AUTISMO ipercinetico

Romeo Lucioni e Francesca Gobbi

 

Abbiamo bisogno di limiti ben definiti …

proprio in quei momenti un "laisser fair"

può far perdere l’occasione di fornire

un sentimento di sicurezza.

(J. Klein,1987)

 

Il tema dell’autismo non si differenzia da quello delle psicosi infantili, proprio perché le diverse classificazioni proposte per mettere ordine a questi quadri psicopatologici non sono state in grado di chiarire il problema.

Il DSM IV, per esempio, con la sua propensione descrittiva dei disturbi dell’infanzia, pur risultando di grande utilità pratica, non ha potuto sostituire inquadrature diagnostiche più strutturali, dinamiche ed evolutive che non possono essere escluse, ma anzi spesso risultano necessarie per chiarire particolari quadri che, per altro, non sono per nulla secondari.

Sicuramente, l’autismo ipercinetico (di cui vogliamo parlare nel presente lavoro) risulta, in questo disordine classificatorio, di difficile ubicazione nosologica, a tal punto che per il DSM IV addirittura non farebbe parte del capitolo dell’autismo (F84.0 Disturbo autistico 299.00) essendo stato identificato come ATTENTION DEFICIT HYPERACTIVITY DISORDER (ADD/ADHD-F90.0; 314.00).

L’ I.C.D. 10 propone, nell’ambito specifico, l’autismo ipercinetico, ma abbiamo l’impressione che lo stesso non venga chiaramente identificato come vero e propro disturbo, perché indicato come F84.4- overactiv disorder associated with mental retardation and streotyped movements (l’ F84.0 è il "Childhood autism" - cioè l’autismo autistico).

Se questi schemi classificatori complicano il problema, invece di risolverlo, certamente non lo fanno neppure altre schematizzazioni; se consideriamo l’importante contributo di H.N. Massie e J. Rosenthal (1089) ci troviamo nuovamente con la riscoperta di una classificazione delle Psicosi della Fanciullezza, tra le quali risultano (come per altro fa anche la Mahler):

Se analizziamo i casi clinici riportati da questi Autori, scopriamo però che uno di essi si caratterizza per:

Caso 5 – Robert : autismo

Segni iniziali della malattia:

Continuando la loro ricerca, gli Autori riportano testualmente: "In un livello descrittivo, si sono messi in evidenza tre momenti dello sviluppo intellettivo dei bambini prepsicotici:

  1. fissazione primitiva nei livelli più primitivi dello sviluppo
  2. detenimento: lo sviluppo é fermo allo stadio di intelligenza
  3. sensomotoria

  4. sviluppo lento: raggiungimento di un livello normale, ma in tempi

lunghi

per i quali viene sottolineato il valore euristico per la stesura di ipotesi di ricerche future.

A= i bambini di questo gruppo, per lo più autistici, danno l’impressione qualitativa di essere situati in un vuoto, nel quale sono inutili le mani, deficiente il linguaggio e frammentati gli affetti.

B= in questi casi si evidenziano autoerotismi, bilanciamenti, stereotipie manuali; questi "…bambini autistici" potrebbero essere considerati come bloccati nella 2° tappa dello sviluppo, perché sono "… esclusivamente centrati sul corpo".

Commentando queste osservazioni Massi e Rosenthal dicono "… si ha la netta impressione che alcuni bambini permangano in un mondo senza oggetti (A) nel quale vedono apparire e sparire immagini che sono conseguenza di attività proprie (non esisterebbe il concetto di oggetto separato dal soggetto)"; se invece si stabilisce un certo sviluppo (B) "… è possibile che i soggetti ottengano permanenza, sustanzialità e identità degli oggetti senza una vera e propria funzionalità (psichica)". Si potrebbe dire che "… il corpo del bambino diventa un oggetto per sé, in un mondo di altri oggetti che, a loro volta, avrebbero un’esistenza indipendente dalla percezione immediata del bambino".

Il tema posto delle fasi dello sviluppo psichico si riferisce al lavoro della Mahler (et Al,1975) che postula 4 sottofasi caratteristiche dell’evoluzione del processo di separazione-individuazione:

  1. differenziazione
  2. esercitazione
  3. riavvicinamento
  4. sviluppo della costanza libidinale dell’oggetto.

I bambini fissati nella fase 2 vengono definiti dalla Mahler come:

"… bambini camminatori, che appaiono ebbri delle loro proprie facoltà e dalla grandezza del loro mondo".

A nostro modo di vedere il disturbo ipercinetico può essere decisamente incluso nell’area dell’autismo perché presenta le stesse caratteristiche sindromiche:

tratte dalle indicazioni dei diversi schemi diagnostici: DSM IV; ICD 10; Creak; schema elaborato dai famigliari; o riportati da altri Autori (Lucioni, 2000).

Nell’autismo ipercinetico, tuttavia, ai sintomi segnalati vanno aggiunti quelli riferiti alla motricità che rendono il quadro del tutto particolare e caratterizzato da:

L’ipercinesia è un sintomo complesso e, sino ad oggi, poco descritto o, forse, anche poco studiato nelle sue più intime componenti fenomenologiche e psicopatologiche.

Il bambino ipercinetico è, prima di tutto, un soggetto estremamente disturbante, dal momento che le sue corse irrefrenabili turbano tutto l’ambiente dove si trova inserito e, soprattutto, la scuola.

L’ipercinetico "corre" in ogni angolo, visita tutte le aule scolastiche, assolutamente indifferente ai richiami, alle punizioni e alle contrattazioni gratificanti; sembra quasi che il suo scopo sia quello di non lasciare posto agli altri, di essere spinto a occupare, con la sua disturbante presenza, ogni spazio.

Nel suo andirivieni, spesso è attratto da qualche oggetto che subito viene utilizzato per creare "giochi" che dimostrano un ampio gradiente immaginativo.

Difficilmente permette che qualche altra persona (amici, compagni) partecipi ai suoi giochi mentre, al contrario, si intromette nelle attività degli altri, abbandonandole, però, quasi subito.

Quando i famigliari gli lasciano il posto, entra nell’azione, abbandonandola quasi subito per riprendere le sue corse che spesso si snodano nelle vicinanze del "gruppo", giocando così un ruolo di attrazione che risulta sempre capace di sciogliere l’adesività degli altri.

La motricità del piccolo paziente è corretta, per quanto riguarda il correre e/o il muoversi a lui abituale (saltare, gettarsi, rotolarsi), ma quando viene posto in condizioni di fare qualche altro esercizio, l’ipercinetico dimostra grossi limiti nella coordinazione complessa: per lui, per es., risulta difficile calciare correttamente una palla.

Queste limitazioni provocano vere crisi di frustrazione con pianti che finiscono sempre quando il soggetto si allontana e non partecipa più al gioco. Ciò dimostra una notevole fragilità dell’ Io, che risulta incapace di contenere le frustrazioni, così come di non poter arginare, anche per poco tempo, le aspettative libidiche.

Il "piacere" che l’ipercinetico dimostra nello svolgere le sue "azioni" si dimostra più complesso che il semplice eseguire il movimento, perché mette in evidenza anche un profondo "desiderio" di essere osservato. Questo modello narcisistico si evidenzia anche con "pagliacciate e chiassate" (segni di debolezza dell’ Io – vedi Lucioni, 2000) che fanno scattare anche vere e proprie "mis en scene" più o meno strutturate che comportano sempre lanci di oggetti, movimenti stereotipi della bocca ed espressioni mimiche grottesche.

Tutte queste attività vengono stimolate (e quinidi accentuate) quando i genitori e/o gli insegnanti cominciani qualche altra attività (come per esempio andare a fare la spesa o andare a far visita a qualche amico o parente) così che l’ipercinesia si trasforma in una vera e propria persecuzione ed un’esperienza veramente insopportabile.

Le crisi di opposizione e di protesta violenta che giungono a distruttività e ad autolesionismo si trasformano sempre in un grave motivo di inadattabilità sociale e di rifiuto da parte dei vicini di casa, degli insegnanti e dei compagni di scuola ed anche dei terapeuti, così che il piccolo ipercinatico diventa inesorabilmente un emarginato (anche con la sua famiglia).

Di questa sindrome vengono riconosciuti tre sottotipi:

  1. con iperattività e impulsività;
  2. con problematiche attentive : disattenzione –passività
  3. : persistenza-distraibilità

  4. misto o combinato.

1 – La sintomatologia iperattiva si combina spesso con comportamenti che hanno anche fatto pensare ad un quadro differenziato come disturbo oppositivo-provocatorio (Sutterfield et al.,1997; Taylor et al.,1996).

2 – Questi bambini, osservati in ambito scolastico, possono essere ancora suddivisi in due sottogruppi (disattenzione-passività; persistenza-distraibilità).

La loro distraibilità si riferisce soprattutto alle difficoltà nella selezione e focalizzazione dell’attenzione, oltre che nella rievocazione ed elaborazione dell’informazione (Berkley et al.,1990).

3 – Questi soggetti risultano quasi ossessivi nelle svolgimento dei compiti, presentando anche inibizione di componenti dell’informazione meno rilevanti e inadeguata elaborazione della memoria lavoro (Barkley,1997).

Gli ipercinetici dimostrano un disturbo del ruolo della mediazione verbale (Lurija,1951; Vygotski,1962) per cui non prestano opportuna attenzione alle istruzioni dei genitori; i comandi non vengono interiorizzati e fatti propri, così il soggetto non riesce più a sviluppare la necessaria "autoregolazione" del comportamento.

È interessante sottolineare che Hector R. Biaggi (1996) riferisce come il Disturbo da Deficit di Attenzione, con o senza iperattività; è "…una delle più comuni condizioni psichiatriche dell’infanzia"; é uno dei disturbi più importanti, dato che rappresenta, negli Stati Uniti, il 50% dei casi psichiatrici di bambini e adolescenti".

Sottolineiamo anche che non tutti questi casi devono essere ascritti come psicotici, dal momento che è enorme la variabilità che copre i casi gravi, da un lato, sino alla quasi normalità, dall’altra.

L’ipercinesia resta comunque una costante sfida per gli psichiatri anche perché il 60-70% dei casi continuano a presentare la sintomatologia anche raggiunta l’età adulta; così che la sindrome si trasforma in un enorme problema sociale, anche per il costo economico, lo stress delle famiglie, i conflitti nella scuola e le difficoltà negli ambienti di lavoro.

 

 

 

L’IO e gli OGGETTI

È indubbio che la funzione psichica che ci siamo abituati a chiamare Io si vada strutturando sull’esperienza che è, prima di tutto, sensoriale (cenestesica, propriocettiva, enterocettiva) poi, su quella sensitiva (acustica, visiva, geusica, olfattiva, tattile e dell’equilibrio); bisogna riconoscere, però, che altre esperienze vengono a determinare la struttura del Sé e sono quelle che legano il soggetto a se stesso (senso di essere, di esistere, di vivere nel tempo, di essere immodificabile come struttura anche se cambiante per molti aspetti legati al tempo, alla stagione, alle circostanze, ai vissuti, alle malattie) e agli altri.

Tutte queste esperienze sono determinate dalle nostre relazioni con l’universo e/o con il mondo in cui viviamo e rispondono a due grandi classi di entità: le persone e le cose.

Le prime sono "soggetti" che agiscono, riflettono, si adattano e fanno adattare; sono capaci di sensibilità, di affetti, di pensiero, di volontà; hanno una vita interiore (psico-mentale) che li rende possessori di una biografia e di una storia, di un passato, un presente ed un futuro che rendono il tempo circolare in quanto il passato influenza il futuro che, a sua volta, fa capire il passato.

Le seconde, si scrivono come oggetti che occupano concretamente uno spazio e una posizione nel tempo; che hanno una dimensione fisica e concreta per la quale partecipano ad una trama causale.

Le persone e gli oggetti riempiono e condizionano i vissuti dell’Io, convergono a porre le radici della visione che il soggetto ha della realtà e, di conseguenza, entrano nella struttura stessa della personalità che, quindi, rispecchia i desideri, le pulsioni, il senso di realtà, i valori ideali del Sé, degli Altri e del Mondo.

Questa visione ci permette di superare quella fantomatica frattura tra concreto e trascendente, tra corpo e anima, tra reale e sociale, proprio perché, proponendo una indissolubilità tra organismo-cervello-mente, ci porta ad accettare quella teoria neo-husserliana dell’intero e delle parti per la quale una persona, il soggetto, trascende le parti pur non perdendo l’importanza di ognuna di esse.

In questo modo il corpo e la mente non si distinguono, ma, individualizzandosi, portano ad idealizzare il senso del soggetto, dell’individuo e della persona.

In questo versante euristico globalizzante, riscopriamo il valore dell’Io capace di integrare un Io-corpo ed un Io-mente e che, di conseguenza, ci permettere anche di leggere l' Io non solo partendo dalla mente, ma anhe prendendo le mosse dal corpo.

Questa lettura appare alquanto rivoluzionaria proprio perché da sempre il pensiero e la filosofia occidentali hanno privilegiato decisamente tutto ciò che è mente e pensiero, anche quando si é cercato di dare un certo valore al corpo che però é sempre restato subordinato, se non fosse altro come meccanismo funzionante in modo riflesso.

Quando Freud parla di sviluppo primitivo, formula il concetto di "Io di piacere purificato" nel quale anche le parti libidiche, istintive ed automatiche acquistano un valore che, in qualche modo, si collegano ad una percezione discriminata e, quindi, pensata e mentalizzata.

Nell’ambito dell’ipercinesia si osserva una frattura tra le funzioni psicomentali riferite al corpo (che vengono sovradimensionate) e quelle riferite ai meccanismi psichici che, per lo più, risultano annichilite.

In questi bambini non si stabiliscono valide e significative relazioni tra i vissuti corporali e l’organizzazione della prassia e della gnosia; per loro risulta difficile usare il corpo come oggetto della relazione e come soggetto nell’ambito delle rappresentazioni spaziali e temporali.

Per loro l’attività motoria si esaurisce su se stessi, non lasciano spazio all’evoluzione, alla crescita, alla rappresentazione ed alla comunicazione.

L’ipercinesia ha il significato di uno stereotipo che si ripete instancabilmente, agendo da autostimolazione; una erotizzazione che impedisce di "ascoltare" il mondo esteriore.

Anche il tono muscolare è una maniera arcaica di comunicare, sebbene rappresenti una perdita di modulazione e di relazione; questi bambini non usano il corpo in modo globale, non possono godere del piacere dei movimenti finalistici: il piacere sensomotorio crea unione tra sensazioni corporali e stato tonico emotivo che permette lo stabilirsi della globalità. Si stabilisce una frattura tra corpo reale (mobilità, immobilità, rigidità, dolore) e corpo immaginario che comprende sogni, giochi, fantasie, espressioni affettive.

Questi valori permettono di trasformare i movimenti in dinamica creativa, capacità di stabilire vincoli tra psiche e soma, tra immaginario e reale, tra presenza e assenza, tra spazio e tempo, tra contenuto e continente: il corpo come luogo di rivelazione e di rivoluzione.

Si è potuto dimostrare che il feto, a partire dall’ottavo mese, si muove con gesti che sembrano intenzionali, quasi esprimendo un piacere di funzionare e questa percezione di "sentirsi capace di funzionare come corpo" resta una base psico-mentale sulla quale si struttura un "senso di essere" ed una autovalorizzazione.

Se teniamo conto di queste considerazioni, possiamo pensare che nello sviluppo del bambino, inteso in senso globale, si osservano due meccanismi in sé concomitanti, ma che possono anche svilupparsi e crescere in modo disarmonico.

Il bambino ipercinetico potrebbe allora essere preso come modello e paradigma per spiegare cosa succede quando si instaura un vuoto psichico e, parallelamente, si iperdimensiona la funzione motoria.

Il vuoto psichico obbliga a spostare il processo di identificazione sul corpo, poiché spesso la madre dimostra incontinenza emotiva, iperattività e ipercinesia, con una spiccata partecipazione corporale. Con il suo comportamento l’ipercinetico sembra affermare "… io faccio ciò che voglio!", posizione che non permette nessun processo di difesa, sia perché sottolinea il porsi contro tutti perché presuppone come risultato la solitudine.

Questi bambini, infatti, dimostrano una ansia di mettersi in contatto con gli altri, che spesso cercano con insistenza, ma la loro ipercinesia ottiene solamente rifiuto, fughe precipitose e, quindi, il restare sempre soli.

Il vuoto psichico ci parla di assenze e, tra queste, quella della "identificazione primaria" che si sviluppa su due linee: quella della matrice affettiva (sociale) e quella della traccia mnestica.

Ricordiamo che identificazione primaria, registro senso-motorio e cenestesico, tracce mnestiche partecipano nella configurazione di ciò che Freud ha chiamato (Inibizione, sintomo, angoscia) "vincolo madre-figlio" che struttura matrice post-natale capace di stabilire quella armonica distanza tra madre e figlio che permette di superare l’adesività.

L’adesività, che riguarda il tema dell’incesto, è sinonimo di vuoto psichico e, nella loro correlazione, di violenza e di morte, l’adesività e la conseguente indeterminazione si coniugano con il desiderio che l’altro rimanga immobile, paralizzato, come "posseduto"; dominato nello psichico che equivale a violenza e morte perché una rappresentazione è di per sé un senso di vitalità e di vita.

Nel caso di R., la madre, nella sua generosità per difenderlo dalla frustrazione di essere rifiutato dai nonni, lo riempie di attenzioni fisiche, di carezze, di parole, di … far sentire il suo corpo imponente, possente, accogliente e fortemente difensivo.

In questo modo, l’assenza del padre (annichilito ed estraniato e, a volte, colpevolizzato) non permette il contenimento della madre che, a sua volta, inibisce processi di rappresentazione delle "figure" così che tutto si esaurisce nella concretezza del corpo, della relazione fisica. Trovare l’indipendenza o anche solo qualcosa che permetta un’autoidentificazione ed una autovalorizzazione passa per la via del corpo: l’ Io, privato di mente, si struttura nel corpo, si identifica nel corpo, nel "… dare le gambe" (come dice G. Andreis).

L’onnipotenza della madre per salvare il figlio genera la struttura, non una identificazione di rappresentazione, ma di corpo e questa, a sua volta, una onnipotenza per:

Lo svuotamento della rappresentazione e la perdita della mentalizzazione costringe a centralizzare il desiderio.

Per capire la malattia o la sindrome ipercinetica è necessario sviscerare le meccaniche del desiderio e del piacere che si leggono nel comportamento che le mette in luce e che permette di identificarle per usarle nella strutturazione dell’intervento terapeutico che, così, si toglie dall’astrattezza della teoria per interagire pragmaticamente con l’esperienza drammatica della disabilità; infatti:

L’equilibrio che si instaura nella dinamica che lega piacere e desiderio sin dalla nascita risulta l’elemento portante della strutturazione dell’Io e della personalità, ma pur donando "grande opportunità" o essendo "motore che apporta energia vitale", può disorganizzarsi e trasformarsi in disturbo e causa di grave alterazione dello sviluppo psico-mentale e di decisioni inspiegabili o addirittura assurde per quanto spesso vengono prese contro il proprio beneficio e anche contro la volontà.

Ma il piacere si rivela come piacere negativo perché funge da sedativo, parziale e fantastico, di un disagio e di un "male di vivere"; costituisce un isolamento dagli altri che, seppure vissuti come persecutori, sono anche visti come modelli superiori ed irraggiungibili; non seda l’odio, la rabbia, la frustrazione e l’impossibilità di darsi pace attraverso l’identificazioneo l’autovalorizzazione; il "lavoro" per procurarsi piacere risulta frenetico, inesauribile e "a tempo pieno": l’inesauribilità del desiderio obbliga ad un continuo sforzo di procurarsi piacere.

L’Io, svuotato di rappresentazione, si concretizza come corpo svuotato di comunicazione e pieno do piacere.

Il movimento anestetizza il desiderio producendo piacere così come:

Si passa dalla schiavitù del corpo alla schiavitù del desiderio che solo può essere esaurito dal movimento, dall’eccitazione, dalla rappresentazione della propria onnipotenza attraverso l’isolamento e la teatralizzazione.

Le difficoltà di auto-identificazione derivano dalle difficoltà di identificarsi con gli altri ed anzi, i processi auto-identificatori fantasmatici derivano dall’appropriarsi del "campo dell’altro" (il furto) che, visssuto come persecutorio, viene sottomesso, assoggettato alla propria auto-identificazione onnipotente.

 

Il bambino ipercinetico può risultare bloccato nel suo sviluppo psico-mentale a livello del narcisismo primario che trova la sua concretizzazione nell’identificazione con l’Altro e la conseguente libidinizzazione del proprio corpo ("stadio dello specchio" di Lacan) che non viene più vissuto come frammentato.

L’identificazione corporale con l’Altro è quindi un processo delicato ed importante che permette non solo di liberarsi di un corpo frammentato (che genera angosce), ma anche di eliminare sentimenti di impotenza nell’uso del corpo, oltre che di sensazioni di disagio, di dolore e di disarmonia; apre il cammino allo sviluppo mentale ed al senso di buon funzionamento psico-mentale, all’autoidentificazione ed all’autovalorizzazione.

La problematica narcisistica non è centrata sull’identità sessuale, ma sull’identità soggettiva; le sue difese tendono a mantenere una omeostasi che, se frantumata, può essere vissuta come minaccia per l’ Io stesso e per la stessa sopravvivenza fisica.

Come dice Jorge Mc Dougall, Narciso disimpegna un ruolo più importante dell’ Edipo, perché si relaziona con le parti più profonde dello psichismo; i conflitti sono più dolorosi e più disorganizzanti.

Se però prendiamo le osservazioni di Alicia Artal (Acheronta, n°3 maggio 1996), quando analizziamo le tematiche dell’ipercinesia riconosciamo lo "stadio dei due specchi". Possiamo infatti immaginare che quando la madre si posiziona troppo adesivamente, con uno spazio interpersonale troppo esiguo, si può verificare ciò che succede con lo specchio della madre di Narciso, Lirìope. L’effetto ottico è quello che si ottiene con due specchi fronteggiati; si forma una quantità infinita di oggetti virtuali che riempiono un infinito spazio virtuale.

In questo modo il bambino non riesce più a strutturare una identificazione e si mantiene in uno stato di indefinizione. La rappresentazione identificatoria si esaurisce in una fusione indissolubile per la quale gli oggetti non esistono più, in quanto si trasformano in semplici supporti per l’ Io: al libidinarli, l’ Io si libidinizza.

In questa dinamica si perde il senso della mancanza e quindi si contiene l’angoscia, anche se l’indiscriminazione rende intollerabile la differenza ed inoltre, come dice David (1991) "le relazioni oggettuali … non passono per il sessuale, ma per l’identico": gli oggetti non sono oggetti, ma specchi che rimandano la libido all’ Io.

La difesa tende a salvaguardare l’omeostasi narcisistica che, anche se precaria, è l’unica che l’ Io può strutturare; per questi motivi, non entra in gioco la sessualità e il soggetto non riesce ad uscire dalle proiezioni virtuali degli specchi senza il timore di perdere la propria esistenza e di disintegrarsi.

L’indiscriminazione del corpo, per mancanza di limiti e per i meccanismi del desiderio e del piacere messi in atto, conduce anche ad un particolare stato di Io di piacere purificato che, fondato sui vissuti corporali, fa vivere come buono ciò che è proprio, mentre è cattivo tutto ciò che è dell’ Altro.

La strategia difensiva può essere così riassunta: l’ Io si scosta da una posizione centrale che è occupata dagli oggetti desiderati e sovrainvestiti; l’ Io diventa soggetto e oggetto nello stesso tempo, o, per meglio dire, l’oggetto di se stesso.

L’esibizionismo è auto-esibizionismo e auto-contemplazione per la quale l’ Io si traforma in suo proprio specchio, riconoscendosi come entità.

 

Nell’ipercinesia c’è una fuga che equivale a portar via; questo nasconde un desiderio di essere portato via, essere nascosto per appartenere a qualcun altro, all’altro dal quale il soggetto teme di essere separato.

Il non partecipare ed il non far partecipare non hanno altro significato che quello di appartenere all’Altro, voler appartenere all’Altro; la richiesta è che l’Altro si appropri di lui, lo porti via, lo nasconda, lo isoli.

Quando R., in piedi sul tavolo, con un oggetto in mano, drammatizza il succhiare, lo stralunare gli occhi, l’estraniarsi e, poi, getta ciò che ha in mano, è perché vuole simbolizzare la sua rinuncia alle cose (l’oggetto lanciato a qualcun altro), per restare nel suo mondo, con il "suo oggetto oralizzato", inghiottito, introiettato.

Il Sé è diventato il ricettacolo dell’Altro non più perduto perché fatto proprio; è la tomba dove nascondere eternamente la memoria dell’Altro; è lo scrigno inviolabile nel quale ha simbolizzato l’appropriarsi, l’aver fatto mio che è il sogno, il desiderio di essere lui stesso l’oggetto fatto mio dalla madre che teme perdere (l’appropriarsi di qualcosa equivale all’appropriarsi di qualcuno); nel correre, nella fuga, nel non essere raggiunto è ancora una volta togliere all’altro persecutorio, il portar via, il portarsi via, il rubare ed il rubarsi.

La gelosia dell’ipercinetico nei confronti della madre non è edipica, ma narcisistica, proprio perché l’oggetto è impossibile da sostituire. Quando R. non vuole scambiare i propri oggetti (palle, birilli, cuscini, ecc.) in realtà simbolizza l’impossibilità di sostituire il proprio oggetto interno; tenterà sempre di "rubare" quello dell’altro, appunto perché è irrimpiazzabile per l’Altro.

Nella dottrina psicoanalitica, la sostituzione e l’interscambio hanno il significato di "fallo" ed è proprio il potere fallico della madre che R. porta via, aliena, separa come è lui alienato e separato, ma onnipotente.

È il corpo che diventa scrigno del fallo ed è il corpo che diventa Io-onnipotente; è del corpo che l’ipercinetico si appropria, lo fa suo, per nascondere in esso il Sé e l’Altro, infinitamente riprodotti nella dinamica del doppio-specchio, nell’enigmatico, nella misteriosa oggettualità dell’oggetto che risulta il prodotto di una simbiosi inesauribile.

 



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