La relazione d’oggetto e la struttura psichica
Marc-André Bouchard
La teoria freudiana della pulsione ci è proposta, ormai da 90 anni, come formulazione dell’organizzazione dell’inconscio. L’oggetto vi è concepito come secondario alla pulsione. Questa si sviluppa, si organizza in stadi e fonda l’essenziale della vita psichica incoscia. Soprattutto con Klein, la relazione d’oggetto, sotto la forma di "fantasmi inconsci", subentra alla pulsione e diventa l’unità fondamentale della struttura dell’apparato psichico. Allora chi, tra Freud e Klein, ha ragione?
Questa questione di sapere quello che, della pulsione o della relazione d’oggetto, è più fondamentale, rischia di diventare sterile. In ogni caso, il dibattito, a causa della sua stessa ripetitività, fa l’effetto a volte di un disco rotto. Per contro, quando alcuni tentano di superare questa opposizione, proponendo una sintesi creatrice, l’uno e l’altro non più concepito come esclusivo, l’uno essendo piuttosto indissolubilmente legato all’altro, allora io ho l’impressione che la cosa progredisca. Jacobson per primo mi sembra aver preso con successo questa via difficile. Mahler, senza proporre di metapsicologia completa, ha contribuito ad illuminare certi aspetti complementari. Infine Kernberg ha inseguito l’articolazione di questa maniera di concepire le cose, che egli chiama "psicanalisi dell’io e delle relazione d’oggetto". E’ del mio utilizzo clinico di questi contributi di cui io voglio testimoniare qui.
Come introduzione a questa tendenza metapsicologica particolare, che io associo a un trio formato da Jacobson, Mahler e Kernberg, citerò dapprima Kernberg:" Io credo che una rappresentazione di sé, una rappresentazione d’oggetto e lo stato effettivo che li collega, sono le unità essenziali della struttura psichica". La relazione d’oggetto interiorizzata consiste così, nel suo nocciolo intrapsichico fondamentale, in un fantasma (inconscio, preconscio o conscio) formato da una rappresentazione di sé, da una rappresentazione dell’oggetto e degli affetti, desideri e pulsioni che colorano i rapporti tra due persone endopsichiche implicate nella dualità. Una relazione d’oggetto interiorizzata si distingue anche da una relazione d’oggetto intesa come rapporto a un oggetto reale, attuale o passato. La relazione alle prime persone significative ("oggetti") è interiorizzata sotto l’impronta del fantasma inconscio, per poi contribuire alle strutture fondamentali dell’apparato psichico, il carattere e la sua psicopatologia. In quanto al sé viene definito dall’organizzazione delle rappresentazione del sè che fanno nascere una strutture nel seno dell’io.
L’affetto primitivo è concepito come la forma anteriore della pulsione, la quale è una versione più evoluta della tendenza motivazionale inconscia. L’oggetto, quello interno, la sua rappresentazione endopsichica, non è più secondario alla pulsione, fa parte con essa di un tutto, che comprende ugualmente la rappresentazione endopsichica di sé. I conflitti inconsci, i loro aspetti difensivi e pulsionali, si iscrivono nelle relazioni d’oggetto interiorizzate, dinamicamente opposte. Durante una seduta, l’emergenza di un affetto (criterio economico) segnala che una relazione d’oggetto interiorizzata è correntemente attualizzata ed investita dall’apparato psichico. Il conflitto tra pulsione e difesa diventa un conflitto tra una relazione d’oggetto attivata in maniera difensiva e la relazione d’oggetto dominato dalla pulsione che gli è dinamicamente collegata. La rappresentazione mentale della pulsione, nostro unico accesso ad essa, è sempre di un sé e di un oggetto collegati da un dato affetto. Questo implica che le pulsioni aggressive e libidiche emergono durante la seduta, nel contesto di relazioni d’oggetto organizzate attorno ad un nocciolo affettivo. Infine l’analisi del transfert ci fa constatare che ogni identificazione non è a un oggetto ma a una relazione d’oggetto, una relazione con un oggetto.
*
Due concetti freudiani dell’origine del carattere.
Si sa che è possibile rintracciare in Freud due concetti paralleli dell’origine dell’io e del carattere: Un primo percorso, dapprima organizzato intorno alle trasformazioni della pulsione, proporrà che le radici dell’io affondano in ciò che Freud concepirà più tardi come il sé. Il carattere, orale, anale, fallico è qui un risultato di fissazioni all’uno o all’altro degli stadi psicosessuali. Per esempio, presso certi soggetti ossessivi, il sadismo anale collegato a degli atti come sporcarsi, giocare, osservare la scena primitiva, uccidere, masturbarsi, fare figli ecc., sarà contemporaneamente gratificato ed evitato, travestito, per mezzo dell’isolamento, della formazione reazionale, dell’intellettualizzazione ecc. I tratti del carattere sono qui compresi come una estensione dei pattern di meccanismi di difesa messi in atto dall’io all’incontro delle pulsioni istintive.
Il secondo percorso appare a partire dal 1914, nel momento in cui il pensiero freudiano conosce uno sviluppo teorico e clinico considerabile, quello del narcisismo, che inaugura lo studio dello sviluppo dell’io e del superio, a partire dalle identificazioni e dagli investimenti degli oggetti. Freud ha incominciato questo lavoro senza completarlo. Oggi noi diremmo di questo testo che esso apre allo studio delle vicissitudini strutturali dell’interiorizzazione delle relazione d’oggetto rinnovando nello stesso tempo il modello strutturale-pulsionale, di cui si trovano tracce un po’ dappertutto presso Freud. Qui Freud ci invita a considerare che il carattere risulta dall’interiorizzazione delle relazioni agli oggetti.
Freud ha sempre accordato alla teoria della pulsione il ruolo più fondamentale. Ma questa seconda concezione, più tardiva, considera anche che "la ricerca patologica ha troppo esclusivamente diretto il nostro interesse sul rimosso. Noi vorremmo impararne maggiormente sull’io". Per esempio, nell’io e nell’id, egli propone che le radici dell’io sono ugualmente da cercare dal lato dei precipitati delle relazioni agli oggetti abbandonati: "Noi eravamo arrivati a spiegare l’affezione dolorosa della malinconia con l’ipotesi (…) che un investimento d’oggetto riceve il cambio da una identificazione (…) noi non riconoscevamo ancora tutto il significato di questo processo e noi non sapevamo quanto esso è frequente e tipico. Noi abbiamo capito da allora che una tale sostituzione ha una parte importante nella formazione dell’io e contribuisce essenzialmente a produrre ciò che si chiama il suo carattere". Nello stesso testo si tratta della "erezione dell’oggetto nell’io", d’introiezione "che è una sorta di regressione al meccanismo della fase orale", e d’identificazione come "condizione per cui il sé abbandona i suoi oggetti". In ogni caso, conclude Freud: "Il processo è molto frequente, soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo, ciò permette de concepire che il carattere dell’io risulta dalla sedimentazione degli investimenti d’oggetto abbandonati, che esso contiene la storia di quelle scelte d’oggetto." In altre parole, il suo pensiero contiene i germi di una visione oggi meglio compresa come una teoria della relazione d’oggetto. E Jacobson ha potuto gettare qualche luce su questi "processi frequenti" molto mal compresi prima di Klein, e così rinnovare la nostra comprensione di questi fenomeni d’interiorizzazione proponendo un modello genetico-strutturale dello sviluppo delle relazioni d’oggetto.
Lo studio clinico degli stati depressivi normali, nevrotici, stati limite e psicotici ha fornito a Jacobson il materiale clinico di base che gli ha permesso di capire i legami profondi, reciproci, complessi che si stabiliscono progressivamente con lo sviluppo psicogenetico del carattere, tra l’elaborazione degli affetti e delle relazioni d’oggetto interiorizzate, le rappresentazioni del sè e degli oggetti, l’io e il superio attraverso delle identificazioni. Questo quadro teorico permette di apprezzare i passaggi tra gli sviluppi precoci e quelli che assicurano l’emergenza della struttura tripartita (sé-io-superio), non trascurando le vicissitudini della pulsione, che sono adesso integrate con lo sviluppo delle relazioni d’oggetto, i meccanismi di difesa e l’affetto.
Con Jacobson, e Kernberg al suo seguito, si tratta anche di preservare un certo numero di nozioni fondamentali ereditate dalla metapsicologia kleiniana proponendo nello stesso tempo una alternativa radicalmente differente, che tiene conto degli acquisiti della psicologia dell’io e della metapsicologia freudiana particolarmente della seconda topica. Tra queste nozioni, sono incluse, e la lista non è esaustiva: la reazione d’oggetto interiorizzata come unità endopsichica fondamentale dell’inconscio, la sistematizzazione di certi meccanismi di difesa primitivi, (diniego, onnipotenza, svalutazione, identificazione proiettiva, sfaldamento, ecc.) caratteristici dell’io, ma compresi ed interpretati come appartenenti integralmente alle unità di relazione d’oggetto interiorizzata; lo sviluppo del superio e dei suoi precursori a partire dalle relazioni d’oggetto primitive. Jacobson tuttavia resta fedele a Freud sull’essenziale: l’inconscio dinamico, la teoria del transfert e la teoria della sessualità infantile, ma comprese come l’espressione di relazioni d’oggetto iscritte sotto la forma di fantasmi inconsci.
Jacobson considera che le osservazioni prodotte da Melanie Klein, malgrado il loro potere evocatorio, la loro precisione clinica, si sono inquadrate attorno ad una terminologia confusa, e non costituiscono in esse stesse una metapsicologia soddisfacente. Sottolineando la necessità di articolare i punti di vista genetico e strutturale, Jacobson ci fa notare che le descrizioni kleiniane non distinguono in effetti i processi che costruiscono la rappresentazione endopsichica degli stessi contenuti endofantasmatici. Lo sviluppo intrapsichico è arbitrariamente confinato alle prime tappe della vita, all’interno dei primi sei mesi. Klein ha anche trascurato lo studio preciso dei rapporti tra lo sviluppo normale e anormale precoce e l’emergenza e la consolidazione della struttura tripartita descritta da Freud. Si può aggiungere che le descrizioni cliniche proposte da Klein confondono sovente introietto e superio e quindi gli elementi strutturali ed i conflitti dinamici. Presso Klein gli scenari clinici articolati come fantasmi dell’inconscio presentano così fenomeni paralleli ed indifferenziati: la costituzione delle rappresentazioni di sé e dell’oggetto il cui sviluppo reciproco non è chiaramente descritto, l’elaborazione mentale degli affetti, lo sviluppo delle relazioni d’oggetto e delle identificazioni dell’io, i meccanismi di difesa primitivi e la formazione del superio.
*
La nozione di rappresentazione endopsichica
La nozione di rappresentazione intrapsichica degli oggetti e delle immagini di sé, fondamentale nel pensiero di Jacobson, condiziona considerevolmente l’approccio teorico dei problemi generali dell’interiorizzazione collegati alla formazione dell’io e del superio, o dei problemi come quelli di distinguere tra identificazione ed introiezione, tra identificazione dell’io ed identificazione del superio, ecc. Ed il problema di definire sul piano metapsicologico ciò che deve essere compreso dal "mondo interiore" o dal "mondo esteriore" supera questa semplice dicotomia. Sandler e Rosenblatt hanno proposto che la percezione degli oggetti esterni non può essere fatta senza l’aiuto dello sviluppo, all’interno dell’io, di un insieme sempre più complesso e strutturato di rappresentazioni. La loro visione è complementare a quella di Jacobson.
Il bambino si crea all’interno del suo mondo percettivo-cognitivo, un "modo rappresentato-capace di rappresentazioni" ("representational world": mondo "R-R"), ciò implica l’esistenza di percezioni e di rappresentazioni inconsce. Ma bisogna anche distinguere tra l’io come struttura organizzata, o insieme di funzioni, da un lato, ed il mondo "R-R" dall’altro. La costruzione del mondo "R-R", attraverso l’esercizio della funzione simbolica costituisce una delle attività dell’io. A partire dalla matrice sensoriale più o meno indifferenziata del lattante, il suo scopo è di simbolizzare particolarmente i rapporti con l’ambiente umano. Essa fornisce al pensiero un materiale di base: la formazione di una rappresentazione del corpo, delle pulsioni istintive che si attualizzano sotto la forma di rappresentazioni di affetti, delle rappresentazioni di sé e degli oggetti ecc.
La costruzione stessa del mondo "R-R", che va alla pari col suo sviluppo, è il prodotto di funzioni rilevanti dell’io. Ma le rappresentazioni di sé e degli oggetti, che sono degli elementi del modo "R-R", formano delle unità psichiche fondamentali e strutturanti che servono alla costruzione ed alla elaborazione dell’io psichico conscio ed inconscio così come del superio. L’io utilizza ugualmente questi costituenti fondamentali che sono le unità di relazione d’oggetto (rappresentazione di sé, dell’oggetto e degli affetti-pulsioni) e di simboli che ne derivano, nei suoi tentativi di mantenere l’equilibrio. Può loro permettere d’esistere sotto una forma intatta, o può modificarli secondo le sue necessità, attualizzando i suoi meccanismi di difesa.
*
La rappresentazione endopsichica di sé
L’organizzazione mentale che rappresenta la persona tale quale essa stessa si è percepita consciamente ed inconsciamente, e che fa parte del suo mondo "R-R", è la rappresentazione di sé. Questa organizzazione di sé è una struttura percettiva e cognitiva, conscia ed inconscia, all’interno del mondo "R-R". Kernberg pone così la questione dell’io e del sé: "Freud, in tutti i suoi scritti, ha mantenuto l parola tedesca Ich per designare l’io nello stesso tempo come struttura mentale e istanza psichica, ed anche il sé più personale, più soggettivo, più empirico. In altre parole, Freud non ha mai separato quello che noi concepiamo come l‘io, istanza o sistema, dal sé che ‘prova’. Questo uso di Ich, pur mancando di chiarezza e precisione, dà alla parola un significato illimitato".
Ma per Kernberg, e contrariamente a Jacobson che riprende su questo punto Hartman, definire il sé come opposto all’oggetto esterno, nel senso di persona, di entità psicosociale e relazionale, non è utile clinicamente. Questa infelice distinzione tra i concetti di io e di sé è ugualmente contraria allo spirito freudiano sulla questione. Kernberg propone piuttosto di tenere la nozione funzionale di rappresentazione endopsichica di sé. Così il sé sarebbe "(…) la somma totale delle rappresentazioni di sé nella loro relazione intima con la somma totale delle rappresentazioni d’oggetto. In altre parole io propongo di definire il sé come una struttura intrapsichica che nasce nell’io e vi è nettamente inserita". Il sé è dunque una struttura intrapsichica, appartenente al mondo "R-R", "inserita" nell’io da cui proviene, soprattutto per l’esercizio della funzione simbolica. A sua volta questa sotto-struttura dell’io determina, attraverso le relazioni d’oggetto che la costituiscono, la struttura dell’io, del superio e dunque del carattere. In altre parole, nel cuore dell’io psichico (conscio ed inconscio) si ritrova un sé infantile inconscio, rimosso o sfaldato, e di cui certi aspetti sono di volta in volta consci e preconsci. Proporre questo è anche dire, in accordo con Jacobson, che in funzione dell’evoluzione psico-genetica, le relazioni d’oggetto contribuiscono alle identificazioni che diventano gradualmente selettive o parziali, contribuendo alla formazione dell’io e del superio, passando per i suoi precursori. Inversamente, l’incapacità di raggiungere una integrazione delle rappresentazioni di sé e dell’oggetto all’interno dell’io e del superio porta a sviluppi patologici: strutture stati-limite e psicotici. Da questo punto di vista le relazioni d’oggetto interiorizzate sono delle sotto-strutture costitutive dell’id, dell’io e del superio. Così il contenuto stesso dei conflitti psichici, segnatamente il conflitto edipico, riflette una organizzazione mentale che mette in gioco, nel suo stesso fondamento, delle relazioni d’oggetto interiorizzate, ma di livello superiore a quanto si osserva con l’organizzazione limite o psicotica.
*
Riformulazione delle nozioni di id e d’inconscio
Secondo ogni verosimiglianza, l’inconscio rimosso si sviluppa, si costruisce per diventare la struttura globale e relativamente stabile che si ritrova per esempio nell’adulto nevrotico. L’id si distingue da una matrice comune, fonte nello stesso tempo dell’io e dell’id; la porzione rimossa dell’id non è un puro id, ma un io-id, a immagine della tappa più arcaica ed indifferenziata della vita psichica (cioè, secondo Jacobson, delle rappresentazioni sé-oggetto indifferenziate, associate a degli affetti primitivi e non differenziati). Lo sviluppo affettivo precoce implica anche di fissare, in una "memoria affettiva", le relazioni d’oggetto primitive, impronte di affetti primitivi e poco differenziati. Si è visto che per Jacobson le immagini degli oggetti, le immagini associate di sé, sotto l’impatto della pulsione, si interiorizzano in modo relativamente stabile in grembo alle differenti strutture.
Le relazioni d’oggetto inaccettabili perché troppo pericolose, fonti d’angoscia e di colpa, quelle che sono più terrificanti ed inquietanti, che sono sotto l’influenza di affetti primitivi, sono rimosse e/o sfaldate secondo il caso ed appartengono all’id. Esse continuano a rappresentarvi aspetti altamente deformati, meno modulati del processo di strutturazione mentale.
*
Aspetti strutturanti dell’interiorizzazione delle relazioni d’oggetto
Il più alto livello di sviluppo e l’organizzazione più evoluta del mondo delle relazioni d’oggetto e del sé concernono senza dubbio ciò che si chiama l’identità dell’io. Le strutture differenziate dell’io imbevute di carica libidinale evolvono dall’io idealizzato all’ideale di io, mentre che, parallelamente, le strutture caricate di aggressività, progrediscono normalmente dai precursori sadici del superio al superio nevrotico (severo e punitivo, ma integrato piuttosto che sfaldato e proiettato sotto la forma di "noccioli primitivi"). Ma in alcuni soggetti, la persistenza dello sfaldamento nuoce agli sforzi di integrazione delle immagini di sé e degli oggetti in seno all’io, il quale resta mal integrato, primitivo, ecc. Ciò influenza a sua volta la configurazione del carattere.
Nello sviluppo normale, delle immagini d’oggetto sono interiorizzate ed integrate in seno alle strutture di livello superiore che costruiscono l’identità dell’io e del superio, il quale è più o meno integrato secondo il livello di sviluppo raggiunto particolarmente sul piano delle relazioni d’oggetto. Quello che resta come rappresentazione d’oggetto (in seno all’io) propriamente detta subisce importanti trasformazioni nel corso degli anni sotto l’influenza degli sviluppi susseguenti dell’io e delle relazioni d’oggetto più evolute. Le formazioni di identità normale implicano che le identificazioni primitive siano gradualmente sostituite da delle identificazioni, parziali, con carattere sublimatorio, a persone amate e ammirate in modo reale. Questo contribuisce alla capacità di provare una profondità emotiva ed un benessere nei rapporti umani.
L’edipo è qui compreso come un conflitto di livello superiore al quale il bambino accede, a partire da un certo livello di sviluppo intrapsichico fondato su delle relazioni d’oggetto di livello superiore, le quali concernono delle relazioni tra tre persone totali, sessuate. Ma l’edipo stesso, per quanto strutturante esso sia, posa su un io che ha raggiunto uno sviluppo preliminare (un sé inconscio unificato) e che dispone di una struttura stabile e differenziata dall’id, appoggiata sull’integrazione delle relazioni d’oggetto primitive, là dove il soggetto ha raggiunto la costanza affettiva dell’oggetto. Questo dipende a sua volta dallo statuto e dal livello di sviluppo del sé infantile inconscio in seno all’io, ossia la qualità delle relazioni d’oggetto interne e la qualità delle funzioni dei precursori del superio.
*
Illustrazione clinica: l’uomo sofferente
Al momento della nostra prima conversazione telefonica, mentre mi informa di aver consultato in qualche occasione degli psichiatri, il signor S. insiste per dirmi, in un modo che allora mi è parso enigmatico e difensivo allo stesso tempo, che la psichiatria è stata "buona" per lui. Il suo lavoro di contabile lo porta ad occuparsi della gestione di professionisti della Sanità. Mi è stato indirizzato da uno psichiatra che, giustamente, trovava alcune difficoltà con le imposte ed al quale egli aveva fatto dei favori. Io capisco soltanto, senza sapere perché, che è importante per lui che io afferri quanto anche lui può essere "buono".
Oggi a quarant’anni avanzati, il signor S. si è separato dopo più di 20 anni di matrimonio, i suoi due figli sono divenuti giovani adulti. Degli attacchi depressivi ricorrenti che lo conducono sovente all’emergenza psichiatrica, in uno stato di completa disperazione, lo portano a consultare. Completamente sottomesso ad una forza interna straordinariamente potente e sadica, egli non può allora che "uccidersi", per "finirla". Ad ogni volta un seguìto minimo, con psicoterapia di sostegno a breve termine, a volte con farmaci antidepressivi, disinnesca la crisi senza tuttavia risolverla, né permettere d trovarvi un senso. E’ vittima di un tale episodio una prima volta a 25 anni, poco tempo dopo il matrimonio con Marlène. Egli si rivede steso al suolo, schiantato. Fino a circa sei anni fa ha fatto abuso d’alcol e di tranquillanti. E’ stato obeso, iperteso e diabetico. Oggi il suo peso è nella norma e la sua salute è buona.
La sua capacità di verbalizzare in modo immaginoso il suo mondo interiore, aprendo le porte di un lavoro comune di elaborazione psichiatrica dei suoi conflitti mi rassicura e mi seduce sulle prime. Il suo sconforto è reale, vibrante e commovente. Eppure il suo modo di comunicarlo è quasi sempre drammatico, accentuato dal suo senso teatrale. Se egli sa piacere, è anche evidente che saprebbe come suscitare una viva preoccupazione.
Di sua madre dirà di non saper bene se fosse il Diavolo o se fosse posseduta dal Diavolo. Nello stesso tempo forte ed autoritaria, alcolizzata e depressa, farà abuso più tardi di diverse medicine per finalmente suicidarsi a 61 anni. Se a volte ella lo batte con un pezzo di porta, in altri momenti vede in lui un barlume di speranza, il figlio perfetto, che ella incensa ed idealizza. Suo padre è presentato come un santo, un’ombra discreta, passiva, dominata dalla moglie. Muore cardiopatico qualche anno prima di sua moglie, "sul tavolo operatorio".
Curato, sobrio ed elegante nello stesso tempo, i suoi modi sono un po’ effeminati. Molto attento alle mie minime reazioni, a volte sopraggiunge un panico se non è assolutamente rassicurato dell’effetto desiderato. Così al primo colloquio, si interrompe bruscamente : "Io blocco…io mi rendo conto di essere entrato nel vivo del soggetto e che non conosco niente di voi…Io potrei voler essere il buon paziente, fare lo zelante". I desideri ed i pericoli associati ad una ripetizione di una sottomissione passivo-omosessuale affiorano rapidamente. Ma non è che il preludio all’altro versante, sadico.
Il suo matrimonio con Marlène è un lungo deserto. Lei lo domina, lo tratta da incapace, mentre che sessualmente tollera solamente delle carezze orali; in quanto a lui, egli è, in superficie almeno, sottomesso, "puro e perfetto". Questa prima identificazione al padre passivo-castrato ma puro di fronte ad una donna forte, dominatrice e che rifiuta la sessualità salvo che in condizioni molto ristrette, contrasta con un’altra identificazione ad un personaggio "imperfetto ed impuro", emozionalmente sessualmente arrabbiato ed avido, che ha fatto abuso d’alcol. Questo è un alleato potente per tentare di esistere per lui stesso, "far parlare il suo corpo" al di fuori delle sue domande incessanti.
Diversi anni fa, smette di consumare alcol e tranquillizzanti, incontra Lili ed anche Rose, e si separa dalla moglie. Per "la prima volta a 40 anni", con Lili (che ha lo status di amante) si sente un uomo, particolarmente perché lei può godere per penetrazione, ma anche perché le piace portare scarpe appuntite, reggicalze, "cosa che non si fa più molto", e perché le piacciono i giochi sessuali. Con Lili, sua complice permissiva, tutto si trasforma in un gioco infine possibile, ciascuno attribuendosi di volta in volta la posizione masochista o sadica, in un contesto di soddisfazione reciproca. Ma è di Rose che lui si sente innamorato. Membro come lui degli AA, è diventata la sua "bionda", che lui inganna soprattutto con Lili. Il suo passato lo ossessiona. Vuole ritornare a quella estrema oscurità, capire perché inganna le donne che ama. Perché divide sempre i suoi rapporti amorosi e la sua sessualità, esplosi tra due e a volte tre donne.
Stabiliamo la necessità di due sedute alla settimana, per quello che si vorrà una "psicoterapia d’ispirazione analitica", faccia a faccia. Tenuto conto dell’acutezza dei primi sintomi, le "crisi suicide acute", conveniamo anche che se tale urgenza dovesse presentarsi, potrà lasciarmi un messaggio sulla mia segreteria. Io lo richiamerò nel più breve tempo ed al bisogno saranno prese in considerazione delle sedute supplementari. E’ ugualmente inteso che se l’angoscia e la crisi suicida sono troppo forti, è sua responsabilità di presentarsi lui stesso al pronto soccorso. Questo quadro è posto particolarmente con lo scopo di prevenire le conseguenze di un sfaldamento tra l’adozione di una posizione di " buon paziente sottomesso" durante le sedute e le manifestazioni della sua rabbia sempre agita sotto forma di crisi suicide tra le sedute. Più precisamente, io penso allora alla messa in atto del fantasma di una relazione d’oggetto persecutorio, tra un persecutore interno sadico ed arrabbiato al quale egli si è identificato inconsciamente, ed una vittima sofferente, disperata ed in crisi, a causa della sua identificazione masochista relativamente più cosciente.
*
Primo quadro: la relazione persecutoria di fronte alla minaccia di perdita dell’oggetto
Viene a sapere che Lili ha un altro uomo e questo scatena una delle sue crisi. E’ come un bambino disperato che non ha capito. Si ricorda di una scena del suo matrimonio con Marlène. Sono a tavola con amici, il pasto è finito da un po’, la coppia aspetta. Marlène non vede niente, non finisce mai di vuotare il suo bicchiere, soprattutto non lo sente. Egli diventa molto angosciato, perché furioso in effetti, ma senza che nulla traspaia. Non potendone più, lascia il ristorante e, a piedi, percorre senza fermarsi, come un folle disperato, 15 km lungo una superstrada, con le vetture circolanti. E poi, anche se calmatosi, voleva (veramente… dice lui) impiccarsi: Qual è questa scena? Lui sa di pensare a sua madre.
Parla poi della paura estrema che ha provato di fronte alla "collera delle donne" associata al massacro capitato al Politecnico. Perché ciò che lui "capisce" di quello che le donne gli chiedono, è di uccidersi. Per difendersi dai propri sentimenti pieni d’odio, è indotto a voler fare tutto per loro, se non a fuggire. Questo terrore ci offre una prima occasione di intravedere al rovescio, dal lato del suo sadismo omicida. Come giunge a riconoscerlo, all’inizio di questa storia, è in effetti materia di un omicida che attacca e distrugge "delle donne che si attribuiscono un potere".
L’esplorazione delle varianti dei suoi rapporti masochisti e persecutori prosegue gradualmente. Così proprio prima di una rara uscita al cinema con suo figlio, questi si "droga", invece il mio paziente, nello stesso tempo scosso dall’immagine speculare che gli è rinviata (il figlio e la marijuana, lui e l’alcol di una volta), e furioso, non osando esprimere nulla della sua collera, non può che dirgli questo, nella maniera di una donna, precisa lui: "Quando ti fai tatuare…ciò mi fa soffrire". Si ricorda allora all’improvviso che a 16 anni lui stesso si mutilava con un pugnale. Arriviamo ad attraversare un po’ di più il muro della vergogna, per parlare della sua adolescenza e del suo legame con un cugino che soffriva di un leggero ritardo, col quale ha avuto, più spesso sotto l’effetto dell’alcol, dei rapporti sessuali sadomasochisti. Si ricorda il suo essere affascinato dal "viso pallido, un viso di nazista" di questo cugino, che era "estremamente controllante, non ce ne era che per lui…come con mia madre". Suo cugino lo dominava, era il suo carnefice, mentre lui, irresistibilmente sedotto dal sadismo dell’altro, cercandovi il suo, non poteva lasciare la recita.
Viene a sapere che Rose si interessa a Didier, un ribelle, un macho, "il negativo di me" dice lui. Lei vuole porre una fine temporanea alla loro relazione, lui è stravolto. Quando la incrocia ad una riunione degli AA la cosa è insopportabile e scatena in lui "come una estrema violenza", stando alle sue parole ambigue. Esce sconvolto, prende l’auto, attraversa un ponte, guidando "come un folle" a 130-140 chilometri all’ora, e pensando "se soltanto potessi derapare". L’indomani mi chiama. Disperato, in lacrime, perfino teatrale, sta malissimo. Pur scorgendo bene l’elemento di esagerazione istrionica nella sua forma, io lo ricevo tra due appuntamenti. Così egli evoca il suo "ultimo Natale terrestre", il ritorno in forza degli impulsi di passare all’azione, di abuso d’alcol, di bisogno di soddisfazione sessuale, poco importa con chi, ecc. E’ poi questione della voce, molto dura e punitiva, di Lili che gli ha parlato "stupidamente", e di quella di Rose che si è ritrovata nella posizione del personaggio onnipotente, e lui in posizione di vittima. La forza, il carattere più o meno cosciente di questa scena, lo sorprendono.
Si può constatare che si rigioca lo stesso scenario. Una prima volta quando viene a sapere che Lili si interessa ad un altro uomo, nelle sue associazioni fa appello al ricordo di Marlène che si allontanava da lui, e della sua reazione che consisteva nel mettere in pericolo la sua vita; in seguito con Rose che si interessa a Didier, di nuovo passa all’azione. Questo ci rinvia all’organizzazione patologica di una struttura pregenitale, ad un sé inconscio mal integrato, che non ha raggiunto la costanza affettiva della rappresentazione interna dell’oggetto, definita dalla capacità di mantenere un attaccamento libidinale-amoroso anche di fronte al fatto di provare una frustrazione intensa o una rabbia. La relazione fragile all’oggetto gratificante è attualizzata. Marlène per esempio è disattenta, lo ignora, o meglio Rose si interessa a Didier: lui è amato male, perso, è una frustrazione intollerabile che non può contenere, prendere coscienza, lui passa all’azione. Questa espulsione è co-determinata dalla presenza di un processo interno di difesa, sfaldamento dapprima, verso una relazione d’oggetto di tipo persecutorio, scatenante la sua identificazione inconscia con l’oggetto persecutore, sadico, mentre lui si ritrova consciamente come un bambino rotto, disperato, folle d’angoscia.
In termini freudiani classici si parlerebbe senza dubbio qui di rovesciamento della pulsione aggressiva contro se stessi. Ma questa descrizione classica presuppone che la rimozione è in opera, che l’io è ben strutturato e che la difesa porta sulla pulsione, che corrisponde meglio alla situazione di un soggetto che avrebbe raggiunto una struttura nevrotica stabile. L’attualizzazione della relazione d’oggetto masochista e persecutoria testimonia piuttosto lo scacco della rimozione, una immaturità dell’io e dei suoi meccanismi di difesa, il suo sadismo, proiettato, che fa ritorno attraverso la sua "sofferenza". Perché qui è questione di proiezione primitiva, che opera nel contesto di un meccanismo di identificazione proiettiva, esso stesso da situare nel quadro di sfaldamenti tra due serie di relazioni d’oggetto, le une idealizzanti ma deboli, le altre persecutorie, percepite inconsciamente come le più forti. Dal lato persecutorio, si ritrova così alle prese con una identificazione inconscia ad un oggetto sadico, potente e trionfante, sporco e cattivo, che si autorizza a prendere sessualmente in modo abusivo (parte istintiva sadica), ma dal quale si protegge, per la via inversa, quella della sofferenza passivamente subita, dell’uomo santo, figlio e paziente ideale, vittima abusata (parte masochista difensiva).
I suoi tentativi di regolare un edipo, che sono quasi completamente indeboliti, cedono il posto ad un funzionamento pregenitale primitivo. Questi conflitti rivelano anche a che punto è mantenuta la frontiera tra l’io ed il superio, porosa. Così il carattere personalizzato e concreto delle voci "stupide, dure e punitive" di Rose e di Lili, quelle anche delle donne che gli "chiedevano di uccidersi" per espiare il crimine del Politecnico, sono l’opera di un nocciolo primitivo di superio, per contrasto con un autentico superio nevrotico, più integrato ed astratto. Queste "voci" si confondono nella somma con un oggetto persecutorio appartenente ad una relazione d’oggetto costitutiva del suo io (stato-limite). Queste rappresentazioni sono adesso riproiettate su ogni oggetto esterno percepito come insensibile, freddo, ributtante: in questo momento Lili o Rose. Intanto, ed è quello che noi "auguriamo", si dice, che non incarni io stesso questo persecutore, inevitabilmente.
*
Identificazione del transfert
Così , alla seduta successiva, egli non è più depresso ma piuttosto molto in collera, senza esserne cosciente. Con una voce troppo dolce, che non riesce a nascondere la sua violenza a malapena contenuta, mi attacca, mi trova "duro" e rimette in causa la nostra "intesa iniziale". Mi vorrebbe disponibile 24 ore al giorno, senza restrizioni. Noi esploriamo queste proiezioni, cosa che lo induce, dapprima in modo allusivo, poi più direttamente sebbene in maniera seduttrice, quasi allegra, a "riconoscere" di avermi appena teso una trappola! Ossia quello di "recitare il personaggio del povero signor S. sofferente", quello che fa il numero della vittima sofferente, ma per spillare, strappare amore ed affetto incondizionati, che diventa un’arma…
Segue un periodo denso e confuso, dove si succedono e si attualizzano diverse "transazioni", vere recite durante le sedute, che danno forma ai fantasmi costituenti le sue relazioni d’oggetto primitive, cariche di pulsioni e di affetti intensi. Appaiono così in rapidi rovesciamenti, introiettate o proiettate su di me secondo i momenti, le sue identificazioni a dei personaggi caricaturali, talvolta potenti, sadici ed assassini, tal altra benevoli ma deboli e sofferenti.
Voglio ora presentare più in dettaglio una serie di qualche seduta per tentare di illustrare una parte dell’intensità, della confusione quasi caotica e dell’estrema violenza larvata dei fantasmi messi in scena durante quel periodo.
Il sogno del cinghiale impalato. Egli prova, come si dice una grande sofferenza, gli effetti di una intensa pressione che percepisce da parte mia per "fare meglio". Io mi sento particolarmente attento, prudente. Lui mi riporta questo sogno. Ha visto "la dolce" (che associa immediatamente a sua madre), che impala un cinghiale su un recinto, Lui stesso, il "piccolo S. di 5 anni", è in casa. Il padre sorride cercando nello stesso tempo di strangolare il bambino. Ma interviene "S adulto" che blocca il gesto del padre. Nelle sue associazioni mi vede tale questo padre sorridente ma dalle intenzioni assassine, che cerca di strozzarlo con degli attacchi senza termine. Poi considera che si tratta anche là di una manifestazione dei suoi propri attacchi, idealizzanti e violenti, proiettati su di me. In seguito la nozione di una dolcezza materna ed onnipotente, che impala il cinghiale sofferente, mi permette di proporgli che potrebbe anche essere che il suo sogno manifesti che il cinghiale che carica, ora impalato sul recinto, sia proprio io, o quello che lui ha desiderato di farmi, lui stesso identificato con la "madre dolce".
La seduta successiva mi indica che lui è in guerra contro questa interpretazione. Intellettualmente vuol ben accettare la sua profonda aggressività, ma protesta che niente di ciò è veramente conscio. Rovesciando completamente i ruoli, ironizza poi sulla "profondità" proprio della mia interpretazione, sottintendendo che egli spera ora di essere all’altezza dei miei attacchi "dolci e impossibili". Infine, in modo sottilmente seduttivo e sussurrante, quasi bruscamente, tenta improvvisamente di farmi capire quanto mi apprezzi, quanto io sono "buono per lui". Termina evocando l’angoscia che avrebbe se io lo deludessi. Ho appena il tempo di fargli notare il rovesciamento dei ruoli (il suo contrattacco di fronte alla mia interpretazione precedente vissuta come un attacco), seguito dal mutamento improvviso nel conflitto dinamico tra due unità di relazione d’oggetto: dall’attacco (pulsionale) alla seduzione sottomessa (difensiva).
Il sogno del rospo e della sanguisuga. Alla seduta successiva, riporta questo sogno: Io sono con Marlène ed i bambini, alla pesca. Ho un bastone. C’è dell’acqua, in un garage, che cola. Vedo un rospo, e davanti a lui, una sanguisuga. Ho paura. Penso dapprima che la sanguisuga sta per succhiare a morte il rospo. Ma non è così. In effetti è il rospo che vince e mangia la sanguisuga. Nelle sue associazione si chiede se non c’è una tale storia nei libri, o nelle favole per bambini. Io penso al "bastone", che ci ricondurrebbe al tempo in cui lui era con sua moglie ed i suoi bambini, quando la sua vita gli sembrava "normale", e mi dico che questo tentativo di sistemazione fallica ed edipica è fragile, e difensivo. Lui stesso considera che questo sogno rappresenta la sua immagine delle donne, sono delle sanguisughe che lo spossano e lo affaticano, che gli sottraggono senza tregua la sua energia. Così con Marlène, della quale lui scansava le richieste sessuali incessanti e restrittive al tempo stesso rifugiandosi nell’alcol ed nei bar, cercando di invertire i ruoli, lui stesso diventando una sorta di "sanguisuga ipnotizzante". Per esempio intercettando l’attenzione di una barista che gli raccontava i suoi problemi col suo "uomo", e che lui riusciva così inconsciamente a svuotare delle sue emozioni, per riempire il suo proprio vuoto, pur essendo "buono per lei". Come anche con Lili, della quale si riempiva sessualmente e della quale pensa ora che lei proprio non si svuota, cosa che era rassicurante…Poi in eco al sogno del cinghiale impalato le cui immagini si condensano ora con quelle del rospo e della sanguisuga, si chiede infine se non sia questione della stessa cosa qui, con me. Che dire? Particolarmente che lui incomincia a sospettare che l’immagine della sanguisuga vuota e vorace, sempre percepita (proiettata) presso gli altri, Marlène, senza dubbio sua madre anche, che fa ritorno incessante, è portatrice della sua voracità, del suo vuoto.
In altro modo, il suo ricorso sistematico a delle identificazioni proiettive, definite da questa combinazione al tempo stesso da una espulsione sistematica "su" gli altri del suo vuoto intollerabile (la sanguisuga violentemente avida) e da una identificazione a un personaggio pieno, forte e felice, senza desiderio e capace di essere "buono per gli altri" (il rospo), comincia a diventare assimilabile. Noi cominciamo così ad afferrare la portata di questa identificazione difensiva ad un oggetto benefico, quello che ha cercato di prendersi cura di me, attento per esempio alla minima manifestazione di vulnerabilità, al minimo segno di stanchezza, tutto come lui aveva aiutato lo psichiatra che me l’ha indirizzato. Così vi alloggia il suo altruismo, la sua capacità di affascinare e di sedurre l’altro, che diventa una sorta di vittima sbalordita e senza difesa, altrettante maniere d’incarnare lo stesso fantasma di una relazione d’oggetto arcaica, idealizzata, ma infiltrata dei suoi desideri sadico-orali primitivi. La pulsione si iscrive in una relazione d’oggetto di cui colora le rappresentazioni inconsce.
Si potrebbe tentare di ricostruire al sequenza delle identificazioni fin dall’inizio. Particolarmente della sua idealizzazione iniziale, pio della sua proiezione di un sé vuoto e disperato, mentre che lui stesso si identifica all’oggetto benevolo, all’ascolto, perfetto, il cui scacco inevitabile lo trascina a ridiventare sofferente, vuoto, in preda agli attacchi. Allora mi vorrebbe "perfettamente" disponibile 24 ore al giorno, niente di meno: l’oggetto ideale, inesauribile, sacro, ma sul quale egli deve esercitare un controllo assoluto, totale. Se io non mi conformo a questa attesa, allora gli viene rabbia, me è molto pericoloso, e la rabbia lo conduce a sfaldare, ed a rovesciare le immagini (ri-proiettando quello che era introiettato): egli trova allora tutta la violenza della relazione persecutoria, ridiventando disperato, suicida, angosciato e vittima del suo "persecutore interno".
Il lavoro di interpretazione di questo periodo ha spesso poggiato nel contro-transfert preconscio-conscio (riflessivo), su una esplorazione regressiva, preliminare all’elaborazione integrativa. Così nell’integrazione del transfert attualizzata dal sogno del cinghiale impalato la mia interpretazione del suo sadismo poggia su una identificazione, puntuale e reversibile, alla posizione "masochista" del cinghiale impalato…una identificazione complementare, secondo la terminologia proposta da Racker, che noi abbiamo ripreso altrove. In altri momenti mi sono trovato a cercare di difendermi dalla tentazione di operare un certo sadismo, attualizzato per esempio per mezzo di interpretazioni che sarebbero troppo rapide e troppo chiare, troppo crude, per infliggergli delle sofferenze, lui stesso trovandosi nella posizione masochista sottomessa ma sottilmente trionfante. Queste considerazioni beninteso non pregiudicano in nulla la natura del contro-transfert inconscio, il quale per definizione ci sfugge sempre in parte…Ad un momento noi assistiamo ad una certa avanzata, sul piano genetico, di questi stessi conflitti.
*
Secondo quadro: tentativo di interiorizzazione della funzione paterna
Una seduta accaduta parecchi mesi più tardi inizia con quello che lui chiama la sua nuova comprensione dei suoi rapporti con le donne. Riferisce quindi di aver "sottoposto", in occasione di un incontro di un "circolo di discussione", due dei suoi sogni che gli furono "interpretati". In primo luogo penso che qui cerchi di mettermi in rivalità con un altro, ed anche che egli mi presenti, in modo provocante ed aggressivo nello stesso tempo, i suoi segni affinché io li decodifichi, mentre lui si sottomette passivamente in apparenza. Io penso che lui mi offra il suo "circolo" (anale). Mi dico che cerca di riprodurre con me le stessa scena con suo cugino, ricreata anche con "l’altro analista": lui in posizione passivo-seduttrice, io in posizione di dominarlo con le mie interpretazioni. Sul piano pulsionale, progressione senza dubbio dall’oralità all’analità, ma in un contesto sadomasochista ancora assai primitivo. Tutto ciò nel senso pure di una messa alla prova delle mie capacità fallico-interpretative. Poiché è nello stesso tempo molto arrabbiato, ed anche di più in più innamorato di me: come un figlio di un padre alla fine portatore di forza, di chiarezza, di lucidità e di calore, permettendo almeno la speranza di una certa trasformazione delle sue relazioni duali. Esposti questi paralleli lui si trova nello stesso tempo in collera ed insospettito.
Alla seduta successiva, incomincia col dirmi che è partito "esasperato" in seguito all’ultimo incontro. Ha notato che si svalorizzava, poi si è reso conto di essere molto contrariato nei miei confronti. In somma, è un passo in avanti. Ma in cambiamento difensivo caratteristico, lui ridiviene, quasi senza transizione, una vittima e mi rimprovera di averlo sadicamente respinto dicendogli che quello che lui "offriva non era abbastanza buono (i suoi sogni, il cerchio di discussione, ed il suo inizio di comprensione dei suoi rapporti con le donne). Le sue associazioni lo portano poi verso il suo "potere di venditore" capace di pietrificare gli altri, che non è che una apparenza di non-potere che nasconde un fantasma di potere segreto e totale. In somma. Constata di aver tentato di rifarmi il colpo, che ciò non ha funzionato, ed ecco perché lui era molto contrariato, ma in fondo molto contento…Poiché quel potere lo porta alla sua rovina, dice. Evoca il sogno del rospo e della sanguisuga, prima di proporre una nuova versione dell’ultima seduta. Secondo lui adesso, fu devastato nel percepire che io non sembro addossarmi o convalidare quello che mi rivelava all’inizio della seduta dei suoi progressi recenti nei rapporti con le donne. Allora senza rendersene conto sul colpo, si è immediatamente incollerito, si è messo a fuggire mentalmente, non osando affrontarmi direttamente, cercando piuttosto come lo crede ora, a provocarmi col suo richiamo alle "buone interpretazioni" di un rivale.
E’ solo allora che diventa chiara la doppia posta che si era sviluppata durante quella seduta. La prima, conforme al contenuto manifesto della sua interpretazione, che è di aver preso il rischio di riconoscere apertamente la sua ostilità verso di me; la seconda, più inconscia, e legata alla situazione globale transfero-contro-transferenziale, dallo spazio terapeutico, che è di ripetere difensivamente difensivamente una nuova seduzione per mezzo della sua interpretazione emendata. In altre parole, di fronte all’intensificazione della sua angoscia, egli attualizza subitamente, con forza, con un capovolgimento regressivo e difensivo, il suo "lato femminile". Che l’induce a "sottomettermi", là ancora" qualche cosa, vale a dire le sua nuova versione dell’ultima seduta…Capovolgimento che costituisce il nuovo "punto di emergenza", secondo la nozione kleiniana, ripresa da Baranger, e che io tento di ricostruire per farglielo osservare retrospettivamente. In risposta, lui dapprima trova che la sua prima attitudine è analoga a quella di suo padre silenzioso, incapace, e tanto più in disparte quanto non fosse in collera. Poi pensa a sua madre per dire che lei "aveva delle interpretazioni fatte" e che lei "abbelliva ogni cosa". Poi infine per portarmi a capire, con parole velate, ma in modo seduttivo, mellifluo anche, che le sue ultime associazioni costituiscono infatti un attacco contro le interpretazioni "fatte e abbellenti" de…l’altro analista. Che si è lasciato sedurre pietosamente mentre io ho resistito, cosa che mi rende tanto più eccitante quanto degno di rispetto! Ripetizione al tempo stesso della relazione sadomasochista, della seduzione massiccia, istrionica, e tentativo di superamento "verso l’alto", verso un edipo, o una identificazione paterna, raddoppiata da una rivalità assunta, potrebbe vedere la luce.
*
Terzo quadro: la forza dei giganti in sé, compulsione di ripetizione e transfert
Quando Rose decide di mettere fine alla loro relazione, tutto confuso com’è per quello che lui stesso ha inconsciamente provocato in lei, lui si volta, apparentemente senza difficoltà, lo sfaldamento in funzione a pieno regime, verso Carole, una donna la cui professione concerne la salute. Al suo riguardo preciserà, questo è molto certamente nell’attrattiva che lei esercitava su di lui, che lei "vive un periodo difficile", e che lui potrà farla beneficiare di tutto il suo altruismo. E’ la felicità, dice lui. E poi, sessualmente, lei è attiva, cosa che lui apprezza, almeno a prima vista.
Ma queste "felicità" saranno di breve durata. Due settimane più tardi, di nuovo in crisi suicida, arriva completamente stravolto, e si chiede a cosa servano le medicine, la terapia. Ha fatto il seguente sogno: Degli extraterrestri, che hanno il potere di distruggere la terra, sono venuti, a squadroni ben inquadrati, con una consegna: non consumare più energia. Essi hanno l’aspetto comune, degli umani. Ce ne è qualcuno che gioca in una macchina a palle. Loro vogliono farla esplodere perché consuma energia. Io cerco di nascondermi, dietro un muro. Sta per esplodere. Le sue associazioni: ad una riunione degli AA, ha visto Rose, era penoso, angosciante. Lui le chiede qualche minuto, poi se ne va. Lui si sente nessuno, poi ritorna, la cosa va di male in peggio. Piange, non sa perché. Lui vorrebbe "chiudere i libri", vale a dire finirla.
Si tratta particolarmente nel suo sogno, ad un livello che mi è sembrato all’inizio abbastanza regredito ed inquietante, di energia che non bisogna più consumare (il sesso, il sangue, ecc.) e di personaggi all’apparenza umani, ma la cui potenza distruttiva è totale. Gli propongo di vedervi l’uscita della sua onnipotenza, i suoi attacchi contro ciò che consuma energia ci rinviano contemporaneamente a quello che lui ha percepito nelle donne, sua madre, Marlène, ecc. ed il suo desiderio completamente rinnegato di svuotare gli altri di tutta la loro energia. Continuando con lui, e come le sue associazioni sembrano indicarcelo, gli propongo che l’espressione di questi fantasmi terribili e terrificanti e seguita dallo scatenamento di un attacco interno, rivolto contro quello che in lui ne è portatore: la sua voracità emotiva. Aggiungo che noi potremmo vedervi più o meno l’equivalente (a causa della proiezione) degli attacchi di una madre onnipotente, rabbiosa, piena d’odio, che respinge, personificata da Rose, lui che si ritrova come il bambino avido d’amore, ma ferito, odiato, impotente e disperato. Infine, che questo processo interno, lui lo scatena quando è frustrato nel suo desiderio di essere totalmente amato e curato, completamente furioso allora di essere così mal curato dal terapeuta imperfetto che sono io.
Questa interpretazione è sembrata reggere, perché lui si sente in seguito meno spezzettato, più energico, sebbene ancora un po’ stanco. Alla seduta successiva, si spaventa della forza di quello che fu mobilitato nell’ultima volta. E’ sollevato per avere una certa presa sul suo processo interno di persecuzione, particolarmente la sua reazione autopunitiva di fronte ai suoi fantasmi onnipotenti. Arriva a circoscrivere che il bambino disperato, in lacrime, stravolto ed alterato, è anche colui che ha cercato di farmi esplodere. Si tratta dunque di un bambino arrabbiato. Parla infine del tempio sacro, dell’elevazione morale di questa madre dall’amore perfetto, ideale, inattaccabile, che nessuno può profanare impunemente. In somma, malgrado la fragilità apparente ed il carattere regredito dei fantasmi distruttori onnipotenti rappresentati dagli extraterrestri del suo sogno, la sua reazione indica che non si tratta di un processo psicotico, ma che il paziente evolve all’interno di una struttura stato-limite.
*
A proposito di due sedute mancate e de "l’incostanza affettiva"
Degli incontri organizzati nell’ambito del suo lavoro, previsti e già annunciati, gli fanno annullare le due sedute successive, pur lasciandomi intendere in una certa confusione che, una volta organizzati questi incontri , la sua presenza non era essenziale e che lui si sarebbe potuto presentare alle nostre sedute. All’indomani della seconda seduta mancata, il suo stato "richiede" una seduta "d’urgenza" (la terza e ultima in ventidue mesi di psicoterapia). Quello che lui chiama ora "il personaggio" è ancora depresso, suicida, molto angosciato: lui riconosce il bambino depresso ma in fondo piuttosto arrabbiato. Ha diminuito di metà, da qualche giorno, e "di nascosto", la sua medicina antidepressiva. Ma si comprende che lui ha anche agito sotto il colpo dei guadagni percepiti da un mese. Riesco ad interpretargli il suo nuovo sfaldamento, che è anche una doppia ambivalenza, questa volta tra due "curanti", la psichiatria "buona" che procura la cura, dalla quale vuole al tempo stesso separasi, e la terapia (il terapeuta) di cui lui deve diffidare (al quale ha dovuto "fare dei tranelli") ma della quale spera anche, pure se in questo momento ne dubita, che sarà abbastanza forte da permettergli di provare interiormente un benessere senza terapia, senza nuova persecuzione.
Tutto questo è compreso come una sorta di colpo che lui cerca di tirare contro la terapia, illustrante in questo un processo tipico dei soggetti che non hanno raggiunto una costanza affettiva dell’oggetto interno. In altre parole, si tratta di un attacco, motivato difensivamente, contro l’angoscia della perdita della sua relazione ad un oggetto percepito come insufficientemente buono, perché assente, concretamente indisponibile in ragione delle sedute mancate. Ciò nutre una viva inquietudine e conduce allo sfaldamento verso la relazione d’oggetto di persecuzione. Gli faccio notare poi che forse lui ha cercato di ristabilire la mia preoccupazione, a trasformarmi in una sorte di madre inquieta ed inefficace. Questo per dimostraci l’impotenza di questo modo di procedere psicoterapeutico senza una misura comune secondo il suo fantasma inconscio, con la "forza" al tempo stesso rassicurante e sottilmente malefica della terapia,(dipendere dalla terapia come variante del fantasma di una relazione di persecuzione). Simultaneamente, esaminiamo il modo col quale lui ha tentato di forzare l’ottenimento delle mie "buone cure", con la scappatoia della seduta supplementare dopo aver lui stesso annullato due sedute.
In apparenza lui è d’accordo con queste interpretazioni, ma poco dopo si chiede se non dovremmo sospendere la terapia per quattro mesi, dal momento che delle interruzioni sono comunque da prevedere, date le vacanze estive imminenti…Capisce poi che lui sta cercando così di abbandonarmi prima che non lo faccia io, ripetendo lo stesso scenario inconscio, un po’ come quel tipo degli AA che lui conosce e che si è recentemente rimesso a bere, mi dice.
Così, lo stesso scenario interno fondamentale, che coinvolgeva prima Marlène, poi Rose e Lili, concernente l’angoscia della perdita dell’oggetto (materno), la sistemazione di difese caratteristiche (sfaldamento, identificazione proiettiva, passaggio ai fatti) attorno alla relazione persecutoria e delle identificazioni inconsce che ne derivano, si riproduce ora nel transfert. Questa volta però è parzialmente modulato, piuttosto che solamente espulso, agito.
Non si può parlare tuttavia di vera nevrosi di transfert, né di ricostruzione completa dei suoi conflitti, nella misura in cui la relazione di transfert si definisce meglio qui come una serie di reazioni di transfert che operano in parte come difesa. Poiché non fu possibile stabilire col signor S., in modo stabile e profondo, un autentico periodo di regressione al mio servizio, durante il quale l’analista si sarebbe trovato come un oggetto interno, stanti confusi per un periodo il conflitto intrapsichico ed il conflitto di transfert.
Un anno più tardi, d’accordo col suo psichiatra consulente, lui non assume più terapie e non cerca più di mettere in atto delle crisi suicide come soluzione ai dei suoi conflitti. In compenso, Carole colla quale ha mantenuto un relazione fragile, conflittuale, senza impegno profondo ma con dei momenti di acquietamento, gli sembra talvolta insaziabile. In parallelo, nel transfert, lui si chiede a volte dove vada la terapia. Questo parallelo mi permette di riconoscervi con lui uno stesso processo di proiezione della sua voracità, della sua mancanza e delle sue esigenze, e che fa in modo che io ridivenga, e Carole con me, proprio come Marlène prima, tale ad una madre divoratrice: "voi ne volete ancora, voi siete insaziabile, ciò sarà senza fine."
Qualche mese più tardi, tiene a farmi sapere: "Vi voglio molto bene e dio non vorrei mai che voi pensiate che io rimetta in causa quello che avete fatto per me". Queste intenzioni furono contemporaneamente presi tali e quali ed abbastanza facilmente collegate ad una difesa contro gli affetti e le opinioni contrarie. Si trattò allora ancora della sua rabbia iniziale di fronte al "proibito" di telefonarmi tra le sedute. Ora lui ha capito: "Voi mi avevate preso per un approfittatore, ma io non ero in contatto con ciò, solo la mia sofferenza, ma è qualche cosa di congiunto da molto vicino, non è vero?". Si ricorda la sua frase d’inizio: "La psichiatria è stata buona per me". Oggi capisce che in effetti quello voleva significare l’inverso: che la psichiatria è stata presente, ma anche assente, fonte di frustrazione; tutto come ora la psicoterapia ( vale a dire che lui ha proiettato su di me). Inevitabilmente, dato che si parla di fantasmi di cui solo una parte è ora conscia.
*
A proposito dell’organizzazione limite
Si la nozione di organizzazione limite è ancora recente ed ancora controversa, le descrizioni cliniche di pazienti stato-limite ci sono note da molto di più tempo. Si notava la presenza di un pensiero magico, un’aggressività intensa, delle tendenze paranoidi, gravi modifiche dell’umore, così anche una tendenza sorprendente a percepire gli altri come se fossero completamente buoni, o allora completamente cattivi. La loro valutazione degli altri come di se stessi mancavano di realismo e di empatia. Alcuni presentavano dei processi di pensiero idiosincrasici, al punto che ci si è chiesti se questi pazienti, tra i più vulnerabili, non soffrissero di gravi carenze nella loro capacità di sostenere la prova della realtà. Ne testimonia per esempio, e tra altre nozioni che furono proposte, la nozione di "schizofrenia pseudo-nevrotica" che indica a che punto furono considerati come essendo fondamentalmente dei soggetti in istanza di psicosi, dei pre-psicotici senza psicosi accertata.
La psicopatologia dei pazienti stato-limite è sembrata resistere ai tentativi che sono stati fatti di comprenderne le origini ed il funzionamento a partire dalle nozioni freudiane di stadi di sviluppo e di organizzazione della libido, e di struttura tripartita dell’apparato psichico, le quali invece si accordano perfettamente con l’organizzazione nevrotica. Fino agli anni 60, molti clinici, particolarmente anglosassoni, ispirati dalla teoria freudiana classica e dalla psicologia dell’io, hanno cercato di rendere conto delle distorsioni nella struttura e nel funzionamento dell’io di questi pazienti. Ci si era accordati nel dire, ispirandosi alla teoria della pulsione, che essi si erano fissati a degli stadi di organizzazione pregenitale della libido, e che essi presentavano al tempo stesso una fortissima oralità, e di fatto delle tendenze aggressive non meno forti a tutti i livelli dello sviluppo psicosessuale, in seno pure ai loro desideri edipici (condensazione delle poste genitali e pregenitali). Le regressioni di transfert rapide, accompagnate da attività spesso autodistruttive riflettevano quello che si concepiva essere una debolezza della barriera di rimozione. In effetti questi pazienti provano subito coscientemente un materiale generato dagli strati profondi della loro psiche (processi primari), riflettente la presenza di conflitti primitivi che nei nevrotici sono di solito rimossi, ed ai quali non si accede che gradualmente. L’espressione instintiva, di pari con le carenze d’elaborazione mentale di certi affetti troppo intensi o delle esperienze intollerabili (la rabbia, il vuoto ecc.). la difficoltà conseguente a fare il lavoro del lutto, indicavano piuttosto una forma di espulsione della psiche attraverso il corpo o una messa in atto (spesso violenta, sessualità a rischio, agire suicida, ecc.). I loro transfert erano anche aggravati di narcisistico, nella misura in cui utilizzavano il loro terapeuta per gratificare i loro bisogni, mentre erano incapaci di costanza affettiva dell’oggetto. Ma i problemi del narcisismo, se sono conosciuti dopo Freud, solo recentemente sono stati formulati secondo un modello integrante nello stesso tempo questa struttura "narcisista" e le vicissitudini della relazione d’oggetto.
Le caratterstiche descrittive dei pazienti stato-limite rinviano tutte in effetti ad una struttura "narcisista", lacunaria o arcaica, né nevrotica né psicotica: a) una debole tolleranza all’angoscia con presenza di molteplici sintomi ed un richiamo corrispondente a delle "soluzioni" adiuvanti illusorie, se non francamente distruttive; b) mancanza di controllo pulsionale (impulsività); c) la relativa assenza di vie di sublimazione; d) delle reazioni di rabbia cronica o "esplosiva", o meglio delle distorsioni paranoidi gravi. Sul piano strutturale, Kernberg a proposto di distinguere l’organizzazione stato-limite dall’organizzazione nevrotica considerando almeno cinque delle seguenti sfaccettature interrelate. Sul piano pulsionale, si riconosce la predominanza di processi primari, conseguente ala presenza di punti di fissazione e di regressione alla sessualità pregenitale, in particolare l’oralità. Ma la spiegazione con il pulsionale non basta. Ciascuno può constatare che "l’analità" di un paziente ossessivo-nevrotico non si presenta nella medesima maniera di quella, per esempio, di un paziente stato-limite i cui passaggi all’atto masochista esigono una dominazione fisica, e con la quale essa non potrebbe essere confusa. A degli stadi variabili, l’organizzazione limite si caratterizza inoltre per un superio che non è integrato; i precursori sadici predominano, hanno la tendenza ad essere personalizzati, sfaldati e proiettati (Jacobson), per contrasto con il superio nevrotico integrato, il quale è di conseguenza più astratto e più simbolizzato o mentalizzato, ma troppo severo. L’organizzazione difensiva dell’io è formata presso lo stato-limite attorno alla dissociazione primitiva (sfaldamento) e degli altri meccanismi primitivi(diniego, onnipotenza, identificazione proiettiva, ecc.), contrariamente al livello più evoluto della nevrosi, organizzata da questo punto di vista dalla rimozione e dagli altri meccanismi collegati (intellettualizzazione, razionalizzazione, formazione reattiva, livelli più evoluti della proiezione, ecc.). Le relazioni d’oggetto interiorizzate hanno un carattere parziale e primitivo piuttosto che totale ed evoluto e la costanza affettiva dell’oggetto non è raggiunta, contrariamente alla situazione dell’organizzazione nevrotica, che implica che i concetti di sé e del mondo delle rappresentazioni interne degli oggetti siano stabili e ben differenziati. Infine i tratti del carattere sono infiltrati dalla pulsione (libidinale o aggressiva), la difesa e la pulsione sono a volte condensate, mentre che nel nevrotico, i tratti del carattere indicano la presenza di formazioni reazionali, delle inibizioni o delle fobie, o ancora della sublimazione.
Nel caso delle strutture nevrotiche, il sé infantile inconscio in seno all’io ha una identità integrata e stabile, legata ugualmente alle rappresentazioni integrate ma inconsce delle relazioni agli oggetti parentali. In altre parole, si nota la coesistenza di relazioni d'oggetto di livello superiore e la presenza di una struttura tripartita ben definita, ciò non impedisce di osservare a volte degli intensi conflitti risultanti dai movimenti di fissazione e di regressione classicamente descritti in termini pulsionali. Il transfert dei pazienti nevrotici ci rinvia precisamente a questi aspetti inconsci della relazione ai genitori del passato (triangolazione edipica, conflitti e soluzioni che ne derivano), ciò comprende le gli aspetti realistici e fantasmatici di questo relazioni e le difese in generale piuttosto evolute, dirette contro l’id. Quello che si elabora da un desiderio concreto riflettente un germoglio pulsionale diretto verso quegli oggetti parentali edipici come una paura fantasmatica concernente i pericoli collegati all’espressione di questo desiderio: fissazioni e regressioni di fronte ai conflitti organizzatori di queste poste edipiche, angoscia di castrazione, ecc.
Per contrasto, l’io patologico che funziona secondo una organizzazione stato-limite permette di osservare una disintegrazione difensiva del sé infantile inconscio, come conseguenza particolarmente dello sfaldamento. C’è integrazione patologica, nel seno dell’io e del superio, di relazioni d’oggetto che restano dissociate e dunque primitive. Esse non si trasformano in relazioni d’oggetto di livello superiore, come quello che si osserva nei nevrotici. Sono all’opera, come qui con il signor S., osservabili sotto una forma spesso eccessiva, caricaturale e deformata, in relazioni di transfert immediatamente intense, delle rappresentazioni di sé e dell’oggetto espresse in relazioni d’oggetto non più evolute ma primitive, parziali, investite in modo libidinale ("interamente buone", vale a dire idealizzate) o aggressive ("interamente cattive", vale a dire di persecuzione o di distruzione più o meno completa). Questa caratteristica dei conflitti primitivi si osserva frequentemente per la comparsa in successione , di stati dell’io contraddittori gli uni con gli altri, combinando particolarmente l’identificazione proiettiva con lo sfaldamento, come ho tentato di dimostrarlo qui. I tratti masochistici del signor S. sono evidenti e io credo che si sono potuti dimostrare ampiamente. I tratti istrionici sono da capire non nella maniera descrittiva come lo propone la classificazione americana dei diagnostici psichiatrici (dsm-iv), ma piuttosto nel contesto di una personalità primitiva istrionica, appartenente all’organizzazione stato-limite.