"IO", PROCESSI PRIMITIVI ED AUTISMO
Romeo Lucioni - Davide Scheriani
I primi anni di vita offrono una psicologia condizionata dallo sviluppo che coinvolge lo stato fisiologico (percezioni e capacità di elaborazione), la costituzione degli oggetti interni, le relazioni vincolari, gli adattamenti socio-relazionali.
Parlando di processi mentali primitivi, ci troviamo di fronte a problemi che riguardano l'architettura psicologica dell'uomo per la quale (Tooby e Cosmides,1992) ogni ipotesi deve soddisfare criteri risolutivi (essere capaci di risolvere le questioni) ed evolutivi (poter adeguarsi alle modificazioni indotte dalla necessità di affrontare un mondo in costante cambiamento).
Per adeguarsi alle necessità ontogenetiche dei meccanismi mentali il nostro sistema psico-neuro-biologico ha dovuto strutturarsi in modo tale da raggiungere la capacità di "leggere la mente", cioè di evolversi per poter "pensare il pensiero" non solo il nostro (soggettivo), ma anche quello dell'Altro involucrato nella diade relazionale.
Simon Baron-Cohen (1995) ha prodotto una interpretazione originale sul funzionamento della mente e sulla sua architettura, affrontando le quattro proprietà fondamentali (volizione, percezione, condivisione dell'attenzione e stati epistemici) che, anche se non uniche, sono indubbiamente quelle più importanti.
Ci riferiamo ad un bambino che cresce nel bisogno di comprendere l'altro per poter adattarvisi ed anche per prenderlo come modello, oppure per arrivare a superarlo nel tentativo di "imporre" la propria visione del mondo, i propri desideri o, comunque, le proprie aspirazioni per raggiungere autocoscienza ed autostima.
In questa logica, si é dato il nome di Io ad una funzione psichica che si va strutturando sull'esperienza sensoriale globale (propriocettiva, enterocettiva, sensitiva) che giustifica la rappresentazione proposta da Freud di Io Reale Primitivo fondato sul legame con il mondo sensibile, il mondo del "reale".
Da qui deriva il primo stadio dello sviluppo psico-mentale denominato stadio orale cannibalico che rappresenta la preminenza dell'oralità che ingloba il riferimento della bocca, alla percezione tattile e visiva.
Questa priorità psico-sensoriale giustifica la denominazione di Freud di Io di piacere purificato che si riferisce ad un Io passivo posto di fronte alle pulsioni e che diventerà attivo solo nel confronto con l'oggetto quando tenterà di superare la pulsione cercando, nel mondo sensibile, un modello nel quale identificarsi: l'identificazione é condizione necessaria per assumere una posizione attiva.
L'attività sostenta una fase cosiddetta depressiva proprio perché il rapporto con l'oggetto crea costantemente una dinamica che verte intorno alla perdita che, mancando del tutto la possibilità di elaborare il lutto crea, anche solo parzialmente, la possibilità che si strutturi l'oggetto perduto per altro rappresentato da una stretta simbiosi (nostalgia dell'utero).
Lo sviluppo percettivo prevede due momenti successivi:
Le ripetute percezioni ed il soddisfacimento dei bisogni funzionano tra tracce mnestiche di piacere e di soddisfacimento che portano a raggiungere un rapporto simbiotico specifico con la madre attraverso due modi di apprendimento:
La Mahler ricorda che, comunque, anche "...all'apice della seconda sottofase dell'identificazione (durante il periodo di pratica esperienziale) le rappresentazioni del sé differenziato e quelle dell'oggetto non sono ancora integrate in una rappresentazione globale del Sé o in una rappresentazione globale dell'oggetto libidico" che precede il processo identificatorio.
Ma a quale o a che tipo di identificazione possiamo riferirci?
Beatriz Burstein parla di numerosi processi tra i quali quello relativo allo specchio ed altri riferibili a stadi più primitivi che permettono una identificazione derivata da una elaborazione delle pulsioni e promotrice di identificazioni restitutive che occupano il posto di un "sentimento primitivo di sé" che non si é strutturato o evoluto.
Il piacere ed il corpo formano qualcosa di indivisibile: il bebè risponde immediatamente ad uno stimolo sulla bocca che provoca un movimento di suzione; il piacere che ne deriva lo porta a succhiare anche quando non riesce più a togliere latte, oppure succhia i più vari oggetti simili ad una tettarella.
Anche la dentizione (A. Aberastury) provoca sensazioni e piaceri; in questo modo vediamo che tutte le parti del corpo prima o poi risultano fonte di piacere, anche se le zone degli organi genitali e dell'ano sono quelle più significative.
Ancora nel primo anno di vita si creano però altri modelli capaci di suscitare piacere e, di conseguenza, determinare comportamenti ripetitivi che sottolineano una ricerca e una soddisfazione.
Prima di tutto é senz'altro la visione di persone di riferimento (madre o nonna) che richiama sorrisi ed anche una serie infinita di movimenti con gli arti superiori ed inferiori; seguono poi le mani che creano gesti, osservati con attenzione e curiosità; cominciano presto gli afferramenti e le spinte ripetitive con i piedi e con le gambe; si presentano anche movimenti a terra con un crescendo continuo che avvicina ai primi tentativi di "stare in piedi".
Sicuramente riuscirvi é una conquista importantissima perché genera una enorme quantità di stimoli che, partendo dalla colonna vertebrale, interessano il processo dell'equilibrio (il sesto senso) e permette un enorme cambio di qualità per quanto riguarda l'osservazione e la presa di coscienza del mondo circostante.
Tutto questo precede il gattonare ed il camminare che restano comunque le conquiste più significative per quanto concerne l'acquisizione di un senso di potere e, soprattutto, di un senso di sé che anche si oppone alle resistenze, alle reticenze ed agli impedimenti della mamma (generalmente by-passati dalla nonna).
Queste osservazioni ci portano a considerare come il paradigma freudiano dello sviluppo psico-sessuale del bambino non sia forse del tutto soddisfacente anche se, riferendoci al corpo ed ai suoi movimenti o posture, possiamo ricondurre le "conquiste" ad un piacere e ad una erotizzazione. Con ogni probabilità, il senso di piacere segue una specie di via ultima comune, forse legata alle endorfine e studiata attraverso il meccanismo della self-stimulation e dei centri erotici.
Tale lettura però distanzia il piacere erotico dalla presenza o meno di un organo maschile e riporta il senso di castrazione non tanto al pene, quanto ai risultati-risposte ai desideri di riuscire a fare un determinato gesto od operazione motoria, anche se questo nulla toglie all'importanza della presenza del pene vissuto come elemento più o meno "grande" e significativo.
L'eccitazione corporale acquista una dimensione più ricca, più profonda e più legata a quanto osservabile (anche nei disabili) e porta a dare nuovi significati anche a pulsione, desiderio e libido; la scarica dell'eccitazione e la risoluzione del desiderio si staccano dal puro e semplice "processo corporale", spostandosi sempre più verso una dimensione emotivo-affettiva e cognitiva.
La libido diventa una vera energia (catexis) che può spostarsi dal soggetto (riferita ai propri desideri) all'Altro (desiderio di rispettare il valore dell'Altro) ed anche attivare il processo dello specchio.
Ci liberiamo così dell'impero della sessualità di Freud, valorizzando l'impero dell'affetto che, partendo dall'auto-soddisfazione (istintiva) per arrivare alla autovalorizzazione, va inglobando e strutturando il mondo degli oggetti ed il mondo cognitivo-intellettivo attraverso la scoperta dell'osservazione, della deduzione e della reciprocità.
Le ripetute esperienze di soddisfazione creano "l'oggetto materno" ed il bambino anela la presenza della madre (processo di elaborazione mnestica e/o pensiero affettivo).
La presenza dell'oggetto materno dovrebbe poter "contenere" l'energia dei processi pulsionali, ma, se questo non avviene, il soggetto resta alla mercé dei suoi propri impulsi. La mancanza del sentimento primitivo di Sé condiziona l'elaborazione pulsionale e resta come nucleo autistico che genera l'impossibilità di strutturare una vera coscienza di sé.
Questo "momento pulsionale" é rappresentato dalla capacità di reazione emotiva positiva del bambino di fronte a stimoli (che vengono vissuti come piacevoli) legati al viso sorridente della mamma o di altre figure (8-12 mesi).
Tali esperienze, che si legano ad un processo primitivo sulla base di meccanismi stimolo-risposta e che hanno un carattere preminentemente "sensoriale", vengono riferite come "simbiosi primitiva" dalla Mahler (che vede in questo lo "stato autistico normale") e, da Julia Kristeva, "identificazione primaria" (nella quale prevale lo "sguardo" ed é caratterizzata dall'immediatezza, termine che presuppone una attività del bambino) mentre l'identificazione secondaria sarà "mediata" dalla "funzione materna".
In precedenti lavori, sulla base di un modello di strutturazione dell'apparato psichico, si é discusso come l' Io, inteso come funzione psichica, si vada formando sulla base delle esperienze che portano, primariamente, alla formazione di un Nucleo Primordiale dell'Io, costituito da:
Queste osservazioni coincidono con quanto proposto da Bouchard che dice: "... la relazione d'oggetto introiettata consiste, nel suo nocciolo intrapsichico fondamentale, in un fantasma formato da una rappresentazione di sé, da una rappresentazione dell'oggetto e degli affetti, desideri e pulsioni che colorano i rapporti tra due persone endoscopiche implicate nella dualità".
Nell'autismo si osserva una perdita dell'oggetto sensibile che é lo sguardo della madre che funge da unificatore dell'Io-primitivo ("oggetto diadico primario = proto-Io"); "unità duale madre-bambino" descritta da Therese Buredek; "onnipotente unità duale simbiotica" di Schur: il bambino si sente come se egli e la madre fossero un "sistema onnipotente" con un "confine comune".
L'autistico risulta quindi negato al piacere perché svuotato di desiderio e questo comporta un "disinvestimento della sensorialità" come rivestimento della voluttuosità. L'immagine materna (compresa nello sguardo, nell'atteggiamento, nel suono della voce, ecc.) funge da fattore interstiziale che unisce le diverse zone erogene; venendo a mancare, si generano indifferenza affettiva e negativismo comportamentale che, in qualche modo, costituiscono una difesa contro sentimenti di dissoluzione e di annichilimento.
Per capire meglio questo concetto, possiamo riferirci alle esperienze con i disabili:
Va notato l'approccio narcisistico che sottende a questa immagine nella quale, oltre a braccia e gambe ipervalorizzate, notiamo anche una "fascinazione" per i capelli.
Dopo un lavoro approfondito, Roberto riesce a produrre un'immagine nella quale il corpo "imposto dall'educatore" viene a contenere il Roberto-sé-pseudopodo (B), precludendo la percezione del proprio corpo in forma intera.
Non ci troviamo di fronte ad una deficienza mentale che preclude la rappresentazione (immaginario che veicola il simbolico), ma, al contrario, é l'investimento pulsionale del narcisismo primario che veicola la percezione creando una rappresentazione-pensiero affettivo.
L'ipervalorizzazione non riguarda il corpo, ma zone erogene che danno piacere perché generano un senso parzializzato di un "sé formato per parti separate".
Siamo a livello di un pensiero pre-oggettuale nel quale gli oggetti sono parziali, sostenuti da una percezione erotizzata dal piacere di funzionare.
Nei giorni di assenza F. e la sorella dormono con la madre.
Il bambino dimostra ritardo nello sviluppo psicomotorio e difficoltà ad apprendere cose nuove e ad assumere un proprio potere (piagnucola chiedendo di essere salvato; chiede aiuto; é disperato poi, di colpo, si acquieta e comincia a lavorare).
Dopo la prima seduta di E.I.T. chiede alla madre "... quando torniamo dagli amici" e produce il suo primo disegno
In questo si mette in evidenza l'imponenza della presenza del sole e della luna (padre e madre); la mancanza della figura della sorella maggiore e, per quanto riguarda la figura del soggetto, la mancanza di un "corpo" strutturato.
Seppure il viso sia abbastanza strutturato, completo di occhi e con un'area bucco-nasale, le braccia sono sproporzionatamente lunghe. Ecco la presenza di "zone erogene" in un corpo poco individualizzato.
Queste osservazioni ci aiutano a sottolineare come il bambino in questa fase di narcisismo primitivo riesce ad "amare" il proprio corpo che però é parzializzato, frammentato in diverse zone erogene e, quindi, nell'impossibilità di creare quello spunto unificatore capace di supportare un'autoidentificazione. Il soggetto resta ancora in bilico di fronte al pericolo della nascita di sentimenti di annichilamento.
L'autistico sembra fissato in questa situazione che non gli permette altra difesa che quella di aggrapparsi all'autoerotismo, arrivando anche ad espellere l'Io di piacere purificato che viene collocato nell'Altro; si perde così il legame tra sensualità e percezione e si distrugge la struttura rappresentazionale.
In questa dinamica la percezione genera un proto-pensiero, legato al reale, ma ancora precluso al simbolico e, proprio per questo, non memorizzabile (diventa necessario ripetere continuamente l'esperienza percettiva ed emotiva).
L'oggetto genitoriale
Per superare l'empasse, si instaura un processo di elaborazione di un "potere" che viene simbolizzato dall'oggetto madre-padre di Freud che abbiamo individuato nell'oggetto genitoriale.
Questa elaborazione porta ad una nuova identificazione che, nelle sue dinamiche simboliche, generano senso di egocentrismo e di onnipotenza; é sottesa da un processo che é stato chiamato di "incorporazione" (molto diversa dall'introiezione che verrà più tardi) che é il meccanismo principale della "autoidentificazione immaginativa" che costituisce la "identificazione primaria incorporativa".
Nell'incorporazione, la captazione globale e totalizzante é capace di esercitare un potere identificatorio, mentre nell'introiezione (come vedremo) diventa "caratterizzante" un dettaglio dell'oggetto perduto o abbandonato.
L'incorporazione porta alla creazione di un oggetto fuori di Sé al quale l'Io si accosta ed aderisce; é il momento caratteristico dello sviluppo del nucleo autistico nel quale l'Io, aderito ad un Super-Io-arcaico, onnipotente e distruttivo, non riesce più a trovare dinamiche personali capaci di individuarsi e, quindi, resta definitivamente preclusa la possibilità di generare una autocoscienza.
L'Io resta limitato alla passività, alla simbiosi, bloccato allo sviluppo e alla costituzione di una identità, di una autocoscienza e di una coscienza, costretto alla mancanza degli oggetti, all'inconsistenza dell'autostima e dell'autosoddisfazione: non si sviluppa l'identificazione in un Io-ideale o nel Nome del Padre.
L'autistico vede sbarrata la strada che permette di accedere al Sé e resta "soggetto sotto l'ombra dell'oggetto", sovrastato da un doppio onnipotente che, anche se distruttivo, supportando l' Io, assicura la sopravvivenza.
Il corpo diventa un semplice insieme di organi con le loro necessità; perde la caratteristica di unità, di consequenzialità, con zone erogene antagoniche che precludono una globalità e così compare il bizzarro, l'incomprensibile, il disadattato.
É il doppio che governa e regola, chiude il soggetto nell'impossibilità e nell'inattività che, per assurdo, in una contraddizione frammentaria, generando violenza e distruttività proprio perché il soggetto aggredisce e/o si ritira, poiché gli sfugge la possibilità di essere e di agire.
L'ombra (del Super-Io) é "... ciò con cui la persona non si identifica ..." (Jung) che viene ribaltato all'esterno, che resta "oggetto altro da me" e che quindi incombe sull'Io e dal quale questo non può liberarsi e viene vissuto simbioticamente.
In questo modo l'Io non può trovare la via dell'autoidentficazione perché, gli manca anche un proprio "ideale".
Stranamente questa simbiosi non equivale ad "introiezione" per cui l'oggetto-ombra o oggetto-persecutorio resta fuori dell'Io e su questo possono essere proiettate tutte le valenze negative che lo rendono oggetto terrorifico, persecutorio, orrido, tenebroso, luciferino.
L'ombra diventa ancor più persecutoria perché, per la simbiosi, é perte del sé e, quindi, la proiezione diventa biunivoca, così come l'onnipotenza. Si tratta di un processo di "incorporazione" che é ben diverso dall'introiezione che, al contrario, porta a immettere l'oggetto nell'Io, generando quella catexis che porterà all'identificazione di parti dell'oggetto ed a indurre la strutturazione dell'Io-ideale.
L'osservazione del bambino autistico ci porta a considerare un atteggiamento di rinuncia, di isolamento, di distacco che, per lo più, interpretiamo come svuotamento psichico; questa idea fa pensare ad una incapacità che, secondariamente, riferiamo anche ad una insufficienza mentale.
In realtà, non possiamo lasciarci trascinare da questa dinamica di causa-effetto in quanto la complessità del tema dello "sviluppo psico-mentale" ci suggerisce di tenere conto di una causalità multipla che lega il desiderio, la volontà, il percepito, il fantasmatico, l'immaginario, il simbolico, le negazioni, le repressioni, le proiezioni, ecc.
Il punto di partenza dell'analisi può, però, essere la mancanza di desiderio. L'autistico sembra immobile osservatore di una realtà che gli "gira attorno", alla quale lui lancia qualche risolino, qualche grugnito, qualche parola, qualche "elemento" disturbante. Tutto ciò avviene se il contatto interpersonale é "contenuto" da una ragionevole distanza; quando invece qualcuno gli si avvicina troppo ecco che scatta la furia e ... le conseguenze sono inevitabili!
Il comportamento é riflesso e non determinato da un desiderio; le necessità agiscono da stimolo sempre che non sia bloccato dalla paura dell'Altro. Solo la madre e poche altre persone possono superare la barriera della distanza senza suscitare crisi di grande ansia o di terrore.
Parliamo di "incontinenza emotiva" , ma bisogna tenere conto del livello dello stimolo e, nell'autismo, la pan-emotività é forse più giustificata dall'abbassamento del livello soglia per cui tutti gli stimoli risultano ingigantiti.
Strana storia quella dell'autistico!
I genitori per lo più parlano di un primo periodo (circa 18 mesi) nel quale lo sviluppo psico-mentale é normale o quasi, seguito poi da una perdita di funzioni o di qualità acquisite.
Se il bambino aveva cominciato a dire le prime parole, ascoltava e rispondeva, piano piano smette di parlare e sembra quasi che non riesca più a capire; lo sguardo diventa sfuggente, i giochi spariscono, compaiono gesti ripetitivi, é monotono nell'espressione e si ritira nel suo mondo.
Luis Kancyper, riferendosi all'adolescenza, parla di "... reestructuración de las instancias del aparato animico ..." facendoci così pensare che lo sviluppo della "struttura" (per Antonio Damasio il lobo frontale matura tra i 18 ed i 24 mesi) permette forse l'esteriorizzazione di "processi primari postumi" sottesi a "impronte mnestiche" di vissuti che non avevano costituito un trauma, proprio a causa dell'insufficienza dello sviluppo psico-affettivo.
Si tratta di una torsione del tempo che permette una manifestazione retroattiva di vissuti e/o di elaborazioni psichiche primordiali.
L. Kancyper sottolinea che non si tratta di cause latenti e differite per manifestarsi quando le condizioni risultino appropriate, ma di "causa retroattiva che dal presente investe il passato". Già Freud, abbandonata la prospettiva causale meccanicista, aveva adottato un "concetto dialettico di causalità" nel quale le dinamiche strutturano il presente, prescindendo dalla temporalità e dalla consequenzialità. Per altro canto, il lavoro catartico della psicoanalisi ci mette di fronte a "immagini", "fotografie" e non a vere e proprie cause strutturate e/o strutturanti.
In questo abbiamo dato una valida lettura della situazione autistica caratterizzata da:
Questa situazione, o stadio psico-mentale, é del tutto inconscia, risponde alla legge del tutto o nulla, é prevalentemente istintiva e, quindi, precognitiva.
Il modello percettivo non risponde alle leggi della elaborazione-deduzione che richiede rappresentazioni simboliche (linguistiche) e un codice proposizionale, ma si struttura su "immagini" o "immagini mentali" che non impongono una "prova dei fatti".
Potremmo quindi dire che sorgono da un "occhio mentale capace di guardare" (Francesco Ferretti), che si tratta di "immagini come entità" e non "immagini come processi".
Come abbiamo ripetutamente sottolineato in altri lavori nei quali é stata preso come paradigma la "cartolina dell'Egitto" , queste immagini rivestono il significato di oggetti-parziali proprio perché non generano un senso di verità e, quindi, risultano instabili, richiedono una continua ripetizione percettiva, determinano uno stato di angoscia perché il soggetto é sottoposto al regime di una paura di perdere l'oggetto che sottende una perdita del senso di sé.
Per tentare di superare questa angoscia profonda, istintiva ed invasiva (pan-emotività o incontinenza emotiva) il bambino prende la via della simbiosi, dell'incorporazione con l'oggetto perduto. Il suo Io-debole o Proto-Io si trova a dover affrontare l'immagine interna dell'oggetto genitoriale formato dal seno e dal fallo (oggetto "padre-madre" di Freud).
Se questo oggetto non é ben saldo, stabile e compattato, l'Io ne scinde le parti e tende a legarsi simbioticamente con una di esse.
espelle il fallo (il bambino diventa "fallo della madre")
(contemporaneamente anche la madre espelle il "fallo" incorporando il figlio che diventa Super-Io distruttivo, castrante e che si trasforma in ombra o
doppio: si struttura una situazione autistica (vedi il "caso di Ivano"). Questa scelta porta a dover convivere con un Super-Io devastante che impone una simbiosi paralizzante (Ivano non può assumere nessuna iniziativa che viene vissuta come riflesso onnipotente del Super-Io).
L'oggetto fobigeno é il Sé aderito al Super-Io; l'atteggiamento controfobico é quello di amare la madre e, come si vede nell'istituzionalizzazione, mandare bacini a tutti.
Il "fallo amato" genera sicurezza, ma anche una dimensione di assoluta sottomissione che impedisce il procedere del processo di identificazione secondaria.
Questa scelta procura timore di perdere "l'oggetto d'amore primitivo" che, investito come "oggetto da salvare" genera processi controfobici inibitori che portano alla paralisi dell'iniziativa, blocco dell'individualizzazione, perdita della coesione dell'Io, crisi incontenibili di angoscia per il timore della perdita: gli oggetti restano estranei ed il rapporto con l'Altro é oggettualizzato.
L'altro diventa "oggetto concreto" (non persona) che può essere salvato, ma non amato e, in questo meccanismo, nasce l'assoggettamento e la risposta ossessiva di agire per far piacere all'Altro; accettare la sottomissione porta però alla limitazione del rapporto interpersonale e della socializzazione.
Il soggetto ama se stesso (narcisismo secondario) e trova in sé parti dell'oggetto perduto che però servono a mantenere l'identificazione, strutturando l' Io-ideale e la funzione del Nome del Padre.
Allo stadio primitivo della simbiosi ne segue uno più evoluto nel quale l'Io tenta di riferire a Sé le percezioni e cominciano ad elaborarsi processi meno passivi.
Per spiegare meglio il funzionamento di questi complessi meccanismi, riportiamo un caso che, ben lontano dall'autismo ed anzi riferito ad una "persona normale", ci permette però di chiarire questa evoluzione che é sempre inconscia; l'abbiamo chiamato "Deborah, tra significato e significante".
D. é una ragazza intelligente, vivace, che lavora ed é attiva, precisa, ben considerata, efficace e con un certo grado di indipendenza.
Razionale, basa tutte le sue "verità" sul ragionamento e sulla parola; quasi le parole sono più vere dei fatti stessi, degli oggetti; per amarsi bisogna parlare; continuare a dirsi tutto per far coincidere le idee (simbiosi).
Questo particolare modo di vedere, leggere e sentire il mondo é rappresentato da una scena:
ci sono due persone che guardano un quadro, ma sono messe una di fronte, l'altra dietro. Guardano due cose diverse; é lo stesso quadro e, quindi, dovrebbero avere le stesse sensazioni, percepire la stessa realtà, ma non é così, ognuno resta con la propria opinione.
D. é costretta a continuare a parlare per spiegare quello che vede perché l'altro non capisce o non vuol capire. In realtà non é mai sicura che l'Altro capisca e lo mette sempre alla prova e non riesce ad avere fiducia.
Ha avuto qualche esperienza d'amore, mai soddisfacenti, sempre interrotte senza che abbiano lasciato molto.
Continua a parlare e ad aspettare risposte; gli Altri spariscono, non hanno volto, nel senso che se li vede subito dopo che é stata parlando con loro anche per dieci minuti, non li riconosce, é come se non li avesse mai visti.
La nonna le diceva che doveva guardare negli occhi ed effettivamente se guardava così non si dimenticava le fisionomie (é come poter guardare dentro dove c'é la verità che é stabile e memorizzabile).
La terapia continua per diverse sedute sino a che D. parla di una esperienza:
ha conosciuto una persona di 36 anni, il doppio della sua età; é uno ... che é stato in prigione, per qualche cosa di grosso ..., ma é buono, comprensivo, gentile, compagno ... nessuno lo conosce come lei, tutti lo credono un poco di buono, ma non é così ...
Muore ucciso in una campagna, forse ... se non si é suicidato, ma il maresciallo dei carabinieri dice che ... tutti finiscono così.
Lei ha preso l'abitudine di andare al cimitero, a parlare con lui, che la capisce.
É stata con lui pochi mesi, ma si sono detti tante cose e molte più "verità" di quante non siano state possibili in vari anni di rapporto con i suoi fidanzati.
Lui le aveva chiesto di fare l'amore e lei gli aveva detto di no, che se lo scordasse; lui l'ha rispettata, aveva capito, ha accettato, ... non come il suo fidanzato che al finale riesce sempre a fare quello che vuole o é lei ad accettare quello che dice e vuole l'Altro.
Deve parlare sempre per convincere e per convincersi, ma non serve a nulla e momenti di serenità si alternano a periodi di sconforto, di abbattimento, di... cose che non valgono nulla.
Il problema del senso di verità.
Ci si può parlare, si può vivere insieme, ma ognuno capisce quello che vuole, non c'é verità; continuiamo a stare ognuno dalla sua parte del quadro ... l'altro non vuole e non può capire ed é uno sforzo inaudito mantenere la relazione.
L'altro deve morire perché possa venire da questa parte e finalmente capire e permettere di capirsi.
Il senso di verità non ha nulla a che vedere con la realtà perché possiamo continuare a guardare la nostra parte di quadro (il dietro o il davanti) che sono lo stesso oggetto, ma non suscita le stesse sensazioni.
D. rinuncia a sentire e continua a parlare, ma con la madre non vuole parlare più, con il fidanzato non può parlare perché non capisce e lo lascia; parlare per poter sperare di vivere ... la terapia é parlare per poter scoprire le cause ed anche qui non ci sono due persone, ma due linguaggi.
Spiegazione.
D. non ha potuto vivere un oggetto genitoriale compatto e si identifica con una sola parte, il fallo ed il seno, alternativamente e non c'é più realtà stabile, sicura, soddisfacente.
É costretta a scegliere continuamente e si trova a non poterlo fare perché sempre manca qualcosa. L'altro deve morire (l'amico-padre morto) e rinunciare a sé (non fare l'amore) per poter capire e, quindi, costruire una realtà condivisa, una verità.
Il soggetto é destinato a vagare, cercando la verità, senza trovarla e, quindi, vivere momenti buoni e periodi cattivi, ma sempre senza poter ri-conoscere le persone, senza poter trovare verità, sempre cercando il senso, il significato e la verità di se stessa che si trova dalla parte del quadro dove significato (il quadro) e significante (la parola) possono sovrapporsi e diventare realtà (capire e comunicare) che é una esperienza condivisa di verità.
Se non troverà questo posto, l'Altro, come il suo amico, dovrà morire per poter continuare a parlarsi e a capirsi. Il significato di questo racconto sta nel passaggio dalla simbiosi all'identità.
D. é chiusa nel desiderio di simbiosi (con il padre = il fallo) senza poter raggiungere una propria identità, preclusa dalla mancanza di "verità", "forclusa" dalla perdita del Nome del Padre.
L'identificazione può essere raggiunta non con il parlare, ma "nella parola" che é simbolo di comunicazione e di individualizzazione; simbolo che permette di stabilire un senso comune (guardiamo il quadro stando dalla stessa parte) che é memoria (perché ho guardato dentro e ho trovato la verità = tu sei tu come io sono io), é sicurezza, é amore, é poter vivere con una realtà che non cambia e, quindi, non deve essere messa sempre in dubbio e non deve continuare a ricevere conferme.
D. può abbandonare i desideri di simbiosi per poter trovare se stessa e, quindi, autoidentiificarsi, amarsi ed incontrare autosoddisfazione.
Se questo non succede, il soggetto, nel caso riportato D., si troverà condannato a cercare una identità sospinto dal desiderio illusorio di simbiosi, che non troverà perché scioglierà di notte quello che avrà annodato di giorno, sperando nel ritorno di Ulisse, tessendo e disfacendo un'interminabile tela.
L'esperienza condivisa di verità é dunque il fondamento di una "relazione interpersonale" nella quale si stabilisce una "reciprocità" che significa "identificazione" (l'identificazione secondaria) nella quale "l'Io si costituisce come un Altro e l'altro come Alter-Ego" (Laplanche-Pontalis).
Nell'identificazione secondaria, il soggetto trova in sé parti dell'Altro che (oggetto genitoriale coeso) permetterà di trovare dimensioni di amore, di potere, di volere, di scelta e di alleanza.
In questo processo si può vedere una identità riflessa che Lacan l'ha chiamato lo specchio o stadio dello specchio.
In questa definizione viene messo l'accento sul fatto che nell'esperienza identificatoria il bambino acquista l'immagine del proprio corpo che risulta strutturante e fondante per l'Io; che é una funzione immaginaria e che mette fine al "fantasma del corpo spezzettato".
Come abbiamo visto, la "frammentazione" corrisponde alla prima tappa dello sviluppo (identificazione primaria), che passa anche all'autoerotismo ed agli oggetti parziali o alle pulsioni parziali.
In questa fase primitiva, il bambino non ha la possibilità di legare le percezioni di una mano o di un piede ad una unità (per questo li succhia, li guarda, li osserva mentre si muovono); non può dirimere la questione di interno ed esterno.
Con l'identificazione secondaria il corpo non é più vissuto come insieme di parti, ma come oggetto globale, funzionante in tutte le sue componenti: percezioni, movimenti, emozioni, sentimenti, desideri, affetti, volontà, memorie, relazioni, reciprocità.
Nei processi primitivi riconosciamo che dopo la "simbiosi primaria con la madre-seno" comincia un complicato processo identificatorio fondato sull'investimento nel "piacere di funzionare separatamente", nella locomozione, nella percezione, nell'apprendimento riferito a più persone, che stimolano sensazioni di superazione-individuazione e di capacità-possibilità individuali.
Nella fase simbiotica si intravedono i segni di quella che segue: la cosiddetta "del padre immaginario": l'unità arcaica che sorge dalla coagulazione del desiderio della madre.
Sono i riferimenti, gli accenni, le espressioni inneggianti o riferite alla sua importanza, alla forza, alla fiducia, ecc. che determinano una specie di "eco" che dice:
"Cosa vuole la mamma?" , "Chi?" "cosa?"
"In tutti i casi un non-me!"
"Allora c'é un altro!"
"Esiste dunque un oggetto separato dall'Io!"
Questo oggetto ha delle caratteristiche molto diverse dall'oggetto reale vissuto sino allora, percepito, soggettivo (l'Io-oggetto-percepito); é:
É un oggetto che "cade dal cielo", al di fuori del mondo percettivo, legato alla "parola", frutto del desiderio materno e, proprio per queste caratteristiche, seguendo quanto dice Julia Kristeva, sostiene un "processo di rigetto per ciò che avrebbe potuto essere un caos e che comincia a diventare un ... abietto (abiet)".
Il luogo materno, colmo del desiderio di un altro, che é immaginario, comincia a strutturarsi come "desiderio dell'Io che mette in atto un padre immaginario", processo di identificazione secondaria sulla base della scoperta di:
Sorgendo come "parola" e "dall'immaginario", l'oggetto genitoriale si gioca attorno ad un "vuoto di reale", come "abbozzo della funzione simbolica" (come dice Julia Krysteva: "barra significante/significato; arbitrario del segno; beanza dello specchio"), aprendo alla "funzione dominante della parola".
Questi meccanismi che precedono l'Edipo, che superano le brame libidiche del primo periodo e che riguardano il "padre e la madre" costituiscono la base per "l'identificazione secondaria mediata".
Tutti questi "processi mediati", sicuramente frutto anche di una "maturazione neuro-biologica-cerebrale", legati a "correlazioni intrapsichiche che rispondono a funzionamenti nuovi di immaginario e di simbolico", sono la base per la nascita del narcisismo secondario sostenuto dalla distinzione tra soggetto-oggetto-linguaggio ("treppiede" di Lacan).
In questo "funzionamento" compaiono:
Il narcisismo diventa quindi (secondo Freud "... la conturbante questione di uno svuotamento pulsionale, all'alba della costituzione dell'identità psichica"), che indica lo spostamento dal pulsionale allo psichico, dalla "mozione" alla "rappresentazione", dalla percezione alla parola, dalla "soddisfazione pulsionale" alla "interpretazione costruttiva".
Questa intuizione di Julia Kristeva, assume le dinamiche di un "godimento luminoso", "un'identificazione diretta con il fallo desiderato dalla madre" (che non significa essere il fallo della madre).
Il volto luminoso ed incomprensibile , sprovvisto dei sentimenti di colpa dell'Edipo (come suggerisce E. Jones) "...sarebbe il capo dell'orda dei fratelli che uccide il padre e si vanta del proprio gesto".
Questa identificazione non edipica, presuppone una non-differenziazione sessuale (padre e madre; uomo e donna) che caratterizza l'oggetto genitoriale ("padre immaginario") che conserva solo uno stato fantasmatico, permanendo come "paternità arcaica immaginaria" (Julia Kresteva) ("padre della preistoria" di Freud o "padre pre-edipico", come dice Colette Chiland).
Nel discorrere dello sviluppo psico-mentale, sembra quasi di ripercorrere gli "incontri strutturanti" dell'opera "Il mago di Oz", nella quale appunto:
Affetti, volontà e pensiero: i cardini di un ideale che accompagnano il padre immaginario, questa paternità fantasmatica, calorosa, abbagliante, giubilosa, agape, incontro, amore e .... verità: il Nome del Padre.
A questo punto l'Io é diventato Io-individuo, soggetto, persona autonoma e libera e, quindi, può aprirsi alle tematiche risolutive che sono comprese nell'immagine ormai mitica dell' Edipo.
COMMENTO
Parlando di psicopatologia (studio delle cause e della natura dei disturbi mentali) in rapporto con l'autismo (disorganizzazione o ritardo dello sviluppo psico-mentale) dobbiamo chiederci:
Queste domande hanno però un denominatore comune che, trattandosi appunto di un processo in fase di strutturazione, ci porta a dover considerare ed esaminare le condizioni concomitanti e le funzioni determinanti.
Non possiamo dimenticare che il bambino nasce biologicamente prematuro e, come oggetto psichico, va strutturandosi attraverso le relazioni e lo scambio interpersonale, principalmente con la madre.
Il "bebé" della specie umana, per essere normale, non deve solo nascere sano; richiede ancora attente e prolungate cure per sopravvivere e, soprattutto, per sviluppare le sue potenzialità neuro-psichiche; é un errore pensare che il processo costitutivo del soggetto risieda nell'equilibrio tra soddisfazione e frustrazione; il bambino, al contrario, si sviluppa solo se può situarsi nel livello di significante.
Se prendiamo alcuni concetti elaborati da Solal Rabinovitch, scopriamo gli autistici come erratici soggetti che "stanno fuori", lontano dalle immaginarie frontiere di un loro paese, fuori dai legami materni ed anche ... "fuori di sé".
Possiamo anche chiederci se c'é stato mai un "loro Paese", un "luogo" da cui sono stati espulsi, ma del quale esistono vestigia o segni visibili: cosa li ha esiliati? Che dolore é rimasto da quella dipartita? Quali emozioni, quali sentimenti sottolineano ancora la perdita? in questo esilio si é evaporata la nostalgia?
Ci troviamo di fronte a stranieri nel loro esilio (senza patria, senza lingua, senza storia), estranei anche a loro stessi, privati di una coscienza.
La perclusione (forclusione) é il nome dato da Lacan a questa frattura che rompe la memoria e gli oggetti, che restano dispersi e senza "impronte" che rendano possibile un ritrovamento; dice Rabinovitch: "solo sopravvive la familiarità di una assenza sconosciuta, quella dell'esilio.
Lacan arriva a mostrare un soggetto che, senza il vincolo del discorso, perde anche R, S e I (che designano il reale, il simbolico e l'immaginario) proprio perché le modalità di annodamento e di slacciamento li allontanano e li segregano, disarticolando la struttura.
Freud ha formulato un modello di organizzazione dell'inconscio, fondato sulla teoria della pulsione, nel quale l'oggetto vi è concepito come secondario a questa.
Studi successivi, soprattutto a partire dalle osservazioni di Melanie Klein, hanno portato a concepire la relazione oggettuale come unità fondamentale della struttura dell'apparato psichico, per cui ogni identificazione non é legata ad un oggetto, bensì ad una relazione d'oggetto.
Questi studi, ampliati con i contributi di Jacobson, Mahler e Kembery, fanno dire a Marc André Bouchard: "... io credo che una rappresentazione di sé, una rappresentazione d'oggetto e lo stato affettivo che li collega, sono le unità essenziali della struttura psichica" , che si fonda sui tre pilastri di Lacan: reale, immaginario, simbolico.
Emozioni, affetti, coscienza e conoscenza ...
da qualsiasi parte guardiamo lo sviluppo del bambino scopriamo parti che devono essere integrate per poter dire che si é raggiunto uno sviluppo equilibrato e globale delle funzioni psico-mentali.
Questa integrazione resta comunque un obiettivo delicato, difficile da raggiungere, proprio perché intervengono fattori personali (strutturali e funzionali) che interferiscono con altri, altrettanto fondamentali, di tipo relazionale e sociale.
É così che:
Da quanto osservato nella pratica terapeutico-relazionale (attraverso l' E.I.T.) possiamo dedurre che la disorganizzazione dello sviluppo psico-mentale dell'autistico si riferisce ai processi primitivi e, sicuramente, pre-edipici.
É difficile chiarire i meccanismi eziopatogenetici perché nei primi mesi di vita, sino ai due anni, processi legati alla struttura genetica, alla maturazione neuro-cerebrale, alla formazione dello psichismo sulla base delle esperienze percettive (enterocettive, propriocettive e sensoriali) e delle relazioni familiari e sociali si intrecciano e condizionano reciprocamente.
Con tutto questo, nell'autismo "classico" o "infantile precoce" possiamo riconoscere caratteristiche psicodinamiche speciali:
Nell'E.I.T., il fare, che é "corpo", ha un significato di "parziale" in quanto é:
Resta però un "fatto insieme" che unisce gli immaginari creando quindi un transfert che diventa significante-parola.
Nel continuare la terapia il bambino comincia a "parlare" é sempre di più quello che "fa" e che "fa da solo"; si crea una aspettativa nel pensare a quello che c'é oltre, quello che si farà domani, un immaginario che non é più di entrambi, ma del soggetto, del bambino che continua a non dire, ma che comincia a raccontare.
"Facciamo ... questo!" - "No" (il no é sempre la prima parola).
"Lo facciamo una sola volta poi smettiamo" - " .... !"
In questo schema, tanto frequente nella terapia, c'é molto di desiderio dell'uno e dell'altro, nel quale si crea il desiderio del bambino che, nell'accettare il bisogno dell'altro, crea il proprio bisogno: scoprire come sarà (aspettativa) quel "fare" che, creatore d'angoscia, é sempre stato abbandonato e precluso.
Il "fare" é il "Nome del Padre" che torna come risultato di "fare insieme" quello che vuole lui e che ... voglio anch'io!
Tutto questo però é fondante perché scritto nel corpo (non fuori dal corpo), é il frutto di una sequenza:
In questo "fare insieme corpo" c'é un apprendere insieme: é un atto che, come limite del sapere, é anche quello "scartato" (non detto) come persone, come soggetti che si riconoscono proprio nel "dimenticarlo e rifiutarlo".
Nel gioco di "No = non fare" e ".... = fare in parte" si coagula un "simbolico" che unisce il reale = fatto, un immaginario = dimenticato a un simbolico = l'applauso che segue al risultato.
Tutto questo spiega quello che sempre ricorda G. Andreis sull'importanza fondamentale e fondante della "presenza del terapeuta": la volontà del terapeuta e la volontà del soggetto sono il "valore del fare" che diventa immaginario nel desiderio dell'uno e dell'altro e significante nel risultato di "fare insieme".
Solal Rabinovitch si chiede (in "Escrituras del asesinato - Freud y Moisés; escrituras del padre 3"):
"... Si la escritura del asesinato hace pensable el origen sin sumergir al sujeto en lo impensable de su proprio origen, en lo impensable de esta marca, de esta cicatriz de la que está exilado, ¿como puede tal escritura tener acceso a la marca excluida que ofrece el ahora del pensamiento al a postriori de la escritura y que representa el acto del comienzo?".
Queste parole apparentemente oscure trovano una spiegazione ed un completamento nell'analisi dei fatti che succedono nella terapia (modello e simbolo dello sviluppo psico-mentale primitivo).
Nel momento in cui il soggetto trova in sé parti che deve dimenticare o rifiutare (il "non detto") e che le stesse parti sono presenti nell'Altro ("vuoto di sapere dell'analista") si evidenzia come "l'assassinio" venga perpetrato non solo contro il padre reale, ma anche contro l'Io; così solo nella duplice contrazione (assassinio) si crea lo spazio per quel NOI che, come Nome del padre, fa continuare a vivere sia l'Io che l'Altro.
Il Noi é il figlio che ha introiettando "parti divorate del padre" ed ha salvato solo alcuni aspetti di sé perché altri li ha "sacrificati": la fanciullezza, l'ingenuità, la spensieratezza, l'irresponsabilità, l'immediatezza, la simbiosi, il gioco ludico.
Il figlio ha perso parti istintive, pre-cognitive, libidiche per acquistare parti del padre meditative, volitive, mnestiche.
Per Noi il figlio non succede al Padre che, al contrario, permane perché é stato divorato "crudo" (non ha perso nella "cottura" la sua natura, il suo "contenuto nutritivo").
Nell'atto sacrificale muoiono dunque i due "personaggi del dramma" (il figlio ed il padre) che rinascono nel Nome del Padre che resta ad occupare i due posti ormai vuoti, ma diventa "impronta indistruttibile" e come "organizzazione vittoriosa e legislativa" creando le "formazioni sostitutive" delineate da Freud, i "due tabù" fondanti e strutturanti:
Nel "Nome del Padre" nasce il "Soggetto immesso nella legge", nasce il "Soggetto con Nome e Cognome", il Soggetto finalmente posto all'interno del Triangolo Edipico.
L'assassinio e l'incorporazione (introiezione) che permette la nascita del NOME (e Cognome) nel quale sparisce il "padre primitivo", il "padre immaginario" che é diventato NOME proprio perché "padre della legge, del desiderio e dell'identificazione".