PER UNA DIAGNOSI MODULATA

Maria Cristina Musetti

Cerco di descrivere, ad un livello funzionale e psicologico, le alterazioni pervasive che interessano tutte le aree di funzionamento mentale dell’autistico.

A fronte della differenza di dis-funzionamenti a carico delle regioni frontostriatali, medioparietali, prefrontali e del cervelletto, che sono le tre principali aree funzionali compromesse, si può anche affermare che molti di questi si ripercuotono sul controllo esecutivo e che il controllo esecutivo è, per eccellenza, competenza di vari sistemi distribuiti nel sistema nervoso centrale (SNC).

A)

Nel caso di danno fronto-striatale (ha a che fare con l’inibizione, con la memoria di lavoro, con la generazione di piani e di programmi e con le stereotipie), si può affermare che il soggetto autistico, pur essendo abile alla rappresentazione di uno "scopo", non sa metterlo in azione.

B)

Nel caso di alterazione medio-temporale (interessa il controllo del comportamento sociale e la memoria emozionale), il soggetto autistico si può dire che abbia un discontrollo esecutivo di tipo eccitatorio per cui c’è difficoltà, ancora, a trasferire lo scopo all’azione.

C)

Se c’è un difetto cerebellare, che affetta la copia, il monitoraggio efferente e lo shifting dell’attenzione, si può dire che l’autistico avrà difficoltà nella selezione e rappresentazione degli scopi che, quindi, risulteranno poveri.

D)

Se, infine, il disturbo è prefrontale, gli scopi potrebbero essere poco rappresentati, per difficoltà a tenerli in on-line, per difetto della memoria lavoro e di un monitoraggio adeguato.

Mi sembra chiaro che se si intende per esecutivo quel set di processi mentali necessari per il controllo dell’azione e, quindi, del pensiero in quanto il pensiero è azione mentale, allora il deficit esecutivo è caratteristico della psicopatologia autistica.

Non voglio affermare, però, che il deficit esecutivo sia esaustivo nella disfunzione autistica, ma che esiste un nucleare difetto pre-esecutivo o protoesecutivo che definisce ancora più adeguatamente la sindrome e che porta a considerare un difetto di immagine motoria come il fondamento della disabilità, nella quale la psicopatologia nucleare consiste nel non sentire le esperienze come proprie.

Nell’autistico mancano

In un certo senso queste tre mancanze potrebbero essere lette come alterazione della competenza ad agire, che si intende riferita al fatto che un funzionamento determinato riesce a determinare l’esperienza del soggetto.

Il concetto di competenza ad agire non è identico a quello di funzionamento esecutivo, ma lo fonda e ne è alla base; si riferisce all’abilità del bambino a scegliere i propri imput percettivi, attraverso l’esercizio della sua competenza all’azione.

Il bambino autistico non riesce a fare discriminazione tra il movimento di sé stesso e quello degli altri, tra il movimento autodeterminato e quello etero-determinato. Ha quindi un deficit di monitoraggio delle proprie azioni, inteso come un deficit dei processi attraverso i quali i cambiamenti dell’esperienza percettiva possano essere presi dal bambino come difficoltà a collocare la causa del cambiamento percettivo dentro il suo corpo. Questo non vuol dire che non ha nozione di ciò che preannuncia l’intenzione, ma che la funzione intenzione, che precede il fare è alterata nel passaggio da intenzione ad azione.

Questa struttura non va intesa come una rappresentazione, ma come una abilità del S.N. ad andare avanti alla cognizione. Il S.N. ha proprietà immediate di trasformare l’intenzione in azione.

Il deficit descrittivo mette il bambino in condizione di non poter disporre di due tipi sequenze percettive, intenzionalmente volute: due, di cui è autore, che hanno carattere di reversibilità; due, di cui è soggetto ricevente, causate tipicamente dagli eventi del mondo, percettivamente invariabile.

Disporre di queste sequenze consente al bambino normale quell’aspetto del movimento intenzionale descritto da Piaget come azioni circolari, nel senso che contengono la possibilità di tornare al punto iniziale per ricominciare, se ne ha voglia.

Non si può in assoluto affermare che le sequenze di movimento reversibili abbiano sede nel corpo e le altre nel mondo, perché le sequenze di dolore che hanno sede nel corpo sono irreversibili. Di fatto la nozione di reversibilità ha la sua prima applicazione nei tipi di azione che sono atti attentivi. Ci sembra giusto affermare che nei comportamenti attentivi specifici dell’autistico manchino le caratteristiche dell’attenzione auto-determinate e, quindi, reversibile.

È molto prevalente nell’attenzione irreversibile e stereotipa che si può definire come la mancanza di una tensione tre i due flussi di sequenze percettive, quelle controllate dal movimento del corpo e quelle che il mondo impone loro.

Il bambino autistico non è in grado di autodeterminare le azioni, è eterodeterminato; non esperisce la tensione e questo danneggia lo sviluppo della sua soggettività.

Prima della soggettività è alterata la traduzione motoria primaria della sua intenzione; la natura della sua intenzione non è convincente immediatamente, l’intenzione non precede il movimento. Questo trascinerà inevitabilmente povertà di rappresentazioni, ma non è questa la causa primaria; non potrà avere a disposizione una forma di coscienza del sé e del mondo formata nell'azione in cui possa apprezzare ciò che é vero del mondo e ciò che é vero di lui ed, in ultima istanza, quello che è vero nel mondo verso quello che è vero nella propria mente.

Nel momento in cui il bambino autistico voglia avere un comportamento diretto a uno scopo, ciò metterà in azione un movimento come mezzo per un fine, gli viene meno l’esperienza di infallibilità e di autenticità soggettiva del proprio scopo, cioè la conoscenza privilegiata dei propri scopi. Si può quindi dire che l’esperienza corporea e motoria del bambino autistico manca della determinazione intenzionale immediata, della reversibilità facile e della conoscenza personale e soggettiva dei propri scopi.. Sembra chiaro dire che tutto ciò non avviene per dis-funzionamento dei modelli rappresentativi, neanche di quelli meta-rappresentativi, quelli che possono essere ascritti ad una competenza di autosservazione. L’inabilità a sentire le esperienze come proprie è di marca intenzionale e volizionale e non primariamente di marca strutturale cognitiva.

Che gli manchi una teoria della mente sarà una conseguenza, ma non è una causa la mancanza di un concetto di sé.

Sono mancate non il sé che è pure una entità affettivamente e corporeamente formata, ma l’atto volitivo che impronta la coscienza, detto in altre parole l’immaginazione del movimento di base che permette un’appropriazione conscia della propria competenza ad agire.

Queste immagini motorie stanno a ponte tra l’intenzione e l’azione per l’ancoraggio delle azioni ai concetti e provvedono il materiale di esperienza della propria esistenza necessario e continuo per apprendere se stessi.

Questa consapevolezza di sé significa anche localizzare la responsabilità per i propri pensieri e per la forma che essi prendono nel linguaggio.

L’abilità a regolare il comportamento col linguaggio deriva da questa autocoscienza ed è la controparte conscia della rappresentazione motoria di un sé inconsapevole.

Così l’autistico non solo manifesta se stesso in un severo disordine esecutivo diffuso, ma anche con un disordine pre e protoesecutivo a carico del corpo. Questo non vuol dire, peraltro, che una nozione di movimento o corpo non possa essere in parte inculcata col linguaggio e con l’apprendimento sociale, ma non può essere affrontata nella propria esperienza di azione. Può comunque esistere in qualsiasi percetto terapeutico una dissociazione tra il contenuto di informazione convogliata dalle istruzioni e la sua propria alterata intenzione in azione convogliata dagli aspetti salienti della situazione annunciata.

La perseverazione tenace nelle risposte non è soltanto perche quella risposta è più saliente di altre competitive, come è per il deficit di coerenza centrale, ma perché il bambino si abbandona all’eterodeterminazione. È chiaro che il bambino autistico ha anche una impoverita metabolizzazione, può anche avere una teoria, ma non poter agire secondo questa.

Quindi bisogna trovare una causa del disordine subpersonale.

Esiste tuttora uno scollamento tra il molto probabile danno neurologico e il danno cognitivo. È necessario un livello intermedio di valutazione e di comprensione che si dovrebbe rivolgere ad individuare la disfunzione anormale.

Non bastano né la descrizione del danno neurologico, né quella delle rappresentazioni cognitive.

I sintomi importanti sono: la solitudine come detto da Kanner, il grave deterioramento sociale, il desiderio di uniformità, la ripetitività, l’assenza di finzione-difetto di funzione simbolica.

Secondo Hobson, nucleare sarebbe il disordine affettivo e quello sociale, l’assenza di interazione con gli altri ed il deficit di empatia. Secondo la Frith Sarebbe il difetto di capacità di riconoscere le altre menti quindi la mancanza di consapevolezza degli effetti delle altre menti sulla sua e quindi l’incapacità di condividere con le altre menti pensanti – il non dichiarare interesse, anche se sembrano avere metodi speciali per evocare interesse ed attenzione.

Altro sintomo sarebbe l’incapacità di modulare lo stato di eccitazione e l’abbassamento dell’attenzione e la incapacità di distoglierla da situazioni percettivamente schiaccianti.

Questo è un tentativo deviato di essere esecutivi, di controllare ed elaborare le esperienze attraverso un interesse eccitato, ma agitato.

Ci sono quindi anche altre alterazioni oltre a quelle di non essere consapevoli e collocati nel proprio corpo come competente ad agire nel mondo.

Si osserva certamente un deficit di coerenza centrale, cioè isole di abilità che sembrano speciali abilità, ma sono segno di disfunzione nel senso di impossibilità di inizio e fine di un comportamento come se non si fossero mai impegnati nella dimenticanza di una prima originaria esperienza sensomotoria.

Ritorna qui la possibilità di una memoria di lavoro alterata con fruizioni specifiche volte a un cambiamento localizzato.

Questo aspetto non è solo degli autistici, si può descrivere questa situazione come impoverita dal punto di vista rappresentazionale. Dal punto di vista neurofunzionale può essere descritta come un deficit nella dinamica delle reti a fare una connessione globale. Se questo è organizzato come comportamento ripetitivo può essere derivato da un deficit di inibizione e questo può appartenenre anche all’OCD, ADHD e senz’altro alla schizofrenia.

Può essere descritto anche come deficit di flessibilità specifica. È vero che in tutti i soggetti autistici esiste un deficit di teoria della mente cioè una inabilità a distaccarsi da regole interne che siano più arbitrarie di quello che suggerisce il contesto. Tali difficoltà esistono anche in altri tipi di patologie e può essere affrontata con un apporto di informazioni sull’opinione e sul desiderio integrate – è quello che fa il TEACCH ma non va al nucleo dell’autismo.

È abbastanza chiaro che non può risiedere il nucleo psicopatologico dell’autismo nel deficit di organizzazione del modulo cognitivo della cosicenza degli stati mentali dell’altro.

Il deficit di teoria della mente che si può dire anche eterodeterminazione, non mettere in bilancio arbitrarietà con la regola imposta dall’esterno, non è sufficiente a spiegare tutto l’autismo, anche se c’è in tutti gli autistici.

In più porta a una strada terapeutica che non da vantaggi perché è fondata su una psicologia personalistica, molto metarappresentativa.

Quando il bambino vede un altro agentepreformare un’azione, nel soggetto normale viene eccitata una rappresentazione motoria di un tipo simile a quello che sarebbe esistito se avessero agito lui. Questo non succede nell’autistico perché non si sviluppa più il dualismo sé/mondo e l’abilità a localizzare la responsabilità nel suo corpo cambiamenti voluti.

Non si sviluppa più l’identità tra la conoscenza del mondo e la competenza a disporre di sé per cambiare la percezione del mondo.

Anche l’evitamento ostinato e il disordine affettivo non possono essere spiegati in termini di deficit cognitivo né in quelli di disastro relazionale.

Piuttosto bisogna avere ben chiaro in mente che disfunzioni della coerenza centrale, dell’inibizione, della povertà di rappresentazioni possono far parte anche transitoriamente di storie di bambini che pur avendo un momento autistico, non sono autistici e in cui il rapporto non depresso accende qualche cosa.

Tenere aperto il flusso delle esperienze e l’interesse del bambino, può far passare questo stato e permettergli di sviluppare realmente un pensiero contestualizzato.

Sono enormi le implicazioni terapeutiche di un disturbo che è localizzato prima della possibilità di coscienza e comprende aspetti generali e basali del sistema cognitivo umano.


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