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LA LEGGENDA TROIANA AD ERICE
La prima testimonianza precisa sull'origine troiana degli Elimi ci e' fornita da Tucidide nella sua introduzione alla storia della spedizione in Sicilia. Dopo la caduta di Ilio, vi si legge, un gruppo di Troiani, per sfuggire agli Achei, arrivò per mare in Sicilia e si stabili in prossimità dei Sicani. Essi presero il nome di Elimi , ed ebbero due città, Erice e Segesta. A essi si unirono dei Focídesi che, tornando da Troia, erano stati sbattuti dalla tempesta sulle coste della Libia, e quindi, in Sicilia .
Tucidide annovera i Troiani fra le popolazioni barbare dell'isola, e cosí fa anche il Pseudo-Scilace, il quale però, nel suo elenco di popoli barbari della Sicilia, li distingue, a torto, dagli Elimi. Anche Plutarco ricorda l'origine troiana dei Segestani; e tali Troiani non sono eví-dentemente se non quei Frigi, arrivati dalla Troade e dalla regione dello Scamandro, che Pausania nomina anche lui, insieme ai Sicani e ai Siculi, fra i popoli barbari della Sicilia E anche Apollodoro, leggiamo in Strabone, dava a Segesta un eponimo troiano, Egeste; sennonché insieme a costui e ai suoi Troiani faceva arrivare in Sicilia anche dei compagni di Filottete, invece dei Focidesi di cui parlava Tucidide.
Indicazioni piú minute ricaviamo da Licofrone. Il passo dell'Alessandra in cui anche lui parla dell'origíne troiana degli Elimi, dato il solito procedimento di esprimersi esclusivamente per mezzo di allusioni, ci sarebbe quasi del tutto incomprensibíle se gli scoliastí non ci venissero in aiuto. Possiamo ricostruire cosí la vicenda: il troiano Fenodamante consiglia ai suoi concittadini di dare in pasto a un mostro marino la figlia di Laomedonte, Esione, e Laomedonte, per vendicarsi, consegna le tre figlie di Fenodamante a certi marinai, perché le portino lontano, nella Sicilia, e le diano in preda alle bestie feroci. Sfuggite alla morte, le tre figlie di Fenodamante erigono in Sicilia un grande tempio alla dea patrona di Zerinto, madre del lottatore Erice, Afrodite, che le ha salvate. Una di esse, Egesta, si unisce al fiume Crimi-so, trasformatosi in un cane, e ne ha un figlio: Egeste. Questi fonda le tre città di Segesta, Erice ed Entela, conducendo dalla Troade fino all'estrema punta della Sicilia il figlio bastardo di Anchise, Elimo; e da allora, a perenne ricordo della distruzione di Troia, gli abitanti di Segesta non hanno mai smesso di vestire a lutto.
Questa versione dell'origine troiana degli Elimi non fa ancora intervenire Enea, giacché, come appunto specificano gli scoli, il bastardo di Anchíse di cui si parla nel poema va identificato con Elimo, e non con Enea. Tuttavia, Licofrone conosce anche l'arrivo di Enea nel Lazio, e ne parla in un altro passo dell'Alessandra, senza però istituire un rapporto fra i due episodi .
Ora, Virgilio conosce l'origine troiana di Aceste, l'eponimo di Acesta (Segesta?), e anch'egli gli dà per padre il fiume Crimiso . Anche Dionisio di Alicarnasso parla della partenza di Elimo e di Egesto dalla Troade dopo la caduta di Troia; e ci racconta, con qualche diversità di particolari, l'origine e l'avventura di quest'ultimo: sua madre era una troiana di nobile lignaggio, consegnata da Laomedonte, come le sue due sorelle, a certi mercanti che la conducessero lontano; in Sicilia sposò un giovane troiano con cui aveva fatto il viaggio; e dalla loro unione nacque Egesto. Questi tornò nel paese di sua madre per combattere durante la guerra di Troia; ma, dopo la caduta della città, tornò in Sicilia in compagnia di Elimo, e dai Sicani ottenne il permesso di potersi installare con i suoi amici nei pressi del fiume Crímíso
Come Virgilio, anche Dionisio di Alicarnasso fa inoltre approdare Enea presso questi Troiani di Sicilia, prima di farlo arrivare sulle coste del Lazio. Questa versione tarda della leggenda troiana e' raccontata con dovizia di particolari tanto nell'Eneide quanto nelle Antichità Romane; e gli autori greci e latini posteriori al secolo I vi alludono di continuo. Ma si ha ragione di sospettare che essa abbia subito molte alterazioni, sia per la fortuna stessa di Roma, sia per i legami che unirono Elimi e Romani dopo che Roma, nel 2I5 a.C., ebbe introdotto nel Campidoglio il culto di Afrodite Ericina, accordando agli Elimi ogni sorta di privilegi . Non ci addentreremo qui nello studio della questione, e rinviamo alle opere che vi sono state espressamente dedicate .
I racconti di Virgilio e di Dionísio di Alicarnasso non sono identici, ma, nel complesso, sono paralleli; e Dionisio di Alicarnasso si preoccupa di avvertire che su certi punti la tradizione presentava alcune varianti.Secondo Virgilio, Enea lascia Troia in fiamme, portando
con sé il padre Anchise, il figlio, i penati e gli dei della città. Rifugiatosi sui monti, fa costruire una flotta e s'imbarca, insíeme a un gran numero di Troiani scampati all'eccidío. Approda in Tracia, nei pressi della tomba di Polidoro, figlio di Priamo, ma e' scacciato da un sinistro presagio. Poi tocca Delo, dove consulta l'oracolo di Apollo. Raggiunge Creta, e vi vuol costruire una nuova Pergarno, ma la peste lo costringe presto a fuggire. Fa scalo alle isole delle Arpie e, passando al largo di Zacinto e di Itaca, sbarca sulla costa di Azio, dove celebra dei giochi. Poi, nel suo peregrinare, si spinge fino a Butroto nell'Epiro, dove ritrova Andromaca e un altro figlio di Priamo, Eleno. Con equipaggi piú numerosi la flotta troiana riprende il mare, traversa lo Ionio, tocca il tempio di Minerva nei pressi del capo Iapigio; poi, costeggia l'Italia fino allo stretto di Messina, evitando di appressarsi alle zone già abitate da Greci . Sfuggendo a Scilla e a Cariddi i Troiani si spingono fino ai piedi deU'Etna, dove abitano i Ciclopi e dove trovano e raccolgono un vecchio compagno di Ulisse. Lasciando dietro a sé la baia di Megara e il capo Pachino, Enea scorge di lontano Camarina, Gela, Agrígento e Selinunte; poi tocca il porto di Drepanon (Trapani), e qui Anchise muore. Una tempesta lo sbatte sulle coste africane, nei pressi di Cartagine, dove si svolge l'episodio di Didone Fuggendo dall'Africa, Enea torna in Sicilia, dal re Aceste; le donne troiane, stanche di quei lunghi viaggi, tentano di incendiare le navi. Infine, Enea abbandona la Sicilia, ma, prima di partire, lascia presso il suo compatriota Aceste una parte dei suoi compagni e fonda una città chiamata Acesta (Segesta?).
Un po' diverso l'itinerario di Enea in Dionisio di Alicarnasso. Secondo Dionisío, Enea s'imbarca con la famiglia e gli dei della città, lasciando Ascanio nella Troade. Dapprima approda in Tracia, ma, a differenza che nell'Eneide, non a Eno presso la foce dell'Ebro, dove si trovava la tomba di Polidoro, bensí a ovest della penisola caicidese, dove erige un tempio ad Afrodite e costruisce la città di Eneia, città che esisteva ancora nel tempo di Tito Livio. Dionisio fa qui presente che la tradizione presentava alcune varianti: alcuni storici facevano morire Enea in Tracia, altri lo facevano andare dalla Tracía in Arcadia, a Orcomeno, e gli attribuivano la fondazione della città di Capyai, cosí chiamata in memoria del troiano Capi; altri, infine, lo facevano sí andare in Arcadia, ma morire in Italia. Personalmente, Díonisio racconta che dalla Tracia Enea si recò a Delo, e di lí a Citera, dove consacrò un tempio ad Afrodite. Approdò poi a un promontorio della Laconia che chiamò Cinezio dal nome di un suo compagno morto in quella località, e dopo una breve sosta, durante la quale ríallacciò i vecchi legami di amicizia con gli Arcadi, fece vela alla volta di Zacinto, i cui abitanti, discendenti di Dardano, lo accolsero amichevolmente, dati i loro vincoli di parentela con i Troiani. Qui Enea dedicò un santuario ad Afrodite, istituendo dei giochi che portarono il suo nome e che da allora gli Zacinti celebrarono ogni anno. In quel santuario, dice Dionisio, erano conservati degli xòana dell'eroe e della sua madre divina. Quindi Enea si ferma presso gli Acarnani di Leucade, vi erige un. tempio ad Afrodite Eneiade, poi fa scalo ad Azio e ad Ambracia, dove il suo passaggio e' attestato da un nuovo tempio ad Afrodite Eneiade e da un heròon con uno xòanon che lo raffigura; prosegue il viaggio approdando a Butroto nell'Epiro, e di lí con un gruppo di compagni sale fino a Dodona, dove regna Eleno: il suo passaggio e' ancora testimoniato a Dodona dalle offerte da lui dedicate a Zeus, e a Butroto da una collina chiamata Troia. Poi, dopo aver dato il nome del padre, Anchise, a un porto dell'Epíro - evidentemente Onchesmo - Enea salpa alla volta dell'Italia, accompagnato dall'acarnano Patrone di Tírio, che con i suoi uomini fonda in Sicilia Alonzío: e qui Dionisio ricorda i privilegi accordati dai Romani agli Acarnani in ricordo di questo episodio. Traversando lo Ionio, una parte della flotta troiana tocca l'Italia al capo Iapigio, mentre le altre navi, con Enea, gettano le ancore sotto il promontorio di Atena, nel Porto di Afrodite. Costeggiando l'Italia, Enea fa scalo al capo Lacinio e dedica a Era una coppa di bronzo con inciso il proprio nome. Poi i venti lo sospingono fino all'estrema punta della Sicilia, a Drepanon (Trapani), dove ritrova Egesto ed Elimo per i quali costruisce le città di Segesta e di Elima. Fra le altre " prove " del passaggio di Enea dalla Sicilia, Dionisio ricorda l'altare di Afrodite a Eneiade in vetta al monte Elimo, altare consacrato da Enea in persona, e un santuario di Enea a Segesta innalzato in sua memoria dai suoi compagni. Anche Dionisio colloca in Sicilia l'episodio dell'incendio delle navi da parte delle donne troiane, incendio che avrebbe costretto Enea a lasciare nell'isola parte dei compagni .
Non staremo a esaminare nei particolari questo itinerario, che si ha ogni ragione di considerare una vera e propria ricostruzione ; ma e'' necessario richiamare l'attenzione su due punti importanti. E' anzitutto, interessante considerare le varie tracce del passaggio di Enea piú o meno esplicitamente segnalate da Virgilio e da Dionisio di Alicarnasso lungo tutto questo itinerario. Si tratta di nomi di località, interpretati, non stiamo a discutere con quanta ragione, come indizi del passaggio di Enea: Eno ed Eneiade in Tracia, Pergamo a Creta, Cinezio nella Laconia, Capyai in Arcadia (il cui eponimo, Capi, e' lo stesso della Capua italiana), la collina di Troia nei pressi di Butroto, il porto di Onchesmo (nome fatto derivare da Anchise). Oppure sono nomi di santuari e di cerimonie religiose che si consideravano istituite dall'eroe: tempio di Afrodite e giochi chiamati di Enea a Zacinto, tempio di Afrodite Eneiade a Leucade e ad Ambracia, beròon di Enea sempre ad Ambracia, Porto di Afrodite nella lapigia, altro culto di Afrodite Eneiade sul monte Erice e altro heroon di Enea a Segesta. Oppure sono ricordi ancor piú tangibili, anche se di origine incerta e di sospetta autenticità xòana conservati in vari santuari, offerte consacrate a Dodona e nel tempio di Era Lacinia. Tutti questi indizi, reali o presunti, non sono stati certamente estranei alle ricostruzioni dell'itinerario di Enea.
Ma e' altresí importante notare che, accanto ai legami fra la leggenda di Enea e il culto di Afrodite, la tradizione attesta anche dei rapporti fra la leggenda troiana e l'Arcadia. Si legge in Dionisio di Alicarnasso che vari autori facevano sostare Enea in Arcadia, e che, secondo alcuni, vi si sarebbe stabilito in modo definitivo; e Dionisio stesso, dal canto suo, afferma che Enea vi aveva sostato per riallacciare antichi vincoli con quelle popolazioni. Anche altri autori parlano del passaggio di Enea dall'Arcadia , e l'autore delle Antichità Romane lascia capire che quel passaggio e quella tradizione non sono fortuiti. Si reputava cioe' che fra Troiani e Arcadi ci fossero legami di sangue. Stando a Dionisio, il quale mirava a dimostrare che i Troiani erano dei Greci e che quindi Roma, essendo stata fondata da Troiani, era una città greca, il capostipite dei Troíani, Dardano, venne nella Troade dall'Arcadia, da quell'Arcadia di cui il suo avo Atlante era stato il primo re . Ma quest'origine arcade di
Dardano non e' un'invenzione di Dionisio; essa e' copiosamente attestata, e fin da un'età molto antica; secondo un'altra tradizione, piú recente, Dardano sarebbe stato originario di Creta, mentre una terza tradizione lo faceva venire da Samotracia, dove Dionisio c'informa che soggiornò per un certo periodo . E' fuor di dubbio che i Trolani erano una di quelle popolazioni preelleniche insediate da tempi antichissimí nell'Ellade e che dovettero in parte emigrare, quando arrivarono i Greci veri e propri, verso nuove terre, soprattutto nella Troade; popolazioni che nell'età classica venivano comunemente designate col nome di Pelasgi . Ora, l'Arcadia, insieme a Creta, era considerata dagli antichi paese pelasgico per eccellenza; e, anche se non fu proprio la culla della razza pelasgica, dovette almeno restarne per lungo tempo un bastione. Pausania stabilisce un legame anche fra l'Arcadia, dove esisteva una città chiamata Elimia , e il paese degli Elimi. Egli racconta, infatti, che la città arcade di Psofide doveva il suo nome a una figlia del re sicano Erice, la quale, resa incinta da Eracle e da lui abbandonata, fu condotta nell'Arcadia da Licorta e vi dette alla luce due figli . E a sostegno di questa versione, Pausania osserva che appunto a Psofide esisteva un culto di Afrodite Ericina, e riferisce inoltre la tradizione secondo cui l'eponimo della città sarebbe stato figlio di Xanto, a sua volta figlio di Erimanto, e quindi discendente di Pelasgo. Se e' vero che nel culto sul monte Erice sono innegabili influenze semitiche, dovremo ora chiederci se non bisogni pensare anche a influssi preellenici .
Enea avrebbe fatto scalo anche presso altre popolazioni preelleniche, imparentate piú o meno direttamente con i Troiani, lungo la costa occidentale della Grecia. Presso gli Zacinti, discendenti di Dardano, la cui acropoli, come c'informa Pausania, si chiamava anch'essa Psofide, e un gruppo dei quali sarebbe emigrato fin nella lontana Sagunto, sulla costa iberica, un paio di secoli prima della guerra di Troia . Presso gli Acarnani di Leucade, che nei loro rapporti con Roma seppero far valere quest'antico episodio della loro storia per trarne vantaggi. Infine nella regione della pelasgica Dodona, nell'Epiro, presso quelle genti che i Greci dell'età classica consideravano non proprio greche, chiamandole ancora Chaoni. Ora, questi Chaoni, di cui il troiano Eleno sarebbe stato re dopo la morte di Neottolemo, e che, secondo Virgílio, avrebbero dovuto il loro nome a un altro troiano, Chaone, non sono probabilmente del tutto estranei ai Choni d'Italia, che, come abbiamo visto, erano i
mitici colonizzatori troiani di Siri: anche a prescindere dall'analogia fra il nome dei Chaoni e quello dei Choni, vedremo come l'onomastico di questa regione dell'Epiro presenti piú di un'affinità con quella dell'Italia meridionale. Originari dell'Epiro sarebbero stati anche gli Elimioti di Macedonia, ricordati piú volte dai geografi antichi; e Stefano di Bísanzio conosceva l'esistenza di Egestani in Tesprozia .
La tradizione dell'origine troiana degli Elimi e la leggenda dei loro eponimi riappaiono in altri autori, con qualche particolare in piú o in meno. Cosí, Diodoro ricorda il passaggio di Enea dalla Sicilia e le offerte che dedicò all'Afrodite del monte Erice . Strabone riferisce che l'eroe si sarebbe fermato nella Macedonia, avrebbe soggiornato presso gli Arcadi, e infine sarebbe arrivato col troiano Elimo in Sicilia, dove avrebbe fondato Erice e Lilibeo e dato il nome di Scamandro e di Simoenta a due fiumi nelle vicinanze di Segesta . Servio e Plutarco narrano con qualche variante l'avventura di Egesta. Concordi, nell'affermare I'ascendenza troiana di Elimo e di Egeste, i poeti e gli storici antichi fanno di Elimo ora un compagno di Egeste, ora un compagno di Enea. Un Elimo compare anche nell'Eneide, dove si distingue nelle gare indette da Enea in Sicilia; e questo Elimo, o un suo omonimo, ci viene indicato da Fabio come un fratello di Erice. Infine, un altro Egesto compare in Díonisio di Alicarnasso, come uno dei luogotenenti di Ascanio. Tutte queste varianti, in verità, non ci interessano granché. Ricordiamo di sfuggita un passo di Stefano di Bisanzio in cui si dice che gli Elimioti di Macedonia avrebbero derivato il loro nome da un certo Elimo, re dei Tirreni .
Soltanto due città, Segesta ed Erice, sono ricordate come elimesi da Tucidide, e tali erano universalmente riconosciute. La prima si trovava un po' verso l'interno, non lungi dall'odierna Calatafimi: i resti di una cinta di mura e le rovine di un teatro indicano ancora il punto in cui sorgeva la sua acropoli, ai cui piedi si svolge tuttora il robusto colonnato di un grande tempio dorico. L'antico Crimiso, il quale (o forse un suo affluente?) venne chiamato anche Scamandro, come il fiume troiano, deve essere con tutta probabilità identificato con il Fiume Freddo, alla cui foce i Segestani avevano un porto .
Erice sorgeva in vetta all'odierno monte San Giulíano: arroccata su questo cocuzzolo, a settecentocinquanta metri sul livello del mare, fu la principale fortezza degli Elimi e, insieme, il loro piú importante centro religioso, mentre il centro politico era Segesta. Evidentemente, Erice non e' se non l'Elima ricordata da Dionisio di Alicarnasso accanto a Segesta . Ai piedi dei monte, Trapani, cosí chiamata dai Greci per il suo capo a forma di falce, e Lilibeo, un po' piú a sud, dovettero essere occupate soltanto in età molto piú tarda.
Ma Licofrone e i suoi scoliasti parlano anche di una terza città elimese, Entella, che avrebbe avuto come eponima la moglie di Egeste. Questo borgo, che nel 404 a. C. cadde in mano di mercenari campani e il cui nome si e' conservato, fino al giorno d'oggi in quello di Rocca d'Entella, si trovava a una ventina di chilometri a sud-est di Segesta. Questa distanza non costituisce di per sé un motivo sufficiente per affermare, come hanno voluto fare certi storici moderni, che Entella deve essere stata una città sicana, e non elimese .
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