TOSSICODIPENDENZA come EPIFENOMENO
di
"MALATTIA dell'IDEALITÀ"
Romeo Lucioni
L'indagine, anche solo intuitiva, sulla problematica della tossicodipendenza, riconduce ad un altro fenomeno di ordine etico-metafisico-sociale che investe l'uomo sia nella sua dimensione istintivo-cognitiva, sia nella sua parte evolutiva. Si tratta del fenomeno "piacere" che, visto come funzione, può suddividersi in:
- capacità di provare piacere
- possibilità di provare piacere
- capacità di risolvere il desiderio nel piacere.
Il diverso grado con cui queste tre componenti intervengono nella "funzione piacere" e' il momento qualificante che determina la struttura personale dell'espressione fenomenologica che si evidenzia anche in un polo negativo che prevede coartazione, sostituzione e sublimazione, anche se per Freud (Il poeta e la fantasia, 1909) non vi é cosa piu' difficile della rinuncia a un piacere già provato.
Visto da un punto di vista biologico, il problema del piacere si dimensiona come funzione superiore e centrale che, in altre parole, significa "riferito al cervello": non c'é sensazione di piacere se non mediata dal nostro "elaboratore centrale".
La funzione piacere non é però prerogativa dell'uomo, essendo la stessa facilmente riscontrabile anche negli animali. In alcune specie, addirittura si possono sperimentare situazioni limite come quelle del piacere legato alla stimolazione elettrica, come nel caso della "self stimulation", che, come immagine, si ricollega ad una situazione di istintualita' incosciente, seppur legata alla centralità.
Per tornare alla dimensione del piacere dell'uomo, possiamo anche riferirlo ad una pulsione, strutturando così una serie di meccanismi neuropsichici che ci collegano al desiderio. Il passaggio dal piacere al desiderio ci permette di far risalire il primo ad una dimensione personale e personologica nel senso che é propria della personalità la possibilità pià o meno, di contenere, dimensionare, valorizzare ed anche scaricare il desiderio.
Quando poi relazioneremo la personalita' con le strutture dell'Io e queste alla concettualizzazione dell'ideale del Io, avremo percorso il cammino che unisce il fenomenologico-percettivo allo strutturato etico-metafisico che dimensiona una determinata identità.
Un secondo aspetto che riguarda la "funzione piacere" investe la dimensione del far provare piacere che si evidenzia come esperienza speculare autoriferita del provare piacere proiettando le emergenti nell'altro "fatto noi" e dimensionato nella nostra stessa identità fisiologica, etica e metafisico-trascendente.
Questo nuovo rapporto a due in un'immagine concreta e speculare é il substrato intimo dell'amore inteso come funzione complessa dove il personale e l'intimo viene proiettato nel sociale-partecipativo.
Nel tentativo di chiarire questi meccanismi, possiamo anche riferire il desiderio ad una pulsione verso l'esterno che, dimensionandosi sia nel ricevere-prendere che nell'offrire-dare, presuppone un processo evolutivo che spinge ad un continuo divenire nel quale il piacere si dimensiona nell'autonomia del come e quando provare piacere oltre che nel come e quando far provare piacere.
Si vede chiaramente come, in questo meccanismo introspettivo e proiettivo, il divenire venga vissuto come evoluzione-crescita verso un determinato traguardo predeterminato che presuppone meccanismi di imitazione e di identificazione che sono pietre miliari del cammino verso la strutturazione della personalità.
Nella tossicodipendenza, tutti i fattori sopraddetti entrano in gioco nel determinare una condotta deviante che va intesa, senza nessun dubbio, come il risultato di una struttura di pensiero e di coscienza devianti. Accettando quasi come assiomatico che sia difficile rinunciare al piacere gia' provato, va sottolineato anche che c'e' nella potenzialita' tossicodipendente una notevole incapacità di frenare e contenere l'impulso al soddisfacimento del piacere per cui il desiderio diventa incontenibile. L'intensita' delle pulsioni che cercano un soddisfacimento illimitato, grazie ad un "seno ideale inesauribile" sottende lo strutturarsi del fantasma dell'esistenza di qualcosa che potra' soddisfare tutti i bisogni.
Il dover rinunciare poi a provar piacere, viene proiettato fuori di sé con perdita di valori etico-morali e diventa diventa determinato da una obbligatorieta' sempre riferita come "colpa di": degli altri, dei genitori, degli educatori, della società. Si strutturano quindi sentimenti di opposizione e di ribellione che, in definitiva, sono il substrato della trasgressione intesa come negazione della validita' delle regole e, soprattutto, come recupero della libertà e del diritto personale di provare piacere o (va sottolineato), di scaricare la pulsione determinata dal desiderio.
In altre parole, é l'impressione della tendenza a rifiutare di sottomettersi e provare così a se stessi, anche se in forma illusoria, di poter agire la propria libertà proponendosi delle mete che risultino il piu' lontano possibile dagli ideali genitoriali.
La risoluzione della scarica desiderio-piacere assume, a questo punto, una dimensione di "vendetta narcisistica" che destruttura i rapporti ed i valori intimi della relazione con l'altro che, in ogni modo, viene vissuto come depositario della liceità.
Si sta parlando anche della formazione di sentimenti profondi di dipendenza proprio perche' l'altro viene riconosciuto come capace di risolvere tutti i problemi esistenziali e quindi viene valorizzato come potente e depositario della legge (familiare e sociale).
L'atteggiamento dipendente porta ad un "appiattirsi sull'altro" vissuto come fonte possibile di sfruttamento. Ed é proprio qui che si struttura l'ambivalenza perversa della vendetta narcisistica. Il soggetto si appiattisce passivamente sull'oggetto riconosciuto superiore e che suscita sentimenti che da una parte svalorizzano l'oggetto come capace di ottenere potere e denaro solo a costo di sacrifici enormi ed ingiustificati , mentre dall'altra creano un egocentrismo megalomanico-narcisista che supporta affermazioni come:
"... io non lavorerò mai come una "bestia" per ottenere tanto poco !", oppure "... in qualsiasi momento mi metterò a fare qualcosa e guadagnerò senza sforzo montagne di soldi!!"
Il soggetto sfrutta quindi l'oggetto (genitore, educatore, società) in ogni forma, anche psicologica, dal momento che riconosce in lui una potenzialita' infinita di dare (per es. "...i miei non solo mi amano, ma la loro gioia stà proprio nel fatto di darmi"). Il soggetto che riceve diventa, con questo atto, elargitore di piacere, proponendosi quindi come "seno buono": proiezione delle proprie valenze orali.
La dipendenza orale, fagocitaria e distruttiva dell'oggetto dal quale si chiede tutto, suscita sentimenti riparativi ("...non posso piu' fare questo ai miei!") e proiezioni dell'oralizzazione nell'oggetto che viene vissuto come fagocitante delle possibilita' del soggetto per il soddisfacimento del proprio bisogno di dare.
La ritorsione della propria oralità é un sentimento di dipendenza, sottomissione, accettazione delle regole che dà forza e vitalità alla volontà trasgressiva: l'oralità é la deformazione della aggressivita' negata e sostituita da bisogni riparativi. Il salvare e riparare l'oggetto deriva dalla necessità di dipendenza per riproporsi la fagocitazione della rinnovata oggettivazione. Da qui la coazione a ripetere e la dipendenza dall'oggetto supportano un oggetto ipervalorizzato-illusorio che diventerà, nel nostro caso, la droga stessa.
La svalorizzazione dell'oggetto, vissuto anche come responsabile dell'aggressione orale proiettata, impedisce la formazione di un Io forte e strutturato su basi di realtà.
Il supporto teorico dell'identificazione negata (presupposto della formazione di un Io-debole) é il rifiuto del sacrificio come sproporzionato alle mete ed alla "ricchezza ottenuta" ("...non si puo' lavorare tanto per avere solo una casa"!) ed insieme una fuga nel facile e nell'illusorio ("... io vorrei raggiungere tanto, ma con poco sforzo"! e ancora ("...io farei, ma non mi appoggiano abbastanza"!).
É come dire che il soggetto non puo' proiettare il proprio ideale dell'Io sulla figura genitoriale che quindi viene rifiutata e sostituita dalla propria "sovraestimazione" e "sopravalutazione", in altre parole, la identificazione, mezzo per strutturare l'Io su basi reali e per organizzare la propria personalità, viene negata e sostituita da processi limitativi di imitazione che permettono la formazione dui una immagine speculare di tipo egocentrico, narcisistico e megalomanico.
Nell'identificazione negata, nell'imitazione, nella proiezione della propria aggressivita' e nella costruzione di immagini positive oggettualizzate e fagocitate nel tentativo di una identificazione illusoria dell'Io, il soggetto entra in un vero e proprio "labirinto" che diventera' l'occasione-giustificazione per non crescere e che, in altri termini, assume l'aspetto del rifiuto della responsabilità, dell' impegno e del sacrificio come strategia per raggiungere il soddisfacimento del desiderio.
Le difficolta' identificatorie, per l'impossibilita' di potersi vedere capace di prendere il posto dell'oggetto genitoriale e di assumere questo come oggetto d'amore, determinano la formazione di sentimenti sostitutivi di imitazione, concependo la fantasia che, solo attraverso un processo magico, si puo' diventare grandi (superando cosi' i piu' comuni "tempi di maturazione"). La personalita' viene, per così dire, "congelata" nella propria "ricerca narcisistica" di una "identità illusoria".
Nell'area della tossicodipendenza, tutti questi meccanismi mentali si riferiscono all'esperienza infantile del gioco, laddove il desiderio si confonde con l'idea di essere veramente "grandi" pur essendo privi di una vera identita' adulta; dove la ricerca del piacere e' anche ricerca di autonomia che si inscrive nel quadro dell'idealita' del divenire come trasfigurazione della propria autonomia e della propria crescita.
In questa affannosa ricerca del piacere, che, in questo caso, é soprattutto la ricerca di essere soddisfatti per piacersi, si entra in una dinamica di discontinuita'.
Il divenire si struttura come realizzazione di cortocircuiti; la coazione a ripetere instaura un equilibrio che si rende effettivo con la sottomissione al dominio della "roba"; si costituisce una economia mentale nella quale l'azione compensatoria dell'uso della droga copre i bisogni e regola i conflitti interni negandone l'espressione della loro elaborazione psichica. Il proprio mondo interno, fatto di pulsioni e bisogni, cosi' come il mondo esterno, comprensivo di obblighi e di formalita', sono percepiti come manipolabili proprio come attraverso il gioco.
La realtà si trasforma in un gioco tragico nel quale distruttività e piacere si confondono, al di la' del bene e del male, in uno stato fusionale che porta ad un punto senza ritorno che risulta circostanziato dal paradosso della relazione tossica: vivere assieme alla droga e' doloroso, ma separarsene e' impossibile.
lo stato confusionale fa insorgere altri sentimenti legati alle dinamiche genetiche e di percezione di una realta' predeterminata in un destino tragico che fa dire "...sono destinato alla condizione di tossicodipendente"!, nel quale pero' si nasconde velatamente l'accusa di essere stato generato in tale stato o di esserne stato, in qualche modo, indotto.
Sentimenti ed idee che non sono altro che il risultato di quelle proiezioni che liberano il soggetto dalle responsabilita' e dalla colpa, demonizzano l'oggetto e giustificano quei comportamenti trasgressivi che rivelano una difficolta' ad interiorizzare la legge del padre, lasciando, come conseguenza, una ipertrofia dell'ideale dell'Io ed una atrofia del Super-Io che, in ultima analisi, sono alla base di una "malattia dell'idealità" e di una vera e propria "personalità marginale".
Malattia dell'idealita' che va intesa come evoluzione disarmonica dell'Io, sospeso nella lotta per soddisfare esigenze opposte: quelle del Super-Io, razionali, comunicative, relazionali e parzialmente imposte dal di fuori; quelle dell'ideale dell'Io, di origine narcisistica, individualistiche e rapportate al bisogno ogocentrico e megalomanico di indipendenza dal rapporto con l'esterno.
É proprio in questo chiudersi su se' stessi che si puo' vedere la base strutturale della autoemarginazione nella quale la simbiosi tra Io ed ideale dell'Io risulta la caratteristica di una personalità marginale.
Va sottolineato come l'ideale dell'Io sia sempre una istanza gratificante, mentr invece il Super-Io sia limitativo e restrittivo nel soddisfacimento narcisistico ed egocentrico del proprio desiderio. E. Jacobson (1954) avvicina il concetto dell'ideale dell'Io con precoci fantasmi di desiderio di fusione con la madre e con il seno, strutturando una scala di valori infantili basati sulla percezione narcisistico-megalomanica dell'unità tra l'Io ed il suo Ideale, agente della realizzazione del "desiderio".
Anche Annie Reich (1960) distingue il Super-Io, fondato sull'accettazione della realta', dall'ideale dell'Io basato sia sulla negazione dei limiti dell'Io, sia su quella dei genitori. In questo modo, si recupera l'onnipotenza infantile attraverso "identificazioni precoci" (o imitazioni o "identificazioni mutevoli") con il genitore idealizzato. Per questa autrice, un ideale dell'Io megalomanico e' legato dunque ad un Io-debole e ad un Super-Io insufficientemente sviluppato: l'ideale dell'Io, che e' quello che si desidera essere, prevarica il Super-Io, che e' quello che si dovrebbe essere.
Questa situazione é l'assioma di quanto detto da H.Nunberg (1922) che considera l'ideale dell'Io come il risultato della rinuncia ad un soddisfacimento pulsionale per paura di perdere l'oggetto amato. Proprio in questo esempio si può vedere come l'uomo, per l'amore che porta al suo ideale, si sottometta alle sue esigenze, mentre invece si sottomette al Super-Io per paura della punizione. Il risultato é che l'ideale dell'Io risulta essere l'immagine dell'Io negli oggetti amati, mentre il Super-Io quella degli oggetti odiati e temuti.
Come dice Bion, "ogni oggetto di bisogno é un oggetto di odio", vale a dire che in questo modo la dipendenza genera una opposizione che supporta la possibilita' della trasgressione e la costituzione di un ideale dell'Io deformato, erede del narcisismo-megalomanico.
La corazza narcisistica protegge il soggetto ed il suo mondo interno, ma anche l'oggetto che suscita una relazione astiosa individuata come "vendetta narcisistica", sentita da entrambi come mortifera perche' caratterizzata da tutto ciò che compone una sessualita' arcaica, risvegliata da pulsioni violente di sottomissione e di autosoddisfacimento narcisistico che inducono sentimenti autodistruttivi che, a loro volta, sottendono una scelta di vita posta sui binari della colpevolizzazione, della fuga dalla realtà (negazione della realta' con mezzi non psicotici), della trasgressione e della autodistrttivita'.
La struttura della personalità si configura in una debolezza ed una vulnerabilità narcisistica per la quale:
La passività, la dipendenza e l'appiattimento sull'oggetto diventano una "simbiosi beatifica" come immagine della felicita' perfetta che comporta l'annullamento dell'insoddisfazione, del desiderio e della perdita: quello che é stato chiamato il "paradiso ritrovato".
L'appagamento pulsionale presuppone però la costituzione di un ideale di onnipotenza che si collega anche con la negazione della morte. E' il ritratto del Dottor Faust nel quale il superamento della ineluttabilita' della morte si accompagna ad un eterno ed onnipotente "qui e ora".
Non riuscendo a proiettare il proprio ideale dell'Io nell'oggetto genitoriale idealizzato e martirizzato nell'introiezione del feticcio-genitore, si produce una rottura del processo di sviluppo della personalita' e si osserva una idealizzazione dell'istinto o idealizzazione della pulsione. Il soggetto, invece di investire nella crescita, cerca di mantenere, a tutti i costi, l'illusione di essere da sempre e per sempre onnipotente.
A titolo di chiarimento, va sottolineato come l'ideale dell'Io é una funzione pulsionale e quindi istintiva. In questo senso, l'ipertrofia dell'ideale dell'Io equivale ad una idealizzazione della pulsione, di un istinto e non si tratta, quindi, dell'idealizzazione di un oggetto o di una funzione di tipo trascendente o metafisico come l'Io ideale.
L'idealizzazione dell'istinto conduce anche ad una "diffusione del desiderio" nel senso che questo perde i propri limiti, spaziali e temporali. Ne deriva una incapacità del soggetto a raggiungere un senso di soddisfazione: anche dopo la scarica del desiderio, resta sempre un "alone di piacere non soddisfatto" per il quale l'esperienza risulta in qualche modo frustrante oltre che frustrata nella sua espressione di occasione perduta. L'insoddisfacimento, nello sviluppo del tragitto pulsionale, viene riferito come colpa sadico-anale dell'oggetto genitoriale, fagocitante e castrante per il soggetto, che da' energia di ricarica al meccanismo di so= pravalorazione dell'ideale dell'Io.
In questa dimensione, solo l'illusorio é capace di ristabilire un certo ordine ed é proprio l'effetto totalizzante dell'esperienza che, un'altra volta, assume il ruolo affascinante del "ritorno dell'onnipotenza" che sottende anche la trasformazione del "senso di colpa" (registro del Super-Io) in "vergogna per la trasgressione" (frutto della tensione fra l'ideale dell'Io e l'Io stesso).
La droga diventa l'espressione dell'illusorietà dell'incoscienza o "coscienza deviante". La ricerca del piacere é l'illusione di "essere perfetti e di piacersi" e così, in questa personalità deviante, si manifesta una struttura affettiva dominata da un costante senso di non soddisfazione. Manca sempre qualcosa per raggiungere il pieno rilassamento ed il soddisfacimento pulsionale: il drogarsi diventa una irrefrenabile coazione a ripetere. Siamo di fronte, come sottolineato sopra, alla dinamica della "discontinuita'". L'equilibrio affettivo é sottomesso al dominio della sostanza tossica e l'azione compensatoria e' determinata dall'uso della droga: il mondo interno é vissuto magicamente come manipolabile nello stesso modo in cui viene manipolato il mondo esterno.
A titolo di conclusione, possiamo tradurre l'esperienza tossicodipendente, almeno nei suoi meccanismi di instau= razione e di fissazione precoce, come l'epifenomeno di una distorsione della formazione-crescita della personalita'. Questa risulta fissata a meccanismi di controllo pulsionale decisamente pregenitale, risultandone una ipertrofia dell' ideale dell'Io, accompagnata da una atrofia del Super-Io che non riesce a contenere o impedire "un'emorragia libidica del Io in direzione del suo ideale (J.Chassegnet-Smirgel,1991).
Questo complesso meccanismo psicogenetico che interviene a disturbare i meccanismi dell'adeguamento alla realta' ed, in ultima analisi, anche del pensiero, e' riferibile ad una "malattia dell'idealita'" che sottende una "personalita' marginale" nel senso di incapace a ricreare e a mantenere rapporti validi con i genitori, con le figure di riferimento e sociali in generale, su di un piano adulto ed equipotenziale.
Sentimenti di dipendenza e di sfida risultano caratteristici, cosi' come la sostituzione di sentimenti di colpa con sensazioni di vergogna rapidamente isteriliti in una incontenibile necessità di ricevere ed essere gratificati nel tentativo di risolvere sensazioni di insoddisfazione e di impossibilita' a contenere il desiderio.
Il rifiuto del sacrificio, anche inteso come possibi= lita' di raggiungere il proprio piacere, porta ad una bizzarra ricerca del godimento attraverso la rinuncia, il patetico, la sottomissione, in un cammino drammatico che passa attraverso la sterilizzazione del proprio Io-ideale e si risolve nell'autodistruzione, come espressione emblematica e mitizzata dell'insoddisfazione e della richiesta.
La ricerca qui presente ci permette dunque una risposta al quesito "se c'é un motivo per non prendere la droga" sempre che si tenga conto che, probabilmente, l'esperienza della tossicodipendenza interessa soprattutto quei giovani che dimostrano una personalità debole e che quindi risultano vulnerabili alle difficoltà di un autoriconoscimento ed una autoaffermazione.
Il drogarsi diventa dunque un mezza falso, una illusione ed una fuga dalla realtà e, di conseguenza, é necessario non drogarsi per non cadere nella spirale della ricerca di una soluzione magica che porta inesorabilmente al rifiuto, alla negazione e all'opposizione, in un versante psicopatologico di tipo autodistruttivo.
Di fronte ai propri problemi intimi od inconsci che minano un armonico sviluppo personologico, vale più un investimento psicoterapeutico, di autoaiuto, di ricerca di riferimenti validi per una produttiva identificazione piuttosto che una fuga indiscriminata ed allucinata verso un abisso e la dissoluzione di quanto possiamo avere in noi di trascendente: il nostro Io-ideale.