VITA DI PUBLIO VIRGILIO MARONE
PublioVirgilio Marone Il più grande poeta latino nacque ad Andes (Pietole, fraz. del comune di Virgilio), non lontano da Mantova, il 15 ottobre dal 70 a. C.
Figlio di un piccolo agricoltore, compi' i primi studi a Cremona ove, a soli 15 anni, vesti' la toga virile; di qui passò a Milano e nel 53 a. C. a Roma, nelle scuole del retore Epidio. Non fece molti progressi nell'oratoria, per la timidezza e per la pronuncia difettosa; onde si volse alla filosofia, alla medicina e alla matematica, sotto la guida di Sirone epicureo, alla cui influenza e' dovuta probabilmente la sua attitudine all'osservazione minuta, all'esattezza delle rappresentazioni. Aderiva nel frattempo, facendo le sue prime prove, a quella corrente rinnovatrice dell'arte che si dice dei poetae novi. Ma orizzonti anche più ampi svelava al giovane cisalpino il poema di T. Lucrezio Caro: De rerum natura. In esso Virgilio trovava il suo grande modello, pur senza accettarne la fondamentale concezione, intesa a negare l'immortalità dell'anima. Nel 44 a. C. V. tornò a Pietole, probabilmente dopo la morte di Cesare (15 di marzo), e sperava forse che nella quiete della sua campagna non lo raggiungessero gli echi delle furibonde lotte civili che stavano per ricominciare. Era intento alla sua prima grande opera Le Bucoliche in cui avrebbe dovuto riflettersi la serenità dell'animo suo nel magistero di un'arte ormai matura, quando gli eventi precipitarono e in quelle pagine idilliche dovette versare il pietoso dolore suo e dei suoi compaesani, spogliati dei loro beni a beneficio dei veterani di Cesare. Il poeta lasciò Pietole nel 4o e pare non vi tornasse più. Egli portava a Roma, viatico di for-tuna, le Bucoliche, dieci egloghe (componimento a sfondo pastorale), imitate dagli idilli del greco-siculo Teocrito (III sec. a. C.), ma con impronta artistica nuova e con espressione lirica personalissima di stati d'animo, scaturiti dall'amore della terra, che gli procurarono l'ammirazione del pubblico e la benevolenza di Ottaviano. Questi gli donava un podere a Napoli a risarcimento dei beni perduti, e Mecenate gli offriva una casa in Roma, nel quartiere dell'Esquilino. Da allora la vita di Virgilio si svolse tutta all'ombra di Augusto e del suo grande ministro. Non partecipò alle guerre, ma accompagno' e favori' col suo genio di poeta gli sforzi riformatori di Ottaviano. Primo frutto di tale cooperazione fu il poema delle Georgiche, suggeritogli da Mecenate e composto fra il 37 e il 30 a. C.; poema in 4 libri, capolavoro di tutta la letteratura latina per perfezione formale, limpidezza e intima commozione, che' entrava nel disegno politico di Augusto di ricondurre all'agricoltura le genti troppo inclini al molle ozio ed alle abitudini corrotte, per avere una gioventù vigorosa capace di difendere e di consolidare l'Impero.Virgilio e' ormai il primo poeta di Roma,e da lui si attende il grande poema nazionale. Augusto stesso vede in lui il cantore dell'Impero e lo sollecita all'opera. E il disegno, prima vago e incerto, si concreta. Il poeta canterà la leggenda di Enea ma la leggenda non sarà che un punto di partenza; la sostanza viva e vera del poema sarà la celebrazione dell'Impero Romano, nel suo mitico fondatore, e la glorificazione della Casa Giulia. Viene rievocata dalle tradizioni e dai dati di fatto la storia della piccola città fluviale e di tutti i popoli italici che nel dominio di Roma si erano fusi, assumendone la lingua e le istituzioni. Latini ed Etruschi, Volsci e Rutuli, Messapi, Campani e Sabini, Equi e Marsi dovevano apparire coi loro eroi epònimi nella lotta, nella quale i vinti sarebbero stati fratelli dei vincitori. D'altra parte l'esaltazione della casa Giulia non e' opera di compiacente cortigianeria: e' la convinzione che un nuovo ordine di cose incominci, per destino divino, dopo tante guerre, dopo tanto sangue, anche cittadino, sparso in lotte feroci. Ma l'Eneide e' anche un poema religioso, nei suoi aspetti rituali e nel suo significato latino, perche' e' il poema del dolore umano e pur tuttavia della necessaria attività umana, in pena o in gioia, verso destini che non possono mancare. Dalla leggenda sorgono le voci di generazioni sperdute: tutta una immensa ansia tesa a creare la storia prodigiosa di un popolo, dilagante coi suoi vecchi dei da un cerchio di alture, lambite da un piccolo fiume biondo, fin dove può giungere passo d'uomo o solco di prore. La selvaggia solitudine latina comincia a vivere, nel poema virgiliano, di misteriosa vita quando ancora solo vi risuona il muggito di armenti arcadici. E tutto questo in una soavità musicale, densa di fatti e di analisi, in una elevazione mistica che trascende la realtà concreta. Undici anni di lavoro costò il poema, che pure non pote' essere completamente ela-borato. Nel 19a. C., infatti, Virgilio s'imbarcava per l'oriente col proposito di visitare i luoghi del suo eroe; ma ad Atene s'incontra con Augusto reduce dalle province orientali; stanco e malato s'induce a ritornare con lui in Italia; e a Brindisi, appena sbarcato, muore il 22 settembre dello stesso anno. Le sue ossa furono sepolte a Napoli, sulla via di Pozzuoli. Il poema, pubblicato dagli amici Vario e Tucca, per volere di Augusto senza aggiunte di sorta, divenne subito il poema sacro, e, traversati incolume i secoli di decadenza, riaffiorò nella sua intatta vitalità all'alba dei tempi nuovi, quando un altro poeta, abbeverato alle sue sorgenti, chiederà al suo autore consiglio per il cammino alto e silvestro . Parimenti la memoria del poeta ascese di giorno in giorno dall'amore riconoscente del popolo alla venerazione, alla leggenda, quasi all'apoteosi.
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