"Che fare perche l'inserimento scolastico degli autistici sia positivo?"

CREARE UNA ZONA FRANCA

Giuliana Ravaschietto

 

Il percorso scolastico degli alunni che affrontano la loro crescita con sintomatologie autistiche o psicotiche avviene in Italia nella "scuola di tutti" e si avvale della presenza costante di un insegnante di sostegno.

Proprio questa figura, che è per certi versi ancora tutta da delineare dal punto di vista delle competenze, può e deve, lavorando in un'ottica di innovazione metodologica, creare un ponte che permetta a questi ragazzi di accedere alla comunità scolastica e quindi alla relazione con i compagni, gli insegnanti e le materie di studio.

Per poter fare ciò l'insegnante deve, almeno in una prima fase, collocarsi al di fuori dell'Istituzione stessa a cui appartiene, affinchè l'alunno possa riconoscerlo come un

possibile compagno di viaggio, anche se più vecchio e più saggio.

La mia pluriennale esperienza in questo campo ha fatto maturare in me la convinzione, suffragata anche dai risultati ottenuti, che tale riconoscimento possa avvenire promuovendo, all'interno della scuola, una "zona franca" dove docente e alunno possano portare liberamente parti autentiche di sé senza timore di essere giudicati.

Una zona franca: l' aggettivo va inteso innanzitutto nel suo significato di "sincero" e deve essere l'insegnante per primo a portare nel rapporto parti autentiche di sé in modo spontaneo: i propri desideri, i propri interessi e il proprio immaginario.

Nella scuola dove lavoro ho concretizzato tutto ciò in un luogo reale, un'aula di cui mi sono, in un certo senso, appropriata, dove accanto ai computer e ai registri ho collocato oggetti che non appartengono al mondo della scuola: un forno a microonde che ci permette talvolta di preparare una cioccolata calda, alcune fotografie di momenti piacevoli del passato, caramelle e dolci.

Ma è soprattutto il mio atteggiamento che rende questo luogo speciale. Qui circolano affetto e libertà, entrano ed escono adulti e ragazzi, per portare qualcosa da mangiare, per salutare o cercare qualcuno, per riposare un attimo fra una lezione e l'altra, per condividere una buona notizia o per discutere un problema.

Qui si mescolano i ruoli, spesso rigidi e formali, della scuola media. Questo suscita sorpresa negli allievi, anche in quelli più chiusi e difesi e da questo stupore può nascere curiosità, la prima pietra per la costruzione del ponte.

Laura Strocchi chiama tutto questo Relazione Educante.

In questo luogo, all'inizio di ogni rapporto, io cerco soprattutto di far partecipare gli allievi al clima piacevole e rilassato che vi si respira, e contemporaneamente di asoltare ciò che viene da loro, per tentare di trovare una lunghezza d'onda comune su cui sintonizzarsi.

A volte, quando i sintomi autistici sono forti, é necessario, nei momenti in cui lavoriamo da soli, dilatare la percezione dello spazio e del tempo per dare ai ragazzi modo di esprimersi senza sentirsi pressati, come accade invece in classe, dove non si può attendere auna risposta per più di tanto.

Questo é il tempo del silenzio e dell'ascolto neutro. Così mi é accaduto di impiegare più di un'ora perché L. trovasse la forza di schiacciare il tasto di accensione di un computer. Ma questo tempo che gli ho offerto, riempiendo talvolta il silenzio con mie parole di incoraggiamento "Sono certa che tu saprai trovare il modo per accendere il computer" gli ha permesso non solo di far funzionare la macchina (lo avrebbe fatto molto più velocemente se io gli avessi fornito l' istruzione "Schiaccia questo pulsante"), ma anche di restituirmi una domanda, a voce quasi sussurrata "Perché prima non lo accendevo?" La prima forma autentica di comunicazione che ho sentito provenire da lui in oltre due mesi di lavoro insieme: un' altra pietra per il ponte, importantissima perché posata da L. stesso.

Una volta stabilito il contatto ha inizio il tempo della conoscenza e della creatività. Mi piace molto, durante questo periodo, organizzare delle uscite a sorpresa nei luoghi vicini alla scuola. Si può prendere a pretesto la necessità di acquistare stoffe e trucchi per l' allestimento dello spettacolo che stiamo preparando con la classe, ma possiamo anche andare a fare un giro senza motivo, perche è una bella giornata: l' importante, in questa fase, è vivere un momento piacevole senza interrogarsi tanto sul perché ce lo concediamo.

Al ritorno, oppure nei giorni successivi, l' esperienza può essere fissata sul quaderno, non così come è stata, ma come l' abbiamo percepita. Può nascerne una breve storia, di cui io suggerisco l' intreccio e nella quale i ragazzi lasciano cadere alcune sporadiche parole: ricordo la prima uscita di D., dalla quale aveva riportato soprattutto paura ( di non riuscire a tornare in tempo per l' orario di uscita dei compagni) ma anche la sorpresa divertita che io fossi "matta" per aver deciso di portarlo fuori durante la lezione.

E su questo fatto che la "matta" ero io abbiamo riso e scherzato per parecchie settimane, accrescendo confidenza reciproca.

La complicità dell'intessere insieme una storia fatta di parole dette da me e scritte da loro può risvegliare la creatività sopita di questi ragazzi. Così un giorno ho trovato D. che disegnava al computer con un'abilità sorprendente un volto di donna inquietante, la tyrannosaura rex, una delle sue fantasie. E, dietro mia richiesta, è stato in grado di formulare spontaneamente alcune frasi brevi, ma cariche di significato, che ne raccontavano la storia.

In seguito l'ho lasciato libero di esprimersi in questa modalità per lungo tempo: ha sviluppato, esercitandosi con passione, un vero e proprio talento e oggi frequenta una scuola grafica.

Gli insegnanti mi dicono che nelle materie pratiche segue con attenzione, impara nuove tecniche e ottiene buoni risultati.

Fantasie e ossessioni non sono scomparse, ma non lo imprigionano più: ha attraversato il ponte ed è approdato all'interno dell'Istituzione.

Solo a questo punto, se e quando ci si arriva, può avere inizio il tempo degli apprendimenti scolastici tradizionali. Parte di questo apprendimento può avvenire anche nella zona franca, ma è soprattutto la classe ormai il luogo nel quale l'alunno si deve misurare.

Il mio intervento, in questa fase, consiste nell'offrirgli contenuti e spiegazioni in un contesto privilegiato dove possa anche mettere alla prova le sue conoscenze e la sue capacità di imparare senza timore di essere valutato.

La zona franca diventa la palestra nella quale esercitarsi a ciò che si dovrà poi sostenere in classe da soli.

In questo luogo, anche mentre si studia analisi logica, deve esserci ancora lo spazio per verbalizzare la sorpresa. Come é successo a D. che, svolgendo un esercizio preparato da me, ha improvvisamente esclamato: "Ma allora io sono un soggetto!"

Soggetto della frase e, finalmente, della sua vita.

Se l'insegnante di sostegno mantiene questa posizione "esterna" alla scuola è necessario però che all'interno dell'Istituzione, nella classe a cui l'alunno appartiene, vi sia fin dall'inizio almeno un altro insegnante che condivida progettualità e metodologia e che attenda il ragazzo al di là del ponte non ancora costruito ma già visibile nell'immaginario di entrambi gli adulti.

Ciò gli permetterà di oscillare fra le due situazioni riconoscendo il fil rouge relazionale che le accomuna e gli restituirà la percezione che anche la zona franca, pur essendo all' esterno, appartiene al progetto educante che la scuola ha pensato e sta sviluppando per lui.

La condivisione di tale metodologia da parte dei docenti, di sostegno e curricolari, non può essere casuale, ma deve essere suscitata attraverso la creazione di gruppi di supervisione nelle scuole guidati da esperti nel campo della relazione.

In questo momento il nostro gruppo di ricerca di Torino sta proprio tentando di promuovere questa pratica e ha dato vita ad un primo nucleo, che si ritrova una volta al mese presso una scuola media della città.

L' esperienza ci ha dato quasi subito un riscontro positivo. E' cresciuto il livello di professionalità degli interventi ed è diminuito il senso di disagio degli insegnanti di fronte ai comportamenti, spesso sconcertanti, dei ragazzi con sintomi autistici e psicotici: soprattutto, lavorando insieme, ci aspettiamo di indurre dei cambiamenti negli allievi.

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