L’AUTISMO

Romeo Lucioni

 

L’autismo cos’è?

L’autismo è definito, dalla maggioranza dei ricercatori, come un "disturbo dello sviluppopsico-mentale a carattere pervasivo" e che determina uno stato di disabilità e di handicap gravi.

Il disturbo interessa molti aspetti della condotta umana e dei funzionamenti psico-mentali: movimento, attenzione, memoria, coscienza, empatia, apprendimento, linguaggio, carattere e interazione sociale.

  1. Molto spesso il bambino autistico presenta un periodo iniziale nel quale lo sviluppo appare come normale con le sue risposte sensoriali, i movimenti dei quattro arti e del capo, le prime parole, anche se in una osservazione accurata si possono mettere in evidenza movimenti rotatori del capo e del corpo, stare seduti immobili per diverso tempo, camminare e gattonare in forma un po’ scoordinata, balbettamenti monotoni.
  2. Tra i 18 e i 30 mesi, il bambino

  1. A partire dai 2-3 anni, l’espressione fenomenologica si sottolinea per:

Il quoziente intellettivo Q.I. degli autistici è variabile, come succede anche nei normali, ma, al contrario, è il quoziente emotivo-affettivo che è del tutto deficitario, poiché:

  1. L’inserimento scolastico acuisce la sintomatologia poiché aumentano le richieste di socializzazione e quelle normalmente legate alle necessità educative e formative. Se non hanno ricevuto una adeguata terapia, gli autistici non riescono ad inserirsi nella scuola dove vagano senza finalità, si rassicurano restando sulle loro stuoie e negli "angoli di sicurezza", rispondono inadeguatamente agli stimoli derivati dalla stretta vicinanza dei compagni e degli insegnanti, rimangono isolati, indifferenti, scontrosi, oppositivi e, talora, pericolosi per gli altri.
  2. Il quadro autistico, se non si interviene precocemente con una terapia adeguata, evolve verso la cronicità che si caratterizza per una disabilità veramente importante derivata dall’incapacità di adeguarsi e di sopportare i rapporti interpersonali e che conduce inesorabilmente all’istituzionalizzazione.

Autismo e funzionamento cerebrale.

Un bambino autistico, prescindendo dalle problematiche più caratteristiche (isolamento sociale; comportamenti ripetitivi e problematici), dimostra:

Queste osservazioni, insieme alla considerazione che un autistico può presentare uno sviluppo psico-mentale pressoché normale nei primi 15-20 mesi e cominciare a dimostrare disturbi a partire dai 15-25 mesi, ha fatto pensare ad una relazione stretta con la maturazione del lobo frontale, struttura notoriamente legata allo sviluppo dell’affettività.

Recentemente lo psichiatra Benedicto Crespo-Facorro ha messo in evidenza come l’anedonia caratteristica della schizofrenia possa essere messa in relazione con un alterato funzionamento delle strutture corticali frontali che vicarierebbero la loro attività con attività percettive.

Crespo-Facorro ha osservato "… como si las regiones frontales fueran secuestradas para asegurar el reconocimiento de olores desagradables y la capacidad del citado lòbulo se hubiera perdido".

Questa osservazione ci sembra di particolare importanza per migliorare la comprensione della relazione tra espressione clinica e basi biologiche, non solo per quanto riguarda la schizofrenia, ma, soprattutto nel caso dell’autismo.

Abbiamo sempre sostenuto che dobbiamo ritenere questo disturbo dello sviluppo psico-mentale come risultato di un disequilibrio dell’organizzazione strutturale (biologia del cervello) che funzionale (strutturazione dei processi psico-affettivi) in un’età (tra i 10 ed i 30 mesi) nei quali le due funzioni si stanno sviluppando e integrando.

Ci sembra però difficile dire che funzioni percettive vadano a "sequestrare" aree corticali frontali che quindi sostituirebbero il lobo limbico.

Dal momento che nell’autismo è presente una iper-eccitabilità o incontinenza emotiva, possiamo pensare a che il funzionamento psico-mentale subisce una alterazione non per "segregazione", ma per "invasione" dell’eccitazione emotiva ad origine limbica, di quelle strutture che notoriamente sonolegate alla corteccia frontale e prefrontale con un’ampia via a doppia mandata (andata e ritorno).

L’attività della corteccia frontale viene identificata come riguardante soprattutto:

È proprio questo modello di organizzazione psico-mentale che può dare una risposta globale alle alterazioni che si sottolineano nel funzionamento autistico.

Le strutture prefrontali e frontali immature (o non perfettamente organizzate) non sono in grado di:

Si potrebbe anche dire che se il sistema frontale non entra in funzione a tempo debito, risulterà che l’attività emotiva continuerà ad invadere i centri che dovrebbero, al contrario, gestire il loro contenimento ed inoltre permetterà di strutturare modelli mnestici rigidi e ripetitivi che, in ultima analisi, risulteranno i responsabili di quelle espressioni comportamentali problematiche che sembrano quasi assumere l’aspetto di "risposte condizionate" e "obbligate".

Seguendo questa lettura biologico-funzionale, possiamo anche entrare nell’area della terapia dell’autismo per ricordare come l’esperienza ci ha portato a dimostrare come un intervento terapeutico debba accompagnare il bambino per fargli ripercorrere il cammino dello sviluppo psicomentale che in lui si è "inceppato".

Si tratta di permettergli di rivivere, passo dopo passo, le esperienze percettive; riproporgli momenti relazionali strutturando quei "ponti d’amore" che gli permettono di trovare un "luogo" di accettazione e di scambio di vissuti e di sentimenti, di ridargli la possibilità di transitare le dinamiche del "pensiero affettivo" (fondato sull’esperienza concreta) che apre la via del "pensiero simbolico"; di sviluppare quei sistemi adattivi che l’ Io richiede per "accettare", sopportare e "vivere" le dinamiche sociali.

Queste osservazioni riportano al concetto che le funzioni psichiche si sviluppano e si strutturano su basi percettive sempre che però queste siano adeguate, coerenti e valide e non disordinate e/o destrutturate come probabilmente succede nell’autismo.

Autismo e considerazioni psicodinamiche.

Al momento della nascita, si può pensare che l’integrazione di circuiri biologici, non del tutto strutturati, reagiscono agli imput sensoriali (tattili, propriocettivi, cenestesici, acustici, geusici, visivi, enterocettivi e gravitari) non solo promuovendo delle risposte, ma anche strutturando proto-funzioni psichiche.

Queste vanno a costituire quello che abbiamo chiamato Proto-Io e che Freud ha denominato Io-reale-primitivo.

Talistrutture psichiche primitive, proprio per il prevalere delle funzioni orali-nutritive (il bambino passa il suo tempo mangiando, digerendo e dormendo), costituiscono uno stadio orale cannibalico nel quale l’oralità è rappresentata dalla bocca e dalla percezione tattile e visiva.

La vista, il tatto e la motricità coordinata delle braccia acquistano un predominio simblico-funzionale che è stato chiamato Io-piacere. Il soggetto è dominato dalla dipendenza e dalla passività, stabilendo una identificazione primaria narcisistica nella quale l’Io dipende passivamente dall’oggetto, strutturando una fase depressiva che lo vede affrontare un trauma delineato come oggetto perduto.

Questo trauma legato al dispiacere, può essere superato solamente dalla percezione onnipotente di un corpo erogeno in movimento che struttura il contenuto di una fase anale primitiva, dominata dal sentirsi capace di muoversi e di muovere, di gettare e gettarsi, di abbandonare e allontanarsi.

Qui l’ Io-piacere accumula attività, accanto alla passività e appaiono atteggiamenti sado-masochisti che inglobano sottomissione e ostilità.

Da questo momento, la madre, con il suo fare e preoccuparsi, attraverso l’accudimento, diventa un personaggio fallico (pieno di potere) che la toglie dal piedestallo dell’idealizzazione per cui, come dice Freud; appare il sinistro: la madre che era garanzia per il sé, diventa portatrice di morte e di castrazione.

Nella nostra elaborazione dell’oggetto diadico primitivo (seno onnipotente + fallo onnipotente) abbiamo identificato la possibilità di introiettare la figura del padre come oggetto ideale capace di contenere la parte fallica del seno e porsi come base per la costituzione di un modello ideale: l’idealizzazione del padre agisce nei confronti della madre fallica.

L’attaccamento iniziale del bambino alla madre, si è trasformato in ostilità proprio per la registrazione di differenze nell’ordine sessuale. Il padre diventa garante onnipotente del Sé e. quanto più importante diventi, quanta identificazione difensiva, tanto più importante sarà la percezione del sinistro, del pauroso, nel vincolo con la madre.

Di fronte all’incremento pulsionale (dell’ideale dell’Io) la madre si è trasformata in oggetto fobico onnipotente che può essere controllato solo attraverso l’idealizzazione di un oggetto padre altrettanto onnipotente.

In qualche modo, questa attività ioica primitiva, porta ad una identificazione genitale che potrà essere raggiunta solo attraverso la rinuncia a dover "consegnare" alla madre il "proprio piccolo fallo" (poiché la madre possa continuare a sentirsi come al principio) e poter riconoscersi uguale al padre (la cui capacità fallica contiene il seno), raggiungendo la sensazione di convertirsi in soggetto.

Questo percorso porta alla costituzione di un Io-reale-definitivo per il quale il bambino richiederà soddisfazioni narcisistiche e vincoli stabili.

L’Io-reale-definitivo comincia a strutturarsi intorno ai due anni, nella fase anale secondaria che registra la liquidazione del precosnscio-cinetico-visivo e comincia a strutturarsi il preconscio verbale (Cristina Weigle,1991).

Nella misura in cui i genitori cessano di essere fallici, onnipotenti e nutritivi, cominciano a reprimersi i desideri e a stabilizzarsi differneze e somiglianze. Con la parola, che è rappresentazione, acquista valore il significato che inaugura una nuova logica: la parola permette di discriminare l’oggetto dal contesto e permette di stabilire differenze.

 

Conclusioni

Di fronte alla complessità dell’autismo ci poniamo con dei principi guida determinanti per intraprendere il cammino della riabilitazione e della prevenzione:

  1. accettiamo l’ipotesi eziologica che il fattore principale da affrontare sia il ripiegamento su un "mondo interno" da parte del bambino che "teme", "rifiuta" ed "evita" il rapporto diretto, il contatto fisico-sensoriale con il mondo esterno;
  2. la nostra tensione riabilitativa si concentra sull’immagine del corpo, proprio perché il ripiegamento su di sé può essere pensato e utilizzato nella relazione terapeutica come l’effetto di un fallimento radicale nella nascita dell’immagine del corpo;
  3. la terapia può essere concepita come ristabilimento di un inter-esse franoi ed il bimbo, il cui rifiuto al contatto con il mondo esterno è "l’effetto di strutturazioni o, se si vuole, "alterazioni della costituzione del registro immaginario;
  4. il recupero non può essere inteso solo come riguardante le funzioni psico-mentali, ma come riorganizzazione delle capacità di relazione e di partecipare alla vita sociale (soprattutto attraverso l’educazione, la formazione e l’apprendimento);
  5. l’autistico, per effetto del "rallentamento" e della "svincolazione" di funzionalità normalmente saldate tra loro e che si sviluppano e si integrano vicendevolmente, non ha coscienza di esser un soggetto regredito, ma che può attivare "movimenti psichici" impercettibili a causa della loro rapidità ed anche bloccati a causa del ripiegamento narcisistico. Proprio per questo è importante un rapido inizio della "terapia relazionale" dato che, di fronte a certe "manifestazioni" potremo osservare non solo fallimenti, ma anche alla rinascita del pensiero;
  6. l’apparato pulsionale del bambino, apparentemente malato, è invece "danneggiato" e non può promuovere investimenti, ma dimostra una certa alternanza di stati per cui mentre rifiuta il contatto con il mondo esterno, si lamenta d’averlo perso, aprendo così le porte ad un Io-ausiliario che, come terapeuta, ha, quindi, la possibilità di ricreare ponti affettivi e la reale possibilità di fare uscire dal "buco nero dell’isolamento".

 

 

Da queste considerazioni dobbiamo dedurre che l’intervento terapeutico nell’autismo deve affrontare una problematica biologica-psicologica-relazionale e, quindi, deve rispettare modalità articolate sulla base di studi teorici e, soprattutto, su esperienze pratiche che richiedono anche specifici controlli periodici dei risultati per indirizzare puntualmente l’intervento ai bisogni e le modalità alle richieste.


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