FATTORI CHE INFLUENZANO O DETERMINANO
ESPRESSIONI PSICOPATOLOGICHE AUTISTICHE
Romeo Lucioni
Rileggendo le "storie" di tanti bambini autistici, notiamo che il "blocco dello sviluppo psicomentale" non è primitivo, ma interviene dopo un primo periodo di 15-25 mesi di "normalità".
Il bambino (tragicamente quasi sempre un maschio) aveva cominciato a camminare, a dire le prime parole, a stare tranquillamente con i suoi amichetti, successivamente: non guarda più negli occhi, sembra indifferente a tutti i richiami, passa ore ed ore ripetendo un gesto o giocherellando con le dita o con qualche piccolo oggetto, si spaventa per un nonnulla.
Di fronte a questo quadro, ci ponamo delle domande che spesso ancora restano senza risposta, ma devono spingerci, se vogliamo cominciare a "capire l’autismo", a considerarlo da molti punti di vista.
Si dice che ogni autistico è diverso da tutti gli altri. Nessuna persona "normale" è uguale ad un’altra, ma per fare dei confronti aggiungiamo un aggettivo che specifica e che raggruppa. Nella multicausalità dobbiamo scegliere di cosa vogliamo parlare perché se qualche "sintomo autistico" viene inteso come sinonimo di autismo arriviamo solo a poter dire che l’autismo non esiste come quadro nosografico.
Chiariamo subito:
Dire "non sono autistici" non è una semplice affermazione, ma il risultato del rispetto per l’osservazione clinica che vuole salvaguardare il diritto degli autistici (quelli veri) di ricevere subito il trattamento che li può fare uscire dal "baratro", senza il rischio di perdere tempo di fronte alle mete che lo aspettano: l’educazione e la socializzazione, l’ingresso nella scuola, l’inesorabilità dell’età oltre la quale è preclusa la plasticità cerebrale e, quindi, lo sviluppo del linguaggio.
Il dire "non sono autistici" è:
Dalla nostra esperienza possiamo trarre che:
Chiarito il punto nosografico affrontiamo quello nosologico.
Per AUTISMO intendiamo un disturbo (non una malattia) che altera e blocca il normale sviluppo psico-mentale del bambino.
Senza poter accogliere completamente le conclusioni di M.Mahler che ha preconizzato un autismo normale accanto ad un autismo patologico, espressione di un particolare momento dell’evoluzione, possiamo però considerare l’autismo un "problema" che investe i primi anni di vita, cioè qualcosa che interferisce con il processo di formazione dello psichismo o, in altre parole, con l’umanizzazione del bambino.
La definizione di autismo prevede alcuni sintomi precisi che oggi (DSM IV; ICD 10) vengono evidenziati in quattro aree:
Queste precisazioni diagnostiche si fermano ad una osservazione fenomenologica che non permette di fare chiarezza sul "quadro autistico" poiché non considera la psicodinamica, le motivazioni profonde, i meccanismi mentali e la struttura psico-mentale di questi pazienti.
Per fare una diagnosi bisogna sempre tenere conto che:
che come:
Spesso un autistico si esprime con frasi compiute (anche se semplici) che poi non ripeterà più, ma che ci fanno pensare che il modello della parola non è impossibile. Resta comunque il fatto che il soggetto capisce tutto ciò che gli diciamo (ordini, ammonimenti, suggerimenti), ma non può esprimerlo a sua volta;
Questi brevi considerazioni ci fanno pensare a delle "motivazioni" che spingono all’isolamento autistico, quasi che il "fenomeno" si strutturi come reazione a delle situazioni che, vissute senza traumi sino ai 15-25 mesi, si trasformano invece in traumatiche, quando la strutturazione anatomica e funzionale raggiunge la maturità o l’integrazione che dovrebbe risultare definitiva (A.Damasio).
L’autistico, chiuso nella sua realtà psico-affettiva, ma anche anatomico-funzionale, non può utilizzare le esperienze perché:
Il blocco dello sviluppo psico-mentale porta a impossibilità di strutturare le funzioni adattive dell’ Io che possono essere così illustrate:
Funzionamenti adattivi arcaici:
Funzionamenti adattivi maturi che derivano da una valida autocoscienza e da una coscienza degli oggetti fondate sul "senso di realtà":
e che si sviluppano con l’aiuto di:
Queste linee ci portano a considerare l’autismo come espressione di una mancata strutturazione delle funzioni adattive dell’ Io che presuppone, quindi, un Io-debole (vedi aggiunto lo schema riassuntivo delle caratteristiche), ma che ci impongono il quesito su come si mette in moto il blocco dello "Sviluppo Adattivo".
La nostra esperienza ci ha portato a distinguere:
se la prima è, come abbiamo già delineato sopra, abbastanza ben definibile; la seconda è ancora poco studiata per cui resta nascosta, per così dire, "tra le pieghe dell’autismo".
Troviamo spesso bambini che dimostrano una sintomatologia simile a quella dell’autismo perché presenta:
Questi bambini, la cui sintomatologia compare dopo un certo periodo di sviluppo nella normalità, non sono autistici perché:
Queste considerazioni ci permettono di evidenziare l’aspetto di "reazioni" che, riferendosi a cause funzionali, si delinea come "reazione conflittuale".
Casi clinici:
A nove anni ha finalmente cominciato una "intensa" psicoterapia relazionale che, nel giro di tre anni, lo ha portato a sviluppare enormemente le sue capacità mentali e ad avere una vita accettabile anche sul piano della socializzazione.
Luca a due anni ha presentato una nuova crisi epilettica generalizzata e, successivamente, una terza che ha indotto ad iniziare una terapia anticonvulsiva.
Le "cause" che hanno portato questi due piccoli a dover vivere "situazioni" ampiamenti disturbanti e stressanti, ci fanno pensare che possono essere queste esperienze traumatiche a creare le condizioni per reazioni di "tipo autistico" o che possono essere meglio inquadrate come "REAZIONI PSICOTICHE" proprio per il loro carattere non strutturale, ma funzionale-reattivo.
Quando è stato riportato nella letteratura il caso del bambino che, pur sofferente da due anni di gravi disturbi gastro-intestinali (15-20 scariche diarroiche al giorno), era stato diagnosticato come "autistico", ci siamo chiesti se fosse stato corretto:
Forse possiamo solo dire che stimoli stressanti e fortemente disturbanti possono indurre reazioni psichiche che si evidenziano come:
Se vogliamo essere proprio chiari, possiamo anche visitare i nostri archivi e sicuramente troveremo queste reazioni in pazienti che hanno dimostrato una "patologia psicosomatica" riferita al sistema gastro-intestinale e che dopo "anni" di terapie farmacologiche (allopatiche), di esami clinici e strumentali e di "sofferenze" sono stati "guariti" dai nostri interventi psicoterapeutici mirati sul trattamento di problematiche e di personalità ossessico-compulsive o, in altre parole, sadico-anali.
CONCLUSIONI
Di fronte ad un bambino che presenta una sintomatologia di tipo autistico è necessario predisporre:
Questo approccio porta con sicurezza a stilare una diagnosi precisa e, soprattutto, ad individuare la terapia più adeguata non tanto per controllare i sintomi, ma per far superare il blocco o il disordine che alterano lo sviluppo psico-mentale dei nostri piccoli pazienti.
In questo lavoro preliminare diventa fondamentale lo studio della situazione emotivo-affettiva premorbosa e mettere in chiaro le dinamiche di situazioni stressanti che possono intervenire nel determinismo della psicopatologia.
Michael Klonovsky nella sua lucida presentazione del "quadro autistico", ricorda come le osservazioni di Elisabeth e Niko Tinbergen fanno pensare a questi bambini come "…infelici dotati che per una richiesta di adattamento superiore alle loro forze, sono stati precocemente isolati e sospinti verso forme comportamentali problematiche …".
Queste osservazioni ripropongono il problema dell’origine dei disturbi autistici che, essendo legati all’esperienza sensoriale e dei vissuti, potrebbe essere intesa come, in qualche modo, relazionata al comportamento dei genitori. Dobbiamo liberarci definitivamente da queste supposizioni proprio perché i genitori di un bambino autistico moltiplicano sempre le loro cure affettuose, le loro attenzioni ed il loro impegno per superare qualcosa che è veramente più grande dei loro immensi sforzi.
Uno stimolo "nocicettivo" e/o gravemente stressante che perdura per un certo periodo diventa sicuramente sufficiente a disorganizzare la struttura della mente; vengono precluse le valenze affettive, l’iniziativa, la volontà ed anche le capacità cognitive. I pazienti adulti ripetono che non possono pensare ad altro che al loro "mal di pancia" (per esempio) così, su questo "altare psicosomatico", bruciano le energie, gli affetti, le speranze, i desideri ed anche la voglia di conoscere, di stare nel mondo, di vivere.
Ancora una volta ci viene in aiuto la pratica clinica per spiegarci come le conseguenze di una situazione stressante sono difficilissime da estirpare. I nostri pazienti adulti, anche quando sia stato superato il problema fisico, richiedono diversi anni di psicoterapia per superare lo stress psichico e tornare ad una vita "normale". Lo vediamo quotidianamente quanto sia difficile migliorare dai cosiddetti "attacchi di panico"!
Da quanto letto, risulta l’importanza di discriminare tra cause strutturali (autismo) e cause funzionali-conflittive (psicosi), che possono determinare una sintomatologia "autistica", proprio perché la prognosi è sicuramente diversa per i due casi ed anche lo è l’intervento terapeutico.
Nelle forme "reattive" il superamento della problematica psichica richiede un lavoro più centrato sull’acquisizione e l’apprendimento o sul rafforzamento della capacità operative insite nel "problem solving".
Nelle forme "strutturali" (autismo di Kanner) la destrutturazione psico-mentale richiede un intervento molto più mirato a ricompattare le forze adesive dell’Io per ottenere un controllo dell’emotività libera, sviluppare le componenti affettive dell’autocoscienza e dell’autovalorizzazione, generare correnti cognitive che supportino lo sviluppo del pensiero e delle capacità simboliche.