CAPITOLO 4 - COMMENTO E CONCLUSIONI

Quando si affrontano problematiche terapeutico-assistenziali per le quali la prospettiva di guarigione é lontana e faticosa, risulta quasi inopportuno pensare che le Istituzioni debbano intervenire con un generico sostegno offerto alle famiglie; occorre, invece, cercare di ampliare il contesto della valutazione di un sistema complesso di bisogni.

5- L'educazione cosa chiede alle istituzioni?

Affrontando i problemi della cronicità, si parla spesso di migliorare la qualità della vita, intesa come condizione di "benessere" dell'individuo e anche del suo contesto di appartenenza.

Nel caso dell'autismo, questa ricerca di benessere risulta poco incisiva e preferiamo parlare di qualità del vivere, che presuppone una maggiore apertura nell'ambito sociale.

Dobbiamo infatti considerare questo disturbo psico-mentale tanto grave (anche se non molto frequente) non solo come impatto sociale, ma come una evenienza frantumante che attende ancora risposte precise ed adeguate.

Le difficoltà per una diagnosi precoce, i dubbi sull'eziopatogenesi, l'insufficienza e l'inadeguatezza degli interventi curativi e riabilitativi, gli errori in un approccio complicato e le innumerevoli e mai sopite diatribe tra organicisti e psicologisti, non hanno certo aiutato a trovare soluzioni utili per gli autistici e, soprattutto, capaci di migliorare la loro esistenza.

La qualità del vivere presuppone:

Rispettando le convinzioni, sempre più condivise, che i bambini autistici abbiano e dimostrino capacità psico-mentali che possono essere attivate, che si possa fare riprendere quello sviluppo psico-mentale che "qualcosa" ha inceppato o alterato (nei primi momenti di vita), risulta pauperizzante fermarsi a considerare la qualità della vita come "situazione di benessere", poiché é insufficiente se vogliamo rispettare il diritto, che hanno anche questi disabili gravi, di contare su una riabilitazione, nel poter tornare ad essere o finalmente diventare "persone" a tutti gli effetti.

Questa lettura dell'autismo, si fondamenta sull'esperienza di tanti bambini che sono tornati a sorridere godendo della compagnia dei compagni e riprendendo una serena vita in famiglia; di tanti genitori che hanno ricominciato a credere e a far progetti, con uno sguardo più fiducioso per il futuro.

Se possiamo essere lieti dei buoni risultati, dobbiamo anche essere coscienti che il cammino per affrontare compiutamente l'autismo é ancora molto lungo e, soprattutto, deve assolutamente contare su una integrazione multidisciplinare ed un vero supporto di rete.

Le ultime esperienze stanno dimostrando che l'obiettivo deve essere quello di integrare:

Tali esperienze devono diventare una prassi se si vuole cominciare a parlare di prevenzione, oltre che di cura, di riabilitazione e di reinserimento.

La prevenzione deve essere intesa come:

Le Istituzioni possono fare ancora di più, impegnandosi nella formazione di:

Formazione e coinvolgimento devono essere le bandiere di una specializzazione che ha coinvolto anche le scienze umane (psicologia, psicoanalisi, psicodinamica) imponendo nuovi criteri, nuove basi teoriche basate sull'esperienza, nuove prospettive e impianti operativi.

Siamo partiti considerando gli obiettivi dell'intervento istituzionale, ne abbiamo analizzato le modalità operative, abbiamo tracciato alcune linee guida per la valutazione della qualità degli interventi da avvicinare alla qualità della vita e alla qualità del vivere.

Arriviamo ora a tracciare un modello di rete che schematicamente, ma con chiarezza deve mettere al centro la persona e coinvolgere:

Questo approccio all'autismo, supportato dalle Istituzioni, integrativo e globalizzante della persona, porta a tracciare un modello socio-culturale basato sulla relazione che, partendo dalla considerazione della specificità del soggetto, é capace di dargli quello spazio dove poter ri-trovarsi, valorizzarsi, accrescere le sue capacità affettive, articolare vissuti atti ad indurre lo sviluppo della coscienza, dell'identità, della caratterizzazione.

Solidarietà, capacità di ascolto, aiuto concreto per bisogni concreti e specifici, integrazione, apertura mentale, comunità di intenti, rispetto degli altri, informazione, formazione, sensibilizzazione, sono i valori che l'educazione chiede alle Istituzioni per affrontare l'autismo, ma anche le richieste e gli imputs che le Istituzioni lanciano alla società perché diventi accogliente, condivisibile, solidale e rispettosa di tutti gli individui.

 

CONCLUSIONI

L'approccio dei soggetti autistici alla scuola dell'obbligo si presenta ancora con i caratteri di un paradigma dello sviluppo psico-mentale, anche se dovrebbe occuparsi prevalentemente di educazione e di formazione dei suoi allievi.

L'importanza e la validità della legge 517/77 sono fuori discussione, ma per provvedere ad ottenere i risultati migliori e veramente utili per raggiungere la riabilitazione e l'integrazione di questi soggetti (handicappati gravi) nella società, oltre che nell'ambito familiare e relazionale, si richiede uno sforzo multidisciplinare perfettamente coordinato e mirato.

Va creato uno scenario di dibattito su un progetto di inserimento nella scuola che risulti però anche integrazione globale poiché anche l'autistico ha il diritto di sfruttare tutte le sue potenzialità tenendo conto che i ritardi possono risultare decisamente negativi e condurre a perdite irreparabili.

Proprio per questo vengono presentati i termini di una stretta integrazione tra terapia, assistenza, educazione e perfezionamento, in grado di strutturare una educazione integrale di qualità, che significa, in definitiva, recupero, riabilitazione, ristrutturazione delle possibilità psico-mentali e reinserimento nelle dinamiche culturali e sociali.

La multidisciplinarietà deve portare il processo educativo ad esercitare una proposta anticipatrice per lo sviluppo psico-mentale; l'integrazione tra terapia, interventi riabilitativi e le funzioni educativo-formative devono veramente essere in grado non solo di provvedere, ma anche di creare il futuro.

Bisogna comprendere il fenomeno dell'autismo come categoria teorica ed addentrarsi così nella complessità della realtà umana, nelle sue dimensioni emotive, affettive, cognitive e sociali, in modo da attivare potenzialità e possibilità finalizzate al recupero globale e olistico di questi piccoli "cittadini".

Nella nostra ricerca, il tema dell'inserimento degli autistici nella scuola dell'obbligo si é dimostrata una metafora dell'integrazione poiché per poter risolvere il "quesito scuola" e trovare il modo che questa adempia al mandato di essere maestra di vita e, soprattutto, di non discriminare nessuno per le potenzialità e le attitudini, dobbiamo inserirla in un panorama più ampio che ingloba tutte le forze e le strutture della società.

In questo sistema di rete diventa però decisivo capire esattamente il significato della parola integrazione.

La definizione per noi più esatta si riferisce alla possibilità che il soggetto possa trovare, in un determinato ambito, un suo posto ed un suo ruolo.

Abbiamo evidenziato (Lucioni et Al.: "Autismo e terapia") come l'autistico, considerato per se stesso, struttura un suo luogo ed una sua funzione ponendosi fuori dalla legge, imponendo, cioé, il suo isolamento, il suo sguardo indagatore ed interrogante, i suoi comportamenti problema.

In realtà, quando visitiamo gli autistici nelle scuole, troviamo situazioni anche paradossali e vediamo che c'é l'alunno che:

Potremmo continuare all'infinito dimostrando come, in questi casi, la scuola si sia adeguata all'autismo e, si può dire, gli ha dato un posto ed anche un ruolo (non certo positivo).

In queste condizioni il lavoro delle insegnanti di sostegno deve riproporre il senso dell'integrazione: anche l'autistico deve rispettare il luogo-scuola ed il ruolo-docente.

Integrazione diventa così, prima di ogni altra cosa, ristabilire i termini di una legge nella quale tutti devono riconoscersi; infatti non ci può essere integrazione se non entro determinati e precisi limiti, all'interno di un funzionamento sociale, vivendo la scuola come "società".

Rispettando questi parametri, diventa assiomatico che "... prima di inserire un bambino affetto da autismo in un'aula di educazione regolare e normale, deve essere in qualche modo preparato dalla famiglia, dagli educatori e dalla terapia.

Per questo il suo inserimento nella scuola dell'obbligo é sempre una sfida per lo scolaro, ma anche per la famiglia, per i docenti, per gli educatori e per chi deve proporre e produrre un processo terapeutico.

L'integrazione si presenta quindi come il frutto di un vero lavoro di rete nel quale si possono cercare diverse opzioni, possibilità, adeguamenti e cambiamenti che non portino la scuola ad essere succube o istitutrice, ma facilitatrice e propositiva nella programmazione di progetti flessibili, ma sempre rispettando quel principio fondante che prende valore nelle parole di Giorgio Agamben: "Non esiste nessuna norma che sia applicabile al caos." o "Non é l'eccezione che si sottrae alla regola, ma la regola che, sospendendosi, dà luogo all'eccezione."

Un principio fondamentale nel lavoro di assistenza e cura, ma anche in ogni ambito dell'educazione-formazione, é quello del rispetto delle regole non perché queste debbano essere spauracchio e/o aggressione, ma proprio perché significano amore.

Il mondo degli affetti (fondato sui valori) é regolato dal feedback e, soprattutto, dal riconoscimento del valore dell'altro che ci specchia; solo in questo modo é possibile trovare il vero significato dell'essere se stessi.

Assumono così un valore particolare le parole di Elisabetta I (la futura regina d'Inghilterra) create da C. Erickson:

Think's thou, Kate, to put me down

With a "No" or with a frown?

Sice Love holds my heart in bands

I must do as Love commands.

Pensi tu, Kate, di tenermi in briglia / con un "no" o un aggrottar di ciglia? /

Poiché Amore serra il mio cuore in banda / io devo fare come amor comanda.

La parola amore, tanto semplice quanto profondamente emblematica, é la chiave di volta dell'integrazione perché:

L'integrazione, nella logica della timologia, si sviluppa in un ambito globale, in una dimensione di crescita e di sviluppo, nelle dinamiche della socializzazione che é condivisione, partecipazione e reciprocità.

Proprio tenendo conto di questi parametri nella loro globalità per favorire i bambini autistici, la progettualità di rete assume una garanzia di rilevanza morale. Attraverso la terapia e tutti gli altri interventi rieducativi e riabilitativi, questi soggetti sembrano tornare ad essere proprietari di una mente e, come tali, recuperano inter-essi attraverso i quali gli "altri" ritrovano un concetto fondamentale: anche per gli autistici, le esperienze, le sofferenze, le gioie, le ambizioni, le frustrazioni e i desideri vanno valorizzati.

Proprio nella presa di coscienza che anche questi bambini, che non parlano, che sono isolati e che presentano comportamenti bizzarri, fanno parte di quella classe privilegiata di creature che sono dotate di una mente e di una intelligenza.

In questo si perfeziona la metafora dell'integrazione, che é, dunque, metafora della mente che ci unisce, ci da valore, ci propetta una precisa ed umana autocoscienza.

Le necessità educative speciali devono essere attuate su piattaforme psicomentali sufficientemente adattate e preparate attraverso interventi terapeutici e riabilitativi che permettano il recupero funzionale e l’acquisizione di pre-requisiti indispensabili.

Oggi possiamo vedere gli alunni autistici che entrano nella scuola dell’obbligo come una sfida che l’handicap lancia contro la società intera, contro lo spettro della solitudine, dell’isolamento, dell’abbandono e del troppo facile atteggiamento di rimozione quale fragile attenuante perché "…tanto non c’è nulla da fare".

I bambini che vediamo recuperati o decisamente migliorati nelle relazioni sociali, che sorridono ai loro terapeuti o ai loro insegnanti, impegnandosi in attività che solo pochi mesi prima erano impensabili o improbabili, sono il risultato, non di miracoli, ma del lavoro di equipe di terapeuti, insegnanti, educatori e, naturalmente, dei famigliari e delle istituzioni, che può ridare fiducia, autonomia ed autosoddisfazione a loro ed ai loro genitori.

Tutto ciò rappresenta la rivincita dell’impegno sulla rinuncia ad affrontare e risolvere importanti sfide educative; è la rivincità della qualità dell’attenzione, in tutte le sue sfumature, sull’insipienza di chi affronta con superficialità l’importante ruolo di educatore; soprattutto è la presa in carico da parte della comunità civile di un problema che riguarda la sua stessa sussistenza etica: non il rigetto dei più deboli, ma il loro recupero, non l’omologazione standardizzata dei comportamenti, ma l’integrazione della differenza come arricchimento sociale, culturale, pedagogico.

Questo è il valore di fondo che deve accompagnare le nuove e tipiche sfide di una società efficientista soprattutto quando tenta di eliminare il problema emarginandolo, rimuovendolo, peggio ancora escludendolo.

In questo modo non si semplificano, ma si complicano i rapporti tra gli individui, così come tra i popoli, perchè si diseduca ad allargare l’orizzonte della loro conoscenza e soprattutto si mette in discussione il soggetto come tale, come unico e particolare.

Dunque, una Scuola così come una società, è libera ed efficiente, è veramente educativa, quando accetta la differenza come ricchezza e la utilizza come valore per formare i nostri bambini o i cittadini in genere, quelli fortunati ed i meno fortunati, soprattutto rassicurandoli sul fatto di appartenere tutti al medesimo livello di partecipazione civile e sociale, nella convinzione che possono arricchire e migliorare la loro personalità ed originalità attraverso il contatto e la relazione con la personalità e l’originalità dell’altro.



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