E. I. T.
(terapia di integrazione emotivo-affettiva)
CURARE L’AUTISMO E LE SINDROMI REGRESSIVE
Dott. Romeo Lucioni
L’autismo è, senza dubbio, la forma morbosa dell’infanzia più difficile da affrontare, più lacerante da sopportare e più distruttiva per le famiglie che la devono subire.
Questa malattia di per sé poco frequente, stimola la fantasia e l’impegno dei caregivers che hanno sempre l’impressione di avere a che fare con bambini o ragazzi che stringono il cuore per le loro "sofferenze" immaginate più che raccontate e per le difficoltà di comunicazione che fanno sentire impotenti, incapaci, disorientati e frustrati.
Il bambino autistico con il suo isolamento e le sue modalità strereotipe di comportamento, con quello sguardo apparentemente perduto nel vuoto, ma che funzione da "scanner" infallibile nel controllo del mondo circostante, con le crisi violente di angoscia e di terrore, con gli urli ed anche le aggressioni che mostra quando la tensione profonda ed incomprensibile risulta insopportabile, è un mondo da scoprire, una fortezza da conquistare, una barriera da superare.
Le caratteristiche dell’autismo si riferiscono ad una grave destrutturazione dei meccanismi psichici che strutturano l’ Io e, proprio per l’età dei pazienti, si può definire come disarticolazione delle strutture neuro-psicologiche deputate alla formazione primordiale della personalità.
La giovane età fa pensare ad una alterazione delle "vie neurobiologiche" deputate alla strutturazione del controllo e della organizzazione dell’imput sensoriale, che poi si traduce in deformazione delle capacità di elaborare un efficace ordinamento delle relazioni interpersonali primitive (per es. con la madre).
Freud utilizzò il termine di regressione per indicare la risposta particolare ad una intensa frustrazione ed al conflitto con altre persone; tale involuzione assume quindi l’aspetto di ritiro dalle relazioni oggettuali verso uno stadio evolutivo autoerotico che assume il significato di "ritiro autistico".
L’isolamento e la regressione non sono però un semplice meccanismo di difesa (anche se questo è importante), ma rappresentano il risultato di un complesso adattamento all’organizzazione della personalità e del comportamento ed equivale alla fissazione o al ritorno ad un funzionamento psichico più primitivo e meno minaccioso.
Aspetti pulsionali (libidico-istintivi), difensivi (operazioni che inibiscono le scariche angosciose), ed adattivi (che controllano e ritardano le scariche emotive), seppur ben studiati teoricamente, risultano, nella realtà, solo un problema insolubile per i genitori, i maestri ed i terapeuti.
Ciò che colpisce dell’autismo sono le violente crisi di angoscia, le modalità autolesive del comportamento, la violenza incontenibile delle risposte e, per contro, l’assenteismo, l’isolamento, la passività di questi bambini quando raggiungono la loro stuoia o il loro "angolo di salvezza".
A volte, la tranquillità viene sostituita da un’ipercinesia irrefrenabile, ma sempre domina quello sguardo assente, quello sfuggire i "tuoi occhi" e non poterti guardare in faccia, quel rifiuto, che sembra ostinato, a non voler apprendere neppure le cose più semplici.
Seppure si riconoscano diversi livelli di gravità, l’autismo è sempre un grandissimo problema e forse il livello della compromissione del linguaggio può essere preso come un segno prognostico dei più chiari.
Un tema anche importante è il grado con cui questa malattia si trasformi in malattia sociale, non solo perché incombe su tutta la famiglia del paziente (e per lunghissimi anni), ma anche perché investe i rapporti tra il bambino e la scuola, la società ed i coetanei.
L’autismo va considerato un handicap dei più gravi e dei più impegnativi poiché questi disabili necessitano di assistenza continua, a volte non priva di rischio.
Con queste premesse é d’obbligo la domanda: che fare?
Sono state tentate molte terapie, anche stravaganti (vedi la proposta di utilizzare dei delfini), ma da pochi anni si sta strutturando un vero approccio terapeutico, forse proprio a partire dalle osservazioni più illuminate e dalle premesse teoriche sui meccanismi psichici che sottendono la malattia.
Il tema terapeutico riguarda indubbiamente la strutturazione o la ristrutturazione dell’organizzazione profonda dell’ Io: siccome riguarda la debolezza dell’ Io e la frantumazione della personalità che forse non ha superato mai il livello di una "proto-funzione psichica), la malattia impone un intervento altamente strutturato, capace di riprendere e controllare lo sviluppo psichico a partire dalle prime fasi evolutive.
Un lungo lavoro indirizzato alla formazione di disabili psichici, down, X-fragili ed insufficienti mentali ci ha progressivamente condotti a strutturare interventi come:
basate su esperienze di psicodramma, psicodramma sociale, psicodanza, Biodanza, musicoterapia, Tai-Chi-Chuan, eutonia e bioenergetica.
La pratica ci ha portato ad organizzare un intervento terapeutico che abbiamo chiamato E.I.T. (terapia di integrazione emotivo-affettiva) che possiamo definire come "cultura terapeutica", poiché sottende una importante analisi teorica fondata sui principi della psicologia dell’ Io e del funzionamento psichico in ralazione allo sviluppo dell’affettività e delle capacità cognitivo-intellettive ed una prassi codificata ed attenta alla valutazione dei risultati.
Per altro lato, la "nostra cultura terapeutica" dà una totale preminenza ad una concezione univoca e globale dell’uomo per la quale ci poniamo di fronte ad un individuo che soffre e che ha dei problemi. In questo modo il nostro intervento risponde ai parametri di una "scienza antropologica" che, al di là dei dettami clinici, propone un "incontro interpersonale", capace di cogliere le modulazioni esistenziali, le contrapposizioni, gli smacchi ed i successi.
L’ E.I.T. per l’autismo si svolge sulla base di incontri (settimanali o bisettimanali) tra uno o al massimo due pazienti con due o più terapeuti ed anche con il coinvolgimento dei genitori, dei maestri e dei caregivers.
Per questo lavoro si utilizza la musica che viene scelta a seconda delle necessità, delle stato dei pazienti e delle reazioni degli stessi; si utilizza il movimento e la danza; si impiegano oggetti simbolici e/o transizionali; si ricostruiscono situazioni relazionali simboliche.
Nell’ E.I.T. è fondamentale un continuo controllo dei risultati (le sedute sono riprese con una telecamere che, a volte, proietta le immagini anche su uno schermo collocato nella palestra e quindi controllabile dai pazienti e dagli operatori) ed una attenta interpretazione dei vissuti, letti come espressioni dei processi psicodinamici espliciti e/o impliciti, palesi e/o profondi.
Questo approccio globale si trasforma in un "processo terapeutico" che tiene conto di processi neurobiologici, psicodinamici, cognitivi, sociali e culturali, ma che soprattutto rispetta la singolarità del paziente, il rispetto del suo Sé e del valore dell’incontro che è sempre un "entre-deux" con il terapeuta.
Le "sedute" si trasformano così in "esperienze condivise" ed è proprio questo aspetto che dà significato terapeutico al lavoro finalizzato all’integrazione della personalità, attraverso una "potenza esistenziale delle nostre intuizioni di similarità" (come dicono A. Ballerini e B. Callieri) ed una pregnante ed antropologicamente valida "condivisione". Tale concezione della "funzione terapeutica" si concretizza nel bisogno di empatia, in un atteggiamento di tolleranza e di accettazione, in rassicurazioni oblative e supportive, in contenimento con finalità di incitamento e, soprattutto, in impegno e "presenza" che strutturano un modello ed un "oggetto desiderabile".
Fondamenti teorici
si collegano alla ricomposizione armonica delle funzioni dell’ Io, cercando di raggiungere un equilibrio tra elementi istintivi (Ideale dell’ Io) e cognitivo-relazionali (Super Io). Questa omeostasi psichica si raggiunge attraverso continue modulazioni sostenute dalle dinamiche affettive fondate sui "valori" e sul feedback.
Obiettivi
trattandosi di promuovere lo svipuppo di un Io integrato, si evidenziano gli obiettivi che consistono nel controllo di quelle parti deficitarie che caratterizzano la "debolezza dell’ Io". Si tratta di :
- contenere l’invasività delle reazioni emotive (ansia, angoscia);
- sviluppare la motricità complessa e la coordinazione;
- stimolare la partecipazione sociale ed un buon livello affettivo;
- raggiungere una buona tenuta oltre che una efficace attenzione;
- potenziare il senso di valore nella partecipazione;
- dilatare lo stato di coscienza sviluppando le percezioni;
- sviluppare un valido senso di Sé e di autovalorazione;
- sublimare i sensi di impotenza e di incapacità;
- svuotare l’inibizione legata ad autoaccuse e a sensi di pandistruttività;
- esorcizzare il terrore che accompagna ogni cambiamento;
- dare senso e significato all’incontro ed alla vicinanza come mezzi per crescere
e per potersi accettare senza paure e sgomenti;
- creare i presupposti per rompere l’isolamento e sviluppare motivazioni alle
relazioni interpersonali;
- togliere dalla confusione riproponendo i vissuti del qui e ora;
- valorizzare l’empatia come via di incontro e arricchimento personale;
- ricomporre la dimensione della propria "pelle psichica" per meglio organizzare i
rapporti tra interno ed esterno.
In questi termini l’ E.I.T. riassume il suo aspetto di intervento globale sulla persona, mettendo l’accento sulle tematiche del recupero e della riabilitazione funzionale che interessa la motricità, l’emotività, l’affettività e la funzione cognitiva. Prima di tutto il recupero senso-motorio risulta fondamentale proprio perché funge da timone o guida per tutto il sistema. Lavorando con questi bambini si evidenzia sempre un deficit della coordinazione motoria che si può definire secondario; non ci sono carenze strutturali, ma le disarmonie vengono dal non uso, dalle limitazioni indotte dall’atteggiamento psichico.
Il recupero motorio induce, secondariamente, un aumento dell’autostima, del credere in se stessi e nelle proprie possibilità oltre che stimolare un senso di adeguamento ai desideri "affettuosi" del terapeuta che si prodiga nell’accompagnare, più che nell’imporre. Le conquiste senso-motorie e della coordinazione dei movimenti (sempre è una grande "conquista" riuscire a fare saltare questi ragazzi) trascinano i successi nell’ambito emotivo e in quello affettivo; così si comincia a strutturare l’intero programma che può essere riassunto come segue:
E.I.T. ed INTEGRAZIONE OPERATIVA
AREE DI APPLICAZIONE
A = potenzialità coordinazione
percettivo-motoria agilità
flessibilità
reciprocità avanti indietro; dx. - sin;
B = modulazione emotiva senso di piacere
controllo delle ansie
dilatazione della coscienza
C = sviluppo affettivo scoperta dell’altro
capacità di adattamento
disponibilità a concederci
obbedienza ed emulazione
attitudine a chiedere, agire, proporre
D = incremento cognitivo sviluppo della memoria
incremento della creatività
Per ogni area di applicazione sono previsti quattro items di operatività:
1 - il senso-motorio
2 - l’ emotivo-espressivo
3 - l’ affettivo-relazionale
4 - il cognitivo
A - Potenzialitàpercettivo-motoria A1- senso-motoriocamminare e muoversi nelle quattro direzioni muovere le braccia nello spazio muovere le mani a farfalla afferrare cuscini, palle, palline, cerchi, ecc. muovere bastoni nello spazio acquisire sicurezza nei movimenti coordinati e/o complessi colpire un oggetto con le mani o con un bastone rilassamento esercizi da seduti e/o sdraiati A2- emotivo-espressivo senso di sé nello spazio senso di sé con modificazioni di tempo (velocità) farsi vedere in mezzo agli altri sentire l’emozione di dire il proprio nome manifestare con la danza i propri sentimenti soffermarsi sulll’emozione di percepire sensazioni propriocettive e cenestesiche A3- affettivo-relazionale dare e ricevere oggetti migliorare il rapporto affettivo con il proprio corpo guardarsi negli occhi accarezzarsi e abbracciarsi muoversi (camminare, saltare) insieme A4- cognitivo apprendere movimenti complessi, magari dimenticati o in disuso ricordare movimenti e giochi proporre alternative alle iniziative acquisire schemi corporei più organici
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B - Modulazione emotiva
B1- senso-motorio senso di piacere nel muoversi senso di piacere nel ritmo e nella danza validazione del proprio piacere senso di piacere nell’utilizzare la mimica B2- emotivo-espressivo sviluppare il desiderio di esprimere i propri sentimenti attraverso la postura, la motricità e la danza abbassare il livello di ansia legato all’incontro con l’altro sradicare sensi di vergogna B3- affettivo-relazionale sentire piacere nell’avvicinarsi all’altro, nella carezza, nell’ abbraccio cercare nuove relazioni con i terapeuti ed i compagni elevare il tono dell’umore B4- cognitivo ricordare le proprie emozioni cercare di parlare con i propri compagni delle esperienze vissute
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C - Sviluppo affettivo C1- senso-motorioverso di sè desiderio di partecipare desiderio di farsi vedere riconoscere i propri movimenti arricchire il comportamento arricchire le modalità verso gli altri vedere gli altri e apprezzarli riconoscere le qualità dei movimenti degli altri C2- emotivo-espressivo emozionarsi nel riconoscere come ben eseguiti i propri movimenti e le proprie espressioni stabilire empaticamente una buona relazione C3- affettivo-relazionale desiderare di migliorare se stessi nel proprio comportamento desiderare migliorare le performances partecipare alle emozioni degli altri salutare gli altri espansivamente accettare il giudizio degli altri vivere il proprio comportamento con il controllo del feedback elevare l’autostima e l’autonomia C4- cognitivo riconoscere validi i propri desideri desiderare di migliorare le proprie capacità relazionali ricordare la partecipazione dei compagni
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D - Incremento cognitivo D1- senso-motorio capire i movimenti capire lo spostamento del baricentro riconoscere il proprio piacere acquisire autocoscienza delle capacità espressive D2- emotivo-espressivo capire e ricordare come le proprie azioni-reazioni agiscono sulle relazioni
D3- affettivo-relazionale riconoscere gli altri come importanti esprimere le proprie preferenze rafforzare la propria identità e l’autenticità
D4- cognitivo riconoscere le proprie risposte adattive, partecipative e volitive migliorare e vivificare il contatto con la realtà |
Lo schema operativo, seppure complesso, non chiarisce le difficoltà che si devono affrontare in ogni seduta; ogni comportamento presuppone la lettura di un processo psico-mentale che lo sottende; ogni espressione impone un adeguamento empatico; ogni atteggiamento richiede la scoperta dei sentimenti che l’hanno provocato.
Per dare un’idea di questo lavoro è forse utile portare qualche esempio:
¨ La distanza tra paziente e terapeuta è un problema costante e, molte volte, si ottengono risultati, dopo molti fallimenti, frapponendo una corda o un bastone o un foulard tra le due mani.
¨ E’ necessario rispettare quell’ angolo di salvezza che tranquillizza il bambino, verso il quale fugge ogni qual volta si sente insicuro. Sulla sua stuoia o sul suo cubo o sulla sua sedia non bisogna mai appoggiare nulla: anche un semplice fazzoletto può essere vissuto come invasivo e pericoloso.
¨ Nei primi tempi bisogna stare molto attenti perché le manovre che vorrebbero essere rassicuranti possono suscitare reazioni violente …. Spesso ci ricordiamo dei morsi ricevuti !!!
¨ Porsi alle spalle del bambino, passare il braccio sopra la sua testa, essere troppo veloci nell’eseguire un movimento possono risultare motivi sufficienti per interrompere il legame faticosamente raggiunto e far terminare una sessione.
¨ La musica è sempre molto importante e bisogna sapere modularne l’intensità, il timbro, il ritmo, la cadenza. A volte un rock stimola la partecipazione, quando la distanza operativa è abbastanza grande, ma risulta disorganizzante se il lavoro prevede la vicinanza tra i personaggi dello psicodramma.
La musica, per la nostra esperienza, deve essere sempre coerente, non deve presentare variazioni improvvise, né deve risultare troppo "intellettuale", essere cioè troppo "interpretabile" cognitivamente.
¨ Dopo aver recuperato armonia e coordinazione nei movimenti ci troveremo la sorpresa che il nostro piccolo paziente "non riesce" a compiere certi atti richiesti (per es. calciare un pallone o lanciare la palla dall’alto); si tratta di un evento estremamente comune: il piccolo non può assumere la responsabilità di agire un atto vissuto come distruttivo, quindi, bisogna tenerlo per mano (in questo modo l’operatore diventa l’unico "colpevole").
¨ Qualsiasi oggetto lanciato verso di lui viene vissuto come pericolosa per cui bisogna cominciare con porgerla e via via allontanarsi: il piccolo avrà imparato a non avere paura di noi.
¨ Questi pazienti, paradossalmente, non possono agire la loro aggressività se non sotto l’effetto di una violenta crisi emotiva e, quindi, non riescono, all’inizio, a battere le mani o a colpire le nostre. Questo lavoro di recupero è molto delicato, ma importantissimo e va seguito molto da vicino perché agire la propria aggressività equivale a imparare a difendere la propria volontà e, quindi, a crescere in una dimensione di reciproco rispetto, vale a dire, potendo controllare (feedback) le azioni e le reazioni.
¨ Nel lavoro di integrazione dell’ Io, è sempre importante il contatto corporeo; abbracciarsi, rotolarsi, stringersi sono una prova costante per poter verificare la capacità di autocontenimento emotivo e la crescita dell’area dei valori, cioè della valenze affettive.
¨ Diventa una "legge" tenere conto che non c’è sviluppo cognitivo senza sviluppo affettivo: il mondo dei valori, della reciprocità, dell’amore verso sé e verso l’altro sono l’unica strada che porta a comprendere e a comprendersi.
¨ E’ essenziale "dilatare la coscienza" ampliando lo spettro psico-sensoriale, moltiplicando gli imput.
¨ E’ anche importante "ridurre la coscienza" per permettere lo sviluppo di altre aree (motoria, emotiva, affettiva); in questo modo gesti improbabili come abbracciarsi, possono verificarsi senza problemi sotto un ampio velo (sempre che si sia già giunti ad un controllo delle angosce che spesso vengono indotte).
¨ Il lavoro di riabilitazione non viene mai sviluppato partendo dagli obiettivi da raggiungere; ogni risultato può permettere un altro piccolo o grande passo avanti.
¨ Il linguaggio non segue di pari passo le conquiste su altre aree, ma questo non deve preoccupare perché ogni progresso sensomotorio significa spianare il passo per altri passi in avanti e lo sviluppo affettivo è il "sine qua non" per la crescita cognitiva.
¨ Non si deve cercare di imporre un esercizio, attueremmo sedute di ginnastica o di psicomotricità, ilprocesso evolutivo deve nascere dal di dentro, essere accettato e introiettato come proprio; solo in questo modo si ottengono risultati validi e persistenti.
E.I.T. ed IPPOTERAPIA
La nostra esperienza di terapia dell’autismo ha avuto un valido supporto nelle strutture di un Centro specializzato nell’ippoterapia.
Questa pratica terapeutica copre due aree: quella del potenziamento muscolare e quella psicomentale.
A nostro modo di vedere, l’uso dell’ippoterapia può essere considerato un aiuto molto valido dal momento che, in maniera concreta, i bambini, possono sperimentare l’infondatezza dei loro sentimenti profondi pantoclastici; si instaurano inoltre certi atteggiamenti d’amore verso l’animale, oltre che il "rispetto" per la sua potenza che, per altro, è sempre contenuta e controllata, provvedendo così a sublimare le ansie e le angosce distruttive che derivano da meccanismi proiettivi.
COMMENTO E CONCLUSIONI
L’intervento dell’ E.I.T. nella terapia dell’autismo si è dimostrato di grandissima utilità dal momento che si osserva un costante e progressivo miglioramento della struttura ioica.
I progressi nella coordinazione motoria permettono di dimensionarsi in un versante di crescita e di sviluppo, abbandonato in precedenza. Va sottolineato che il "terrore di distruggere il mondo" (dimensione pantoclastica), meccanismo psichico che aveva portato alla stasi e alla rinuncia, blocca sia la spinta alle relazioni, determinando l’isolamento, sia l’iniziativa psicomotoria, così da indurre limitazioni che si traducono anche in ipotrofie muscolari e in deformazioni osteo-articolari.
Sviluppando il "valore di esistere", il senso di sé e delle proprie capacità, verificando l’infondatezza delle pulsioni pantoclastiche, liberandosi dalle necessità di dipendenza e di sottomissioni, ritrovando l’equilibrio attivo e passivo (questi bambini tornano a poter eseguire esercizi anche difficili stando in equilibrio su di una sbarra o su uncilindro di gommapiuma), utilizzando anche il valido aiuto dell’ippoterapia si ottiene di promuovere (anche con tecniche derivate dallo psicodramma, dal Tao-chi-chuan e dall’eutonia) l’uso di ogni parte del proprio corpo, dalle falangi delle dita, alla lingua, dai piedi al collo, mettendo il bambino in grado di potersi "sperimentare" e comprovare.
Ricordiamo che questa parte della terapia acquista anche valore per quanto riguarda l’integrazione emotiva, affettiva e cognitiva; ilbambino esperisce pulsioni di gratificazione, di rifiuto, di collaborazione, di gratitudine e, nel contatto corporale, rivive quei momenti di "coccolamento" delle prime tappe della vita. In questa pratica si osserva lo sviluppo dell’emulazione (valore affettivo), influenzato dai sensi di potere e di autovalorizzazione, che deve essere ben controllata poiché il modello non può risultare, per il bambino, troppo alto o troppo poderoso altrimenti emergono inibizioni e paralisi.
Spesso si preferisce lavorare insieme a genitori e a fratelli, proprio per "livellare" le capacità oltre che, naturalmente, sfruttare quegli elementi di dipendenza già messi in evidenza e le valenze affettivo-relazionali.
La partecipazione dei famigliari, oltre che un aiuto per lo sviluppo della terapia, acquista anche valore prima per insegnare loro quanto si possa ottenere debellando l’autismo ed inoltre per poter osservare quali siano i meccanismi che facilitano ( sarebbe esagerato usare il termine supportare) risposte autistiche di fuga, di rinuncia, di ossessività ripetitiva. A volte, solo "sfumature" del comportamento possono essere evidenziate come stimoli per reazioni autistiche, ma, per altro,abbiamo già riferito quanto sia essenziale controllare la velocità del nostro muoverci o del nostro parlare, il come portare avanti o sopra la testa una mano o un braccio, il tipo di musica usata, la disposizione degli oggetti nella palestra per non provocare atteggiamenti violenti, di rifiuto, di rabbia e di frustrazione.
Il controllo dell’emotività e lo sviluppo dell’affettività risultano poi fondamentali per promuovere la cura dell’autismo; con un "pazientissimo" lavoro di avvicinamento, di coinvolgimento e di stimolo si ottengono, giorno dopo giorno, risultati insospettati ed i piccoli pazienti ritrovano l’attenzione, la tenuta e la partecipazione che sorgono dalla profonda scoperta di valere, da significati dedotti che evaporano sensazioni intuitive, oltre che dall’accettazione dell’altro come parte di sé, nella dimensione di avere dato importanza ad un reale che per tanto tempo era stato vissuto solamente come persecutorio e violatorio.
Con il passare del tempo, anche grazie all’ E.I.T., la "fortezza vuota" si sgretola ed emerge un giardino fiorito di abbracci, di baci (che al principio sono solo espressioni controfobiche), di incontri, di sguardi, di volontà e di Amore; le barriere vengono superate e questi piccoli bambini tornano a godere della bellezza della vita e del valore inestimabile racchiuso in uno sguardo, in una stretta e nell’incrollabile volontà di esistere.