AUTISMO E TERAPIA

Romeo Lucioni, Davide Scheriani, Tiziana Pennacchio, Paola Alessio

 

Think's thou, Kate, to put me down

With a "No" or with a frown?

Since Love holds my heart in bands

I must do as Love commands.

Carolly Erickson

 

 

I primissimi momenti della vita sono il fondamento dello sviluppo psico-mentale che, nei suoi aspetti di funzionamento biologico, psichico, sociale e cognitivo, riguardano l'umanizzazione del soggetto; chi si occupa di queste tematiche si assume una profonda responsabilità non solo nell'ambito della questione clinica, ma, soprattutto, in quello dell'etica.

In quest'ottica la "gravità" non riguarda solamente il quadro clinico-funzionale, ma si proietta nella storia del soggetto ed il medico, lo psicologo, lo psichiatra o lo psicoterapeuta si trovano a dover risolvere quesiti sulla trasformazione, la prognosi e la prevenzione, vale a dire sulle conseguenze future che il loro operare imporrà alla costellazione psico-mentale attuale.

Non basta affrontare le questioni della clinica, dell'eziologia, della psicopatologia, della psicoanalisi e di tante altre categorie concettuali, perché l'oggetto si presenta nella sua complessità di persona, di soggetto e di individuo come chi ha diritto di poter usufruire di tutti i benefici scientifici, assistenziali, rieducativi e riabilitativi che lo portano a salvaguardare e sviluppare tutte le sue possibilità e capacità.

Silvia Bleichmar si chiede:

"¿Quantos niños diagnosticados como trastornos del desarrollo, a lo cuales se sometiera a tratamientos fonoaudiològicos, de psicomotricidad, neurològicos y finalmente psicopedagògicos, hemos visto, en cierto momento de su evoluciòn, y muy en particular al llegar a la pubertad, dar muestra de una constituciòn psicòtica con sintomatologìa florida, no prevista en razon de la parcializaciòn con la qual la infancia es desarticulada en funciones que desmembran el sujeto psiquico y lo dejan librado a un agravamiento de su patologìa?"

Gli interventi psico-educativi, che hanno sviluppato e mantenuto un loro carattere protesico, spesso non tengono conto delle problematiche profonde, psico-strutturali e dei meccanismi mentali degli autistici che non è che non vogliano, ma non possono utilizzare le proprie potenzialità.

Il tema va dibattuto anche perché le poco precise classificazioni portano a non chiarire esattamente quali siano le potenzialità cognitive e, per altro lato, quali siano le concomitanti emotivo-affettive.

Insistiamo anche sul fatto che, parlando di autismo, devono essere esclusi i down, gli X-fragili, gli epilettici, gli insufficienti mentali, tutti i casi che dimostrino caratteristiche psicopatologiche e psicodinamiche molto diverse da quelle dei veri autistici.

Questi pazienti possono presentare screzi autistici che non giustificano l'inclusione nella sindrome perché complicano enormemente un chiaro e preciso studio delle problematiche psico-affettive, dei meccanismi mentali ed anche delle peculiarità cognitive di ciascun soggetto.

Un altro tema da affrontare è quanto più precocemente sorgono le cause della psicopatologia infantile e le conseguenze che verranno manifestate, in un tempo prossimo o remoto, tanto più sarà importante il pericolo per il funzionamento psico-mentale nella sua totalità.

Per questo è sempre necessario un intervento terapeutico precoce e sostenuto da un preciso inquadramento psico-funzionale basato sull'analisi della organizzazione degli "oggetti interni", del senso di realtà, dell'autocoscienza e del rapporto interpersonale.

In questo momento il pericolo principale per la pratica clinico-terapeutica con bambini autistici sta nel tentativo di compiere una "lettura frammentaria", carente di prospettive e superficiale, nella quale il sintomo venga definito da una fenomenologia senza spessore che compie solo una funzione di deresponsabilizzazione, ponendosi nei termini di una pratica dell'immediato, del controllo di una funzione formativa limitata all'ambiente, al setting, alla situazione contingente.

In altro versante, bisogna rifuggire quelle espressioni psicoterapeutiche che non affrontano i problemi reali della clinica e della relazionalità, rinchiudendosi in un vitalismo teorico avulso dalla relazione, dal recupero delle funzioni psico-affettive e, soprattutto, dall'obbligatorietà di una socializzazione che é sempre prioritaria e fondante.

Definire "grave" la categoria autistica, al soggetto non porta nessun beneficio; l'unica questione che importa è se la sintomatologia possa essere affrontata e risolta ed inoltre come bisogna intervenire per salvaguardare e riprendere lo sviluppo psico-mentale inibito, alterato o del tutto bloccato, che crea la impressione di un destino sinistro ed inesorabile.

 

L'AUTISMO E LE REGOLE

"… la sovranità non regna che su ciò che

è capace di interiorizzare"

G. Deleuze

Una interessante osservazione di Jorge Fukelman ci ricorda come il realizzarci come "ideale" presuppone una idealizzazione senza mancanza, per cui le mancanze-perdite vengono espulse, addossate all'altro.

Proprio per questo motivo è possibile riconoscere nei bambini autistici l'isolamento come un atto di individualizzazione che, tra l'altro, si traduce anche come "presenza". In altre parole, nell'isolamento e nel silenzio si sviluppa un atto di onnipotenza per il quale la presenza equivale ad una richiesta di essere ascoltati, rispettati e soddisfatti nelle pretese.

Il loro "modo" (di porsi e di agire) entra, seguendo le osservazioni di Giorgio Agambon, nella logica della eccezione, superando così la logica della trasgressione.

Lo stato di eccezione è fondante nell'ordine e, di conseguenza, manca di ordine (l'ordine è dentro di me; io sono l'ordine ed il diritto); in questo modo la violenza e la giustizia si rendono inscindibili; la legge si svuota di significato; legge e vita si omogenizzano e nasce il potere di ammazzare o aggredire impunemente.

In questa zona o stato di eccezione non c'è differenza tra corpo ed essere, non c'è posto per la simbolizzazione, non c'è differenza tra inclusione ed esclusione, tra presenza e rappresentazione, tra eesere ed apparire: tutto si muove nell'ambito del piacere; il corpo, integrato con la legge, non trova uno specchio.

Proprio la mancanza di uno specchio può esssere vista come caratteristica dell'autismo e, quindi, la terapia assume il significato di riproporre lo specchio con la sua cornice, i suoi simboli, la sua memoria, i suoi rituali e, così, ripristinare la mediazione tra violenza e legge, tra potere e rappresentazione, tra dentro e fuori.

Le parole di G. Agambon risultano chiarificatrici: ".. non è l'eccezione che si sottrae alla regola, ma la regola, sospendendosi, dà luogo all'eccezione…"; ne consegue però, inequivocabilmente, che "il vigore della legge consiste nella capacità di mantenersi in relazione con un'esteriorità…"; "… chiamiamo relazione di eccezione quella che include qualcosa unicamente attraverso la sua esclusione".

Queste sottili osservazioni avvicinano al pensiero psicoanalitico classico che vede nella castrazione la possibilità di strutturare quella relazione fondante con la "parola del padre" che, in ultima analisi, dà sicurezza e permette definitivamente lo sviluppo psico-affettivo.

In questo modo si spiega come sia possibile trovare nel terapeuta lo specchio che permette di leggere ritrovare se stessi, acquisire una identificazione che dà significato anche alla trasgressione, ricostruendo la legge, non come oppressione, ma come fondamento per l'ordine nel quale finalmente il soggetto può riconoscersi nell'ambito di una analisi della realtà, di un narcisismo secondario e nel cammino verso la costruzione dell' Io ideale.

Qui troviamo il vero paradosso della psicoanalisi , del senso di sé e del senso della vita: raggiungere la "meta peggiore" che è quella di trovare se stessi e di scoprire il senso del reale che non può essere altro che rinunciare alla propria libera eccezione per accettare la legge, le regole, la "pura" convivenza ed il valore dell'Altro.

È il paradosso dell'amore, per il quale, riconoscendo il valore dell'Altro nell'Altro (lo specchio), si raggiunge la certezza di sé, l'autoriconoscimento, l'autosoddisfazione e la propensione per la vita.

Questo meccanismo viene individuato come forma narcisistica dell'amore fondata sull'idealizzazione dell'oggetto che è amato in quanto restituisce al soggetto un'immagine ideale di sé, che possiamo anche indicare come accettata, integrata e, soprattutto, strutturata come oggetto permanente.

Freud l'ha chiamato costituzione statuaria dell'Io, una specie di monumento con il quale il soggetto, alimentandosi in esso, si identifica.

Rimbaud ha creato l'aforisma per il quale "… il potere morfogeno dell'identificazione si manifesta come capacità di cattura, di trasformazione, di risucchio, di plasmazione dell'immagine dell'Altro sul soggetto", mentre per J. Lacan il soggetto appare "totalmente aspirato dall'immagine" , operando una sorta di "spossessamento essenziale dell'Io".

L' Io, dunque, nell'identificazione si struttura come "Io doppio", miraggio nel senso che "… il vero Io non sono io".

Questa analisi porta Lacan a rompere con l'idea kantiana dell' Io come fondamento del soggetto, raffigurandolo invece come "Io cipolla", cioè un oggetto composto da un'aggregazione di successive identificazioni.

LAVORO TERAPEUTICO

Sottolineamo che affrontando il tema della terapia dell'autismo, non si può prescindere da:

  1. prospettiva per il futuro e non semplice tentativo di eliminazione dei sintomi;
  2. rendere l'esistenza libera, piena e ... umana (fondata sulla relazione, la progettualità, il libero arbitrio e la felicità);
  3. permettere un destino consono e aderente al contesto sociale in cui viviamo: uso della tecnologia; utilizzo dei mezzi di comunicazione; arricchimento del tenpo libero; buona qualità di vita.

L'E.I.T. è una tecnica che si fonda sulla relazione, tiene conto dei dettami e delle conoscenze teoriche e pratiche per l'approccio, utilizza la creatività rispettosa delle necessità e degli interessi degli autistici, ma anche capace di stimolare una elevata operatività, annullando la ripetitività e l'auto distruttività. Senza creatività il soggetto diventa passivo, incapace di assimilare e riprodurre relazioni sociali, parzializzate, censurate e bloccate da una vita impoverita e senza significato.

Nel nostro lavoro psicoterapeutico E.I.T. è imprescindibile il rapporto affettivo, fondato sui valori e sulla relazione interpersonale che mira al sollievo della sofferenza, alla ricerca della salute (soprattutto quella dell'anima) nel raggiungimento dell'autovalorizzazione e dell'autosoddisfazione.

Nell'incontro, l'autosoddisfazione ha una dimensione del tutto particolare ed importante poiché deve arrivare a coincidere con quella dell'Altro; solo in questo modo raggiunge un "valore" perchè riconosciuta, condivisa e caricata di "verità".

Con la condivisione si esce dalla dimensione "narcisistico-regressiva" e nasce una creatività che racchiude in sè la possibilità di crescere, di produrre qualcosa molto vicino ad un punto di arrivo, quindi ad un obiettivo raggiunto.

Questo aspetto va valorizzato continuamente perchè costituisce la ricchezza del vincolo e, soprattutto, dà senso a quel sentimento di aspettativa legato alla percezione che "... il terapeuta ha sempre in serbo qualcosa di nuovo, qualcosa da scoprire".

L'innovazione diventa un campo di prova, la possibilità di superare i pregiudizi e le ambiguità, di vincere la resistenza a crescere e a raggiungere l'illuminazione. Questa rappresenta la scoperta dei dettagli, l'entrare nella dimensione della scelta-scoperta legata al dubbio di fronte agli opposti: possibile-impossibile, conservare-rompere, ritmo-ripetizione, intuire-pensare, cercare-trovare, chiedere-rispondere, incertezza (inquietante)- certezza (paralizzante).

In questo cammino-compito si scopre così la dimensione creativa, organizzativa e strutturante che è l'elaborazione di una speranza che dà senso, oltre che valore, all'impegno terapeutico che acquista così, al di là della scientificità, a dispetto dela teoria, alla logica della programmazione, una elaborazione poetica ed un ... forte stile.

CASI CLINICI

La nostra esperienza supporta ampiamente la struttura teorica dello specchio, oltre quella del doppio Io e dell' Io-ausiliario, per questo illustriamo alcuni casi.

  1. Ivano

Ragazzo di 12 anni con diagnosi di autismo stilata ai 3-4 anni; caso molto grave, considerato incurabile, semi-istituzionalizzato.

Da due mesi segue la psicoterapia-relazionale-E.I.T. (due volte la settimana) che ha portato a smuovere la situazione tanto che il giovane comincia a sedersi correttamente sulla sedia e, nel setting terapeutico, a partecipare (anche se con difficoltà) ad attività svolte con il terapeuta o in piccoli gruppi.

Ivano comincia a scendere da solo le scale, verso la "palestra", senza essere contenuto se non con la voce del terapeuta che lo supporta con incitazioni come: "avanti", "non aver paura", "ci sono qui io".

Improvvisamente si volta alzando un braccio come per aggredire (l'ha fatto tante volte!), ma si ferma e offre il braccio: la sua richiesta implicita è di essere contenuto (trattenuto dalle due braccia).

Le crisi di angoscia e di terrore scatenate da proposte a fare qualsiasi cosa, anche insignificante, dimostrano il contenuto distruttivo e mortifero del "fantasma", per cui il contenimento non è solo una necessità per controllare i comportamenti aggressivi, ma è anche visto come "paradossale" atto d'amore che permette al soggetto di crescere, di accettare l'Altro, di adagiarvisi ed anche di sviluppare un inserimento sociale che, come esperienza fondante, porta ad un vero sviluppo dell'Io e della personalità.

2 - Max

Autistico molto grave, di 12 anni, semi-istituzionalizzato, passa la giornata sdraiato su un grande cuscino, come assente, martirizzandosi gli organi genitali.

Comincia la terapia E.I.T. (2 volte la settimana) ed in poco più di un mese abbandona quasi del tutto l'atteggiamento autocontenitivo che, nel rapporto, si configurava anche con porre spasmodicamente le mani in posizione di artiglio, accompagnando il gesto con una mimica che vorrebbe incutere spavento.

Il giovane ha cominciato a salire e a scendere le scale da solo, sorride nel compiere le attività, dimostra l'inizio di una accettazione di modalità di tipo gruppale.

3 - Matteo

Quattro anni, diagnosticato come "autistico", dimostrando però un netto quadro di "autismo ipercinetico".

La terapia E.I.T. si è sviluppata nel contenimento ed insieme nello sviluppo dell'autoriconoscimento, del controllo delle angosce legate a sensi di inutilità e di incapacità.

I primi tentativi di autoidentificazione sono risultati quelli rapportati alla raccolta ossessiva di dinosauri, poi degli animali selvaggi della foresta.

Il piccolo ha cominciato a parlare con piccole frasi ben comprensibili e bene articolate; la tenuta ha raggiunto tempi anche superiori all'ora di attività svolta singolarmente o in gruppo, anche con persona adulte.

Matteo ha superato molti momenti critici con ansie orali ed anali, ma ha saputo crescere e liberarsi del suo autismo che lo costringeva all'isolamento, sviluppando le sue capacità relazionali, affettive e cognitive.

Ora dovrà essere iscritto alla scuola dell'obbligo (compierà tra poco sei anni), ma lo sviluppo linguistico è ormai buono, la tenuta apprezzabile, la comprensione adeguata; si può prevedere che l'ingresso alla scuola, seppure con sostegno, sarà veramente possibile, utile e produttivo.

4 - Marco

Un bambino di 8 anni, quando é arrivato da noi, che presentava i segni indiscutibili di un autismo grave.

L'esperienza terapeutica con Marco è stata veramente importante per quanto ci ha insegnato, per i miglioramenti costanti che l'hanno portato a poter prendere la Prima Comunione e a partecipare attivamente nella vita della scuola.

Gli si è fatto ripetere la 5° elementare ma poi i famigliari hanno preferito un altro centro che, a loro parere, dava più garanzie per recuperare il linguaggio.

5 - Giovannino

Arriva al centro all'età di 4 anni dimostrando le caratteristiche inconfondibili di una psicosi simbiotica.

Vive abbracciato alla madre che lascia solo con crisi di angoscia. Il lavoro terapeutico si svolge con assiduità due volte alla settimana e presto può anche cominciare l'ippoterapia.

Giovanni impara ad andare in bicicletta, a saltare, a correre e a dire qualche parola. Il rapporto con il terapeuta è vissuto intensamente dal piccolo come punto di riferimento, mentre gli operatori sono per lo più vissuti come oggetti.

Si recupera la presenza del padre che si manteneva defilato e dopo poco più di un anno di terapia i miglioramenti risultano notevoli per quanto rigurda anche la possibilità di socializzare e di lavorare con più persone.

6 - Giovanni

Giunge alla terapia E.I.T. agli 8 anni, mentre frequenta, ma senza alcun profitto (si mantiene sempre rigidamente isolato e non permette a nessuno di avvicinarsi), la terza elementare.

Presenta una infinità di manierismi e gesti coatti, tra i quali una permanente compulsione ad arrotolare, prima in un senso poi nell'altro, qualsiasi straccio o strofinaccio che trovi o che porta da casa.

Come reazione a qualsiasi richiesta di fare qualcosa il giovane si mette a gridare in una forma continua e straziante tanto che c'è un continuo pellegrinaggio di persone che vengono sino alla "palestra" per vedere cosa stia succedendo.

Presenta notevoli limitazioni nella motricità complessa (non salta, non estrae la lingua, non sa superare un ostacolo) e non dice neppure una parola.

Due anni di terapia portano progressivamente Giovanni ad un proficuo inserimento nella classe e ad una buona partecipazione alle attività didattiche e sportive e si decide la ripetizione della quinta elementare.

In questo periodo migliorano le relazioni con i compagni ed il lavoro gruppale per cui il giovane viene accettato con profitto nei corsi estivi organizzati dalla Colona Johnson.

All'inizio della media, Giovanni smette la terapia perché i genitori non possono più portarlo sini al Centro che è molto distante dalla loro casa.

7 - Andrea

All'età di 9 anni comincia a frequentare il centro di terapia E.I.T., giungendovi con una diagnosi di sindrome border-line dopo che era stato definito autistico ai 2,5 anni e psicotico a 4 anni.

Non aveva mai ricevuto terapia, dal momento che i sanitari responsabili ritenevano che sarebbe migliorato con l'età.

La psicoterapia ha portato, prima di tutto, a chiarire il tema diagnostico, vedendo in Andrea un caso di grave nevrosi.

Il lavoro psicoterapeutico ha avuto risultati brillanti a tal punto che il giovane, ormai di quasi 11 anni, frequenta la scuola con migliorato profitto e con recupero del linguaggio. Ha cominciato ad usare le parole, anche se con molta difficoltà accentuata da una dismorfia della quale deve essere operato.

Ormai Andrea lavora in gruppo, anche di più persone, ha abbandonato gli atteggiamenti aggressivo-punitivi che lo caratterizzavano, è diventato affettuoso e la sua tenuta supera di molto l'ora di intenso lavoro.

Ha cominciato anche attività di prescolarità.

8 - Cristian

É un bambino di 8 anni quando arriva al Centro AGRES per iniziare l'ippoterapia; per affrontare le difficoltà sorte in questa pratica inizia anche sedute di E.I.T. con frequenza settimanale.

Il quadro psicopatologico é quello di un autismo tipico, ma, nel setting, dimostra anche una profonda opposizione e sfumata aggressività che si manifesta con continue "zuccate".

Passa il tempo sdraiato per terra, reagendo quando si cerca di farlo alzare con fatica per la sua "mole" (é un ragazzo decisamente obeso, sempre famelico e divoratore, attento a correre ad afferrare biscotti, pane e qualsiasi tipo di bibita).

Visti i modesti miglioramenti, dopo iun anno di incertezze, si ottiene dai genitori di fare due sedute settimanali di E.I.T., anche se continua a frequentare le sue tre sedute di metodo Decanato.

Nel giro di pochi mesi il rapporto con Cristian migliora decisamente: é molto più attivo, compaiono sorrisi a sottolineare piccole conquiste personali e/o momenti di affettuosità.

Comincia a lavorare per l'intera sua ora bisettimanale e si posssono eseguire con lui anche le prime attività di gruppo. Sono scomparsi gli atteggiamenti oppositivi ed aggressivi, sono finite le "zuccate" e Cristian ... lavora senza rifiuti, senza buttarsi per terra, con accondiscendenza e partecipazione, anche in gruppo con adulti.

Ormai il lavoro é spedito e, anche con lui, da una settimana all'altra si sottolineano i progressi

9 - Luca

Ha 13 anni quando arriva al centro con diagnosi di autismo (?).

L'aggiustamento diagnostico sottolinea l' aspetto psicotico del quadro clinico e la terapia E.I.T. attiva immediatamente l'iniziativa e la partecipazione del giovane.

Non ha praticamente mai avuto un buon rendimento nella scuola anche se il padre, in prima persona, si impegna ad aiutarlo in prima persona.

Dopo 6 mesi di terapia Luca ha acquistato una buonissima capacità relazionale, ha abbandonato le stereotipie controfobiche, lavora sempre con impegno ed inoltre aiuta i compagni del gruppo. Riesce ad essere sempre il più bravo.

10 - Stefano

Arriva alla terapia a 11 anni, con diagnosi di "sindrome autistica", ma viene riconsiderato come "sindrome psicotica reattiva" (operato al terzo giorno di vita per atresia dell'esofago - ricordiamo un caso analogo comparso di recente nella letteratura).

La terapia E.I.T. porta al superamento di una infinità di problemi comportamentali e alla ripresa attiva e positiva della scuola per cui finisce bene la 2° e 3° media; viene inserito in una scuola di formazione professionale con finalità di inserimento lavorativo, ma i genitori preferiscono tenerlo a casa.

11 - Stefanello

Diciassette anni, senza una diagnosi precisa, si evidenziano però le caratteristiche di una psicosi schizofrenica.

Il comportamento in casa è veramente fastidioso, con atteggiamenti aggressivi ed una lentezza incredibile per fare ogni cosa (soprattutto vestirsi). Questa porta a perdere qualche seduta terapeutica, ma dopo pochi mesi Stefano è perfettamente integrato e si può lavorare con lui che recupera le sue funzioni motorie anche complesse.

La tenuta è decisamente buona e la relazionalità diventa ottima.

 

Uscire dallo Stato Autistico

Gli autistici sono, sicuramente, handicappati gravi; il loro disturbo, definito tecnicamente come alterazione o blocco dello sviluppo psico-mentale, non evidenzia però l'angoscia ed il terrore che giustificano la comparsa di vere "barriere autistiche" di fronte alla relazione interpersonale e sociale.

Questa sofferenza è, per alcuni ricercatori, la vera causa della disarticolazione delle capacità relazionali, ma anche del turbamento del livello sensoriale, emotivo-affettivo, percettivo e cognitivo.

Il quadro psicopatologico che, quando si aggrava (perché è progressivo ed invasivo), assume anche caratteri "perversi" (aggressività e distruttività incontrollate) permette di leggere due motivazioni che lo supportano:

  1. - una immensa paura del mondo esterno;
  2. - una altrettanto incontenibile angoscia di fronte a sentimenti di inadeguatezza, di "non potere", di non riuscire neppure a salire e a scendere le scale (per esempio).

Paolo di Benedetto dice "… dove domina la sofferenza psichica l'uscita è sempre parziale" perché si cristallizzano forme difficilmente superabili. Basta pensare agli atteggiamenti fobici ed alle espressioni ossessivo-compulsive per rendersi conto delle difficoltà a emergere da quelle barriere autistiche che, create come difesa, diventano una prigione.

disegno di Stefano

 

Questo "quadro terrorifico" (che per altro è ricco di valori psicodinamici e psicoanalitici) non significa che dall'autismo non si possa uscire.

L'emergere dall'isolamento è raffigurato da Stefano come possibilità di emergere dalla materia inerte o primordiale:

secondo disegno di Stefano

Così la terapia significa riuscire a plasmare una nuova vita, a ripercorrere una via che si era abbandonata molto precocemente durante lo sviluppo psico-sensoriale, psico-affettivo e psico-mentale.

Uscire da un profondo baratro di solitudine non può essere fatto se non attraverso la relazione ( per questo tema rimandiamo agli innumerevoli nostri lavori sull'EIT - terapia di integrazione emotivo-affettiva); è necessario stabilire un nuova dialettica interna che investe, prima di tutto, il Sé.

La ristrutturazione dell'Io è essenziale per vincere l'isolamento autistico proprio perché sono troppo violenti i sentimenti di incapacità, di inadeguatezza, di impossibilità a superare "da soli" le barriere della quotidianità.

Se un autistico decide di vivere sulla stuoia (producendosi, a volte, anche deformazioni osteo-articolari) significa che anche il solo spostarsi dal suo "angolo di sicurezza" diventa un atto che provoca terrore.

Abbandonare le difese "dure" (tipo castello inviolabile) e sostituirle con "membrane più morbide" (sguardo sfuggente, manierismi e rituali che saranno poi più facilmente superabili) dipende solamente dal terapeuta che riesca a stabilire una fiducia incondizionata, una sicurezza ed una costanza di risposta.

L'esperienza ci dice che solo attraverso la sicurezza, la determinazione, la caparbietà a non cedere ed il grandissimo "amore" (che è dare e sostenere il valore del soggetto, la sua libertà, il suo diritto ad essere se stesso) possiamo sperare in risultati positivi.

Il lavoro con autistici gravi ci ha portato a considerare come la terapia induca una particolare identificazione che si fondamenta su un significato morale che deriva dalla percezione di stare facendo qualcosa di sgradevole per l'altro.

Questa "percezione" diventa una garanzia di sviluppo proprio perché crea un inter-esse, un legame nel desiderio di evitare di farsi del male.

L'autistico sembra sorpreso di fare questa scoperta che "... accomuna", ci rende comuni o uguali, ma, partendo da essa, comincia a prendere in considerazione "cose" fino allora trascurate come il valore dell'esperienza, della gioia, della soddisfazione, del desiderio, della ... voglia di superarsi.

L'esperienza terapeutica dell'E.I.T., come situazione a impronta psicoanalitica, si struttura in un campo bidimensionale (M. e W. Baranger) e in una relazione nella quale nessuno dei due componenti può essere capito senza la presenza e la partecipazione dell'altro. In quei momenti si crea una fiducia nell'analista nella quale il non detto é il bisogno dell'analista.

In questo modo, la fiducia é l'elemento fondante della relazione e (Tagliacozzo, 1986) "... rappresenta una qualità del mondo fusionale", "... l'espressione emotiva (affettiva) della fusionalità intesa come sistema ... avvolgente ... che ha lo scopo di mantenere un'unica unità includente analista e analizzando".

Lavorando con autistici "gravi" si evidenzia una "preoccupazione interna verso se stessi" che viene controllata solo attraverso la fusione-fiducia. Il giovane non riesce a "staccarsi", vuole essere trattenuto-contenuto ed entra in angoscia-terrore ogni qual volta l'analista tende a staccarsi.

In questi termini il transfert é, in parte, una formazione reattiva: le crisi e le aggressioni sono un mezzo per frustrare il distacco e possono essere lette come degli "acting out". Questi, se da un lato mettono alla prova il terapeuta, per altro servono a rendere consapevole il soggetto dei propri impulsi e dei propri bisogni.

Il bisogno di contenimento rappresenta la necessità di una intimità corporea derivante da un reale-fantasmatico" di momenti infantili affettivamente molto intensi (Paolo Di Benedetto) e "le fasi di natura simbiotica ... segnano un importante passo avanti nel modo di concepire il processo psicoanalitico" (Paolo Di Benedetto).

Nella terapia dei nostri autistici gravi, abbiamo potuto evidenziare come solo attraverso "piccoli passi"si possa passare dalla simbiosi all' essere solo.

A partire dal contenimento continuo, introduciamo:

Il passaggio dall' essere solo al raggiungimento di un valido senso di sé passa attraverso:

Il modello terapeutico dell'E.I.T. applicato all'autismo ha permesso di portare aiuto a tanti bambini più o meno gravi e in attesa di uscire dal loro "buco nero", ma, soprattutto, di trovare riflessioni su come ampliare la conoscenza della vita psichica e dei processi che regolano lo sviluppo psico-mentale.

In questo modo si é attenuata la sofferenza, ripristinato il desiderio di essere e di crescere e, attraverso relazioni interpersonali, far scoprire l'imprescindibilità dell'Altro che funge da specchio e da "legge", oltre che da modello per la strutturazione di un valido senso di Sé, una forte autovalorizzazione ed una promettente autosoddisfazione.

Con la terapia relazionale, il bambino, l'autistico ritrova se stesso "solo", ma, nello stesso tempo, nell'incontro l' Io e l' Altro diventano NOI. Proprio in questa modificazione dell' Io in NOI il linguaggio non verbale, ma corporale si struttura con parole "convincenti" che diventano un mezzo efficace per risolvere dubbi, creare certezze, strutturare gli oggetti, proprorre e permettere "ricordi".

In questa dialettica si creano buone "traduzioni" di sentimenti, di emozioni,di desideri e i due personaggi della coppia terapeutica cominciano ad intendersi, a capirsi e a comunicare: l'esperienza diventa condivisibile.

Si trovano convenzioni ed é un linguaggio;

si trovano valori ed é un affetto;

si trovano sguardi ed é feedback.

Non importa quanto differenti siano i personaggi perché nell'esperienza si esplorano uguaglianze e differenze e ci si comunica anche attraverso di esse.

Questo é comprendersi intuitivamente, sempre tornando all'esperienza ed alla memoria, ma é anche un passo definitivo verso la simbolizzazione e la crescita cognitiva.


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