AUTISMO COME ALTERAZIONE DELLO

SVILUPPO PRIMORDIALE DELL' IO

Dott. Romeo Lucioni

 

Bruno Bettelheim nel suo libro "La fortezza vuota", nell'affrontare il tema del "conoscere l'altro", pone l'accento sulla necessità di superare esperienze intellettuali che soddisfano esigenze estetiche, tramutando l'altro in puro "oggetto" di osservazione e dichiara che una vera conoscenza dell'altro deve partire, se si vuole comprendere l'essere umano in tutta la sua complessità, dalla conoscenza di se stessi. Questa modalità assume però un carattere vagamente onnipotente e solipsistico in quanto sia l'osservazione sia l'auto-osservazione si esauriscono in un unico attore; bisogna quindi prevedere un meccanismo più obiettivo per giungere ad una conoscenza dell'altro più consona alla realtà e meno distorta dagli "occhiali" del soggettivismo. Quando poi si affrontano tematiche psicologiche, diventa ancora più facile intervallare lo spazio tra il sé e l'altro, sia per spinte egocentrico-megalomaniche, sia per un processo di negazione-proiezione che crea una frattura tra un sé sano ed un "altro" malato. Il modello introspettivo sottolinea facilmente atteggiamenti egocentrici e di autoriferimento (riferimento al sé sano), così che, per superare la frattura tra sé e l'altro, é necessario ricreare l'altro non diverso da sé ed, in pratica, mettersi nell'altro per acquisirne gli occhi, i sensi, la mente, l'esistenza e la vita.

E' vero che l'introspezione allontana dalla possibilità di trasferire fuori di sé un punto di riferimento vero ed oggettivo tanto da poter risultare utile anche per i nostri vissuti e le nostre esperienze, così come é vero che risulta difficile recuperare, attraverso il guardarsi dentro, le esperienze intrapsichiche più precoci, ma é anche sicuramente certo che l'introspezione non ci permette di avere una visione obiettiva di esperienze primitive ed arcaiche diverse dalla nostra e pertanto giudicate patologiche.

In queste osservazioni é racchiusa la "coscienza" della complessità e della fluidità della mente (umana), ma anche il limite del tentativo di ridurla a semplici criteri razionali. La psiche non deriva da programmi genetici prefissati, ma da uno "sviluppo continuo" che si struttura in un ambiente sociale e le cui vicende personali, relazionali ed intime, interagiscono e/o condizionano le componenti biologiche. Qualsiasi entità biologica e, in modo del tutto particolare, ogni essere umano non é altro che una rete di connessioni sulle quali si incrociano moltissimi rapporti causali, ciascuno dei quali interviene o diventa determinante solo in modesta misura. Questa particolare struttura dell'essere, fatta dunque di interazioni tra percorsi causali multipli, é anche motivo della sua libertà oltre che del proprio "essere individuo".

Questa impostazione scientifico-culturale presuppone un atteggiamento dualistico nel quale si ristruttura quanto sempre é stato presente nella cultura dell'uomo e cioé la dicotomia tra "mistero" e "razionalità" che, tra l'altro, sottende la psicodinamica dell'oblio e del dubbio esistenziale tra "valore" e "non valore". Oggi si tende a contenere la "sacralizzazione" della ragione per cui, quasi rispettando la legge dei vasi comunicanti, cresce l'approccio con il mistero che, non più mistero, non più rapporto pauroso con la complessità, si dimensiona come campo non solo di studio, ma di scoperta, di crescita e di recupero della totalità dell'essere.

Secondo Stern (1914), per il neonato ed il bambino piccolo non ha nessun significato la concezione del Sé e dell'altro, proprio perché la distinzione tra soggetto ed oggetto si situa in una fase evolutiva ulteriore per cui il bambino, al di sotto dei due anni, sperimenta il mondo in maniera decisamente diversa dalla nostra. Questa visione evolutiva della mente oggettivizza eccessivamente le diverse fasi dello sviluppo psichico proponendolo in una scala deterministica di causa-effetto con possibilità di ascesa e di discesa che risultano "movimenti" oltremodo rigidi e predeterminati. Il concetto di fase, introdotto nella strutturazione metapsicologica dello sviluppo psichico, sottende una idealizzazione del processo causa-effetto, che presuppone un prima e un dopo e che si dimensiona nell'astratto, suscettibile, però, di essere riempito da numerose valenze concrete, cioé da interpretazioni che, proprio per il dogmatico punto di partenza, assurgono come verità.

La struttura metapsicologica che ci sembra più consona ai riscontri clinici é più ricca perché rispetta i concetti nuovi della complessità e della casualità, si dimensiona come "globale ed evolutiva" in un senso spiraliforme. Il crescere ed il retrocedere risultano come sfumature particolari, temporanee, più o meno occasionali e quindi anche modificabili. Questa impostazione rompe con lo schematismo evoluzionista e causalistico della successione delle fasi orale, anale e genitale e permette l'individuazione di momenti anali pre-orali, momenti genitali pre-anali o strutturati secondo qualsiasi altro modello.

Quanto detto non vuole significare che i meccanismi anali, orali e genitali siano sempre gli stessi o evidenziabili con le medesime caratteristiche, ma, al contrario, che bisogna prevedere che ognuna delle "fasi", espressioni fenomenologiche contingenti, possa presentarsi con caratteristiche proprie. Lo sviluppo psichico può essere inteso come un processo dinamico ed evolutivo. Per riprendere il concetto di circolarità, già espressa in un precedente lavoro sul tema dello sviluppo della personalità, si deve pensare ad un alternarsi di movimenti o momenti progressivi e di altri regressivi. Questa concezione circolare-spiraliforme dà la possibilità di leggere i diversi movimenti dello sviluppo come "assetto" che rappresenta dunque, nell' "hic et nunc", una particolare e caratteristica relazione tra "momenti". In questo modo si potrà parlare di:

- assetto del funzionamento intrapsichico

- assetto dello sviluppo narcisistico

- " " " biologico

- " " " psicologico

- " " " sociale e relazionale.

Questo modello interpretativo permette di fare evolvere il concetto di diagnosi da uno di tipo nosografico-descrittivo ad un altro che tiene conto appunto della relazione dinamica tra i vari assetti e le loro interazioni, così da non perdere mai la visione globale ed unitaria del soggetto. Il progetto diagnostico perde quindi la dimensione statica, trasformandosi in "processo" svolto in funzione terapeutica. Riassumendo, possiamo sottolineare che in questo modo lo sviluppo, che potrà essere psichico, intrapsichico, personologico, ecc., tiene conto di aspetti dinamici ed economici di una organizzazione o di un funzionamento mentale e quindi non di strutture, sottolineando la possibile coesistenza di movimenti progressivi e regressivi senza che necessariamente si debba parlare di patologia. Progredendo in questa analisi, potremo anche introdurre altri concetti riguardanti i vari assetti, per esempio quelli di solidità e fragilità; di equilibrio e distorsione; ecc.

Da questo punto di vista si evidenzia immediatamente una rottura del determinismo temporale-fasico ed il neonato o il bambino piccolo potranno essere visti e scoperti come depositari di una struttura pre-psichica, preconscia ed arcaica, che potrà essere rilevata con caratteristiche proprie ben individuabili anche se anali, orali o genitali. La teorizzazione fasica dello sviluppo psichico presuppone una svalorizzazione del Sé ed un annientamento dei primi processi di formazione dell' Io. Il punto di partenza sembra essere un nulla nel quale si strutturano le prime "percezioni" come pure e semplici reazioni a stimoli determinati e/o indeterminati. La prima configurazione retorica della realtà relazionale avverrebbe dunque dall'elaborazione del percepito, strutturato in un "modello-madre".

Si ha l'impressione che la svalorizzazione del Sé primitivo conduca ad un "essere" non strutturato psichicamente e psicologicamente.

In realtà bisogna rileggere tutto questo capitolo della formazione primitiva dello psichismo secondo una visione più ottimistica:

1 - le prime percezioni sono quelle relative al proprio mondo biologico interno (sensibilità propriocettiva ed enterocettiva) ed il neonato riesce a distinguere come proprie le sensazioni e l'appagamento dei bisogni: "stadio senso-motorio" (o "autosensualità primaria" di F. Tustin). Da questo punto di vista si potrebbe riconoscere un arcaico "senso di Sé" che si va sempre più strutturando e dimensionando nello spazio (interno ed esterno) e nel tempo (momenti per dormire, momenti per mangiare legati ad un certo ritmo interno (orologio biologico) ed esterno (tempi reali = rispetto degli orari). Si tratta di uno "stadio" centrato sul corpo e dominato dalle sensazioni, che, quindi, vanno a costituire un "nucleo primitivo del Sé".

2 - A questo stadio fa seguito uno "stadio visivo" estremamente più integratore di quello propriocettivo-enterocettivo (stadio sensomotorio); qui si stabiliscono primitive esperienze sociali per lo più legate alla percezione della madre che sorride e accudisce.

Letto in questo modo, lo sviluppo psichico comincia senza dubbio nei primissimi momenti della vita extrauterina, anche se si potrebbe riconoscere una parte di sviluppo psichico intrauterino dal momento che la sensibilità enterocettiva e quella propriocettiva sono già rilevabili prima della nascita. Accettando questa posizione, si può senz'altro affermare che allo stadio "sensomotorio" corrisponde uno sviluppo psichico quanto si vuole arcaico, ma presente e centrato sul Sé. Evidentemente si tratta di uno stadio di tipo egocentrico ed onnipotente perché prima di tutto non esiste altro mondo che il "proprio mondo interno". Le prime sensazioni visive, tattili, geusiche e acustiche saranno percepite come originate dall'interno, oltre che, per così dire, globali e quindi né puntuali o specifiche, né filtrate o classificate; saranno inoltre "vissute" come nate dal Sé, agite dal Sé e dominate dal Sé. Anche il mondo esterno non‚ altro che una parte del proprio sé, come dice Joan Riviére, "... il petto della madre é per lui solo una parte di se stesso, solamente una sensazione ...".

Il secondo stadio, che possiamo chiamare "visivo", ha decisamente un carattere "sociale". Ci sarà un riconoscimento dell' Altro diverso da Sé (che prima era inglobato nel Sé) vissuto come onnipotente, esattamente come era vissuto, nello stadio anteriore, il proprio Sé. Il riconoscere il valore dell'altro (nel sorriso e nelle cure della madre) stabilisce una sorta di affettività primordiale centrata sul "dar valore all'altro". Ed é forse proprio questo riconoscere il valore dell'altro che stimola il desiderio di appropriarsene e quindi di introiettarlo. L'importanza di questo desiderio orale (di riminiscenza freudiana) dà a questo un vero senso alla realtà (esterna) e permette quindi una integrazione: questa "fase visiva" diventa "orale", ma soprattutto "sociale".

Lo sviluppo psichico primordiale si struttura quindi in due fasi delle quali la prima é sicuramente egocentrica ed onnipotente; la seconda relazionale, sociale, emotiva ed affettiva. Questa primitiva dimensione sociale si evidenzia poi come l'incontro di due onnipotenze: quella arcaica del Sé primario e quella relazionale con il seno-madre. A questo punto si può parlare di un primitivo e arcaico nucleo dell' Io che si dimensiona su un seno introiettato che si unisce ad un Sé percepito. Il seno onnipotente si confronta ed aderisce al Sé primitivo onnipotente formando un nuovo oggetto interno doppio e simbiotico, onnipotente e controllabile. Quando il bambino, nei primissimi mesi di vita, scopre intuitivamente la doppia onnipotenza, quella della madre (del seno: generare, nutrire e soddisfare) e la propria (del fallo: obbligare, imporre, ottenere) e le incorpora entrambe come proprie, comincia a strutturare un senso dell' Io, integrato ed unitario. Questo "oggetto interno" onnipotente e duplice sarà il modello integratore per tutte le scoperte successive che si rifaranno alla natura bisessuale dell'uomo, al processo dialettico della perdita e del recupero, all'esperienza di penetrare ed essere penetrato, ma tutte, in ultima analisi, insite nella dimensione del potere (al principio del tutto onnipotente) dell' Io e dell' Altro. Anche il sentimento primitivo, che poi si strutturerà come "angoscia di castrazione", si riferisce a questa dimensione di potere antitetico. L'osservazione di Melanie Klein che, in entrambi i sessi, la angoscia di castrazione si manifesta come "timore di essere svuotato" può essere appunto riferita al senso di perdere il proprio potere e dà un significato più compiuto ai sentimenti profondi riferiti al penetrare ed essere penetrato, emettere le feci o risucchiarle per trattenerle, agire o contenere l'azione, perdere e recuperare, ecc.

Riprendendo una ricca immagine di Francesco Orlando espressa nel commento al libro di Guido Paduano, "Lunga storia di Edipo Re, Freud, Sofocle e il teatro occidentale", l' "essere" e l' "avere" primordiali e pre-edipici, si riferiscono all' "essere se stessi" ed "avere la madre" come espressioni della prima fase "senso-motoria" e della seconda "percettivo-sociale". L'immagine retorica dell'essere e dell'avere nella sua bipolarità <<Io - l'altro>> diventa simbolicamente il fulcro della dinamica strutturale dell' Io che, attraverso un continuo divenire, traccia il proprio destino non come raggiungimento di un "vertice", ma di uno sviluppo circolare e , in definitiva, spiraliforme. Una crescita continua é la vera scoperta dell' Io quando raggiunge una strutturazione iniziale che comporta sicurezza ed autovalorazione.

Questo meccanismo formativo del nucleo primordiale dell' Io diventa il meccanismo abituale della differenziazione oltre che dell'integrazione. Quando il bambino, raggiungendo una sufficiente integrazione dell' Io, può distaccarsi dal seno oggetto reale strutturandone un'immagine virtuale come oggetto-buono, avrà imparato ad elaborare e a condividere la realtà.

In seguito, nel momento in cui il bambino verrà a contatto con la figura del padre, ancora una volta la riconoscerà come onnipotente e la introietterà come oggetto interno onnipotente non isolato, ma integrato con l'oggetto seno e quindi nella figura dell'oggetto interno genitoriale. In realtà Freud aveva immaginato che l'oggetto padre fosse introiettato come "processo mentale" esattamente come avviene con il Super-Io, ma le nostre osservazioni ci portano a determinare che questi processi, di natura metapsicologica, possono essere visti come ambito nel quale si dimensionano non solo i normali processi dello sviluppo psichico, ma anche quelli psico-patologici che investono la strutturazione arcaica dell' Io.

A questo punto, può essere affrontato l'altro aspetto che riguarda il valore strutturante delle percezioni, determinanti per spingere lo sviluppo psichico; é opportuno sottolineare come sia precoce la strutturazione di un Io arcaico o proto-Io centrato, come abbiamo accennato sopra, su un Sé percepito e un Seno introiettato. La comunione dei due "oggetti" interni, uniti in un unico oggetto, diviene la possibilità primitiva, ma reale (seppure virtuale), di produrre una integrazione. Questi processi psichici, di grande importanza, richiedono una notevole "energia" che sicuramente è data dalla pressione libidica dell'onnipotenza primaria.

Tali considerazioni si sommano a quanto espresso in un precedente lavoro sugli oggetti interni virtuali e sulla formazione dell'oggetto interno genitoriale al quale si può fare riferimento. In una prospettiva complementare, però, possiamo schematicamente osservare che il primo processo psichico evidenziabile é un Sé che si struttura sugli imput sensoriali preminentemente propriocettivo-enterocettivi e che si dimensiona come istintivo e libidico. In una fase successiva (più sopra individuata come "stadio visivo") la scoperta dell'altro che, nell'approccio con la figura materna, si struttura come "seno" e come "seno onnipotente introiettato", diventa modello che permette di prevedere il passo successivo della strutturazione psichica che é quella della formazione di un oggetto interno virtuale che deriva dalla congiunzione del primitivo-onnipotente Sé-percepito con l'onnipotente Seno-introiettato.

Questo "processo fusionale" riveste estrema importanza perché si dimensiona come modello primitivo della costituzione di un proto-Io che però é già dimensionato come unità. Proprio questo modello integratore sarà quello che sarà utilizzato per la formazione, prima, di un oggetto interno genitoriale includente seno e fallo, poi di un Io integrato e poliedrico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da questa introduzione sui meccanismi psichici dei primi anni di vita, possiamo avviarci a considerare il tema specifico di questo lavoro: l'autismo.

L'autismo non é un "sistema" che si struttura e si esaurisce in se stesso e neppure una malattia definibile in termini assoluti; al contrario deve essere valutato nell'ambito di un deficit graduale o relativo che si riferisce a difficoltà di carattere sociale, comportamentale e linguistico, oltre che riferibili ad una particolare struttura di pensiero o, se vogliamo, ad una struttura Ioica del tutto caratteristica. Se letto in questo modo, non é giustificata l'etichettatura autistica, mentre, al contrario, vale la pena, nell'osservazione clinica, mettere in evidenza certe caratteristiche autistiche che possono interessare il comportamento, gli atteggiamenti, il pensiero e le funzioni psichiche, oltre che, a volte in maniera accentuata, il linguaggio e l'espressività in generale.

Va ricordato che le caratteristiche autistiche risultano sempre una importante causa di ritardo dello sviluppo psichico proprio perchè minano lo strutturarsi di un Io polivalente e poliedrico, capace di dimensionare meccanismi adattivi e/o compensatori. Non bisogna quindi porsi di fronte a questa malattia adottando un approccio "medicalizzante" o diagnostico-osservativo proprio perché la ricerca di una od altra caratteristica patologica risulta, in effetti, un semplice esercizio accademico che non permette un'analisi precisa dei livelli e degli aspetti qualitativi dello sviluppo e delle capacità espressive caratteristiche di una struttura Ioica.

A questo punto non risulterà vero che la patologia autistica sia di per sé sinonimo di una semplice chiusura solipsistica che porterebbe i piccoli pazienti ad assomigliare a neonati (principio della regressione). Questa definizione nasconde in sé un profondo equivoco perché deve conciliare un normale sviluppo neuromuscolare con una negazione o un blocco psichico e psicomotorio capaci di neutralizzare le capacità potenziali. Negare ai bambini autistici la possibilità di possedere una personalità strutturata seppure "troppo personalistica é, in qualche maniera, proiettare la capacità evolutiva solamente in noi perché "sani" o "normali" e quindi decisamente "più ricchi" e "più evoluti".

Parlando di autismo, sembra di percepire un senso di "svuotamento" che progressivamente invade le sfere: cognitiva, emotiva, affettiva, motoria, sensoriale, eccetera. Lavorando con questi bambini o ragazzi, si scopre, prima di tutto, una enorme variabilità della sintomatologia; i quadri clinici sono tanto diversi e non si trovano due casi sovrapponibili. In secondo luogo, si evidenzia come il "terremoto" patologico investa l'emotività e l'affettività con una violenza tale da risultare del tutto incontrollabili attraverso le possibilità adattive offerte dai processi cognitivi. I processi logico-razionali che supportano le capacità adattive sono sopraffatti, evidenziando una rinuncia alla motricità, alla verbalizzazione, alla sensorialità e anche al pensiero.

Il "terremoto-emotivo", scatenando angoscia e terrore, blocca ogni iniziativa e riduce il soggetto ad un vegetale. A volte basta avvicinare una sola mano ad un bambino autistico per sperimentare quanto violente siano le risposte emotive o leggere, negli occhi, le espressioni di un enorme terrore.

Queste osservazioni portano a riconoscere che le forze psichiche che entrano in gioco nell'autismo siano supportate dalla "onnipotenza"; si scatenano elementi che di per sé risultano assolutamente incontrollabili e che fanno pensare allo "scontro tra gli dei". Questa "battaglia" provoca terribili paure, desideri, collere violente ed anche sensi di inferiorità e di impotenza. Una rappresentazione spettacolare di questi vissuti è quella che Stephen Spilberg ha ricreato nel film "Jurassick Park" (tratto dall'omonimo libro di Michael Crichto) quando il "mostro", il dinosauro "velociraptor", riesce perfino a leggere il pensiero delle sue vittime e quindi il panico e l'impotenza assurgono a livelli inverosimili. Nel film, e nell'immaginario, solo un'altra onnipotenza può distruggere il "mostro" e questa é rappresentata dal tirannosauro.

Anche nella storia di Polifemo è rappresentata l'ineluttabilità dell'onnipotenza che Ulisse, il furbo, può vincere solo distruggendo l'unico occhio che, guarda caso, sembra proprio "l'occhio di Dio" e il suo spegnimento equivale alla deificazione dell'Eroe.

Di fronte al terrore, la paralisi non significa spegnimento, ma diventa l'espressione massima dell'impotenza e dell'autodifesa. Nell'autismo é sottinteso un elemento super-egoico arcaico, distruttivo, cannibalico ed onnipotente, capace di dominare non solo le forze, ma anche il pensiero del soggetto; l'unica via di scampo é la paralisi e l'unica forza capace di mantenere e difendere la vita comporta la strutturazione di un Io altrettanto arcaico, ma anche altrettanto distruttivo. Questo Io arcaico si trova nell'impossibilità di perdere delle parti di sé, così si evidenzia una "conglutinazione dell' Io" che si manifesta come ritiro psico-fisico, immobilità, ossessivizzazione dell'individualità, autoerotismo ed autostimolazione: sintomi che si riassumono nell'espressione di una "autovalorazione arcaica, onnipotente, preconscia e, quindi, libidica".

Forse non si può parlare ancora di Io, trattandosi di un proto-Io che non può utilizzare processi cognitivi, razionali e deduttivi, ma questa rappresentazione ci permette di dare forma ad una percezione. Questo proto-Io acquista poi, proiettivamente, caratteristiche superlative e quindi è vissuto come onnipotente, distrutto solo dall'onnipotenza del Dio che tutto può e tutto sa.

Nel caso di Ma. il paziente riferiva che non era necessario parlare al "padre" dei propri desideri dal momento che lui sapeva tutto e, se non esaudiva le aspettative del figlio, era solo perché era anche perverso. Il paradosso dell'autismo è il coinvolgimento degli Dei onnipotenti nella lotta che si sviluppa totalmente all'interno inconscio del soggetto.

Per nessun altro quadro psicopatologico si é dovuto porre il problema della eziopatogenesi della malattia che può essere vista sia come processo conflittuale, sia come "deficit". Infatti la "carenza" può essere la "mancanza" e quindi riferirsi ad un problema biologico-strutturale, oppure il risultato di processi intrapsichici legati ai meccanismi di pensiero, a processi conflittivi per lo più inconsci o a particolari rappresentazioni mentali di aspetti di se stessi e degli altri che danno forma al mondo delle relazioni oggettuali interne.

L'eziologia dell'autismo resta, a tutt'oggi, motivo di grandi discussioni e si può dire che un approccio bio-psico-sociale renda l'idea esatta della complessità patogenetica che supera la vulnerabilità biologica, le problematiche sociali ed i vissuti precoci; molte cause si riducono semplicemente a fattori di rischio, per cui la complessità aumenta ulteriormente. L'eziologia dovrebbe avere il suo punto di partenza nella componente costituzionale che costituirebbe una specie di inclinazione sulla quale agirebbero gli eventi, più o meno stressanti, capaci di determinare il come ed il quando dell'espressività clinica. Questa lettura ha però nell'autismo una notevole limitazione proprio per la precocità dell'instaurarsi del processo morboso per cui risulta estremamente difficile dare un giusto valore a tutti i fattori di rischio, che si spostano quindi dall'ambito della costituzionalità a quello dell'evoluzione psichica. In altre parole, l'autismo impone la necessità di intendere i fattori costituzionali non come elemento statico primordiale, ma come processo dinamico capace di incidere sul "regolare" interferire delle reciproche influenze tra il biologico, lo psichico ed il relazionale.

Si potrebbe ipotizzare che il risultato finale della strutturazione dell' Io e della personalità dipenda dall'interferenza di tre componenti che, quando evolve in modo armonico, permetta la formazione di un Io integrato, poliedrico, adattato e, quindi, "normale"; al contrario, se le linee di forza risultano disarmoniche il prodotto finale sarà una deformazione più o meno grossolana ed imponente.

Riprendendo l'osservazione sulla precocità dei fenomeni psicopatologici, possiamo renderci conto di quanto sia difficile coglierne il momento iniziale (che potrebbe anche essere intrauterino) e quindi risalire alla vera causa eziopatogenetica. Possiamo comunque intuire come l'anticipazione della distorsione dell'integrazione delle tre spinte evolutive (biologica, psichica e sociale) porti a profonde alterazioni di tutti gli sviluppi: psico-motorio, psico-affettivo, psico-relazionale, eccetera.

Avere posto l'elemento psichico come punto di riferimento non significa che questo sia il predominante, ma solo che risulta quello maggiormente compromesso. Se consideriamo, per esempio, la motricità, troveremo nella sindrome autistica una compromissione della coordinazione che non é dovuta ad un deficit neuro-muscolare, ma deriva da una interferenza psichica che blocca lo sviluppo motorio nei suoi momenti iniziali, determinanti per arrivare ad un perfetto automatismo dei movimenti. Sembrerebbe che la mancata armonizzazione dei tre fattori che partecipano ad un regolare sviluppo dell'integrazione olistico-costituzionale della persona porti ad un impaccio più o meno grave dell'automatizzazione dell'espressione motoria. Da questo potrebbe derivare che ogni movimento automatico risulti sottoposto alle leggi del desiderio e della volontà, diventando impacciato o rallentato (come, ad esempio, la rigidità cerea).

L'autismo risulta una patologia troppo complessa e troppo variabili sono le espressioni cliniche per cui non é certamente risolto l'enigma della determinatezza dell'espressività e resta il dubbio sulle percentuali di partecipazione delle parti biologiche, psichiche e socio-relazionali. Forse é importante accettare una certa parte di struttura e lavorare sulla componente psichica, psico-affettiva e psico-cognitiva, per offrire ai malati di questa "sindrome neuro-psicologica" una opportunità per riprendere il cammino dello sviluppo e della crescita.

Il paradigma, nell'approccio con un bambino autistico gravemente disturbato, é sempre quello di mettersi dentro di lui per poter "leggere" i vissuti e i significati profondi delle espressioni fenomenologiche; si scopre così una espressività dominante: la paura, tanto angosciante da poter essere definita come vero e proprio "terrore". Ogni cosa succeda vicino ad un bambino autistico (anche l'avvicinarsi per una carezza) diventa per lui motivo sufficiente per provocare una reazione di inquietudine; la sola rottura della "quiete" o "dell'abituale" diventa uno stimolo disturbante: tanto più l'avvenimento risulta vicino, tanto più importante sarà la risposta emotiva. In questo si può trovare una spiegazione alla modalità di guardare a sottecchi di questi bambini: nulla di quanto avviene deve sfuggire al controllo, perché in ogni "avvicinamento" può nascondersi un pericolo.

L'imponente reattività emotiva dà una spiegazione anche ad un' altra esperienza fenomenologica che é la "ritualizzazione", sempre presente in un paziente autistico, che può presentare una enorme quantità di rituali: avere in mano delle matite e batterle una sull'altra; correre e muoversi da un punto all'altro della stanza senza un apparente motivo; scegliere un luogo o un oggetto che diventa un punto obbligato (per es. un cuscino); fare determinati movimenti; eccetera.

Se analizziamo il fatto di scegliere un oggetto preferenziale come punto di riferimento, possiamo pensare alla famosa "coperta di Linus" che diventa, più che un amuleto, il depositario dell'onnipotenza difensiva. Il bambino autistico, seduto su una stuoia, diventa sicuro di sé e difeso dagli stimoli pericolosi.

 

 

CONCLUSIONI

Le considerazioni teoriche sopra esposte costituiscono il fondamento per l'impostazione della "terapia" di sindromi autistiche primarie o impiantate su altre espressioni patologiche (per es. sindrome di Down).

La rottura dello schematismo dello sviluppo fasico é stata decisiva per strutturare interventi che si sono dimostrati più consoni alla realtà psicopatologica. Lavorando con questi bambini diventa essenziale saper "leggere", attraverso atteggiamenti, espressioni comportamentali o sfumature emotive, i vissuti e le reazioni legati al contatto e alla relazione; decifrare i contenuti psichici e i meccanismi mentali é sempre fondamentale per condurre e/o programmare il lavoro terapeutico; considerare la velocità di esecuzione dei gesti, la dimensione di vicinanza tra terapeuta e soggetto, il livello di difficoltà di comprensione o di esecuzione di un determinato programma sono tutte necessità importanti per evitare fallimenti o ritardi nella terapia.

Molte volte é necessario verificare i comportamenti relazionali dei parenti (genitori o fratelli) per individuare situazioni che stimolano atteggiamenti autistici nei nostri piccoli pazienti. Questa stessa modalità deve essere valutata regolarmente anche a livello scolastico con maestri ed insegnanti di sostegno poiché, di solito, l'ambiente della scuola, affollato e poco "difensivo", causa grosse problematiche a livello angoscioso o terrorifico.

L'esperienza della terapia di bambini autistici é risultata sicuramente di grande interesse prima di tutto perché ha permesso di capire meglio quali siano i meccanismi mentali e psicopatologici dei primi anni di vita; in secondo luogo perché si é dimostrato che questo disturbo può essere affrontato con molte possibilità di successo; in terzo luogo perché ha aperto nuovi campi di indagine e di applicazione per quanto riguarda altre forme morbose che, nell'ambito psicopatologico e cognitivo, interessano non solo i bambini, ma un poco tutte le età.

 


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