L’ IDENTIFICAZIONE

Romeo Lucioni

 

La continua rilettura di Freud nella pratica clinica, che ci impone continuamente dubbi e necessità di chiarire quadri e situazioni psicodinamiche, ci porta ad affrontare il tema delle identificazioni primarie, capaci di strutturare le funzioni primitive dell’ IO. Queste investono tanto la normalità quanto la patologia nelle sue espressioni di carenza e/o di difetto.

Le identificazioni primarie costituiscono il nucleo fondante del Sé, della autocoscienza, della autoidentificazione, del autoriconoscimento e della autovalorizzazione; forse di quel "nucleo invariabile dell’Io" di A.M. e J.Sandler.

L’IO è un concetto ampio che rispecchia diversi punti di vista. Un Io primitivo può essere identificato dalle sue funzioni che, anche se rudimentali, permettono di scoprirlo. Questo Io di funzioni si riferisce alla sensorialità, alla sensitività, a rudimenti motori, a una capacità di "giudizio elementare" che oscilla tra piacere e dispiacere, che, quindi, nel loro insieme, evidenziano un Io iniziale rudimentale.

Tali meccanismi relazionali primitivi portano a costituire un Io di identificazione, prima tappa della strutturazione delle istanze psichiche.

Freud si è riferito in principio all’identificazione secondaria: in "Lutto e melanconia" (1917) scopre come in questa sindrome, a differenza di quello che succede nel lutto, l’oggetto esterno perduto non viene abbandonato, ma, funzionando come ameba narcisistica (pseudopodio della libido), si ritrae sul’Io, trascinando l’oggetto e riproducendo nell’Io stesso la sua immagine ("…l’ombra dell’oggetto è caduta sull’Io").

Successivamente (1933) questa modalità interpretativa viene riconosciuta come tipica ed interessante molti altri meccanismi. La perspicacia di Freud porta poi a scoprire l’esistenza di un altro tipo di identificazione strutturante, molto più primitiva che si caratterizza per:

Freud (1915) elabora il concetto di Io di piacere purificato che risulta dall’incorporazione di tutti gli oggetti buoni che gli provocano piacere, mentre espelle tutti quelli che gli provocano dispiacere; per questo utilizza l’introiezione che diviene parte dell’esperienza-oggetto-relazione piacevole e che entra a costituire il Sé.

Si potrebbe anche pensare che per Freud l’introiezione è sinonimo di identificazione che viene definita "… alterazione dell’ Io derivata dal posizionamento dell’oggetto dentro l’ Io".

C.M. Aslam (1998) aggiunge che "… questo posizionamento ha carattere di identificazione, vale a dire che l’oggetto perde i caratteri propri per diventare parte dell’Io, cioè parte che costituisce l’essere se stessi". In questo modo viene sottolineato come l’Io risponda ad un processo dialettico, cioè si vada formando attraverso un dialogo tra ciò che costituisce l’Io e l’Io stesso che si sta costituendo.

Riprendendo il pensiero di C.M. Aslam, la strutturazione dell’Io primitivo corrisponde ad una metafora che si appoggia sul concetto di debolezza dell’Io iniziale e primitivo, o debolezza iniziale dell’Io. Metaforicamente l’Io può essere inteso come una cera sulla quale un "timbro" lascia la sua impronta, la sua caratteristica. Si potrebbe dire che la cera, come Io debole, si identifica con certe caratteristiche del timbro-oggetto. Nel contatto con l’oggetto significante, l’Io assorbe le sue caratteristiche e le incorpora come "struttura" che, a sua volta, diventa parte strutturante dell’Io: la debolezza iniziale sarà seguita da una resistenza che rappresenta alcuni aspetti della forza e del potere.

Il processo dialettico nega in sé l’esistenza di un "Io di piacere purificato" (Freud), autonomo e precostituito, che, quindi, diventa un semplice mito. L’Io diventa una "funzione" che, posta come "Io-realtà", va maturando, rinforzandosi ed individuandosi.

L’Io precoce di identificazione primaria si struttura nello scambio intersoggettivo con gli oggetti primari, con identificazioni buone e cattive, piacevoli e spiacevoli, adeguate e inadeguate. In questo modo l’Io, dipendendo dal bilancio quantitativo e qualitativo delle relazioni intersoggettive con gli oggetti, si presenterà nel futuro come gradiente di normalità e di patologia.

Da queste osservazioni ne deriva che le strutture psichiche sono "funzionali" e, di conseguenza, il processo di identificazione si può attuare come precursore dell’Io, come Io, come ideale dell’io o come Super-Io.

Per altro lato, diventa chiaro che un meccanismo traumatico, visto come processo e/o come funzione, può destrutturare il processo di identificazione e, quindi, determinare situazioni e quadri psico-patologici.

A dire il vero, Freud, come fa notare Victor Korman, utilizza il termine di introiezione per indicare le identificazioni secondarie edipiche; mentre usa incorporazione ("Lutto e melanconia") quando si riferisce al meccanismo operativo con i suoi effetti sull’Io: si profila quindi un uso più selettivo per il quale l’introiezione entra nelle nevrosi (Edipo), mentre incorporazione vige nell’ambito narcisistico, anche se Freud no ha esplicitamente utilizzato una precisa differenziazione.

Con Victor Korman possiamo cercare una chiarificazione epistemologica:

INCORPORAZIONE

INTROIEZIONE

A- introduce e conserva fantasmaticamente l’oggetto nel corpo. La stessa parola allude alla rappresentazione psichica del soma. È vincolata all’identificazione primaria ed ha carattere massivo.

A- non ci riporta al corporale, ma all’apparato psichico; è relazionata con i processi identificatori edipici e si riferisce sempre ad aspetti parziali.

B- si sviluppa dove le frontiere tra Io e non-Io sono inesistenti. Questa indiscriminazione è più importante nell’identificazione primaria (non c’è soggetto, non c’è un Io) che in quella narcisistico-edipica, nella quale l’Io, già costituito, facilita il passaggio dell’oggetto nel suo interno.

B- produce la sicurezza illusoria di continuare a portare l’oggetto dentro di sé. La perdita dell’oggetto viene annullata, ma questo non può più uscire dal soggetto attraverso un processo che richiede uno sforzo enorme; è la perpetuazione di un vincolo struggente.

C- l’incorporazione associata all’identificazione narcisistica tende ad unificare e a uniformare: Crea e rinforza la dipendenza dall’oggetto e la sopravvivenza dell’oggetto nell’interno psichico impedisce il lutto.

C- l’introiezione che porta all’identificazione edipica, introducendo solo caratteri parziali che entrano in combinazione con altri, conduce a riconoscere delle differenze e all’abbandono dell’oggetto, con un incremento (relativo) dell’indipendenza.

D-quando fallisce o si frustra l’introiezione perché l’oggetto si sottrae, si scatena una incorporazione che compensa la rottura.

D- richiede la presenza dell’oggetto che diventa mediatore e facilitatore del processo. La introiezione presuppone l’esistenza di limiti tra soggetto e oggetto e si stabiliscono scambi mediati dall’amore (odio), dal desiderio e dai fantasmi.

E- l’incorporazione avviene in termini nei quali predomina l’ambivalenza e dove si esacerba l’angoscia della mancanza di aiuto. Questa situazione sfocia in una unione incestuosa con l’oggetto primario e l’identificazione narcisistica invade il territorio senza frontiere (appiattimento).

 

F- l’incorporazione può realizzarsi in diversi modi, ma si caratterizza sempre per il suo carattere istantaneo e magico. Così è un fenomeno puntuale anche se ripetibile.

F- l’introiezione abbisogna di un tempo di elaborazione e quindi è sempre un processo (processo identificatorio).

G- la incorporazione è una "magia" capace di recuperare l’oggetto ed è sempre silenziosa, salvo quando sopravvengono crisi maniacali. Tende a compensare, coprire e negare le frammentazioni dell’oggetto e per questo opera "nell’oscurità della notte". I fenomeni incorporativi succedono in contesti familiari dove sono frequenti occultamenti e segreti. Il recupero incorporativo dell’oggetto nega l’ingiuria o la perdita sofferta eludendo un dolorosa lavoro psichico. Il lutto ed il recupero della libido posta nell’oggetto sono impossibili.

G- è un processo di inscrizione simbolica che, anche se si verifica alle spalle degli attori (nell’inconscio) si verifica alla luce del giorno, senza clandestinità.

 

Da queste precisazioni si rileva che i due meccanismi operano in modo differente. Usarli come sinonimi o non vedere che si sviluppano in piani differnti conduce a complicazioni.

Non c’è passaggio da incorporazione a introiezione così come non c’è trasformazione da identificazione narcisistica a identificazione edipica, anche se la loro elaborazione, oltre a sviluppare trasformazioni in entrambe, può facilitare nuove articolazioni.

 

Cronologicamente si può parlare di identificazioni primarie, poi di introiezione che conduce alla formazione di un oggetto interno e quindi quel processo che lo porta, per intero o per parti, a trasformarsi in identificazione secondaria che si struttura:

Questa organizzazione di tipo metapsicologico sembrerebbe sottolineare lo sviluppo dell’ IO in termini di possesso o di rapimento dell’altro come oggetto, ma pauperizza o nega le capacità di autoriconoscimento, di porre al centro dell’osservazione il soggetto come invece era in tutte le tappe anteriori dominate dalla percezione.

Sarebbe come dire che nella fase primaria, appena susseguente alla nascita, il neonato percepisce le informazioni sensoriali come derivate dal proprio sé, ma, improvvisamente, scoperta la realtà esterna, preminentemente la madre, nasce in lui il "desiderio" di possederla, di introiettarla. Questa modalità equivale a possedere l’altro da oggetto, senza quindi riconoscimento del soggetto come entità attiva.

La vocazione cannibalica dell’Io crea, evidentemente, un processo di colpevolizzazione che si confonde con le problematiche della perdita per l’oggetto distrutto perché introiettato.

Evidentemente, restando in una posizione psicodinamica dominata dall’idea della perdità e della colpa, risulta ovvio il desiderio insaziabile di possedere l’altro; completamente diverso sarebbe però il risultato se il soggetto potesse essere visto come capace di intuire una "vocazione" del sé e quindi un senso di unità del sé, espressione di un sentirsi se stessi e di potersi proiettare nel tempo.

Forse ha tradito il senso di essere, nelle fasi primitive dello sviluppo psichico, l’osservazione che ha portato a strutturare l’oralità come fattore primordiale e primitivo. Basta però pensare ad uno sviluppo non per stadi successivi, ma come circolarità (R.Lucioni,1996) per porre le cose al loro posto e tradurre uno psichismo relativamente statico in una struttura dinamica e a proiezione continua.

Queste osservazioni, riportate in precedenti lavori configurati su esperienze cliniche (R.Lucioni,1993), hanno fatto pensare a momenti anali pre-orali e, in questa visione, appaiono più chiare e, soprattutto, più consone con l’osservazione altre difinizioni basate sull’autoriconoscimento, sull’inclinazione e sulle potenzialità individuali.

L’identità risulterà espressione non di un semplice riconoscimento dell’altro e delle sue qualità (per altro sarebbe un processo altamente discriminante e quindi presupporrebbe una capacità cognitiva altamente sviluppata), ma di una elaborazione istintiva, libidica e primitiva di sentirsi "soggetto".

Possiamo qui riprendere il concetto già elaborato di "oggetto genitoriale" per iniziare un cammino a ritroso e scoprire un punto di partenza più consono alle osservazioni e di più elevata accettazione per quanto dà maggior valore all’ Io primitivo, primordiale e/o parziale.

Con la scoperta dell’oggetto genitoriale, abbiamo potuto centrare il meccanismo della sommazione, della necessità quindi di unire parti di oggetti (come appunto il seno con il fallo) per poter costituire la realtà e, in ultima analisi, dare senso al percepito.

Se seguiamo questa concettualizzazione percorrendo un cammino a ritroso, ci troviamo di fronte ad un panorama estremamente suggestivo.

Le prime esperienze percettive riportano tutto ad un sé onnipotente arcaico e primitivo che è punto di partenza di tutte le sensazioni tradotte in percezioni:

L’introiezione conduce dunque alla strutturazione di un:

ò

oggetto diadico primario

e quindi alla formazione di un

PROTO-IO

 

 

Se questo ragionamento potrebbe sembrare strano e difficile, l’osservazione clinica ci chiarisce le cose, esprimendo gli stessi processi in comportamenti comunemente presenti , per esempio, nella struttura autistica.

Questo modo di leggere dinamicamente i processi psichici primitivi, significa accettazione di un esistere proprio che si dimensiona anche come opposizione, desiderare e pensare in forma diversa.

Da questo punto di vista, esistere è anche aggressione, accettare le proprie pulsioni distruttive per poter dare libero sfogo alla propria libertà, al proprio desiderio ed alla propria intrinseca onnipotenza.

 

 

Affrontando il tema dell’identificazione primaria, risulta interessante considerare i contributi di Juan Davis Nasio (1998) sul tema della genesi dell’Io. In queste considerazioni viene dato rilievo alla tematica dell’odio che è riferito come pulsione e che, insieme al suo doppio, "l’amore", intervengono come forze che supportano e proteggono l’Io nel suo fine di affermarsi, di conservarsi e di crescere.

La nascita dell’Io è un "mito" che si struttura nelle forme più primitive dell’amore e dell’odio. Questo, come odio primordiale, precede la comparsa dell’amore; anche Freud era giunto a questa conclusione, aderendo ad una tesi di Stekel, riferendolo al "rifiuto originario che l’Io narcisista oppone al mondo esterno".

Le forze pulsionali dell’amore e dell’odio hanno tre obiettivi:

  1. Evitare la sofferenza che è dovuta alla tensione interna. È funzione dell’odio primordiale e significa rifiuto di tutto ciò che –cosa o persona- è un grado di accentuare la tensione e che dà una sensazione di piacere nel rifiutarlo con un "No"! In questa dimensione si contrappone all’amore che invece è una espressione di apertura e di espansione dell’Io.

La differenza tra oggetto d’amore e oggetto di odio sta nel fatto che il primo è gratificante e assimilabile nell’Io, quindi, è omogeneo; il secondo, al contrario, è fondamentalmente nocivo, minaccioso per la sopravvivenza dell’Io, inconciliabile, dissonante con le altre componenti ioiche e, quindi, eterogeneo.

"L’oggetto d’amore diventa parte dell’Io; l’oggetto di odio resta somigliante all’Io, ma sempre estraneo". Questa osservazione di J.D. Nasio risulta alquanto incongrua dal momento che l’odio era stato descritto come primitivo e difensore delle istanze dell’Io capaci di farlo sentire se stesso.

Cercando di amalgamare e giustificare il processo di formazione dell’Io, partendo dalle pulsioni dell’odio e dell’amore, Nasio riporta che l’Io (primitivo) è capace di trovare in se stesso la soddisfazione delle proprie necessità. In questa prima tappa dello sviluppo, l’Io, egocentrico e narcisista, è indifferente verso il mondo che lo circonda e lo svolgersi sensitivo-percettivo conduce a diverse tappe successive:

a cui farà seguito una tappa caratterizzata da

In qualche modo, questo procedere per fasi successive conduce allo stesso problema riscontrato per quanto si riferisce alle fasi orale-anale-genitale e deve essere visto come sviluppo circolare per non cadere in uno schematismo rigido e pauperizzante. Per altro lato, la messa in evidenza di un primitivo atteggiamento aggressivo e tanatico presuppone la possibilità di far nascere la colpevolezza che, in ultima analisi, è una colpa esistenziale, cioè sostenuta dal fatto stesso di esistere in contrapposizione all’Altro: colpa di essere se stessi.

Questa ossevazione porterebbe a giustificare l’asserzione che è l’odio e non l’amore a dare un fondamento alla morale.

  1. Cercare il piacere che scioglie le tensioni. In questa seconda fase della sua genesi mitica, l’Io, spinto dalle ineludibili necessità vitali, deve aprirsi al mondo esteriore e, nel bisogno di trovare il proprio piacere, incorpora oggetti buoni, rifiutando quindi i poco utili ed espellendo quelli che gli provocano dispiacere.
  2. In questa seconda fase l’Io si divide in due parti ben definite: la prima, fonte di piacere che sarà incorporata, quindi amata e distrutta; l’altra odiata e rifiutata perché inammissibile ed estranea. Si tratta della fase in cui, secondo Freud, l’Io si trova nella situazione di "puro piacere purificato".

  3. Preservare l’integrità dell’Io. La terza fase dello sviluppo mitico è caratterizzata da un ambiente esterno prevalemtemente inammissibile ed ostile, che si presenta come sfida, come territorio che deve essere conquistato. La spinta alla ricerca della autonomia è chiamata da Freud "pulsione di dominio". Il fine è quello di apprendere il mondo esterno per conoscerlo, sottometterlo e modificarlo. Il questa fase l’amore si dimostra con un carattere seduttore, messo in gioco per dominare e circuire l’oggetto; l’odio è invece rappresentato dall’obiettivo tirannico di sottomettere l’altro e togliergli l’individualità.

Il mito dello sviluppo dell’Io si compie quindi nelle seguenti tappe:

In queste tre fasi J.D.Nasio struttura e riassume il cammino dell’odio nell’evoluzione mitica dell’Io verso il quale Tanatos funge da forza protettrice e capace di condurre e di guidare.

La visione di J.D.Nasio, seppure interessante per il dinamismo psichico che mette in gioco, presuppone un Io primordiale (anche se rudimentale) precostituito e capace di discriminare gli oggetti attraverso il riconoscimento delle proprie reazioni (piacere, dispiacere).

Sembrerebbe poi esagerato lo strutturarsi di un Io sulla base di valenze di odio che, nel caso per es. dei bambini autistici, presupporrebbe l’esistenza primitiva di un Io-perverso, incapace di scegliere le pulsioni d’amore (a meno che sia la madre quella incapace di concedere la benché minima soddisfazione).

Un Io pre-definito si riferisce sempre ad una "struttura" che poi viene affinata, per così dire, dalle varie funzioni; ben diverso è il meccanismo funzionale della strutturazione ioica. L’ Io-funzionale sembra molto più consono con le attuali scelte metapsicologiche e con quel processo dialettico tra l’Io che si sta costituendo attraverso l’incorporazione di parti e le parti stesse.

Le nostre osservazioni sulla formazione di un oggetto diadico primario, espressione di un Proto-Io sembra però particolarmente interessante dal momento che nella sua composizione unisce:

  1. da un lato un elemento primitivo individuato come Sé-onnipotente-percepito strutturato su elementi biologico-sensoriali che hanno in sé delle caratteristiche funzionali che lo rendono:

quindi proprie scelte;

prima vissuto come parte di sé e poi incorporato.

Questo elemento primordiale racchiude in sé quelle pulsioni che inducono al cambiamento, all’adeguamento e al desiderio di introiettare l’oggetto scoperto, ma anche di rifiutarlo e di espellerlo.

Questa pulsione non è divisibile in odio e amore, ma è assimilabile ad una capacità reattiva, una funzionalità caratterizzata da elementi di attrazione e altri di repulsione, percepiti ed agiti dal Sé primordiale che si evidenzia come autoriferito, egocentrico, onnipotente, narcisista, carico di un enorme energia che è istintiva e libidica.

  1. per altro lato, il secondo elemento della diade primaria racchiude in sé quegli

elementi funzionali che caratterizzano dinamiche gratificanti, soddisfacenti,

tranquillizzanti; il seno onnipotente introiettato, vissuto come:

 

Questo elemento primitivo diventa un vero e proprio "oggetto d’amore" che, incorporato o introiettato, rende significativa e determinante la funzione aggregante messa in atto per costituire il Proto-Io che sarà modello di ogni altra presa di coscienza della realtà.

 

 

 

IDENTIFICAZIONE

L’identificazione é sinonimo di auto-identificazione e ha in sé qualcosa di sconcertante e di emblematico dal momento che, volendo individuare, cioè estrapolare, scegliere, isolare e, comunque, differenziare da un complesso mondo esterno che racchiude in sé gli elementi strutturanti, si trova nella necessità di agire funzioni che, al contrario, si fondano sull’unione, sul mettere dentro, inglobare, incorporare, introiettare.

Forse questo disordine etimologico-interpretativo deriva dall’inconscio bisogno di riconoscersi come depositari del razionale, delle capacità interpretativo-analitiche che permettono di discernere la realtà e di creare la verità.

Ponendoci come modello per quel "povero" progetto primitivo di Io, inconsciamente siamo portati a porre tutto il meglio nell’oggetto (desiderato, bramato e interiorizzato) in detrimento del soggetto (l’Io primitivo pauperizzato e coperto anzi dalla colpa per le sue "tendenze libidico-pseudopodiche", orali ed introiettive).

Analizzando però più da vicino i processi psichici primitivi con il fine di chiarire il tema dell’identificazione, scopriamo che questa può essere definita come funzione dell’Io primitivo capace di condurlo ad un auto-riconoscimento.

Questo processo che risulta indubbiamente complesso ed anche contradittorio prevede:

  1. la coscienza delle proprietà individuali di ricevere ed emettere segnali, di riconoscere le proprie e le altrui capacità e potenzialità, di agire e sopportare l’agire degli altri;
  2. lo sviluppo di funzioni proto-sociali di modello affettivo capaci di fare riconoscere il "valore" del sé e dell’altro in tal maniera che si possa prevedere da una parte l’autoriconoscimento, contrapposto alla scoperta dell’altro che, seppure incorporato, possa essere ripristinato fuori di sé e riconosciuto come "oggetto d’amore";
  3. l’utilizzo di una notevole energia psichica estratta dall’ambito libidico-istintivo;
  4. l’importanza di un interscambio ricco, chiaro, fruibile e sincero tra neonato e madre che, posti come due elementi primordiali, devono porsi nella dinamica della scoperta e della valorizzazione reciproche.

Se la madre non può assumere le valenze individuali, personali ed anche autonome del neonato, probabilmente riuscirà a non far crescere quello psichismo primordiale che, al contrario, dovrà tradursi in un Io integrato ed in una personalità adeguata.

L’identificazione dunque presuppone un lungo e complesso gioco di equilibri tra l’io-primitivo del bambino e l’altro-madre. Questa deve essere capace di rispettare i bisogni del neonato che, dalla sua dimensione in-difesa e di fragilità, si consegna a lei per essere non solo scoperto, ma rispettato e valorizzato.

Questo processo di sviluppo non parte solo dal riconoscimento di una "esperienza positiva dell’oggetto" (la madre attenta che prende cura) e da un vissuto affettivo piacevole e positivo (piacere e sazietà nell’assunzione del cibo), ma anche da una rappresentazione mentale dell’oggetto e del soggetto riuniti in una esperienza relazionale nella quale si esprimono pulsioni prima che sentimenti, istinti prima di costrutti psico-mentali.

In questa dinamica il neonato riacquista le proprie valenze, i propri attributi, i propri valori ed i propri diritti; ed è proprio in questo sovvertimento di responsabilità e di priorità e di dinamiche che emerge il vero senso dell’identificazione e dell’autoidentificazione non solo del Sé-primitivo-percepito, ma anche del seno-onnipotente-introiettato, dell’oggetto diadico primario che poi altro non sono che la madre con il suo adoratissimo bebé.

 

 

Sigmund Freud: Opere 1886/1905

Opere 1905/1921

Newton Compton editori srl,1992.

Carlos Mario Aslam: "Acerca de las identificaciones primarias estructurantes"

Zona Erogena n.38, agosto 1998, (33-35)-Buenos Aires.

Victor Korman: "Clinica de la identificaciòn primaria"

Zona Erogena n.38, agosto 1998, (30-32)-Buenos Aires.

Juan David Nasio: "El concepto de odio"

Actualidades Psicologicas n.245, agosto 1997,(2-5)-Buenos Aires

Romeo Lucioni: "Le relazioni oggettuali primitive che contribuiscono alla

formazione della figura genitoriale ed alla integrazione dell’IO"

Osservatorio delle Questioni Socioculturali ed Ecologiche, n.1,

Maggio 1993, (2-24).

Romeo Lucioni: "Sviluppo della personalità su basi cognitive"

Qualità Culturale, dicembre 1994, (15-34).

Romeo Lucioni: "Intelligenza razionale ed intelligenza affettiva"

Qualità Culturale, aprile 1996, (3-17).

Romeo Lucioni: "Autismo come alterazione dello sviluppo primordiale dell’IO"

Qualità Culturale, luglio 1996, (15-23).


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