AUTISMO:

dalla PRATICA TERAPEUTICA alla TEORIA

Romeo Lucioni - Davide Scheriani - Loredana Reddavide

 

Parlare di terapia dell’autismo è ancora, in molti ambienti, quasi un paradosso, tanto è radicata l’idea che con l’autismo non ci sia nulla da fare.

L’esperienza, però, di più di dieci anni di osservazioni e di pratica terapeutica, ci dà la possibilità di presentare l’ E.I.T. – terapia di integrazione emotivo-affettiva – come un intervento con una forte tensione riabilitativa che, attraverso la relazione, mira alla reintegrazione della soggettività.

La prassi ha dunque permesso di approfondire la conoscenza dei processi psicodinamico-evolutivi che accompagnano l'autismo nelle sue diverse espressioni cliniche ed anche di prospettare nuovi approfondimenti sui meccanismi caratteristici dello sviluppo psico-mentale. Inoltre, tutti i bambini che hanno seguito questa terapia ne hanno tratto miglioramenti sorprendenti se li riferiamo a quello che era stato il punto di partenza; le loro "urla" ed i "comportamenti problema" ci guidano nel cammino verso nuove ed adattive modalità relazionali che permettono di partecipare a fondamentali momenti sociali: giocare con i compagni, ricevere la Prima Comunione, comportarsi correttamente in una festa di commemorazione.

Nell’ambito della relazione si è costruito un intervento, una nostra attiva partecipazione alla relazione, che coniuga il metodo osservativo con quello ricostruttivo, che si convalidano vicendevolmente, ma che permettono anche di attivare un ampio campo di indagine e di applicazione.

Qui, il terapeuta ha una funzione fondamentale, ha la responsabilità della cura e quando sceglie di dare valore fondamentale alla relazione che si sostiene con un "Io ausiliario", la ritiene essenziale per produrre gli effetti annunciati in precedenza (per es. il cessare delle urla).

Noi accettiamo l'ipotesi eziologica che il fattore da lavorare nell'autismo sia il ripiegamento su "un mondo interno" da parte del bimbo che "teme", "evita" e "rifiuta", per quanto gli è possibile, il rapporto diretto, il "contatto" fisico, sensoriale, con il mondo esterno. La nostra tensione riabilitativa si concentra sull'immagine del corpo: questo ripiegamento su di sé, può essere pensato (e dialogato nella relazione terapeutica) come un effetto di un fallimento radicale nella costituzione, nella nascita di un'immagine del corpo.

Può essere avviato un inter-esse fra noi ed il bimbo, concependo questo rifiuto del contatto con il mondo esterno come un effetto di un "difetto di strutturazione" o, se si vuole, "difetto di costituzione del registro immaginario".

Dal nostro punto di vista, infatti, l'eziologia dell'autismo risulta connessa ad un fondamentale disturbo della relazione narcisistica primaria teorizzata da Lacan ed è quindi importante sottolineare come un intervento psicoterapeutico fondato sulla relazione sia in grado di creare un "luogo" di accettazione e faciliti e/o permetta il fluire della trasferenza oltre che riconoscere le situazioni di difficoltà che inducono rifiuti o angosce nei piccoli pazienti.

Leggere i contenuti informativi che l'autistico lancia in continuazione serve a comprendere che "sente" e "vive" e permette di accedere alle sue anche parziali proposte di "vincolazione".

Quando parliamo di autismo, sebbene (per i problemi socio-relazionali che vengono attivati) dobbiamo riconoscere in questo una fonte di disabilità e, in ultima analisi, di un handicap importante, è forse ormai opportuno riferirci a "necessità speciali" che rispecchiano meglio la situazione reale dei piccoli pazienti.

Se riusciamo a dare un supporto adeguato e valido a questi bisogni, possiamo infatti, con la terapia e con l'educazione, aiutare le "debolezze" e, quindi, permettere anche agli autistici di trovare il loro normale "sviluppo Ioico".

Posto in questa logica, il bambino autistico, seguendo il linguaggio di Lacan, non sarà più S(\A), ma un S(A): vale a dire un significante che trova il suo luogo nel desiderio dell'Altro, nel quale la domanda di "cura" viene accolta, seguita e riproposta come "cammino di crescita".

Le problematiche poste dall’autismo agli specialisti richiedono una sempre più accurata analisi delle modalità di relazione con gli oggetti soggiacenti ai diversi quadri sindromici.

Il processo che ha portato all'autismo provoca un effetto di rallentamento che scompone tempi solitamente legati, saldati tra loro: il bimbo non ha coscienza di essere "un soggetto che in stato di veglia funzione come un soggetto regredito" (di qui l'idea che sia un ritardato mentale) caratterizzato da moti psichici che nel normale sono abitualmente impercettibili a causa della loro rapidità, oppure non comunicati a causa del ripiegamento narcisistico.

Innanzi tutto, se osserviamo bene, l'autistico ci informa proprio di questo. Di fronte a certe manifestazioni autistiche, potremo assistere al fallimento, ma anche alla rinascita del pensiero, o, al contrario, a conservarlo non fattibile in modo che risulti come una difesa dal contatto col mondo esterno.

Facciamo pertanto riferimento a un fatto: il pensiero autistico corrisponde ad una alternanza di stati poiché il bambino non rifiuta solo il contatto col mondo esterno (nel senso banale di cercare di sbarazzarsene), si lamenta anche di averlo perduto ("… manco del mio Io per me stesso").

Ecco il senso dell' Io ausiliario che, nella nostra tecnica, è apportato dal terapeuta.

Sulla base di queste premesse, alla presentazione di un metodo di terapia dell'autismo a sfondo psicodinamico, è necessario anteporre una considerazione più specificamente medica che si evidenzia in:

1 – inquadramento nosografico.

La nosologia e la nosografia dell’autismo pongono, ancor oggi, troppi interrogativi così che risulta molto difficile tracciare con sicurezza un profilo diagnostico.

La questione dell’eziopatogenesi, palleggiata e non risolta tra biologisti e psicologisti, ha solo complicato la questione, portando al risultato che sindromi completamente differenti vengono avvicinate all’autismo vero.

A nostro modo di vedere, non si può più parlare di autismo di fronte a bambini X-fragili, down o cerebrolesi. In questi casi si potrebbe parlare di screzi autistici, anche se questa scelta risulterebbe comunque poco chiara perché si fonderebbe solo su alcuni aspetti dell’autismo vero (la chiusura sociale, le difficoltà nello sviluppo del linguaggio, alcuni comportamenti-problema), ma saremmo veramente lontani dai meccanismi mentali e dalle potenzialità cognitive che invece si evidenziano nell’autismo.

Per chiarezza dovremmo riuscire a definire meglio l’autismo e contenerlo in tre espressioni sindromiche delineate attraverso uno studio psicopatologico basato sui sintomi e sulla ricerca "di senso" di ogni "espressione" dimostrata dagli autistici durante le loro psicoterapie, che sono:

A queste, bisognerebbe aggiungere:

che si delineano come poco frequenti e, forse, riferibili a forme del tutto particolari, anche poco studiate.

A volte si parla anche di mutismo elettivo che viene riferito a "…bambini che non parlano pur avendone la possibilità" dato che non presentano nessun disturbo nervoso e o biologico. Sarebbero soggetti che si rifiutano di parlare perché evitano i rapporti interpersonali pur dimostrando buone capacità di comprensione e di comunicazione non verbale.

Visti da una prospettiva psicoanalitica possiamo includere questi bambini tra gli autistici-autistici, ma il tema della mancanza di linguaggio resta tuttavia abbastanza controverso, poiché nell'autistico più di una "mancanza" bisognerebbe riconoscere un "… qualcosa che si congela", come dice Lacan.

Non si può dire che essi "… non parlino", c'è una difficoltà nell'ascoltarli, nel capire quello che dicono; ci sono "parole" in abbondanza che però risultano fuori da un "linguaggio" e che aspettano solo d'essere ascoltate.

Questa osservazione ci riporta ai "… bambini luna" e con questo a "La voce della luna", film nel quale Fellini fa dire al protagonista "... se solo potessimo stare in silenzio, magari riusciremmo ad ascoltare la (loro) voce!".

Se consideriamo il rapporto dell'autistico con la propria madre, riconosciamo che ci deve essere stata una rottura nella relazione madre-figlio: come può non esserci di fronte ad "… risposta che non giunge?".

Non arriva la risposta parola, palla, oggetto, sguardo, pensiero … non arriva il sorriso, l'iniziativa, l'aspettata emozione, la sfumatura affettuosa, la cosiddetta reciprocità.

L'autistico, padrone delle sue parole, diventa il bambino che non parla o parlato da altri o di cui si parla; così diventa quello di cui si dice sempre come qualcuno che non sarà mai come quello pensato, che non percorrerà mai i progetti sognati; che sarà sempre una promessa che non si realizza forse perché "… non si è ancora trovata la chiave per aprire lo scrigno!".

Sulla base della nostra esperienza, abbiamo sviluppato una certa attesa che le tre possibili classi dell'autismo identificate (a. autistico; a. ipercinetico; a. simbiotico), corrispondano a tre diverse "strutture" dell'autismo poiché rispondono diversamente alla relazione e richiedono, da parte del terapeuta, posizioni relazionali peculiari e distintive.

Rispetto a queste, abbiamo dato forma a procedure relativamente stabili di terapia, frutto di un tentativo sistematico di teoria della pratica. Proprio per questo abbiamo separato dall'autismo gli X-fragili, i down, i cerebrolesi, i quali possono presentare condotte relazionali di tipo autistico, ma che non rispondono alla modalità di relazione col terapeuta che abbiamo sopra indicato.

2 – la diagnosi precoce resta ancora il problema principale dell’autismo poiché, a partire dal momento della diagnosi, resta un tempo breve per poter intervenire terapeuticamente. Se consideriamo che, come ha confermato di recente Rita Levi Montalcini, la plasticità cerebrale si esaurisce prima del compiersi del decimo anno, è chiaro, quindi, che se vogliamo risolvere o affrontare seriamente il tema dello sviluppo del linguaggio, dobbiamo cominciare a lavorarci prima dei 5-6-anni.

Recenti studi hanno dimostrato che l'assenza enormemente prolungata dell'uso del linguaggio (causata da isolamento) determina una atrofia funzionale dell'emisfero sinistro (K.R. Popper e J.C. Eccles).

Anche il tema della psicoterapia richiede una diagnosi precoce perché è molto più facile lavorare con bambini piccoli (2-3-anni) che non quando i sintomi si sono in qualche modo radicalizzati. A queste età, la "relazione immaginaria" e quindi il difetto di relazione che riteniamo essere l'origine della difficoltà autistica sono particolarmente "plastici" perché l'immaginario ha cominciato a formarsi sui sei mesi di età ed è stato strutturato fin sui 18 mesi.

Anche il superamento di errori nella coordinazione motoria devono essere affrontati precocemente come necessità dello sviluppo psico-mentale.

3 – la scelta terapeutica

forse la questione che comporta grosse discussioni che però non devono interferire con il fatto che il bambino autistico ha il diritto di raggiungere uno sviluppo psico-mentale globale e, soprattutto, di poter "crescere" in personalità ed in "attitudini affettive evolute" che gli permettano una vita sociale accettabile.

Per questo sosteniamo la necessità di una psico-terapia nella quale il terapeuta si inserisce in una peculiare posizione narcisistica, entra nella relazione, prende campo, vi porta il suo reale, viene investito, immaginato, visto e, quindi, porta questi soggetti ad una vera "integrazione Ioica", globale ed armonica nei suoi aspetti emotivi, affettivi e cognitivi.

Per altro lato, dobbiamo ricordare che questi bambini diventano adulti e vecchi e, quindi, ogni recupero ottenuto nell’infanzia sarà sempre un grande risultato per gli anni che dovrà vivere.

4 – la questione dell’assistenza

Quando si affronta un autistico, sia che se lo interpreti secondo un linguaggio medico (disturbo pervasivo dello sviluppo), sia che se lo consideri secondo un'ottica dinamico relazionale (disturbo della relazione narcisistica), bisogna ricordare che si tratta di un disabile grave , lavorando con il quale non si possono preventivare risposte scontate o automatiche, né riferibili ad auto-apprendimento.

PROBLEMI DA AFFRONTARE

pianto

grida

agitazione

irrequietezza

irritabilità

instabilità

BISOGNA ATTUARE

5 – l’inserimento scolastico

questi temi, dal punto di vista della terapia, possono essere accumunati dal momento che il terapeuta deve essere sempre disponibile a dare ai genitori ed ai docenti ogni tipo di spiegazioni.

Spetta a lui chiarire il significato delle reazioni, a volte assurde, presentate dagli autistici, indirizzare su come affrontare i comportamenti-problema, porgere aiuto nei momenti di difficoltà, di disillusione e di burn-out.

Il nostro punto di vista è che solamente un intervento multidisciplinare e coordinato tra genitori, terapista, docenti e caregivers può essere il modello utile agli autistici per uscire dal loro "tunnel".

 

6- il domani

"dall’autismo si può uscire": questo deve essere la certezza che guida e sostiene tutti coloro che con amore si mettono al servizio di questi bambini che aspettano da noi di essere il loro sostegno oltre che il loro modello; che ci attendono su quel simbolico "ponte d’amore" che permette una relazione ed un contatto nella fiducia, nella comprensione e nel reciproco rispetto.

Forte di queste premesse, è il terapeuta che può mettersi in primo piano, esporsi, presentarsi e "prescriversi" nella cura, affidare l'effetto della terapia all'accoglimento di essa da parte del bambino autistico che vede in lui la possibilità di staccarsi dalle sue inutili scelte autistiche e guardare, in un ambito di fiducia reciproca, alla soddisfazione implicita in … buone relazioni sociali.

*****

Posto in questi termini il tema dell’autismo, possiamo addentrarci in quello della terapia che, per noi, significa E.I.T. – terapia di integrazione emotivo-affettiva.

Parlare di terapia dell’autismo implica una messa in primo piano del terapeuta, la sua esposizione, il suo presentarsi e "prescriversi" nella cura, il suo affidare l'effetto della terapia all'accoglimento di essa da parte del bambino autistico.

In questi termini si comprende come parlare di terapia sia staccarsi da tutte quelle metodiche protesiche che, pur nella loro importanza, significatività ed efficacia, si limitano ad affrontare di volta in volta:

Anche attività ludico-ricreative, a volte, vengono indicate come terapeutiche o che migliorano la cosiddetta qualità della vita; bisogna ricordare però che questi interventi possono sviluppare reazioni controfobiche e non di accettazione affettuosa (bacini = mettere qualcosa di buono nell'altro perché così possa essere d'aiuto; tenere per i polsi = impedire che si possa fare loro del male; gelosia = scongiurare nuove relazioni pericolose).

Toglierli dal loro "angolo" o, comunque, dal loro "posto di osservazione" risulta sempre impegnativo; difficilmente danno l'impressione di provare piacere nel gioco, tanto che fanno pensare che anche questa attività sia più accettata perché imposta che non condivisa perché piacevole.

Il piacere nel gioco può risultare solo una falsa lettura dell'operatore che cerca di risultare accettabile, gentile e/o "stimolante", ma il non piacere deve essere interpretato come difficoltà legata all'estrema vulnerabilità dell'autistico nel contesto relazionale.

In tutte queste attività, definite ortopediche o protesiche, c’è anche un aspetto relazionale ed è proprio questo quello che va studiato, osservato e valutato nella sua valenza terapeutica.

Spesso ci arrivano bambini che hanno fatto di tutto e li troviamo come che hanno "imparato", c’è in loro qualcosa di "elaborato", ma mancano di spontaneità, di iniziativa, di … non sapersi aiutare, di non sentire piacere. È forse proprio questo il problema dell’applicazione di attività che agiscono "oscuramente" nella relazione, senza interpretarla, senza leggerla, senza utilizzarla per uscire dalla dipendenza e dal "non bisogno dell’altro" che questi disabili dimostrano anche quando l'operatore o il famigliare trova, nella soddisfazione di vedere una frase scritta, il senso di … tanti sacrifici !

Il nostro approccio terapeutico al bambino autistico è "globale", vale a dire, tende a strutturare o a ri-strutturare quelle funzioni psico-mentali che nell’autismo risultano inadeguate per una vita sociale e di relazione che permette, poi, un armonico sviluppo delle funzioni cognitivo-intellettive e razionali.

Con questa globalità intendiamo il nostro "accoglimento", nella sua presenza reale così come appare nella relazione, dove c'è e si evidenzia pur sempre quell' Io scarno, fragile o menomato al quale diamo "rispecchiamento".

Fungere da specchio è l'inizio ed il filo conduttore della nostra tecnica che usa il rispecchiamento senza perdersi, ma, al contrario, per punteggiare, per dotarlo di una direzione nella quale è riconoscibile il senso della cura.

Questo significa:

Questi obiettivi possono esser raggiunti attraverso:

L’ E.I.T. , ponendosi l’obiettivo di un "recupero globalizzante" del soggeto autistico, si fondamenta nell’etica psicoanalitica che rispetta:

Questa lettura del modello terapeutico supera la diatriba della preminenza biologica e/o psicologica, dal momento che riconosce nei bambini autistici problematiche che stanno a cavallo del biologico e dello psichico proprio perché riguardano momenti dello sviluppo psicomentale a volte molto precoci, che, quindi, non possono essere riferiti né al biologico, né allo psichico poiché entrambe le strutture-funzioni non sono ancora del tutto strutturate.

Per chiarire meglio, diremo, per esempio, che la questione della mancanza di auto-identificazione può essere annoverata come disturbo della coscienza che ha sicuramente le sue basi nello sviluppo biologico-strutturale, ma investe anche le dinamiche psichiche che dipendono dai vissuti, dalle esperienze ed anche dall’adattamento costante agli stimoli percettivi, alla strutturazione di quegli "oggetti interni" che vengono riconosciuti come prerequisiti per raggiungere una valida ed efficace coscienza della realtà.

Il modello terapeutico E.I.T. , basato sulla ristrutturazione e sulla ricompattazione emotivo-affettiva, fondata sulle relazioni e, quindi, sulle dinamiche sociali, trova la sua giustificazione ed i suoi pilastri teorici in una

teoria del metodo

La psicoterapia E.I.T. si svolge in un ambito di relazione nella quale il terapeuta funge da Io ausiliario che permette il transito delle esperienze attraverso un ponte di validazione basato sugli affetti e sulla fiducia e per il quale gli oggetti tendono a strutturarsi e ad acquisire il carattere di "permanenza".

In questo modo, il bambino che doveva confrontarsi con la nebulosità e l’incostanza delle esperienze, trova dei vissuti nuovi che corrispondono, non più a oggetti parziali angoscianti, ma a oggetti permanenti, capaci di creare tranquillità, sicurezza e fiducia. L’autistico trova nella terapia un adulto disponibile a stabilire con lui un vincolo e, quindi, uno specchio capace di riflettergli un’immagine nuova e accettabile di se stesso.

Il rapporto terapeutico apre a nuove esperienze che diventano accettabili e gli autistici possono cominciare a "fare" perché il risultato non è più l’angoscia della perdita dell’identità, ma un continuo crescere nella relazione e nella fiducia.

Il bambino, con il ricordo dell’esperienza affettiva, riesce a portarsi via il "significante" che perdura in lui come oggetto permanente che dà sicurezza e crea le basi di una "consapevolezza di sé", nel senso che questo oggetto permanente può essere reperito dentro di sé e riconosciuto quando si presenta nuovamente fuori di sé.

Trovare in sé porzioni di libido oggettuale e narcisistica (affetti) permette al bambino di sperimentare aspetti parziali di vita "fantasmatica" propria e di creare le idee preconsce investendo piacevolmente il terapeuta con il suo interesse e con l'amore, ricordandolo poi quando se ne è andato, alla fine della seduta, formando così uno spazio psichico in formazione nel quale queste idee risultano nodi ai quali agganciare le esperienze.

Queste, come idee preconsce e consce (il pensiero su crea sulle percezioni), creano una situazione paragonabile a quella onirica che porta il paziente ad una interiorizzazione affettiva che può essere riconosciuta e conservata solo sperimentandola in un "altro" attraverso la "nominazione dell'esperienza fatta".

Si permette così che "parole", "oggetti interni" e "rappresentazioni" restano agganciati perché accettati come un "proto pensiero" che poi, staccandosi dalla percezione concreta, si trasformeranno come veri pensieri.

Attraverso questi meccanismi il soggetto, nella terapia, viene distratto dalla pulsione indifferenziata e attirato dalla causalità, dalla deduzione e dalla realtà: la costanza dei significati lo allontana dalla confusione e dalla indeterminatezza per condurlo all’identificazione ed alla auto-identificazione.

Ritrovare se stesso apre la porta al desiderio, alla scelta, alla decisione, alla volontà che, come fondamenti della consapevolezza, richiamano alla "soggettività".

In questo modo, posto di fronte allo "specchio", percepisce le sensazioni e le emozioni come ancorate ad un Sé che partecipa nella relazione e capace di strutturare quella coscienza che, attraverso l’attenzione, la memoria e la volontà, crea quelle dinamiche affettivo-cognitive che strutturano i processi psico-mentali.

Per chiarire i meccanismi psichici e/o mentali che intervengono nella terapia E.I.T. possiamo riprendere alcuni punti fondamentali.

La Coscienza

I bambini autistici presentano sempre una alterazione della coscienza di Sé, dell'autoriconoscimento e dell'autoidentificazione.

Parlare di coscienza è anche affrontare il tema della struttura dell' Io per cui è opportuno riprendere schematicamente l'argomento:

 

FUNZIONI DELL’ IO

Þ A - FUNZIONI AUTONOME PRIMARIE o DI COSCIENZA (libere da conflitti) che si evidenziano come aspetti adattivi (non sono aspetti difensivi) che servono ad acquistare la "costanza dell’oggetto":

percezione

attenzione

memoria

. auto-riconoscimento

coscienza di sé . auto-identificazione (nel rapporto sociale)

. auto-soddisfazione

. auto-valorizzazione

coscienza delle cose

abilità motorie e controllo motorio

autoidentificazione e coscienza di sé

identificazione della realtà

apprendimento o conoscenza

capacità di pensare o intelletto

capacità di esprimersi o linguaggio (verbale o non verbale)

RENDONO POSSIBILE

della fiducia

della capacità di sublimare le spinte libidiche attraverso:

la razionalizzazione

l’adeguamento agli usi ed ai costumi

la solidarietà

l’elaborazione del senso dell’umorismo

dell’obiettività attraverso:

esame di realtà

rafforzamento dei confini dell’ Io

sviluppo di un Io osservatore

del pensiero concreto

del pensiero astratto

del senso di realtà che comprende:

confini corporei chiari

discriminazione spaziale (dx-sin, alto-basso, avanti-indietro)

orientamento spaziale

della capacità di valutare sequenze di causa-effetto

del funzionamento mentale sintetico-integrativo

della capacità di intellettualizzare e di idealizzare

Una visione attuale considera la "coscienza" come un fenomeno biologico paragonabile all’ attenzione ed alla memoria che, comunque, risultano composte da una parte conscia ed una parte automatica, istintiva ed inconscia.

Consapevolezza: secondo G.Edelman e G.Tononi, è un processo complesso che permette di scegliere, in una frazione di secondo, su quale situazione, oggetto e scena, puntare l’attenzione, tra una miriade di stimolazioni, dirette o indirette, che i sensi percepiscono.

È chiaro che questa scelta risulta da "fattori soggettivi" e, quindi, è del tutto personale, unica, caratteristica e irrepetibile: ogni soggetto ha una sua propria consapevolezza.

Coscienza di sé.

La consapevolezza presuppone, però, la presenza, a monte, di una coscienza di sé senza la quale difficilmente il soggetto potrebbe vivere come propria la scelta fatta.

Il Sé viene percepito sotto diverse forme:

  1. area del corpo, che riguarda l’aspetto e la funzionalità somatica (pelle, muscoli, visceri, ecc.);
  2. area della psiche che ci permette di riconoscerci come portatori di un particolare e caratteristico modello di funzionamento psico-mentale che concerne emozioni, affetti e pensieri;
  3. area della relazione che permette confronti con gli altri oggetti che ci accompagnano e che dimostrano funzionamenti psico-mentali autonomi e caratteristici.

L’auto-identificazione, strutturandosi come auto-coscienza ed autostima, acquista diverse forme:

- senso di esistere

- senso di essere

- senso di valere come individuo

- senso di insostituibilità

- senso di permanenza nel tempo

- senso di potere

- senso di avere un proprio ruolo

- senso di essere normale

- senso di essere scelti per quello che si é

- senso di essere accettati in quanto adeguati

- senso di essere capiti oltre che di capire

Va sottolineato che parliamo di attività automatiche ed istintive che nulla hanno a che vedere con i processi cognitivo-intellettivi che, per altro lato, sono responsabili di un auto-riconoscimento razionale, deduttivo, fatto di comparazioni ed anche di rapporti con il nostro essere storico, cioè il poter ri-conoscere i cambiamenti nel tempo.

Questa coscienza di sé o senso di sé "… arriva intorno ai 18-24 mesi e corrisponde al momento in cui la corteccia prefrontale inizia a maturarsi" (come dice A.Damasio). Sarebbe quindi come dire che l’essere coscienti di sé apre le porte allo sviluppo della sfera affettiva, dal momento che è in questo tempo che il soggetto comincia a differenziare ed a comprendere lo stato d’animo dell’altro, a prevederne le reazioni e, quindi, a modulare, su queste, i comportamenti prevedendone le conseguenze.

È l’autocoscienza che fa vivere come propri i sentimenti (dolore, angoscia, fiducia, allegria, dispiacere, generosità, altruismo, ecc.) che sono il fondamento dell’ affettività.

I bambini autistici che non hanno acquisito le capacità cognitive e di pensiero astratto, presentano modalità di pensare fondate su meccanismi affettivi, che si esaltano nella relazione e, quindi, danno significato alla "terapia di integrazione emotivo-affettiva".

Questi meccanismi permettono la messa in moto di un "sapere affettivo e relazionale" che è stato descritto da Melanie Klein come relazione primaria e che viene ripristinato nell'autismo attraverso la presenza del terapeuta che così permette la strutturazione dell’oggetto interno e persino di sequenze di pensiero simbolico e verbale.

In altre parole, il blocco dello sviluppo caratteristico dell'autismo, conduce ad una alterazione di meccanismi psicomentali attraverso un'alterazione della coscienza che comporta:

. il pensiero

. il riconoscimento

. le finalità motorie

. le espressioni motorie (i movimenti)

. superare lo stadio dei meccanismi precognitivi.

Il bambino autistico che non può superare le dinamiche arcaiche dell'egocentrismo e dell'onnipotenza che comportano la perdita degli oggetti, può, attraverso il terapeuta, recuperare l'autovalorizzazione ed il riconoscimento dell'Altro come valore.

Si instaura una fiducia che permette il recupero di rappresentazioni oggettuali (rappresentazioni di cosa) che conduce alla permanenza nella memoria di vissuti e di sentimenti. Il riconoscimento che almeno questi possono perdurare e, quindi, essere ritrovati, porta alla percezione di un certo grado di funzionamento psichico che mette in moto meccanismi narcisistici.

Questi significano anche la percezione di una capacità di salvare e di restaurare e, quindi, di superare le angosce e le tendenze distruttive proprio perché il Sé può permettersi di agire, di essere aggressivo, di porsi come individualità che si contrappone all'Altro proprio perché può restaurare le cose distrutte.

L'autismo, espressione di una difesa eccessiva contro il sadismo (esplorazione sadica del corpo della madre e, in senso lato, del mondo esterno), attraverso l'OK e lo sguardo che incute fiducia nel terapeuta, viene superato, ripristinando una relazione simbiotica con le cose e gli oggetti (che rappresentano il corpo della madre) e, quindi, anche con l'ambiente e con la realtà esterna.

 

 

 

Lo sviluppo mentale

È un processo tanto ampio che risulta difficile e complesso arrivare ad elaborare una struttura ordinata che permetta di dare un significato a tutti i "segni" che lo rappresentano.

Generalmente si intende riferito allo sviluppo delle capacità intellettive ed al linguaggio, ma in esso va incluso anche la memoria, l’attenzione, il senso di sé, l’auto-identificazione, le potenzialità affettivo-relazionali e cognitivo-intellettive.

La base di questo processo sono i cambiamenti strutturali e funzionali del S.N.C. (sistema nervoso centrale) per i quali bisogna tenere in conto:

tutti elementi interconnessi che si influenzano vicendevolmente.

Nel valutare un determinato sviluppo psico-mentale, bisogna quindi tenere in conto che ogni bambino è una unità indivisibile che deve essere "conosciuta" attraverso una visione dinamica e multidisciplinare, così che qualsiasi intervento a scopo correttivo e/o stimolante non deve mai rompere l’equilibrio delle varie componenti che "… attraverso una scansione di centinaia di migliaia di moduli corticali …" (Popper e Eccles,1977) attiva un funzionamento globale, integrato ed equilibrato..

Lo sviluppo psico-mentale è una funzione di funzioni che implicano una progressività, ma anche armonia, per raggiungere diverse tappe e/o livelli, tra i quali, i primi condizionano quelli successivi.

E.I.T. TRA CLINICA E METODOLIGIA

Nell’ E.I.T. ogni terapia si esegue "… come se fosse la prima" (così come suggeriva anche Freud), non perché non crediamo nella teorizzazione della dinamica e della psicoanalisi, ma perché dobbiamo "… essere portati dalla onda di ……(John)". Come diceva Frances Tustin): partire dalla clinica per interrogare la teoria.

Considerando in altro aspetto, non ci soffermiamo sulla diagnosi di autismo perché questa segue criteri rigidamente psichiatrici; in psicoanalisi la diagnosi è fatta tenendo conto del transfert e, in questi casi, si evidenzia uno sdoppiamento del transert.

Per altro lato, una diagnosi porta ad un incasellamento inopportuno, dal momento che, con l’inizio della terapia, il quadro psico-mentale è in continuo ed imponente cambiamento (in ogni sessione, si può dire, le dinamiche vengono cambiate in rapporto alle acquisizioni emotivo-affettive dei piccoli pazienti).

 

Valutazione dei miglioramenti

È difficile valutare i progressi che si ottengono con la psicoterapia E.I.T. perché il bambino, mancando di parola, non può esprimere e/o raccontare le proprie fantasie ed i propri sogni.

Ci dovremmo aspettare un immaginario pieno di oggetti e/o situazioni persecutorie, ma forse questi oggetti mancano e, quindi, la povertà del mondo dell'immaginario risulta strutturarsi come modello difensivo.

L'angoscia ed il terrore che però sovrastano le esperienze dell'autistico ci dicono che questi vive in una dimensione che abbiamo chiamato "pantoclastica", nella quale l' Io e l' Altro si affrontano come soggetti onnipotenti e distruttivi.

Paolo Di Benedetto (2000) parla di "… sentimento di essere passivamente alla mercé di qualcuno o di qualcosa immensamente forte …", ma questa presenza viene controllata da una forza uguale e contraria che funge da difesa altrettanto invincibile.

Ricordiamo che questo meccanismo (delirio di potenza) è abbastanza frequentemente rilevabile anche nei bambini normali (a circa due anni) ed era stato descritto in un precedente lavoro (Lucioni, 1998) come simbolizzato dalla "coperta di Linus".

Nell'autistico, la stuoia, l'angolo di difesa, l'oggetto salvifico, sono tutti oggetti simbolici sui quali viene strutturata l'onnipotenza del soggetto, che gli permette, in modo allucinato, di poter sopportare e difendersi dagli attacchi creati dalle sue stesse identificazioni proiettive (vedi in Lucioni, 1999, il tema della palla ed il muro).

Marcella Pagano (2000), nella sua descrizione metaforica dell'autismo come rappresentata dalla fiaba del "Pifferaio magico", scrive: "… possiamo dire che siamo di fronte ad una difesa che ha lo spessore di una montagna".

Evidentemente la "stuoia-difesa-montagna" è qualcosa di disturbante ed inaccettabile per il terapeuta che, per altro, vive la sensazione di "poter fare qualcosa per il piccolo autistico".

Se il terapeuta riesce a fare nella sua mente un "… vuoto di sapere" potrà stabilirsi un "ponte relazionale" permeato di tensioni, emozioni ed affetti completamente nuovi, vissuti come estranei, imprevedibili ed incomprensibili, ma che permettono l'instaurarsi di una sorta di sintonizzazione empatica su un "canale comunicativo" completamente nuovo (Lella Citterio, 2000).

Nello spazio vuoto creato dal terapeuta, l'autistico trova un luogo dove si sente permanere, dove può finalmente identificarsi e ritrovarsi come essere e come soggetto.

È in questo luogo dove il paziente comincia a sentirsi non più sequestrato, ma partecipato e, quindi, il processo di identificazione proiettiva permette di sostituire la dimensione pantoclastica primitiva, con una situazione dialogica, equivalente ed equipollente, che permette la messa in funzione di un processo di autoidentificazione e di autovalorizzazione.

Il bambino comincia a sperimentare spinte narcisistiche sempre più vincolate con la realtà del proprio corpo, degli oggetti e di vissuti che possono essere condivisi.

In questo cammino si sono andati perdendo:

A partire da questo momento, un abbraccio o un saluto perdono una pregnanza controfobica e cominciano ad esprimersi comportamenti a significato di auto-apprendimento, di iniziativa autonoma e personalistica e a comparire sentimenti di auto-soddisfazione per il proprio funzionamento motorio e psico-mentale.

Autoidentificazione

Il tema dell'autoidentificazione si collega allo sviluppo della coscienza, intesa come capacità arcaica ed istintiva di identificare, in forma separata, i propri oggetti e se stessi.

Anche Freud (1926) aveva riconosciuto la presenza di esperienze emotive arcaiche riferibili come relazioni preoggettuali. Queste si attivano utilizzando le emozioni come segnali (A.Freud,1981 e Krystal, 1988) riconosce come tutti questi affetti possono funzionare da segnale.

Queste reazioni, vissute come consapevolezza soggettiva o come reazione arcaica di autoconsolazione rappresentano l'avvio di una difesa dell' Io per attenuare le tensioni e ripristinare un equilibrio omeostatico.

L' Io viene attivato così da evitare possibili disorganizzazioni come risposta a segnali, percepiti in termini sensoriali concreti, che rappresentano (Ivri Kumin,1996) "… vestigia esperienziali di una reazione preoggettuale esistente prima della capacità del bambino di formare delle rappresentazioni mentalizzabili, di differenziare a livello cosciente il sé dalle persone che lo accudiscono e di separare le proprie esperienze mentali da quelle fisiche."

Il bambino, nello stato preoggettuale, non riesce ad essere consapevole di se stesso in rapporto con altri, in forma stabile , coesiva ed interiorizzata.

Lo stato preoggettuale è una forma arcaica di relazionalità a cui il bambino è preadattato fin dalla nascita e che rappresenta un prestato nel quale ci sono i prodromi delle relazioni oggettuali.

Kinston e Lohm (1981) parlano di reazione primaria rappresentata da una relazionalità narcisistica che crea un legame narcisistico-libidico fra un non ancora soggetto ed un pre-oggetto o oggetto parziale, oggetto sé che indichiamo come relazione pre-oggettuale.

L'identificazione é un processo psicomentale automatico che si struttura sugli assi guida della coscienza: lo spazio ed il tempo;

Le modificazione del Sé nel tempo riescono ad essere vissute ed accettate solo come permanenza dell'oggetto, vale a dire che il sé è sempre lo stesso anche se subisce delle modificazioni nello spazio (cambiamenti di riferimenti ambientali) e nel tempo (per esempio l'invecchiamento).

La perdita di questa funzione dinamica è il fondamento della perdita della auto-identificazione ed è strettamente legata al mantenimento della auto-valorizzazione.

Questa, unita sempre ad un processo relazionale (è l'altro che ci valorizza o, comunque, che offre la conferma e la sicurezza), a volte può essere mantenuta grazie ad una rigida ed immutevole dipendenza, per cui, di fronte a cambiamenti, il soggetto perde integrità e si ritrova svalorizzato, senza un futuro sicuro, cioè stabilizzato e costante.

 

IL BISOGNO ED IL DESIDERIO

Considerando che il bisogno è strettamente collegato con il desiderio, possiamo sottolineare che quello è quasi esclusivo di meccanismi istintivi, automatici e poco controllabili.

Il bisogno può essere definito come la sensazione di non poter fare a meno di un oggetto (cosa o persona) senza del quale si percepisce qualcosa di fastidioso o di doloroso.

Questa funzione psico-mentale può essere ricollegata alla relazione primaria descritta da Melanie Klein che è stata indicata anche come pensiero affettivo per indicare un meccanismo precognitivo che appunto è istintivo, automatico e ha carattere di globalità (non è deduttivo), di immodificabilità e di verità.

Ha anche la caratteristica di non essere strettamente vincolato all'oggetto (la percezione è ciò che permette di sviluppare un protopensiero od un pensiero) ed alle sue caratteristiche estetico-contingenti (qualità fisiche intrinseche e caratteristiche visibili).

In questo modello di funzionamento il bisogno si esaurisce nell'appagamento del desiderio per cui l'oggetto può essere abbandonato, perduto o gettato, poiché può continuare a persistere nella sensazione di piacere e di appagamento, che rappresentano anche una autosoddisfazione (di tipo istintivo).

La relazione primaria non è in grado di "creare" gli oggetti, perché questi possono essere abbandonati e non raggiungono un grado di simbolizzazione: rappresentazione di cosa e non rappresentazione di parola.

Tale funzionamento di tipo anale è caratteristico dell'autismo ipercinetico proprio perché, in questi bambini, prevale il modello di prendere e lasciare, di correre verso qualcos'altro, di rubare agli altri (per il gusto di "portar via").

Da un punto di vista economico, il processo è poco redditizio perché il desiderio si esaurisce sul sé e non sull'oggetto che, al contrario, viene svalorizzato (dopo che lo si è carpito), ma anche perché genera angoscia attraverso la distruzione e la perdita e, quindi, supporta un meccanismo riparativo come quello della coazione a ripetere che, nell'autismo, si struttura come gesti ripetitivi ed ossessivi o modalità compulsive a volere l'immobilità degli oggetti.

 

SENSO DI SÉ ED AUTORICONOSCIMENTO

Questa funzione psico-mentale, nel bambino autistico-autistico, non si è strutturata per cui vive costantemente nell'angoscia di autodissoluzione e di perdita dell'oggetto (sé e gli altri).

Nell'autismo ipercinetico il senso di Sé si struttura in un pensiero affettivo (egocentrico ed onnipotente) centrato sul proprio corpo libidinizzato.

Il movimento rispecchia l'usa e getta adottato nel rapporto con le cose ed un inesauribile meccanismo di ricarica libidica che supporta violente frustrazioni di fronte alla perdita di valore (senso di non riuscire o di sbagliare) o al non ottenere ciò che viene caricato di desiderio dal bisogno compulsivo di trovare se stessi (attraversi gli oggetti).

L'oggetto d'amore, come unico ed immodificabile, viene preso come punto di riferimento per il Sé e, di conseguenza, compaiono i segni di una gelosia violenta che assume aspetti di tipo edipico, ma caricaturali (pregenitali).

Nell'autistico simbiotico il senso di Sé e la persistenza di un Sé coeso viene vissuto solo nella simbiosi con l'oggetto d'amore e, quindi, la relazione con l'Altro può essere vissuta come significativa solo in questo caso (che sia presente la madre), altrimenti l'Altro viene oggettualizzato (fatto cosa reale e concreta) e, quindi, può essere perduto senza angoscia (per altro lato permane il pensiero dell'oggetto d'amore che non può essere perduto perché riempie l'immaginario).

Questa relazione ha un aspetto fallico in quanto il bimbo si dimensiona come fallo nel ventre della madre (capace di controllarlo) che così permette l'autoidentificazione simbolica e la salvaguardia dell'oggetto d'amore.

Il rapporto con gli oggetti (quando sono conservati) è possibile proprio perché concretizzati e svuotati di pericolosità, ma il rapporto con la figura paterna fallica risulta distruttivo, castrante, persecutorio e capace di dissolvere il legame simbiotico (provocando così la morte di entrambi i membri della diade).

La memoria di questa relazione castrante e distruttiva viene "portata via" e, quindi, perdura, compromettendo lo sviluppo psicomentale e le relazioni (impossibilità di lasciare la madre).

 

 

 

CONCLUSIONI

 

Per effettuare, su un bambino autistico, una diagnosi "dinamica" e determinare il punto del suo sviluppo psico-mentale e dire come è strutturato il rapporto con l'oggetto, è necessario procedere ad una valutazione che tenga conto di svariate concomitanti.

Fra tutti i quadri psico-patologici che possono essere presi in esame, quello riferito all'autismo primario o "autismo di Kanner" o "autismo autistico" è sicuramente il più grave sul piano clinico ed il più impegantivo su quello terapeutico.

Questi bambini risultano poderosamente chiusi su se stessi, come una fortezza vuota, e si occupano del mondo esterno solamente per poter controllarne ogni minima modificazione. Gli stimoli, anche i più inconsistenti e banali, provocano in loro gravissime crisi di panico.

In questo distacco esistenziale, a volte, compaiono movimenti ripetitivi, quasi rituali, che sembrano capaci di attenuare le ansie e le angosce.

Che questi movomenti coatti abbiano un carattere adattivo è dimostrato dal fatto che, iniziata la terapia, le ritualizzazioni seguono un esercizio e ne precedono un altro, senza interruzione di continuità, e, quindi, intervengono quasi a scaricare una tensione che precluderebbe o bloccherebbe nuove iniziative.

Queste osservazioni ed il fatto di poter controllare abbastanza in fretta crisi di urla e di opposizione vengono a dimostrare:

  1. il carattere adattivo delle reazioni comportamentali negative;
  2. la iniziale qualità controfobica dell'adesione alle iniziative proposte come se la sottomissione venisse accettata proprio per contenere l'intrusività oppressiva dell'altro;
  3. la possibilità di operare nell'ambito di queste dinamiche per iniziare una relazione "forte" che successivamente porterà a strutturare valenze ioiche di indipendenza e capaci di contenere e superare l'adesività e la sudditanza alle figure genitoriali;
  4. l'uso precoce dello specchio aiuta in questo senso a rinforzare la relazione e a recuperare o a strutturare una coscienza di sé che veicola la validità e la permanenza degli oggetti che così possono cominciare ad essere usati senza determinare crisi di angoscia;
  5. nella terapia si possono cominciare ad usare oggetti, come cerchi o cuscini, che si prendono e si restituiscono o si lanciano, dimostrando, in questo modo, la scomparsa degli oggetti-parziali che sono ormai sostituiti da una "permanenza" rassicurante, ma, soprattutto, ricca di valenze evolutive.

Nella sua propensione al recupero ed alla riabilitazione funzionale la "Terapia di Integrazione Emotivo-affettiva" assume un aspetto di intervento globale sulla persona nella quale vengono osservati aspetti motori, emotivi, affettivi e cognitivi che convergono disfunzioni, disorganizzazioni e disabilità, quando sono considerati in un modello riabilitativo.

L’ E.I.T., ponendo l’interesse nel soggetto, nella persona, nell’individuo, in una dimensione olistica, non considera la diagnosi, la malattia, le menomazioni e neppure la cura perché non vuole "curare", ma ripristinare funzioni disusate, riorganizzandole in una interazione armonica.

Non si mira solo all’ autosufficienza, ma si tende a riattivare l’ autonomia che è espressione di un funzionamento efficace dell’ autovalorizzazione, di una valida coscienza di sé e di una struttura ioica integrata. In altre parole, non interviene su una specifica funzione, ma sul soggetto nella sua "totalità" disorganizzata da errate interazioni tra sistemi biologici, psico-affettivi e psico-intelletivi.

L’ E.I.T. tende a ripristinare, rinforzare ed integrare una "dimensione" capace di dare senso alla vita, "una poetica della vita" che, nei suoi aspetti ecologici, risulta fondata sul rispetto della natura e, in questa, della natura umana, composta da corpo, pensieri, emozioni ed affetti.

La disorganizzazione tra percezioni-emozioni-affetti-psnsieri crea una situazione di tensione che sottende a disordini psico-fisici, disorganizzazione globale dello sviluppo e dell’essere, disarmonia tra bisogni, desideri e risorse, perdita dell’autoidentificazione.

La situazione di "stress" deriva dalla frustrazione per non riuscire a trovare intuitivamente e/o, attraverso una elaborazione intellettiva, una via d’uscita e un equilibrio che sia portatore di benessere e di piacere.

Spetta alla terapia integrare le funzioni psico-neuro-biologiche del paziente autistico e condurlo ad un cammino di integrazione sociale e relazionale. Questo è il vero obiettivo ed il fondamento del rispetto dei diritti dell’individuo. Il recupero di funzioni non è sufficiente, ogni autistico si aspetta autonomia, pari opportunità, inserimento sociale ed exostima che completa le dinamiche intrapsichiche mosse dal senso di sicurezza, l’autostima ed il valore sociale e personale.

Obiettivi primari:

superare:

recuperare:

controllare

contenere i disturbi psicomotori, rappresentati da:

riorganizzare la funzione motoria complessa perché serva da base per un valido

riconoscimento di un sé normalmente funzionante.

Obiettivi a lungo termine:

 

Da queste osservazioni possiamo capire le enormi difficoltà insite nella terapia dell'autismo (per altro è considerato una "discapacità grave" se non "… gravissima o addirittura "incurabile") soprattutto perché i due versanti della relazione sono coinvolti fortemente.

Da un lato il soggetto che si presenta con:

Dall'altro il terapeuta che si trova di fronte alla necessità di creare uno "spazio" per accogliere l'autistico, che comporta:

Queste difficoltà ci riportano a considerare la situazione relazionale tra figlio e madre e i conseguenti vissuti di estraneità, di perdita, di impotenza, di inadeguatezza che questa si trova a dover affrontare di fronte all'isolamento autistico nel quale tuttavia il piccolo cerca di dimostrare di non desiderare, di non volere seppure non trovi la maniera di liberarsene ("isolamento contiguo-autistico" di T.Odgen) ed il bisogno di attaccamento che però esercita in modo inadeguato e sconnesso (dementalizzato).

La sfida della terapia dell'autismo che si basa sulla "integrazione emotivo-affettiva" significa affrontare un "mondo dominato dalle sensazioni"; dare sostegno al bambino perché non continui a vivere un senso di "essere in balia", di essere "trascinato via" verso un mondo inanimato, nel tunnel, nel "buco nero"; cercare d in sostegno o un'ancora che permetta fermare il "circolo vizioso di mutui ritiri e di scoraggiamenti".

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