LA TERAPIA FARMACOLOGICA
DEL DISTURBO AUTISTICO
CARLO LENTI
L'autismo è probabilmente un disturbo neurobiologico eziologicamente eterogeneo in cui sono indispensabili diversi approcci terapeutici. Attualmente gli interventi più utilizzati sono di tipo psicoterapico e psicoeducativo. Ciò nonostante, la terapia farmacologica in associazione all'intervento psicosociale ha un ruolo importante che va definito con precisione in rapporto alle caratteristiche psicopatologiche, comportamentali e di età del singolo paziente.
Si possono identificare a questo proposito alcuni principali sintomi bersaglio che costituiscono un limite ad altri tipi di intervento, come I'iperattività, le crisi di rabbia e di angoscia, l'aggressività auto ed eterodiretta, le stereotipie e i deficit attentivi. Un'altra categoria di sintomi "negativi", la cui correzione è importante per un adeguato approccio psicosociale, si riferisce all'isolamento e al ritiro.
I sintomi -bersaglio possono essere diversi nelle diverse età: se nei bambini più piccoli prevalgono I'iperattività, l'irritabilità e i cambiamenti di umore, nel bambino più grande possono essere più evidenti l'auto e I'etero-aggressività.
Nell'adolescente e nel giovane adulto, specie a più elevato funzionamento, può comparire una sintomatologia depressiva od ossessivo-compulsiva.
Prima di discutere in dettaglio le diverse sostanze psicoattive utilizzate nella cura dell'autismo, occorre sottolineare le difficoltà di ordine metodologico correlate alla sperimentazione in questa patologia.
Infatti la grande eterogeneità dei pazienti, verosimilmente correlata all'eterogeneità eziopatogenetica ed alla multifattorialità, rende problematiche anche molte sperimentazioni controllate fatte su campioni sufficientemente grandi e in doppio cieco.
Analoga incertezza si riflette sulla prevedibilità dell'efficacia di un determinato psicofarmaco nel paziente che si intende trattare.
Solo recentemente si è arricchita la possibilità di scelta farmacologica per la patologia autistica, mentre in parallelo l'attenzione degli studiosi si è via via rivolta ad individuare indici biologici di base utili ad indirizzare la scelta dell'uno o dell'altro farmaco e validi poi per la valutazione a distanza della risposta al trattamento.
Tuttavia i dati della letteratura sono ancora molto disomogenei per quanto riguarda l'efficacia delle diverse sostanze e soprattutto sono molto discordi le correlazioni tra valori di base degli indici biologici e la presenza o meno di una risposta ad una determinata sostanza.
D'altro canto i dati delle poche ricerche di psicofarmacologia in età evolutiva da considerarsi valide, in quanto impostate secondo modelli sperimentali rigorosi, pongono come premessa indispensabile l'accuratezza della definizione diagnostica, della delimitazione dei suoi confini, insieme ad una puntuale analisi neuropsicologica dei sintomi affinche si possano ottenere dati significativi sulla risposta alla terapia. È quindi fondamentale l'applicazione di parametri nosografici assimilabili ai criteri diagnostici internazionali quali quellidefiniti dal DSM-IV.
Neurolettici.
Diverse sostanze sono state sperimentate, dai neurolettici a bassa potenza, come la cloropromazina, sedativi e scarsamente efficaci, alla trifluoperazina e al tiotixene, che diedero invece risultati migliori.
Tuttavia il farmaco maggiormente studiato di questa categoria è stato 1'aloperidolo. Esso é stato utilizzato sia in studi in aperto, che in doppio cieco, con gruppo di controllo in placebo. È stato anche osservato che i bambini che avevano una buona risposta nel breve periodo dimostravano una risposta soddisfacente al trattamento anche nel lungo periodo.
Sono stati in questo modo documentati gli effetti su diversi sintomi, come le stereotipie, il ritiro, I'iperattività (Campbell et al., 1978; Cohen et al., 1980; Naruse et al. , 1982).
Anderson et al. (1984, 1989) ne hanno inoltre osservato l'efficacia non solo sul piano comportamentale, ma anche su quello cognitivo (facilitazione dell'apprendimento del linguaggio, in associazione al trattamento logopedico, e dell'apprendimento discriminativo).
l dosaggi medi utilizzati erano sui 0.047 mg.kg e l'effetto sedativo compariva sopra le dosi terapeutiche. La risposta clinica è risultata migliore nei bambini più grandi.
Un altro neurolettico ad elevata potenza utilizzato è stato il pimozide.
Il farmaco avrebbe uno spettro d'efficacia paragonabile a quello dell'aloperidolo ad un dosaggio variabile tra 1 e 9 mg. die in soggetti tra 3 e 16 anni (Naruse et al., 1982). I miglioramenti comprendono la sfera del sonno, l'aggressività, le stereotipie, l'ipoattività. Quest'ultimo sintomo costituisce una precisa indicazione per il pimozide rispetto all'aloperidolo.
Tra gli effetti collaterali più temibili dei neurolettici dobbiamo ricordare la discinesia tardiva, associata in genere alla somministrazione prolungata del farmaco.
Fenfluramina.
Negli anni ottanta si sviluppò un notevole interesse nell'utilizzo di questa sostanza, principalmente sulla base degli studi di Ritvo et al. (1983, 1986), i quali ne prospettavano l'efficacia in base al rilievo di una iperserotoninemia in 113 dei bambini autistici (Ritvo et al. , 1970).
I primi risultati furono promettenti, con l'osservazione di una riduzione dell'iperattività e delle stereotipie ed un miglioramento del linguaggio, ma non furono confermati da altri studi in doppio cieco (Campbell et al. , 1988).
Nell'attualità quindi la fenfluramina non viene considerata un agente terapeutico generalmente utile nell'autismo se non in casi isolati.
Naltrexone
Poiche alcuni sintomi comportamentali osservati nell'autismo sembravano simili ai sintomi osservati negli adulti tossicomani e negli animali di laboratorio cui erano stati somministrati oppiacei, come nei figli delle madri consumatrici di oppiacei, fu ipotizzato (Panksepp, 1979) che un potente antagonista di queste sostanze, il naltrexone, potesse ridurre i comportamenti maladattativi dei pazienti autistici.
In effetti, dopo i risultati incoraggianti di alcune esperienze preliminari (riduzione delle stereotipie, del ritiro e miglioramento della produzione verbale, a fronte di una buona tolleranza) a dosaggi tra 0.5 e 2 mg/kg (Campbell et al., 1989), il farmaco è stato saggiato in studi controllati e in doppio cieco (Campbell et al., 1993). Anche queste esperienze hanno confermato l'efficacia del naltrexone al dosaggio di 1 mg/kg, specie sul sintomo "iperattività", mentre non veniva modificata significativamente I'autoaggressività.
In un'altra sperimentazione in doppio cieco (Leboyer et al. , 1992) fu osservato nel gruppo dei "responders" anche un miglioramento del ritiro, un aumento delle relazioni sociali, dell'attenzione e della produzione verbale ed una riduzione dei comportamenti autoaggressivi.
Tuttavia uno studio recente centrato sullo studio delle capacità comunicative di pazienti autistici trattati con naltrexone alla dose di 1 mg/kg non ha confermato l'efficacia su questo aspetto sintomatologico (Feldman et al., 1999).
Una ricerca effettuata nel nostro Istituto sull'efficacia del naltrexone ha evidenziato un miglioramento di diversi parametri comportamentali (motricità, ritiro, inattenzione, ecc.) che permaneva anche a distanza di 6 mesi dall'interruzione del trattamento (Guareschi-Cazzullo et al., 1999).
Antidepressivi
Il razionale dell'uso della clomipramina (CMI), antidepressivo triciclico, nel trattamento dell'autismo si basa sull'efficacia di questo farmaco nel trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo (Flament et al., 1985) e dei comportamenti ripetitivi motori senza ossessività (Leonard et al. , 1991 ). Ci sono inoltre evidenze che il sistema serotoninergico sia implicato nella patogenesi dell'autismo e la CMI é un bloccante del re-uptake della serotonina. Vanno ricordati a questo proposito i rilievi di Chugani (1997) sulla ridotta sintesi di serotonina nell'emisfero sinistro di bambini autistici.
In uno studio in doppio cieco su 24 soggetti tra 6 e 18 anni la CMI è risultata superiore al placebo nel ridurre le stereotipie, i comportamenti compulsivi e ritualizzati, la rabbia, alla dose di 4.3 mg/kg. Inefficace è invece risultato il farmaco nei bambini più piccoli, al di sotto degli 8 anni (Sanchez et al., 1996).
Altri aqenti psicoattivi
La clonidina è un agonista α-adrenergico che riduce l'attività della noradrenalina e la sua utilizzazione si è basata sull'ipotesi che alcuni sintomi dell'autismo potessero essere il risultato di una sregolazione del sistema adrenergico che portava ad uno stato di iperarousal.
I risultati, piuttosto modesti, sono prevalenti a carico dell'irritabilità, dell'iperattività e delle crisi di rabbia e non sembrano giustificare il rischio degli effetti secondari cardiovascolari (disritmia, ipotensione, alterazioni della conduzione, ecc.) (Jaselkis et al., 1992).
Anche i
β-bloccanti (propanololo e nadalolo) sono stati occasionalmente testati nei disturbi dello sviluppo, specie associati a danno cerebrale con prevalente sintomatologia aggressiva. I risultati sono stati parzialmente soddisfacenti, pur con effetti secondari di bradicardia ed ipotensione (Arnold e Aman, 1991 ).Nuovi orientamenti terapeutici
Negli ultimi anni sono state utilizzate nuove sostanze nella cura del disturbo autistico sia della categoria dei neurolettici, che degli antidepressivi.
Il primo neurolettico atipico sperimentato negli ultimi anni nei "disturbi pervasivi dello sviluppo" in pazienti di diverse età, dalla prima infanzia al giovane adulto, è il risperidone.
L'occorrenza di questo disturbo è tuttavia variabile rispetto all'inizio del trattamento perche può comparire precocemente (anche dopo soli 2 mesi di terapia), oppure più tardivamente e non sarebbe correlata ne alla dose giornaliera, ne a quella pro kg. ne a quella cumulativa (Campbell et al., 1988).
L'unico parametro implicato sembrerebbe l'indice di ottimalità ostetrica: quanto più è ridotto, tanto maggiore è l'incidenza di discinesia (Armenteros et al.,1995).
La sostanza si differenzia dagli usuali antipsicotici perché non solo blocca i recettori Dē, ma anche quelli serotoninergici di tipo 2 (5 -HT 2), analogamente alla clozapina.
poiche è stato ipotizzato nella patogenesi del disturbo autistico uno squilibrio tra neurotrasmettitori dopaminergici, serotoninergici e noradrenergici (Barthelemy et al., 1998), la duplice azione del farmaco renderebbe il risperidone più efficace dei neurolettici tradizionali.
Il razionale dell'uso di questo farmaco si basa sulla sua efficacia sia sui sintomi positivi, che su quelli negativi della schizofrenia e ipotizzando un'analogia tra questi sintomi e quelli dei disturbi generalizzati dello sviluppo, si può prevedere che alterazioni comportamentali analoghe rispondano al risperidone.
Nella Tab. 1 e 2 vengono confrontati i sintomi positivi e negativi nellaschizofrenia e nell'autismo.
Un altro elemento a favore della sostanza era la bassa incidenza di effetti collaterali extrapiramidali, come la discinesia tardiva, osservati nei pazientiadulti.
l dati attualmente disponibili si basano su casistiche tanto di bambini, che di adolescenti e adulti autistici. Si tratta sia di sperimentazioni aperte che in doppio cieco, che hanno dimostrato una sostanziale efficacia del farmaco sia sui comportamenti aggressivi, distruttivi, sull'iperattività e le crisi di rabbia, che sulla consapevolezza sociale e sull'attenzione (Findling et al., 1996; Fisman e Steele, 1996; Perry et al., 1997; McOougle et al., 1998; Nicolson et al., 1998).
Nei soggetti più grandi è stata anche osservata una riduzione dei comportamenti ritualistici ed ossessivi.
I dosaggi utili sono in generale piuttosto bassi e variano tra 1 e 6 mg al giorno (per soggetti tra 6 e 14 anni).
Gli effetti collaterali sono risultati in generale scarsi: quelli osservati più di frequente sono costituiti dalla sedazione, di solito transitoria, e dall'aumento di peso
Il secondo farmaco che studi recenti indicano come promettente, per lo meno in un sottogruppo di pazienti autistici non solo adolescenti e giovani adulti, ma anche bambini piccoli, è la fluoxetina.
Va a questo proposito citata la sperimentazione di De Long et al. (1998) su 37 bambini tra 2 e 7 anni, trattati per circa 2 anni con fluoxetina alla dose di 0.2-1.4 mg/kg.
Il trattamento si è dimostrato efficace nel 60% dei pazienti con miglioramenti prevalenti sul piano dell'umore e del temperamento, della capacità di contatto con l'ambiente e soprattutto del linguaggio.
È stata inoltre rilevata una correlazione tra efficacia del farmaco e storia familiare di disturbo affettivo maggiore (disturbo bipolare e depressionemaggiore).
Vanno però segnalati anche alcuni effetti secondari, costituiti da iperattività, agitazione ed aggressività, talora peraltro associati ad un miglioramento in altre aree.
Gli autori sottolineano che predittivi di una risposta soddisfacente alla fluoxetina sono la storia di uno sviluppo normale nei primi anni di vita, seguito da una regressione, dalla prevalente sintomatologia affettiva (paure, ritiro, modificazioni dell'umore, ecc.) e dall'evidenza di talune abilità mentali, come memoria idetica, iperlessia, ecc. e particolare sensibilità a livello sensoriale.
La risposta alla terapia antidepressiva confermerebbe l'ipotesi che circa i due terzi di bambini con autismo idiopatico hanno una storia familiare di disturbo affettivo maggiore (De Long e Nohria, 1994) e che I'autismo potrebbe rappresentare il fenotipo precoce di un disturbo affettivo maggiore.
Tab.1
SINTOMI NEGATIVI DELLA CRITERI DSM-IV DEL
SCHIZOFRENIA DISTURBO AUTISTICO
Appiattimento degli affetti Alterazione della comunicazione
non verbale
Riduzione dei rapporti Difetto di reciprocità sociale o emo-
interpersonali zionale
Distacco emozionale Disinteresse nel raggiungimento di
gratificazioni e di relazioni con gli
altri
Mancanza di spontaneità e Linguaggio stereotipo e ripetitivo
di espressività ritmica nella
conversazione
Linguaggio stereotipo
Tab.2
SINTOMI POSITIVI DELLA CRITERI DSM-IV DEL
SCHIZOFRENIA DISTURBO AUTISTICO
Eccitazione Alterazione dell'umore e degli affet-
Angoscia ti
Impulsività
Iperattività
Disorganizzazione concettuale Risposte incongrue agli stimoli
percettivi
Ostilità Aggressività, crisi di rabbia
Sospettosità, persecutori età Eccessiva paura a stimoli neutri
Allucinazioni
Deliri
BIBLIOGRAFIA
25. Panksepp J., A neurochemical theory of autism. Trends Neurosci., 2: 174-177,1979.
Prof. CARLO LEVI - Università degli Studi di Milano -Ist. Scienze Neurologiche e Psichiatrichedell'Infanzia e dell'Adolescenza