TERAPIA DELL'AUTISMO: RELAZIONE, COMUNICAZIONE, CORPO, SVILUPPO DEL SENSO DI SÉ E DELL'AUTOCOSCIENZA

ROMEO LUCIONI

 

"… hay movimientos que encierran

delicadas cuestiones,

encuentros que seguramente decidiò

para la propia vida el destino."

(Alicia Merayo)

 

L'autismo, chiamato anche "disturbo pervasivo dello sviluppo psico-mentale", può essere considerato fondamentalmente un problema psichico poiché caratterizzato da perdita del contatto con la realtà e con il mondo esterno che porta alla configurazione di una "soffocante chiusura su se stessi".

Non si può affermare che l'autismo sia guaribile nella totalità dei casi, tuttavia si possono ottenere dei risultati veramente ottimi attraverso i cosiddetti "interventi relazionali", nei quali il paziente partecipa come "persona" e non come portatore di malattia e/o di determinati sintomi.

Nella sua specificità, l'autismo è stato considerato e affrontato non come "dramma vitale" centrato sui conflitti (conflittualità edipica), ma come risultato di vicissitudini legate allo sviluppo psico-mentale e dell'identità.

Nello sviluppo psichico di un bambino evidenziamo il desiderio di trovare una propria identità fondata su egocentrismo, onnipotenza, immortalità ed autosufficienza, ma nell'autistico riconosciamo un grave esaurimento delle risorse narcisistiche. In altre parole, ci troviamo di fronte ad una problematica che investe lo sviluppo psico-mentale, piuttosto che a situazioni di conflitto edipico e/o pre-edipico.

Sottolineiamo come nell'autismo si possa osservare una mancata strutturazione dell'IO, principalmente nelle sue funzioni primarie: l'attenzione, la memoria e la coscienza.

Le ansie e le angosce, tanto caratteristiche dei quadri autistici, derivano proprio da devastanti vissuti di annichilimento e di inconsistenza (vuoto esistenziale) che sono conseguenza di una mancanza di autocoscienza intesa come:

Sotto un altro profilo, nell'autismo osserviamo la non strutturazione degli oggetti interni (ed anche degli oggetti della realtà) che sono sostituiti da oggetti parziali che vagano nell'inconscio, generando, appunto, ansie ed angosce.

L' E.I.T. - terapia di integrazione emotivo-affettiva - si impone come modello psicoterapeutico a fondamento psicodinamico nel quale l'approccio psicoanalitico-sperimentale non è finalizzato al conseguimento di una diagnosi, ma mira a comprendere l'autistico nella sua complessità, totalità ed unicità, tenendo conto del momento "storico" in cui si trova nel suo percorso di sviluppo psico-mentale.

Tutto questo presuppone che il terapeuta sia sensibile, empatico, partecipativo e comprensivo, per ottenere non un giudizio sulla qualità psicomentale del soggetto, ma per raggiungere quella "simpatia" capace di strutturare una vera, dinamica e positiva "relazione interpersonale".

Non potendo utilizzare il linguaggio che, in questi disturbi manca quasi completamente o è ridotto a poche parole incomprensibili o a semplici suoni, la terapia si è strutturata sull'uso del corpo che permette al piccolo di uscire dal suo ruolo di oggetto passivo e di porsi, al contrario, come soggetto, cioè come persona "viva e attiva" in una comunicazione interpersonale: in una relazione.

In questa, il corpo dell'autistico diventa "partner" di quello del terapeuta, strutturando una intensa, valida e comune azione terapeutica che permette di aggirare i sintomi e di accedere alle costrizioni inconsce che risultano alla base del quadro psicopatologico.

Nella relazione corporale si organizza così quel "vuoto di sapere" tante volte sottolineato e indicato come possibilità di "organizzare un luogo nel quale l'autistico possa trovarsi e riconoscersi come soggetto e come persona".

Formalizzato in questo modo, il corpo si presenta come modello di scrittura, decifrabile e leggibile in un "discorso analitico", si produce e si dà a leggere, cioè, nello stesso atto e nello stesso momento, da un "analista-lettore".

Da qui che l'esperienza della scrittura-corpo viene legata al lettore: si scrive strutturando un ritmo, un modo di usare la punteggiatura, per enfasi o sottoscritture, per ripetizioni, pause o interruzioni, per flessioni.

In questo modo, la lettura assume un certo "rilievo" determinato da un "libro che ci guarda" e che percepisce i movimenti degli occhi e del corpo del lettore, le sue inflessioni e le sue particolari punteggiature.

In questo il terapeuta sa di "essere stato letto" e di aver quindi lasciato un'impronta, di essersi posto come schermo su cui leggere desideri, fiducia, speranze, sicurezze, ecc..

La lettura quindi si arricchisce non solo di quello che è realmente scritto, creand, quindi, un "nuovo libro" che, come "nuovo corpo", diventa l'ambito di lettura della piscoanalisi ed il "campo" nel quale si struttura la relazione.

È proprio in questo amito accettato, voluto ed usatoche il piccolo autista esce dal suo "silenzio", trova le sue parole, le sue associazioni libere, il suo transfert e il suo modello nuovo che è "non evitare, non chiudersi, non isolarsi".

Come dice Jose l.Juresa (lettura alla presentazione del libro "El leer en el habla", Libreria Hernandez, Buenos Aires) "la invitaciòn de la regla de asociaciòn libre, no es el autor, sino el desaprorpiamiento. Que surge de allì? Una escritura, vinculada a las cosas que ese señor dice y a la causa misma de lo que diga.".

È importante sottolineare come questa lettura può essere fatta solo se l'analista-lettore si libera del proprio piacere (che riguarda la propria iniziativa, il proprio programmare, il proprio … corpo) presentandosi come un "foglio bianco", vuoto di sapere, in una relazione biunivoca.

Ancora J.L.Juresa, "… l'analista non è una spia, una specie di instigatore di cose occulte, di fronte al quale ... l'altro... resiste sino a che non trova un'altra alternativa a quella di confessare ciò oer cui sospetta di essere indagato."; al contrario, "… la posizione dell'analista-lettore è quella di favorire l'apparizione di un testo, dal quale non deve trarre piacere; … la lettura stessa, unita allo scritto che la propizia, è l'indicatore che indica la mancanza di piacere".

In altre parole, la presenza di questo "corpo-psicoanalitico" è il fondamento di quella relazione che cerchiamo e che favoriamo proprio perché espressione del desiderio dell'altro, del soggetto, del piccolo autistico che trova così il suo modo di comunicare, ma anche di leggere, di capire, di seguire con gli occhi secondo quel modello di "struttura della mente" che la clinica, racchiusa nelle proprie imposssibilità, ha potuto negare.

Quando il bambino abbandona momentaneamente un abbraccio o un "rotolamento" per tornarvici spontaneamente dopo aver scaricate le proprie ansie con una sequenza motoria ripetitiva, non solo "scrive" o "parla" dei suoi comportamenti (suppostamente patologici), ma sottolinea il desiderio di modificare coscientemente un fare che ormai considera qualcosa di spurio.

La terapia, nella relazione, diventa un confrontarsi con la vita interiore che presuppone una presa di coscienza dei conflitti e delle coercizioni profonde responsabili dei "comportamenti problema" e non una escissione dei sintomi come sarebbe nel caso di una specie di operazione chirurgica imposta e subita.

Nell'uso del linguaggio corporale, nel "creare un luogo privo di sapere", nel liberare l'iniziativa e la volontà del soggetto, nel riconoscere una equidistanza, il terapeuta organizza, dentro la relazione, la possibilità di usare un linguaggio e quindi di creare un inconscio che permette l'elaborazione di un transfert e di resistenze a cui si aggiungono elementi regressivi ed un controtransfert come ulteriori aspetti interpersonali della situazione terapeutica che mira non al trattamento di una malattia, ma alla "cura di una persona" la cui "vita interiore" e, di conseguenza, il suo comportamento, hanno seguito dinamiche inconsce.

Nell'ambito di questo processo terapeutico lo psicoanalista si configura come "ombra" o come "doppio", immagine strutturante proiettata e rincontrata nell'altro in un processo di identificazione e riconosciuta come Io ideale che contiene tutte le perfezioni possibili, oltre che coerenza, sicurezza e fiducia.

Questo percorso che sottolinea il passaggio della libido dal soggetto verso l'Altro è il fondamento della creazione di oggetti stabili, validi ed amati.

Al contrario, quando, come succede nell'autismo, il soggetto si pone come ombra dell'altro che può sparire o essere buttato via perché non investito di libido, la posizione del soggetto sarà quella di ombra di un oggetto assente che genere insicurezze ed angosce.

Nell' E.I.T. il piccolo autistico trova il proprio doppio nell'incontro con il terapeuta sotto un grande telone simbolico e, quando ne esce, si mostra nella sua soggettività ritrovata, assumendo ruoli, generando azioni e gesti, ponendosi liberamente all'osservazione e guardandosi nello specchio.

Sottolineiamo ancora come la terapia porti alla diminuzione delle angosce ed alla strutturazione degli oggetti, permettendo quindi il superamento dei conflitti profondi ed il ripristino del cammino che significa ripresa dello sviluppo psico-mentale.

 



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