AUTISMO:

premesse per l'inserimento nella scuola dell'obbligo

Romeo Lucioni - Ida Basso

 

La tematica dell'inserimento di ogni bambino nella scuola dell'obbligo investe molteplici problematiche personali oltre che familiari:

Nel cominciare la scuola, il bambino esce dal suo ambiente abituale e si confronta con nuovi personaggi, oggetti e attività che lo obbligano a mettere a prova la mobilità dei suoi "desideri libidici" (parte primitiva del sé); lavoro che spesso risulta difficile o, addirittura, insuperabile.

Combattere e far sparire le inibizioni iniziali porta anche ad evitarne nuove, per questo è sempre utile tenere sotto controllo le paure e le inibizioni dell'età prescolare.

Melanie Klein ha messo in evidenza come il timore alla castrazione sia la base più comune delle inibizioni precoci ed anche come queste siano in opposizione alle attività, alle iniziative e agli interessi dell'Io.

In altri termini, qualunque sia stata l'esperienza anteriore, l'ingresso nella scuola dell'obbligo è per il bambino un grande cambiamento, talvolta traumatico, poiché deve:

L'entrata nella scuola segna un periodo di grande "eccitazione", ma anche di preoccupazione e di dubbi su di sé e sugli altri.

Di fronte a tutto questo, dobbiamo porci la domanda su come possa reagire un bambino autistico che si trova ad affrontare tanti stimoli dopo essere stato iperprotetto e anche "confinato" in una "reggia personale" (nella maggior parte dei casi).

Se per un bambino normale il primo anno di scuola può essere considerato un "periodo di accoglienza" (Asha Phillips), dobbiamo chiederci se non sia il caso di moltiplicare le osservazioni, le scelte, le modalità, le delicatezze per far sì che l'autistico, questo "disabile grave", possa trovare nel rapporto con la maestra "l'impressione di essere importante per lei, nella relazione con il gruppo, in un luogo dove sentirsi individuo e, soprattutto, persona".

Per poter sviluppare le capacità psico-mentali e crescere nella sua globalità, ogni persona deve sentirsi amata e compresa; per questo è tanto importante entrare in sintonia, porsi nell'ambito degli inter-essi che ci uniscono e che ci introducono in una "valida relazione".

In questa è essenziale leggere l'amore come spostamento dell'asse libidico-istintivo verso quello linguistico-simbolico.

Nel primo, ci troviamo nell'ambito dei "bisogni" e delle potenzialità così, per intenderci, troviamo l'operatore che chiede "… dimmi cosa vuoi ed io te lo darò".

Questo dialogo sottolinea chi ha e chi non ha e la mancanza che, quando affrontiamo l'autismo, resta ancorata inesorabilmente al bambino e ai suoi deficit (alla diagnosi): noi (sani) possiamo dargli "amorevolmente" tutto ciò che riteniamo abbia bisogno, come è, per esempio, una "buona qualità di vivere".

L'asse simbolico, al contrario, crea la mancanza nell'operatore che si propone come "desiderio di aiutare" e, quindi, l'autistico può offrirsi come oggetto che riempie il desiderio-vuoto dell'Altro".

Solo in questa logica linguistico-simbolica il piccolo può assumere un proprio ruolo che, quindi, potrà esprimersi come corpo che parla; come accedere alle "fermezze" dell'Altro; come sorriso mentre si lavora; come espressione interrogativa -"nooo?" - quando quasi non può resistere a rispondere compulsivamente agli stimoli.

Chi è poco competente sull'autismo dimentica che si tratta di un problema psico-mentale tanto importante e crede che sia facilmente risolvibile; in realtà i disturbi del comportamento sono solamente quello che "… si può vedere", "… la punta dell'iceberg", ma i processi ed i complessi che "… stanno al di sotto" sono veramente difficili da decifrare e, soprattutto, da debellare.

Proprio per questo, bisogna stare molto attenti a quello che si fa e si propone agli autistici. Theo Peeters sottolinea come le stimolazioni sociali, le spinte alla creatività e, comunque, le pretese di educare con obbligazioni possono, non aiutare, ma provocare maggiori crisi di comportamento.

Forse non ci siamo mai posti le domande:

Sebbene siano temi difficili, possiamo però considerare come sia problematico accettare il raggiungimento della personalità in un soggetto in cui l'autocoscienza è forse limitata a sensazioni primitive, intuitive, automatiche e puramente libidiche. Esser pigro o testardo significa anche rispondere a una scelta (volizione), mentre invece gli autistici sono bloccati su modelli di risposta automatica, legata alla pura soddisfazione del bisogno e, soprattutto, determinata da un "pensiero precognitivo", affettivo ed istintivo.

La difficoltà sta nel riuscire ad andare al di là dell'esperienza, dell'informazione letterale e, quindi, di trovare un legame tra l'oggetto ed il simbolo (ricordiamo che un oggetto può essere rappresentato da più simboli o un simbolo significare più oggetti).

Per quanto riguarda il significato di "disturbo pervasivo dello sviluppo", ancora una volta dobbiamo sottolineare che si considera l'invasività delle "alterazioni dei processi psico-mentali" che, se all'inizio si riferiscono solo all'incontinenza emotiva o all'impossibilità di posticipare la soddisfazione libidica, successivamente invadono la sfera affettiva determinandone la sclerotizzazione o la siderazione e la componente cognitivo-intellettiva. Questo avviene per:

Tali osservazioni contrastano con l'affermazione che l'autismo è un "disturbo dello sviluppo non evolutivo" e sottolineano che la mancata evoluzione va riferita alla perdita delle potenzialità che si possono evidenziare nella prima infanzia e, per altro, alle difficoltà o all'impossibilità di far regredire la sintomatologia autistica e di ripristinare la funzionalità psico-mentale, se non si provvede ad un intervento terapeutico di tipo integrativo globale prima dei nove-dieci anni.

Rispettando questi fattori, se non si hanno risultati o se questi tardano a giungere, è necessario rivedere gli schemi operativi e predisporre modalità diverse: una terapia efficace smuove l'inerzia psico-mentale in poche settimane e, per esempio, i manierismi o i movimenti coatti, così come le urla, vengono rapidamente eliminati.

La quantificazione dei risultati è un problema quasi insuperabile, così dobbiamo accettare valutazioni legate all'osservazione che però, con la pratica, risultano sicuramente importanti ed anche imprescindibili.

Un criterio di valutazione significativo è sicuramente quello di osservare l'autonomia nell'eseguire una azione. Andare da solo a prendere la palla; raccogliere un oggetto caduto per terra; ricevere e rilanciare i cerchi e mille altre cose sono tutte esperienze che si attivano nel giro di poche settimane e che danno un enorme supporto all'autostima del bambino.

L'autistico, per le sue caratteristiche di funzionamento psico-mentale, non è in grado di contenere le "emozioni"; per questo, ogni qual volta gli viene richiesto qualcosa (magari anche solo spostarsi di un metro o cambiare sedia) presenta delle reazioni veramente drammatiche e terrorifiche.

Abbiamo sottolineato come queste risposte siano il risultato di profondi sentimenti di annullamento e di dissolvimento, legati alla mancanza di una struttura cosciente del sé e, proprio per questo, la terapia mira a ristrutturare le forze adesive dell'Io.

Si potrebbe parlare di "addestramento", ma il meccanismo non può essere ridotto a questi termini proprio perché riguarda la costituzione degli oggetti interni ed esterni che, come visto in un precedente lavoro, negli autistici non sono ancora formati e sono, quindi, sostituiti da oggetti parziali che, per la loro caratteristica, generano ansie ed angosce.

Non si tratta neppure di difficoltà di comprensione perché è ben noto, a chi lavora con loro, che questi bambini entrano in angoscia anche se solo diciamo "… allora, adesso ci spostiamo e andiamo a sederci là".

Reazioni di angoscia e di terrore

Ogni mamma e ogni maestra sa che nel corso dello sviluppo il bambino/a presenta delle paure che variano per intensità e durata e si risolvono con la crescita; sono, quindi, anche una misura dell'evoluzione psico-mentale e dell'integrazione dell'Io.

Nel bambino autistico le paure sono meglio indicate come reazioni di angoscia e di terrore, delle quali possiamo elencare alcune peculiarità:

Il modello operativo, per affrontare le difficoltà degli autistici, è negli operatori che, con la loro esperienza e personalità, riescono a trovare scappatoie o vere e proprie modalità contenitive.

Ricordiamo comunque che la strategia rifugge dal buon senso che convince che, purtroppo, può anche complicare la situazione; sottolineiamo la necessità di contenere, oltre a quella di creare sempre nuove modalità (per attirare l'attenzione) che risultino adattive e che portino all'arricchimento dei rapporti.

Comunque, nella relazione vi é la vera possibilità di strutturare i modelli più efficaci proprio perché se all'inizio si può evidenziare una dimensione di assoggettamento, rapidamente gli autistici sviluppano capacità adattive di autocoscienza, autovalorizzazione (rinforzo con battimani) e autosoddisfazione che li aiutano a crescere e ad uscire dal loro "buco nero", riconquistando fiducia in loro stessi che permette di scegliere le proprie finalità e le vie per raggiungerle, nella certezza di essere, comunque, nel giusto.

 

Approccio globale

L'approccio globale con il bambino autistico diventa sempre più indispensabile se si vogliono ottenere risultati definibili come recupero, reintegrazione funzionale e riabilitazione psico-mentale e socio-relazionale.

Qualche tempo fa si richiedevano:

Oggi pensiamo che l'intervento globale di qualità debba prevedere:

In un progetto per affrontare le problematiche dell'autismo dobbiamo prendere in esame diverse tipologie di intervento:

  1. con il terapeuta = gli obiettivi riguardano la ristrutturazione dell'Io e la reintegrazione emotivo-affettiva e cognitiva;
  2. con gli educatori = gli obiettivi del recupero, della riabilitazione e della integrazione sociale;
  3. con i docenti = gli obiettivi concernono l'inserimento e l'integrazione nella scuola dell'obbligo e, naturalmente, l'educazione ela formazione;
  4. con la famiglia = gli obiettivi mirano all'integrazione familiare, culturale e sociale;
  5. con le istituzioni = gli obiettivi sono di studio e interessano l'inserimento attivo nell'ambito produttivo-lavorativo.

L'obiettivo fondamentale che accomuna tutti gli ambiti considerati è l'integrazione che non può essere solo intesa come rispetto delle diversità individuali. Se i "normali" devono adattarsi (che non è solo un agire passivo), anche gli autistici devono farlo; l'integrazione diventa così un processo di adattamento sostenuto dal rispetto dei tempi, dei modi, delle necessità, dei limiti di ogni individuo.

Non possiamo accettare una programmazione per la quale gli autistici trovino sempre la loro stuoia o il loro angolo di sicurezza; sarebbe disconoscere le vere possibilità di recupero e di integrazione che questi ragazzi hanno in sé e che possono attivarsi attraverso una terapia adeguata ed interventi riabilitativi integrativi.

Per ogni intervento dobbiamo quindi esigere che si provveda a ripristinare funzioni, a ristrutturare le forze adesive dell'Io, a ristabilire possibilità di integrazione sociale, a partecipare ad attività singole o di gruppo che possono reincorporare l'autistico nelle dinamiche sociali e culturali che lo aiutini a raggiungere un'autonomia personale nelle attività domestiche, in quelle scolastiche, lavorative e nell'esperienza del tempo libero.

Partendo da queste premesse, l'inserimento scolastico non può essere inteso come punto di partenza, ma neppure del tutto come punto di arrivo; partecipare a questa tappa fondamentale della vita per il bambino e per l'autistico, è una parte del processo di maturazione psico-cognitiva e psico-sociale, che però si fonda su una complessa integrazione globale ed olistica.

L'integrazione comprende sviluppo, interazione, modulazione, coordinazione:

che permettono lo sviluppo di funzioni complesse legate all'acquisizione:

Proprio per questa necessità di integrazione olistica del soggetto e dell'autistico, l'integrazione globale può essere solamente il frutto dell'impegno e dell'applicazione dei genitori (inequivocabilmente entrambi), dei parenti, del terapeuta, degli educatori, degli insegnanti, delle istituzione e della società intera.

Solo in questa dimensione acquista significato e pregnanza la legge 517/77 che ha reso la scuola obbligatoria per tutti i ragazzi entro una determinata età, ricordando che: tutti i cittadini hanno il diritto di ricevere un periodo di educazione, prescindendo dalla qualità e dalla quantità delle loro potenzialità e/o capacità cognitive o emotivo-affettive.

Theo Peeters nel presentare la sua TEACCH, che definisce "programma realizzato in una sfera politica", parla di "servizi che coprono l'arco di tutta la vita degli autistici" attraverso una continuità orizzontale che comprende:

diagnostica specializzata

centri di assistenza domiciliare

classi speciali a livello prescolare e scolare primario e secondario

ruoli di vita speciali per persone autistiche.

Per avere un'idea delle difficoltà per superare il problema degli autistici ricordiamo anche che questi soggetti che spesso, ancor oggi, sono ritenuti non scolarizzabili e non educabili, hanno il diritto di non essere confinati in casa, ma, anzi, devono essere oggetto di tutte le premure, iniziative, programmi, attività che possono non solo migliorare il loro stato, ma anche guarirlo o, comunque, permettere il raggiungimento di un livello di sviluppo psico-mentale che favorisca una buona integrazione sociale, culturale e civile.

Se considerassimo totalmente validi i presupposti della legge 517, dovremmo dedurre che i soggetti autistici devono essere ritenuti educabili, sia per qualità che per quantità. La realtà è ben diversa, anche perché bisognerebbe definire:

Si continua ad affermare che la scuola deve insegnare ed educare, ma quello che non si dice è cosa fare quando gli allievi presentano delle difficoltà, dei limiti o delle idiosincrasie negative. La scuola dell'obbligo dovrebbe garantire a tutti i ragazzi una educazione ed una istruzione, senza soffermarsi a considerare se gli allievi abbiano o no non solo le potenzialità, qualitative o quantitative (la legge impone di non tenerne conto) ma anche

Vogliamo ribadire che l'Italia deve essere elogiata e presa come esempio per avere una legge come la 517 che, tra l'altro, sicuramente è dovuta alla caparbietà dei genitori che hanno fatto cambiare l'atteggiamento mentale degli specialisti nei confronti dei loro figli.

Tale mutamento ha portato soprattutto a considerare che l'autismo non si affronta solo con qualche seduta psico-terapeutica, ma con un approccio continuo che deve investire diverse aree psico-mentali.

Purtroppo ancora molti operatori credono che ci sia poco da fare o anche che "… è biologicamente plausibile l'esistenza di un'umanità ragionevole, ma non socievole …".

Abbiamo imparato da sempre che l'uomo è un animale sociale, dotato di capacità cognitivo-razionali; ne deriva, quindi, una congiunzione per la quale la mancanza di uno dei due attributi sarebbe sinonimo di mancanza di umanità.

Antonio Damasio ci ha segnalato recentemente come l'affettività si sviluppa nel bambino tra il 18-esimo ed il 24-esimo mese, quando cioè si concretizza la "…maturazione della corteccia frontale."

Stanley Greenspan (2000) ci ricorda che un bambino può utilizzare le sue capacità cognitive solo dopo aver sviluppato capacità relazionali e, in un recente lavoro (Lucioni,1999), tali caratteristiche sono riassunte nella definizione "intelligenza affettiva" che include senso di sé, autovalorizzazione e motivazioni affettivo-sociali.

L'affermazione che lo sviluppo cognitivo-intellettivo (espressione di una complessa integrazione dell'attività di tutta la corteccia cerebrale) debba dipendere da una integrazione affettiva (corteccia prefrontale) ha anche un substrato neurofisiologico, poiché é risaputo (Popper e Eccles,1977) che il sistema limbico, responsabile delle emozioni, è strettamente connesso con la corteccia frontale e, al contrario, non ha connessioni dirette con il resto della corteccia.

Da queste considerazioni si può dedurre che l'affettività può svilupparsi senza un corrispondente sviluppo cognitivo, al contrario "Es el aprendizaje basado en las emociones y las experiencias el que produce el niño màs inteligente y con un comportamiento màs adaptado!" (Greenspan).

Trattandosi di autismo, tutto quanto ricordato è ben comprensibile proprio perché lo sviluppo cognitivo (prerequisito) segue sempre quello legato alla sfera emotivo-affettiva basata su:

È stato anche sottolineato come:

rispecchino, prima di tutto, un buon funzionamento affettivo inteso come:

Nell'autismo, quando qualche ricercatore parla di deficit o di handicap o di "anolalia qualitativa" o di "stile cognitivo diverso", in realtà tiene conto delle difficoltà che si incontrano nel lavorare con questi bambini, che in precedenza non hanno seguito una terapia relazionale capace di sviluppare l'attività affettiva.

Molte volte ci troviamo di fronte a casi di autistici che hanno ripreso il cammino dello sviluppo grazie ad una maestra particolarmente attenta alla relazione; ancor più spesso rileviamo interventi "cognitivi" che contemplano modalità ed attitudini (mano sulla spalla, contatto fisico con l'educatore, partecipazione in attività arricchite da una certa "intimità") spiccatamente affettive.

Gli affetti rappresentano il mondo dei valori (come dice Zazzo) ed il bambino autistico deve sviluppare la propria identità ed una sicura autostima per aprirsi al cognitivo, perché non può raggiungere la persistenza degli oggetti (gli esterni ed il sé) e neppure la loro significazione (che ne richiede l'interiorizzazione).

Il lavoro terapeutico ha potuto evidenziare come ogni quadro sindromico, oltre a presentare caratteristiche specifiche di funzionamento mentale, richieda un intervento terapeutico preciso, appropriato ed individualizzato perché deve rispecchiare ed adeguarsi ai processi mentali, alle caratteristiche che ogni funzionamento mentale richiede specificamente.

 

 

Trattare l'autismo nelle aree terapeutica, assistenziale ed educativa, significa affrontare una problematica estremamente complessa che richiede, senza mezzi termini, un approccio multidisciplinare.

Devono essere considerati aspetti eziologici, diagnostici, prognostici e terapeutici che investono:

La pluralità teorica sostiene, ma anche investe la pratica con compiti che, a volte, risultano veramente gravosi e che interessano non solo il lavoro individuale e/o gruppale eseguito con i pazienti, ma, soprattutto, l'organizzazione e la interazione degli interventi che si condizionano reciprocamente, determinando una fitta rete di questioni che possono essere solo affrontate con professionalità, con buona volontà, con esperienza e, più di ogni altra cosa, con un profondo senso della collaborazione.

Queste osservazioni ne includono altre tra le quali la più importante riguarda il "posizionamento" di ogni singolo soggetto disabile che é ricco della sua singolarità e peculiarità.

Seguendo la concettualizzazione psicoanalitica, per noi questo "punto di articolazione" è il linguaggio, proprio perché l'uomo non sa cosa fare delle cose del mondo se non le articola in un discorso.

In questo modo la multidisciplina o la interdisciplina diventano una necessità trans-disciplinare per la quale tutte le discipline partecipanti risultano attraversate da una comune concezione etica.

Questa, prima di tutto, si struttura in un porsi continuamente domande, mettersi in gioco, riorganizzarsi tenendo conto della molteplicità qualitativa e quantitativa di tutti i saperi, in cammini convergenti su un "unico nucleo etico" occupato dal soggetto, dall'autistico, in permanente produzione, ancora diviso e poco conoscibile, ma con potenzialità, interessi e, soprattutto, speranza di poter ricostruire il proprio Io, la propria personalità ed il proprio destino.

Mettersi di fronte ad un bambino autistico per aiutarlo, per educarlo, per recuperarlo ad una vita sociale è indubbiamente una impresa ardua e difficile.

Per cominciare e prima di cercare di capire quali siano le sue caratteristiche psico-mentali, bisogna porsi un una posizione molto chiara che accetti le sue stravaganze e le sue dimostrazioni comportamentali che non sono un capriccio, ma sono causate da precise problematiche psicomentali.

Il suo non voler collaborare colle proposte "coerenti e chiare" non deriva da cattiveria o da scarsa volontà, ma dal suo non poter attuare "qualcosa" che gli procura intensissime reazioni di angoscia o un vero e proprio senso di terrore.

Queste caratteristiche non coincidono con l'affermazione che gli autistici non comprendono ciò che viene loro richiesto, che hanno grandi difficoltà nella comunicazione o nel decifrare il senso degli degli stimoli (odori, sapori, suoni, rumori, ecc.).

Quasi sempre ci si trova di fronte un bambino che capisce, ma non può accettare; che sa cosa gli si chiede, ma non può accogliere le proposte (anche se magari una comprensione precisa e utilizzabile non é del tutto presente).

Comunque siano le caratteristiche individuali di ogni autistico bisogna rispettare alcune regole basilari:

 

L'autistico, in questa situazione, si trova senza dubbio in condizione di grande svantaggio rispetto ai normali poiché:

 

La scuola per un inserimento integrativo

In queste condizioni la scuola deve prospettarsi un programma preciso per poter iniziare nel migliore dei modi il compito educativo e, soprattutto, predisporre il raggiungimento di condizioni valide per tentare un apprendimento formativo ed uno sviluppo cognitivo.

La scuola deve predisporre un intero primo anno che sia del tutto e solamente preparatorio e che potrebbe essere così concepito:

  1. presa in carico globale cominciando da una valutazione

- delle potenzialità cognitivo-intellettive;

- della funzionalità emotivo-affettiva;

- degli eventuali comportamenti-problema;

- delle capacità di attenzione e di memorizzazione:

- " " motorie e psico-motorie;

- " " di assorbire le frustrazioni;

- delle possibilità relazionali per un lavoro di gruppo;

2. analisi anamnestica e della valutazione diagnostico-clinica;

3. stesura di un protocollo strutturato su tutte le componenti sopra ricordate;

4. considerazione delle necessità-possibilità per:

Le osservazioni devono essere ripetute con una certa frequenza perché l'autistico in terapia modifica rapidamente i suoi parametri e quindi gli obiettivi devono essere sempre riadattati alla situazione.

Queste valutazioni presuppongono un lavoro collegiale con il terapeuta e gli operatori della riabilitazione che dovranno continuare a fiancheggiare i docenti predisponendo gli interventi che facilitino il raggiungimento di prerequisiti per sfruttare l'azione didattica.

Il primo anno di adattamento viene così a equivalere ad una prescuola fatta però nell'ambiente scolastico che dovrà accogliere il disabile negli anni seguenti.

Il sostegno sarà improntato anche a favorire il lavoro di gruppo nelle ore di ginnastica, di musica, di ricreazione e della mensa.

Dopo un anno di lavoro specificamente adeguato alle necessità e alle potenzialità del soggetto, il piccolo autistico si troverà nella condizione di poter cominciare l'iter del ciclo normale, entrando nella classe con nuovi compagni, che saranno quelli che lo accompagneranno nel lungo periodo di educazione-formazione, di apprendimento e di inserimento attivo nelle struttura sociale.

Nella scuola l'autistico non dovrà essere mai considerato un "isolato" o un "emarginato", ma un alunno che può raggiungere un buon livello di sviluppo psico-mentale che gli permetta di integrarsi con gli altri e nella società.

 



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