Era stato il sordomuto a raccogliere quei vegetali mortali. E quella sera c'erano undici cadaveri per la casa. Chi non ha mai visto undici cadaveri insieme non può farsi un'idea del numero di cadaveri che fa. Ce n'erano dappertutto.
Dovrei parlare del mio dolore?
Diciamo piuttosto la verità. Non avevo che dodici anni, e si converrà che era una disgrazia
eccessiva per la mia età. Sì, questa catastrofe superava largamente i miei limiti - e non
avendo abbastanza esperienza per apprezzarne l'orrore, mi sentivo, per così dire, indegno.
Si può piangere la propria madre o il padre, o il proprio fratello - ma come volete fare per
piangere undici persone! Non si sa più dove girarsi. Non oso parlare dell'imbarazzo della
scelta - ed era purtroppo un po' quello che mi succedeva. Il mio dolore, sollecitato da
destra e sinistra aveva dei soggetti di distrazione troppo numerosi.
Il dottor Lavignac, chiamato nel pomeriggio, non cessò di prodigare, per ore ed ore, le sue cure illuminate, ma purtroppo inutili. La mia famiglia si spegneva inesorabilmente.(...)
I primi decessi erano stati annunciati con una certa aria compunta, com'è la regola. Ma,
dopo la quarta morte, gli annunci si fecero brevi - e presto laconici:
- Ancora uno!
E tutti gli abitanti del villaggio, rassegnati e stremati, riprendevano vita davanti a tutte
quelle morti. Senza dubbio, doveva sembrar loro che ognuno di essi avrebbe avuto un po'
più d'aria da respirare. E mi giungevano dei dialoghi inauditi:
- E la nonna?
- Non ancora, ma è questione di venti minuti.
- Quanti ne restano?
- Quattro.
Lo zio assassino, il sordomuto, morì per ultimo tra orribili sofferenze.
- Chi è quello che grida così?
- E' il muto, rispondevano.
Quando, alle sette, fu tutto finito, sono uscito dal mio nascondiglio e mi sono ritrovato
naso a naso col dottore sfinito che si asciugava la fronte.
Mi vide, mi guardò, mi riconobbe, non credette ai suoi occhi e mi disse:
- Eh be'! E tu?
E c'era nella sua voce una sorpresa immensa, con un pizzico di rimprovero. D'altra parte
aggiunse:
- Cosa ci fai qui?
E quel "Cosa ci fai qui?" non voleva dire: Cosa fai qui, sotto il bancone? - no, significava
invece "Cosa ci fai qui, sulla terra?".
In effetti per quale diritto non ero morto, come tutti gli altri!
E continuò:
- Non hai male?
- No, per niente.
- Ma come mai?
E adesso mi guardava come se fossi un fenomeno - oppure il diavolo. Questo ragazzino di
dodici anni che mangiava impunemente dei funghi velenosi, che sopravviveva a tutti i suoi
- tutto ciò diventava molto interessante per lui! Quali esperienze! E, siccome mi sembrava
che si vedesse già curvo a esaminare le mie viscere, ho confessato la verità:
- Non ne ho mangiato.
- Perché?
E quel "perché", partito così in fretta, era straordinario. Deformazione professionale,
d'accordo, ma giuro che l'aveva detto con un tono di biasimo.
E siccome ripeteva: "Perché? Perché?" - ho preferito dire tutto, ho raccontato il mio
crimine ed ho detto qual era stato il mio castigo.(...)
Sì, ero vivo perché avevo rubato. Da lì a concludere che gli altri erano morti perché erano
onesti...
E quella sera, addormentandomi solo nella casa deserta, mi sono fatto sulla giustizia e sul
furto un'opinione forse un po' paradossale, ma che quarant'anni d'esperienza non hanno
modificato. (...)