mai. E mi sono chiesto sovente come facesse ad essere sempre così puntuale.
Non era per nulla vanitoso.
Ben troppo intelligente, ben troppo "all'occhio" per essere vanitoso!
Ma forse dava l'impressione di essere orgoglioso.
Lo era?
Risponderò: sì, se mi si permette di servirmi della parola "orgoglio" col significato della seconda definizione che Littré ci propone: "sentimento nobile, elevato che ispira una giusta fiducia nel proprio merito". Ma per essere esatto, devo dire che, se era orgoglioso, lo era, per conto mio, soprattutto fisicamente, dunque in una maniera dapprima involontaria, e che si poteva allora dire di lui come Madame de Sévigné parla del Mont Saint-Michel del quale dice: "Quel monte così orgoglioso che avete visto così fiero..."
Sì, se era orgoglioso, lo era come quando si è grandi, come quando si ha dei begli occhi - malgrado sé.
E d'altra parte, lo era anche senza dubbio, naturalmente, come lo era Rodin, come lo fu Monet, come lo sono tutti - essi:
gli uomini superiori - ognuno a modo suo, a suo piacere, alla sua ora. Ma aggiungo - ed ecco ciò che lo differenzia dagli
altri uomini della sua specie - aggiungo che, cosciente del suo orgoglio, si divertiva a non nasconderlo, poiché l'idea che
ci si potesse fare di lui un'opinione sbagliata non lo contrariava per nulla.
Ingannare il prossimo era esattamente una delle sue distrazioni favorite. Quindi, più si mostrava, meno il suo orgoglio era
autentico... Poiché, in somma, "faceva l'orgoglioso" ed era modesto, in fondo, modesto poiché quelli che fanno i modesti
sono orgogliosi, in fondo.
E mi spingo ancora oltre sull'argomento di questo orgoglio autentico ed eppure simulato. Non sono completamente sicuro che
questo comportamento non gli sia parso preferibile a tutti gli altri per nascondere la sua incredibile timidità.
Sì, avete letto bene. Era un timido, un vero timido. Pochi se ne sono resi conto, ma potrei darne delle prove. Entrare in un
ristorante, in una sala di teatro, in qualunque luogo pubblico era un supplizio per lui. Pranzare in città, mostrarsi,
sentirsi guardato, fare la conoscienza di qualcuno, tutto ciò gli era insopportabile. Lo stesso scrivere, quando non era
agli intimi o a degli indifferenti, lo paralizzava ad un punto tale che ho ritrovato cinquanta sue lettere, stupende, colme
di elogi, commosse, che destinava ad artisti, a scrittori, a pittori e delle quali non ha mai preparato le buste.
Nei rapporti con coloro che non gli erano familiari, si divertiva nell'atteggiarsi po' distaccato e si divertiva a dire
delle cose, a utilizzare certe parole, certe formule, come ci piace portare un certo cappello perché ci va bene. Dunque,
se sembrava distante, derivava da quello che c'era in lui di maestoso: i tratti, la corpulenza, la maniera di tenere la
testa, la voce, e se era distaccato, era perché non gli piacevano le familiarità. Le detestava. Una parola, volgare,
un'espressione triviale non lo disturbava, ma un gesto troppo cordiale gli dava fastidio.
Mi ricordo di un attore che provava con lui, e che, da due giorni, gli metteva senza motivo la mano sulla spalla mentre
parlava. Il terzo giorno, mio padre gli disse cortesemente:
- Non mi toccate, d'accordo?
Ma questo orgoglio, se orgoglio si può chiamare, questa fierezza piuttosto - in verità, non ho trovato la parola giusta per
definirla - diciamo: questa particolarità, non si manifestava evidentemente nella sua vita intima.
Lì, era l'uomo più squisito, il più semplice, il più indulgente che si possa immaginare.
Era di una cortesia affascinante e d'una estrema educazione. Rispettoso delle opinioni degli altri, conciliante, confutava
gli errori e le menzogne con un sorriso o con una parola semplice pronunciata a mezza voce, evitava le discussioni, non
contraddiva mai nessuno e, quando applicava le grazie del suo spirito, posso ben permettermi di dire che era irresistibile.
Ogni suo atto e parola erano retti da un'intelligenza costantemente sveglia, da un desiderio innato di piacere e dal timore
continuo di aver torto. Il suo prodigioso senso del ridicolo lo rendeva esigente anche verso sé stesso. E questo pudore di
cui ho già parlato non lo abbandonava mai.
Passava per un burlone e si diceva di lui che "sfotteva" volentieri. Gli piaceva sfottere, è vero. Sì, ma chi sfotteva? Mai
un operaio, né un macchinista, né un contadino, figuratevi. Soltanto, devo ammettere che non aveva pietà per gli snob ed i
vanitosi. Amante del naturale e della semplicità, ogni affettazione lo metteva in collera o lo faceva ridere.
Aveva un orrore istintivo delle "sbruffonate". E nessuno, a questo proposito, seppe meglio di lui smascherare gli esseri.
Le moine che la maggior parte delle persone fanno a volte lo esasperavano e provava un autentico piacere nello sprofondare
in una confusione estrema quei semi-imbecilli di cui è infestato il mondo delle lettere e del teatro.
Le sue collere erano molto rare.
Erano terribili.
Ha posseduto l'inestimabile facoltà d'ammirare, di venerare.
Pochi grandi uomini la possiedono, quella facoltà.
Era forse il solo sentimento che non nascondeva. Il suo pudore gl'impediva a volte di manifestare la sua tenerezza, la sua
buona educazione gli consigliava sovente di dissimulare la sua antipatia più viva, ma la sua ammirazione, non pensava mai
di mascherarla....
Sacha Guitry, estratto da "Lucien Guitry".