SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ

SU BASI COGNITIVE E PROSPETTIVE

TERAPEUTICO-FORMATIVE.

Dott. Romeo Lucioni

 

"Nella parte oscura di noi stessi

giacciono le nostre piu' preziose

ricchezze, il meglio della nostra

personalita' ".
(Goethe)

 

"Una vita inutile e' una morte anticipata"
(Goethe)

Nessuno sfugge alla tentazione di glorificare il proprio Io per il fatto che l'esistenza stessa comporta la rivendicazione della propria unicita': ognuno di noi sente il bisogno di "porsi alla ribalta", di fondamentarsi come centro del mondo e come soggetto immodificabile.

Sebbene Carlo Emilio Gadda ci presenti l'Io (che tronfio e arrogante alberga in ognuno di noi) teso a ricondurre a sé ogni oggetto e ogni evento, nel costante intento di organizzare un egoistico microcosmo in grado di garantirgli la certezza della propria esistenza, nella pratica psichiatrico-educativa, riferita non a persone dedite alla creatività artistica, ma alla sofferta sopravvivenza quotidiana, il processo costitutivo dell' Io é lungo, tortuoso, difficile ed anche fragile.

Costretti poi a lavorare in un contesto passivamente ancorato ad una prassi di approccio razionale con singoli accadimenti quotidiani, gli psichiatri e gli educatori devono affrontare un processo personale ed ineluttabile per il quale l' Io aggressivamente possessivo si impone come forza "naturale ed istintiva" prevaricante l'intelligenza che razionalmente lo condanna.

Seppure potrebbe sembrare che questo atteggiamento mentale e culturale debba sottostare ad un sentimento che dà "potere liberatorio (nel senso di catartico e progettuale) alla ragione", in realtà non si sottovaluta la componente emotivo-affettiva. Proprio nella dimensione operativa centrata nella partecipazione (rapporto con il terapeuta) e nella interferenza referenziale (lavoro di gruppo) si struttura quella socializzazione dell'esperienza che vuole precedere un ridimensionamento interiore, strutturante le forze concentriche dell' Io.

PROSPETTO SCHEMATICO SPERIMENTALE

Apportare all'indagine uno spessore clinico e' sembrato non solo importante per arricchire l'analisi con una dimensione emotiva oltre che con una partecipazione intellettuale precipua nell'agire psicoterapico-formativo. Sicuramente il dibattito teorico sarebbe rimasto alquanto stucchevole ed in grande parte arbitrario nella sua astrazione, per cui ci e' sembrato determinante arricchire l'esperienza con una analisi il piu' possibile ampia e critica di una partecipazione clinico-operativa.

Tenendo conto di quanto sopra e lavorando in un "Centro di formazione professionale ed inserimento lavorativo per handicap psichico", dove l'impegno educativo-formativo viene espletato con ragazzi compresi in una fascia d'eta' tra i 14 ed i 25 anni, e' stato programmato un intervento operativo centrato sulla stimolazione senso-motoria, con il fine di promuovere una evoluzione delle forze adattive dell' Io e superare cosi' una debolezza strutturale altamente limitante e pregiudiziale per la formazione di una personalita' integrata.

L'intervento programmato, nel prospetto schematico di rafforzamento e strutturazione dell' Io, mira a produrre un miglioramento dell'analisi sensoriale, della plasticita' mentale e delle capacita' adattive che, in ultima analisi, si prospettano come funzioni predominanti nella strutturazione dell' Io.

L'intervento centrato sul potenziamento delle capacita' sensoriali e motorie mira anche a sviluppare, agendo su disabilita' fisiche, emotive ed intellettive, sia globali che parziali od accessorie, l'attenzione, la consapevolezza della persona, l'integrazione sociale, le strategie nel problem-solving. Va sottolineato come oggi tendiamo a non riferirci piu' alla finalita' di raggiungere un "equilibrio" delle processualita' psichiche (che sarebbe un semplice "equilibrio adattivo") proprio perche' in un qualsiasi ambito psicomotorio e psico-affettivo si puo' dire che il soggetto sempre raggiunge un adattamento, anche se riduttivo e non soddisfacente a una analisi critica.

Un miglior approccio al lavoro psicoterapeutico ed educa= tivo-formativo, fa riferimento oggi ad una "promozione dinamica" delle sfere psico-sensoriale, psico-affettiva e psico-motoria, che permetta una continua elaborazione multireferenziale nel contesto elaborativo della presa di coscienza della realta'.

La prassi si riferisce dunque concretamente a produrre cambiamenti di piu' alto livello nella sfera cognitiva, in quella emotivo-affettiva e, soprattutto, nella plasticita' relazionale: vale a dire, produrre spunti ideativo-cognitivi per una nuova coscienza dell'essere. Forse pero' la maggior colpa in cui puo' incorrere un terapeuta e' quella di porsi come trasformatore. Voler cambiare il proprio paziente risulta essere un meccanismo mentale onnipotente e regressivo che presuppone "... creare a propria immagine e somiglianza",

vale a dire porsi al centro dell'universo come modello da copiare e da perpetuare. La creativita' si unisce all' immortalita' per strutturare una fantasia deificante di riferimento pagano e sembra perpetuare le fantasie genitoriali.

Il terapeuta, cosi' come l'educatore, deve abbandonare queste modalita' narcisistiche e proiettare il proprio intervento nel desiderio di far crescere, di permettere, supportare e spronare la liquidazione di tendenze orali, anali e regressive. I nostri ragazzi, fatti "persone", possono scegliere il loro destino, la propria liberta', la propria autogestione non solo nella funzione prassica del fare, ma anche in quella trascendente del creare i propri valori.

Non si tratta di far cambiare, ma insegnare ai ragazzi a guardarsi dentro, a vedersi da molti punti di vista e quindi scoprire le illimitate possibilita' di crescita che derivano dal diversificare la gestione delle proprie capacita' e tendenze: si tratta, in ultima analisi, di favorire una vera riorganizzazione interna.

Educare non e' solo fornire modelli di comportamento, proprio perche' sarebbe pauperizzare un intervento cognitivo-razionale. Quando ci poniamo come valore da copiare o imitare strutturiamo una limitazione frutto di sentimenti egocentrici e di una posizione mentale di stampo anale (io sono depositario del bene e del giusto non solo per me, ma anche per l'altro) che porta a vivere l'altro, il ragazzo, come diverso, come oggetto di studio e non come persona con cui entrare in contatto, con la quale collaborare e vivere insieme agli sforzi, le frustrazioni, i successi. Preferiamo senz'altro considerare la diversita' come occasione di crescita e di arricchimento, non solo per chi e' capace di confrontarsi e di mettersi in gioco, ma anche per tutta la societa'. L'opportunita' dell'incontro e' una sfida cognitiva, oltre che emotivo-affettiva, e quindi bisogna salvaguardarla da presunzioni di normalita', di sapere e di conoscere: e' come se il terapeuta prendesse per mano il proprio paziente-alunno per intrapprendere un percorso di cui non si capisce bene il tracciato, ma del quale e' certa la meta, forse ambiziosa, rivoluzionaria o imprecisabile, ma certamente possibile perche' l'obiettivo, neppure tanto nascosto, e' il coinvolgimento ed il crescere insieme. Quando le parole diventano "sfuocate", conviene usare i gesti, gli sguardi, i contatti, i segni, i significati sensoriali e motori.

Lavorando con questi ragazzi, sia nell'ippoterapia che nella pratica psicoterapeutica e/o senso-motoria, l'alterità assume una dimensione tanto importante da prevaricare il rapporto. Il terapeuta si dimensiona nella necessita' di scoprire l'altro, di apprezzarlo, di amarlo e, come conseguenza, di aiutarlo non a diventare simile a lui, ma simile a quel "se stesso" potenziale che bisogna scoprire o in cui é necessario credere.

Questo modo decostruzionista di pensare sconvolge il teorico e l'idea stessa di scienza, ponendosi nel piano della rivendicazione del pensiero come inizio e come creativita', accentando l'utopia come campo di indagine nel quale diventa evidente come il possibile sia piu' vasto, piu' importante e piu' vitale del reale.

Decostruire é abbandonare l'evidenza e la fattualità per soffermarsi sull'inconscio e sul "senso" delle cose che, in ultima analisi, significa dilatare il linguaggio ed accettare la "differenza" come una potenzialita' che la ragione strutturalista e causalista, nella sua rigida logica, non riesce ne', penetrare ne' ad accettare. Decostruire é porsi in una prospettiva nella quale l'invisibile muove e riorganizza il visibile, dove l'essenziale diventa l'accettare e l'esplicitare invece di osservare e rimuovere, oltre che misurarsi nel tentare una via non ancora sufficientemente percorsa.

La specificità e l'individualismo assurgono qui come finalità, come diritto alla vita, come dimensione pragmatica per accogliere la diversita' e la disabilita' al di fuori di quell'inconscio-quantitativo che, massificando, risulta psicoanaliticamente riduttivista.

Decostruire vuol dire maturare consapevolezza per proporsi non solo degli obiettivi diagnostici e/o terapeutici, ma anche la finalita' di ridisegnare dal di dentro una personalita' che, accettando i limiti e la disabilita', si proponga, nell'ottimismo e nella speranza, come struttura olistica atta alla crescita ed alla socializzazione.

METODOLOGIA E DIDATTICA OPERATIVE

L'intervento senso-motorio e' stato strutturato prendendo in considerazione vari obiettivi che si evidenziano

in una unita' composta da didattica e metodologia:

1 - controllo motorio nella deambulazione

2 - " " nella corsa

3 - " " nella rotazione sull'asse verticale

4 - " " nella rotazione sull'asse orizzontale

5 - controllo motorio nello spazio-tempo (velocita')

6 - controllo motorio nelle finalita':

- rispondere alle istruzioni

- movimento deambulatorio a ritroso (a gambero)

- movimento nella corsa a ritroso

7 - coordinazione psico-motoria complessa

8 - senso di riferimento a ordini dati dall'educatore o dagli

stessi ragazzi

9 - relazione senso-motoria non competitiva, ma con aspetti di confronto:

- con i compagni (esercizi in schiera)

- con gli oggetti: palle, bocce, palloni

10- controllo spaziale nella profondita' e nella lateralizzazione

11- controllo della motricita' nei due emilati: dx. e sin.

12- controllo e scarica dell'aggressività

13- controllo dell'equilibrio posturale e di movimento

14- stimolazione motoria per contatto (fare esercizi restando agganciati con

l'educatore)

15- sperimentazione espressiva della comunicazione senso - motoria

16- sperimentazione interpretativa della comunicazione

17- " emotiva " "

18- " affettiva " "

19- difesa dei propri oggetti

20- autodifesa

21- scelta di varie modalita' di difesa

22- sperimentazione senso-motoria in gruppo

23- esprimere sentimenti

24- imitare la mimica degli altri

25- " la postura " "

26- " la gestualita' degli altri

27- " " " degli animali

28- travestirsi per assumere un'altra personalita'

29- operare capacita' espressive: posturali,mimiche,verbali

30- uso di attrezzi per determinate prestazioni e finalita'

31- uso di pesi per prestazioni comparative

32- sedute di ippoterapia

33- esperienze in un laboratorio artistico-espressivo

Tutto questo viene riferito a sei ordini di obiettivi:

A - rinforzo della muscolatura di tutto il corpo

B - rilassamento muscolare

C - coordinazione della motricita'

D - scarica pulsionale ed aggressiva

E - arricchimento sensoriale

F - autocoscienza di poter cambiare

I contenuti della formazione hanno compreso: convincere, motivare, dialogare, utilizzare mezzi, tenere conto delle prospettive e delle necessita'. Il lavoro pratico ha contemplato elementi di psicologia pedagogica, conoscenze dell'assorbimento e dell'utilizzazione dell'informazione, processi di apprendimento, analisi delle possibilità reali e dei risultati palesi ed immediati per una pianificazione- rettifica dell'intervento: il "che" ed il "perché della didattica" anticipano il "come" ed il "perché della metodologia".

La metodologia deve promuovere l'attivazione simultanea delle facolta' sensoriali, sensitive, motorie, psichiche e conoscitive. La creativita' viene promossa anche attraverso l'abbandono di "insegnamenti-esperienze" ripetitive, cosi' che i ragazzi vengono continuamente posti nella necessita' di scegliere nuove modalita' e/o strategie, affrontando i problemi non attraverso schematismi preordinati, ma con l'aiuto dell'immaginazione, dell'imitazione, l'emulazione, la motivazione, l'improvvisazione e l'uso della fantasia.

Rompere gli schematismi é anche servito a vivere gli incontri di esperienza senso-motoria con allegria, con predisposizione alla soddisfazione. Si é cercato di evitare sempre l'annoiarsi e lo stancarsi perche' questi sentimenti conducono sempre a frustrazione e ad improvvise crisi di rifiuto.

L'operatività é sempre stata attuata in piccoli gruppi, da un lato per evitare l'isolamento che porta a ipervalorizzare le proprie prestazioni e, per altro lato, per stimolare, mediante il confronto, la volontà, l'attenzione, la concentrazione,la perseveranza e la creatività.

 

POTENZIALITA' INTRINSECHE E "SENSO DI SE' "

I nostri ragazzi portatori di handicap sono dei "piccoli ricchi" che, inconsapevoli delle loro reali disposizioni e potenzialita', si limitano a vivere di espedienti e di marginalita'. Forse la maggior risorsa dell'uomo (che non e' ancora stata esplorata) e' quella di poter trasformare in realta' le convinzioni, le fantasie, i desideri ed anche la vita. Se l'autocoscienza e' l'espressione di cio' che sentiamo essere risulta anche, sotto un certo profilo, la nostra limitazione, il nostro piu' terribile condizionamento. Se il potere della realta', cio' che crediamo vero, si trasforma in pensieri, sogni, sentire, agire, comportarsi e credere, bloccando le forze creatrici che albergano nel nostro inconscio, avra' ottenuto il triste obiettivo di non lasciarci crescere.

Si tratta di produrre un cambiamento di parametri: la "realta'" diventerà così una sorta di "programma" al quale non siamo neppure obbligati a sottostare a priori e che permette una costante modulazione della percezione del mondo interno e del mondo esterno, oltre che dell'interazione tra entrambi.

Scoprire l'interazione tra conscio ed inconscio permette trasformare la propria vita e riproporla nei termini della casualita' creatrice che supera la catena della causa-effetto. Superare le suggestioni che vengono dal mondo esteriore (preconcetti, pubblicita', senso comune, pragmatismo, ecc.) ed immergersi nella dinamica intima che lega il conscio con l'inconscio, non solo ci aiutera' a dimensionarci nel divenire, ma ci consentira' di riappropriarci del controllo delle nostre piu' poderose forze creatrici che, se lasciate libere ed incontrollate, possono anche avviarci inesorabilmente su di un cammino riduttivo, pauperizzante e regressivo.

Coltivare la fiducia in sé stessi e nella possibilità di una realtà "sperata" non significa coltivare un sogno illusorio, ma produrre una trasformazione non solo di sé stessi, ma anche della realta' circostante.

Quando si parla di disabilità, inevitabilmente lo si fa in termini relativi, cioé con riferimento ad altre realtà, alla nostra situazione personale. In questa maniera si stabiliscono due livelli elaborartivi:

  1. il primo riguarda il senso di sé del soggetto che dovrebbe percepire come un
  2. "senso di vuoto poco rassicurante" relazionato con un senso di inadeguatezza;

  3. il secondo si relazionerebbe con un senso di frustrazione per essere diversi, per non poter raggiungere gli obiettivi normali o affrontati facilmente dagli "altri-normali".

Questi due livelli di elaborazione senso-percettiva, nell'esperienza clinico-educativa quotidiana, non si strutturano nella dimensione della frustrazione. Il senso di vuoto ed il senso di indegnita'- inadeguatezza non sono mai presenti in maniera così chiara comeintuitivamentedovrebbe risultare (questa intuizione e' in realta' forse solamente una proiezione dell'osservatore, una mistificazione proiettiva che riguarda il normale che osserva il disabile). In realtà, la disabilità psichica si accompagna con meccanismi adattivi forti che inducono a sentire in forma egocentrica e megalomanica.

Prima di tutto, i meccanismi proiettivi mettono la disabilità nell'altro e dimensionano un nuovo soggetto capace, potente ed adeguato. In secondo luogo, é estremamente difficile osservare frustrazione per la propria disabilità dal momento che non essendo strutturati i modelli della logica delle relazioni (ci troviamo ad osservare meccanismi mentali preoperatori e preconsci) la situazione personale viene vissuta in termini assoluti e non relativi. Il modello adattivo che si evidenzia é dunque quello del ritiro e dell'isolamento: limitare i rapporti porta a chiudersi sulle proprie capacita' fantasticate come assolute. Di conseguenza l'intervento educativo-formativo verte primariamente nello stimolare l'insoddisfazione che puo' quindi essere utilizzata in maniera stimolante e creatrice.

Questo discorso, evidentemente, non si riferisce solamente alla disabilita', ma deve essere messo in rapporto con ogni tipo di relazionalità. Nel mondo della scuola, in quello culturale ed anche nella dimensione dello sport, del lavoro, ecc., il modello adattivo dell'isolamento e del rifiuto a confrontarsi é una costante, é tanto facile da osservare che non solo non ci stupisce, ma anzi la consideriamo normale.

Questa modalità si ha l'impressione che ormai sia diventata una regola dal momento che l'uomo oggi non può più raffrontarsi con le proprie "capacità" (che potevano essere valide in una società rurale e semplificata), oggi deve apprendere a gestire le proprie incapacità, la propria ignoranza e la propria disattualita' di fronte al vorticoso incedere e crescere del conoscere in tutti i campi, non solo quelli strettamente scientifici (biologici, medici, fisici, applicativi), ma anche in quelli semplicemente culturali (letterari, filosofici, astronomici, ecc.).

Oggi la divulgazione del sapere deve affrontare il diffuso sentimento che si riassume "... a che serve, dal momento che mai potro' raggiungere un livello accettabile del conoscere!"

In questo ordine di idee, lavorare con l'insoddisfzione e l'incompletezza, impone innanzitutto la ricerca di una dimensione interiore e l'accettazione di voler intrapprendere un viaggio alla ricerca di sé stessi. Questo cammino, per così dire conoscitivo, ("conosci te stesso" socratico), partendo dal senso di insoddisfazione, transita per una sofferenza interiore, un senso di inutilità per raggiungere l'obiettivo, di imporsi una volonta' risoluta nel voler raggiungere obiettivi propri (non imposti dagli altri, a volte non si sa bene neppure da chi), nel voler usare al meglio le proprie risorse e le proprie capacità, nel cercare un equilibrio tra mondo emotivo-affettivo e mondo cognitivo. E tutto questo é rivendicare il proprio potere personale: il compito non é più quello di cercare l'approvazione degli altri, ma quello di accettarsi e di mettere in atto tutte le strategie possibili per sfruttare al meglio le proprie potenzialità e raggiungere le mete più alte.

Introiettare valori negativi dell'atteggiamernto e del comportamento degli altri nei propri confronti conduce ad un indebolimento dell'Io che si manifesta come decadimento dei meccanismi di idfesa. Quando questi falliscono, si evidenziano tendenze regressive e meccanismi di difesa più primitivi che giustificano, da un punto di vista psicoanalitico, atteggiamenti e meccanismi di pensiero strereotipati, rigidi e conservatori (che psicoanaliticamente si configurano come anali, se non sadico-anali), entro i quali il soggetto cerca di ristabilire un senso di sicurezza.

Marcella Danon (1993) (Master in Counseling di Psicosintesi con relativa Licence Licence Board), proponendo una "ricerca di noi stessi" dice: "Il viaggio ha inizio nel momento stesso in cui ci si accorge di non essere piu' disposti a lasciarsi sballottare di qua e di la' dagli eventi, dalla volonta' altrui o dal caso, di non voler piu' dedicare tutte le proprie forze per raggiungere obiettivi definiti non si sa bene da chi, di non essere piu' capaci di fare finta di niente davanti alla propria sofferenza interiore, all'insoddisfazione, al senso di inutilita'. L'unico vero obiettivo che ora possiamo porci e' quello di usare bene i nostri talenti, di creare una buona musica con gli strumenti musicali a nostra disposizione, di diventare pienamente noi stessi!".

Queste parole, riferite alla situazione dei cosiddetti "normali", risultano decisamente disturbanti se le correlazioniamo con la situazione della disabilita'. Istintivamente ci chiediamo come potra' mai un disabile affrontare una situazione esistenziale tanto difficile, tanto controversa e tanto poco chiara da risultare indecifrabile anche per normodotati!.

Durante l'esperienza di lavoro psicoterapeutico-formativo in gruppo, é stata proposta la seguente riflessione:

"Non siamo soli, non siamo mai soli. Intorno a noi girano e vivono gli animali, gli astri, le stelle, i pianeti, le comete, l'accqua dei fiumi, i venti dell'aria, le alghe ... il mondo vive attorno a noi, insieme a noi.

Noi guardiamo la realtà e la ricreiamo, a nostra immagine, secondo i nostri bisogni. E tutta questa realta', quella fuori e quella dentro di noi, si amalgama, si unisce e si trasforma in musica, una musica di un'orchestra immaginaria della quale noi stessi siamo i direttori.

Siamo i protagonisti, possiamo diventare i direttori dell'orchestra se impariamo ad utilizzare le nostre risorse, a realizzare quanto di meglio ci sia in noi.

La sintesi della realtà (quella fuori insieme a quella ricostruita dentro di noi) ci porta a considerare il "noi" come un organismo intero, olistico, integrato. E in questa sintesi uniamo gli stati emotivi, i rapporti sociali, i valori che abbiamo costruito, la concezione della vita, i nostri corpi vicini che si comunicano.

Emerge cosi' una nuova immagine di noi: oggi ci sentiamo DEGNI di darci fiducia, di credere ciecamente nelle nostre possibilita'; ci sentiamo CAPACI di comprenderci e di comprendere; ci sentaimo capaci di FARE nel senso di saper costruire il nostro cammino, ci sentiamo capaci di ASSUMERE il diritto e la responsabilita' delle nostre scelte.

E sentiamo il nostro corpo intero, steso vicino ad un altro corpo intero, al quale comunichiamo la sensazione sublime e soddisfacente di ESSERE REALIZZATI, di poter scegliere il proprio cammino, di poter creare i propri valori.

Così sentiamo dentro di noi il senso dell'amicizia, dell' amore, del lavoro, della gioia, del desiderio, delle prospettive, dei programmi futuri, della nostra realizzazione piena.

Così sentiamo che siamo capaci e che possiamo essere Noi Stessi, differenti dagli altri e uniti agli altri quando anch' essi sanno chi sono.

Quando mi chiedo "chi sono Io?", so che sono il mio punto di riferimento, sono le mie capacita', la mia voglia di riuscire. So che sono la mia volonta', la mia voglia di essere e di esistere insieme al mio diritto alla vita, al piacere, al godere della natura, dell'incontro, della salute, del lavoro, della mia autovalorizzaizone, della mia autosoddisfazione.

Ho assunto la totale responsabilita' della mia liberta' e sono cosciente che sono Io il creatore del mio destino e che insieme algli altri siamo i creatori del destino di tutta l'umanita'!".

Il risultato immediato (l'informazione era stata somministrata subliminalmente) é stato quello di permettere ai ragazzi di stabilire un rapporto affettuoso con il compagno vicino e di agire una relazionalità con il terapeuta e gli educatori, aperta, positiva e ricca di prospettive.

L'esperienza ha sottolineato come l'atteggiamento dell'educatore non può porsi nella dimensione di un rigido insegnamento proprio perche' il modello sociale ed esistenziale che ogni giorno viene propinato e' altamente nebuloso, contradittorio e riferito ad una conflittualità negata che tuttavia domina le relazioni e risulta altamente frustrante.

MECCANISMI DI PENSIERO PREOPERATORIO

Partendo dal presupposto che i ragazzi con i quali stiamo lavorando dimostrano modalità di pensiero preconsce (vale a dire riferibili ad un "pensiero operativo concreto" o "pensiero preoperatorio") la finalità si puntualizza nel creare condizioni di assimilazione ed elaborazione di una "sintesi cognitiva".

Le modalità cognitive preoperatorie o preconsce, non essendo vincolate ad una "logica delle relazioni" e da una "logica delle classi", non permettono una vera "sintesi cognitiva" (caratterizzata da un'analisi e da una critica), ma raggiungono una "unicità" soltanto nella elaborazione libidica, nella strutturazione cioé della risoluzione del bisogno e della pulsione. Questa modalità, al contrario di quella razionale e conscia (per la quale i concetti astratti non perdono il contatto con il "senso", con la percezione e con la pulsione libidica), permette evidentemente la fusione di "contrasti" e da qui deriva la possibilità di poter sperimentare, con una stessa persona, vissuti del tipo amico-nemico, dio-satana, amorevole-persecutorio. In altri termini, questa modalità di pensiero permette anche la scissione e giustifica le difficoltà di sintesi cognitiva (vedi il caso di Rodolfo -uno dei nostri ragazzi- che vive le sue "amiche" indifferentemente amiche, fidanzate, madri, amanti, mogli, ecc.).

Questo si relaziona da una parte con quanto osservato nel bambino che concettualizza i fenomeni in termini assoluti anziché in termini relativi (da questo deriva anche la strutturazione della onnipotenza) e, per altro, con "l'irreversibilità" del pensiero preoperatorio (che é in rapporto con la "logica della relazione": se A < B consegue che B > A (invece per la logica delle classi, risulterebbe: essere vivente, umano, uomo, padre).

Nella dimensione del pensiero preoperatorio si struttura un mondo delle idee fondato su di un modo di pensare: semplicistico, egocentrico, non riflessivo, carico di emotività, dominato da stereotipi, che sottende una spiccata adesione ad una "identità bambina" che caratterizza poderosamente il quadro clinico.

OPERATIVITÀ MULTIDIMENSIONALE TERAPEUTICA E FORMATIVA

Lo schema del lavoro psicoterapeutico in favore di giovani portatori di handicap psichico di vario tipo e grado, si struttura secondo varie direttive. Per un lato é necessario tenere in conto la situazione di base dei ragazzi sia per quanto riguarda il livello intellettivo, sia in riferimento alle problematiche emotivo-affettive. Per altro lato, riveste una importanza determinante la formazione del terapeuta sia nel versante personale (attitudini empatico-affettive), sia nella dimensione della preparazione professionale. Non ultimo poi, intervengono nelle scelte l'ambiente e la struttura istituzionale dove l'esperienza si attua, si sviluppa e si impone (più o meno accettata, più o meno valorizzata).

Nell'esperienza che prenderemo in esame entrera' un'altra componente: quella legata al fatto che tutta l'operatività é stata attuata con modalità gruppali. Il lavoro di gruppo ristabilisce il senso di sé in rapporto con gli altri e, stabilendo relazioni buone a carattere empatico, permette avviare un processo di identificazione accompagnato da sicurezza e da senso di potersi fidare.

Affrontando, nella pratica clinica quotidiana, le comuni problematiche psicologiche e/o psichiatriche, ci si intoppa sempre nella questione che concerne il dirimere se ci troviamo di fronte a "disturbi" (vera e propria sintomatologia) o a "tratti" caratteriali o di personalità.

La lunga diatriba é tuttora aperta anche se vengono riferite alcune caratteristiche che dovrebbero portarci ad una chiarificazione definitiva. Glen O.Gabbard(1992) sostiene che le manifestazioni sintomatologiche sono "ego-distoniche", vale a dire che sono riferite e riconosciute dal soggetto come "problematiche" fastidiose, inaccettabili e, pertanto, suscitano il desiderio e la volontà di liberarsene. Al contrario, i "tratti" di personalità, oltre ad essere schemi persistenti e duraturi di comportamento, sono percepiti come "ego-sintonici", vale a dire, percepiti dal soggetto come propri, caratteristici della propria individualità, altamente adattivi ed inoltre non causano sentimenti di rifiuto ne' di disagio. Addirittura certe "caratteristiche" o "tratti" possono contribuire significativamente al successo di alcune persone o addirittura di categorie di persone, come nel caso dei tratti ossessivo-compulsivi per i medici (Gabbard,1985; Kakowski,1982).

Da questo punto di vista, osservando l'adattamentodei nostri ragazzi alla situazione personale, se dovessimo accettare come "tratto" la modalità riduttiva dell'isolamento relativo, o quello della "vergogna" che li porta a non mettersi in evidenza e a non farsi notare, potremmo stabilire con loro una dimensione pauperizzante e limitante. L'abbassamento degli obiettivi ci porterebbe inesorabilmente a cristallizzare una situazione e quindi a trasformare la disabilità in un vero e proprio handicap.

In realtà poter lavorare senza limiti culturali, senza obiettivi schematicamente preordinati e quindi porci esclusivamente nella dimensione dell'osservazione e dell'analisi situazionale, ha portato a dimensionarci in un possibilismo un poco megalomanico, ma obiettivamente utile prima di tutto per esorcizzare le nostre paure consce ed inconsce, le nostre angoscie nei confronti dei possibili fallimenti, delle paure, di frustranti arretramenti ed in secondo luogo per poter trovare quell'anfratto, quella porta che ci potesse permettere far fluire in loro una volonta' (la nostra volonta' di successo), una prospettiva (la nostra prospettiva di crescere), una ricerca edonistica (la nostra ricerca della soddisfazione e del piacere), una dimensione relazionale non esclusivista, non solitaria, ma multipotenziale e sociale.

L'integrazione di momenti specificamente psicoterapeutici con un complementario, ma non secondario, progetto educativo-formativo, risulta una integrazione equilibrante nel senso che i vantaggi acquisiti nell'uno e nell'altro settore si potenziano vicendevolmente rendendo le acquisizioni più durature ed usufruibili in un ambito esperienziale oltre che in quello comportamentale ed attitudinale. Si potrebbe dire che l'approccio educativo-formativo crea un contesto favorevole perche' il paziente si apra all'intervento più specificamente terapeutico. Si potrebbe anche sostenere che l'ebbrezza epidermica dell'azione e della sperimentazione senso-motoria riesca a vivificare e serva da stimolo per accettare la crescita insita nell'impegno psicologico ed emotivo-affettivo insito nel rapporto con il terapeuta dove transfert e controtransfert giocano un ruolo determinante.

L'intervento clinico-terapeutico che assume carattere di finalita' educativo-formativa, presuppone un lavoro fondamentato nel concreto e nel quotidiano, che tiene conto sia delle problematiche transferali, sia, ed in larga misura, dei vissuti nell'ambito comportamentale e, soprattutto, relazionale.

I momenti di "attivazione senso-motoria", volutamente poco strutturati e poco legati ad una schematizzazione operativa, si sono dimostrati ricchi di una importante valenza formativo-terapeutica perché hanno permesso a tutti di crescere nella consapevolezza di sé, delle proprie possibilità e competenze, delle proprie capacità relazionali ed anche competitive.

L'aumento dell'adattabilità personale, insieme ad una percezione armonica ed integrata dell'immagine di Sé nella prospettiva e nel ruolo che la realta' continuamente fornisce quando si abbia raggiunta una adeguata coscienza delle potenzialita' e delle possibilità personali, risultano i mezzi necessari per dimensionare la vitalità, il vigore fisico, il controllo modulato della propria potenza muscolare, l'energia psichica, le risposte emotive ed i trasporti affettivi in una creazione personale unica ed univoca, proiezione ed espressione concreta di una personalità integrata, adattata ed adattabile.

La "pratica senso-motoria" racchiude in sé, per i nostri ragazzi, notevoli valenze oppositive e persecutorie proprio perché si contrappone alla tendenza all'isolamento, alla pauperizzazione percettiva e relazionale, alla desafferentazione molto spesso legata ai sensi di vergogna che stimolano mascherature, depersonalizzazioni e sdoppiamento della personalità. Riconoscere ed accettare queste difficoltà, diluirle nella pratica, superarle nell'emulazione significa imparare a dominarle, renderle meno oscure e, in fondo, meno persecutorie.

L'attività senso-motoria si é rivelata fortemente attiva nello stimolare espressioni di voglia di crescere, di necessità di cambiare attitudini e modalità, aiutando a superare difese e resistenze altamente riduttive e regressive.

Nei cammini della crescita personale, il momento conoscitivo e' altamente formativo e l'intervento educativo-formativo mira, prima di tutto, a far riemergere le sommerse ed insospettate risorse interne per agevolare anche il cammino verso una autocoscienza produttiva e ricca di prospettive, oltre che verso una autovalorizzazione che deve supportare un'efficace sentimento di autostima.

Ognuno di noi ha, dentro di sé, una "rete" di immagini autoespressive tratte dall'esterno, dall'esperienza sociale e somatica. La psicoanalisi tradizionale ha considerato queste immagini come esperienze simboliche di meccanismi quali la condensazione e lo spostamento, allacciandole esclusivamente agli inpulsi dell'Es, primitivi ed infantili.

La psicoanalisi dell' Io ha messo in evidenza come anche questo, l' Io, possieda un linguaggio immaginativo che si manifesta oltre che nei sogni, anche negli sforzi contenitivo-creativi attuati nei meccanismi di difesa, nelle anticipazioni, nella strutturazione dei valori. Come dice Roy Schafer (1978) "... le espressioni dell'Es, dell'Io, del Super-Io e della realta' si esprimono simultaneamente nelle immagini oniriche. Per es., l'immagine onirica di un diavolo potenzialmente implicherebbe l'Es per quanto riguarda impulsi ostili, l'Io per quanto riguarda il peccato e la punizione, il Super-Io per quanto riguarda valori sociali e religiosi e la realta' per quanto riguarda problemi di rapporti interpersonali attuali."

Le "immagini personali" vengono per lo più tenute nascoste e rivissute nella fantasia e nella ricostruzione onirica, anche se si manifestano, in forme piu' o meno controllate ed impercettibili, nello stile personale, nelle battute di spirito, negli scambi sociali, nella strutturazione delle nostre convinzioni, nelle idee politiche, nella lettura della realtà, nei comportamenti e nelle attitudini. Leggere ed analizzare tutte queste forme che si traducono nel linguaggio psicomotorio, psicoaffettivo e psicosociale si presenta come possibilità di strutturare una autoanalisi e quindi ripristinare momenti di comparazione, di valorazione e di crescita.

. meccanismi di difesa

processi dell'Io . esame di realtà

. tentativi di autointegrazione

COMPORTAMENTO

processi dell' Es

processi del Super-Io

Questo schema metapsicologico, che mette sullo stesso piano Io, Es e Super-Io, si discosta dallo schema che centralizza l' Io facendo del Super-Io e dell'Ideale dell'Io valenze profonde dell'Io con le quali questo é in costante dialogo, opposizione, raffronto e ricerca di equilibrio.

 

 

 

SCHEMA CENTRATO SULL' IO

Processi dell 'Es Processi del

"Ideale dell' Io" Super - IO

 

Processi

dell' IO

 

COMPORTAMENTO

Di fronte a queste due possibilità, l'unica via agibile e presumibilmente più valida sarà quella indirizzata al CRESCERE ed al rafforzamento dell'IO: raggiungere cioé quella dimensione o entita' personale che Erikson ha chiamata "entità Io-ica" e che Nixon ha espresso come "autocognizione" o "autocoscienza".

Questo modello dell' Io, da un punto di vista meta-psicologico, presuppone (come dice Paolo Antuso, commentando il libro "Coscienza: che cosa é" di Daniel C.Dennett) un "Io empirico" non come quello basato su un "Io-metafisico", ma come qualcosa di costrutto a partire da innumerevoli versioni di integrazione ed elaborazione del reale: la narrazione seriale, spaziale e temporale, degli eventi e dei vissuti, si costituisce come il reale flusso di coscienza del soggetto.

Tanto più questo flusso si arricchisce e si moltiplica, tanto più il soggetto acquista una coscienza di sé oltre che una coscienza del mondo. E l'autocoscienza diventa una espressione tridimensionale di tutti i momenti di presa di coscienza della realtà e del mondo, dei vissuti e delle interazioni tra questi e le esperienze conoscitive nel campo globale della senso-motricità.

In questo modo si da' una spiegazione teorica alla fondamentazione di un intervento psicoterapeutico non più solamente analitico-osservativo, ma empatico-partecipativo proprio perche' assume valenze educativo-formative.

ELABORAZIONE CONOSCITIVA E ANALISI DIMENSIONALE INTIMA

Il programma di lavoro prospettato come intervento mirante al rafforzamento dell' Io é stato strutturato in un gruppo autocentrato nel senso che ogni elaborato veniva riferito al gruppo stesso attraverso:

a) riconoscimento del compito

b) chiarezza del contratto

c) accettazione dell'obiettivo.

In questo modo si é cercato di dimensionare l'intervento dello psichiatra non nel piano dell'osservazione, né in quello dell'operare-indicare, ma nella partecipazione, convogliando gli schemi di riferimento sull'orizzontalita' del potere, la simmetricita' del rapporto, l'accettazione delle richieste e dei desideri personali, la risoluzione dell'attesa libidica attraverso una programmazione variata, interessante, accettata e stimolante. Tutto questo tende a rompere le modalita' regressive delle difese inibitorie (non parlo, mi ritiro, eccetera) sottese dal ritiro narcisistico e da atteggiamenti megalomanico-onnipotenti.

Il dialogo all'interno del gruppo presuppone una mobilizzazione di valenze intime poste nel piano della confrontazione (con gli altri), della insoddisfazione-incompletezza (dei propri limiti).

Stabilire un dialogo intimo ed "interno", riflettente i vissuti relazionali, é valso a delimitare un "luogo interno" sul quale centrare la propria attenzione e nel quale dimensionare una coscieza di sé e raggiungere l'accettazione dei propri limiti, accogliere l'aiuto dell'altro per ottenere miglioramenti personali, stabilire un'amicizia con sé stessi (superamento della rabbia) riflesso dell'accettazione reciproca vivificata nel gruppo.

Nel lavoro psicoterapeutico-formativo bisogna sovvertire l'idea che l'apprendimento sia un processo determinato dall' esterno perché, al contrario, va considerato un processo fondamentalmente interiore, come reazione attiva e positiva agli stimoli che vengono dalla realtà esterna. Si tratta di produrre una INTERAZIONE tra i pezzi di un puzle complesso e strutturante un campo di pratiche che si adattano l'una all'altra. In questo modo l'apprendimento non e' piu' una risposta meccanica susseguente ad un determinato stimolo, ma una vera elaborazione interna nei piani emotivo, affettivo e cognitivo. Come dice Piaget, uno stimolo non diviene significativo finché non si inserisce nello schema di un rapporto interiore. Sviluppare l'attenzione al proprio mondo interno insegna a "sentire" sé stessi, ad essere capaci di coglierne le necessità, i desideri, le aspettative e le aspirazioni. questa modalita' porta a riconoscere e valorizzare il proprio esistere oltre che l'esistere come individui e come persone; ed in questo cammino conoscitivo si scopre anche "l' altro" e si comincia a dar valore ai sentimenti propri e del prossimo in una dimensione di reciprocità. Porsi di fronte all'altro in uno stato di scambio percettivo-recettivo, aiuta a svincolarsi da pre-concetti, opinioni e sentimenti personali o egocentrici: riconoscendo il diritto all'altro di esistere come é, significa poter anche accettare la propria esistenza in dimensioni reali e verificate.

Riuscire a ordinare, classificare e dar valore alle proprie capacità, potenzialità, convinzioni, stereotipie, manie, condizionamenti, che rappresentano il nostro modo di essere, apre nuovi orizzonti per la strutturazione della personalita'. Scoprendo in noi stessi gli aspetti che privilegiamo, quelli che trascuriamo e quelli che abbiamo imparato a negare, riusciamo a disegnare un quadro oggettivo del nostro modo di essere nel mondo e di porci criticamente di fronte al mondo ed alla realtà: non possiamo conoscere la nostra vera identita' se non attraverso le diverse sfumature con le quali questa si evidenzia. Compilare un inventario del proprio ambiente esterno e di quello interno, dei diversi modi di esprimersi nel livello fisico, emotivo, affettivo, mentale, spirituale, etico e morale, diventa compito essenziale per disegnare una identita' propria.

Scoprire il nostro "in", insieme alle caratteristiche personali, permette anche di mettere a fuoco i nostri gusti, le aspirazioni, le aspettative, le limitazioni, le delusioni, i pregiudizi e, in fondo, tutto quanto fa parte, in modo caratteristico, del nostro modo di essere. Così recuperiamo il nostro passato, la nostra storia, il nostro ambiente, l'educazione, le abitudini, i limiti, i valori, approfondendo cosi' una vera coscienza di sé. E questa é legata al riconoscimento non di parti migliori e parti peggiori, ma di parti usate bene e parti usate male, forze canalizzate in vettori positivi, che favoriscono la crescita, ed altre mal vettoriate, che conducono alla sofferenza, al disagio, alla malattia.

Quando sarà riuscito ad individuare la o le parti proprie mal vettoriate, il soggetto si sentirà sollevato dall'ansia di dover sempre stare all'erta, di dover sempre tenere ogni parte di sé sotto controllo (caratteristica di moltissime forme psicopatologiche).

In questa dimensione, tutto il lavoro senso-motorio é stato spostato dal enso dovere", "senso abitudine", "senso compiti assegnati" ad un costrutto di "senso superamento", "senso creativita'", con uno speciale indirizzo di soddisfazione personale, gioia di viver e piacere di risolvere una proposta accettata ed alaborata in liberta' ed in comunione.

INIBIZIONE E STIMOLO ALLA REGRESSIONE

Il ritiro e gli atteggiamenti inibitori, agendo da sistemi adattiviatti a controllare la frustrazione,sonosicuramente messi in azione sia da ansie-anticipatorie, sia da una tendenza caratteristica a "spaventarsi" di fronte alle difficoltà che si incontrano nell'affrontare un determinato compito.

Tenendo in conto queste osservazioni, nel lavoro di stimolazione senso-motoria, si é cercato costantemente di mettere in atto modalita' capaci di "insegnare" a controllare le ansie e, soprattutto, di fare affrontare i compiti predisponendo una suddivisione in parti successive secondo le modalità del "problem solving".

Le ansie anticipatorie si evidenziano quando il soggetto affronta globalmente un determinato problema, e possono essere facilmente controllate se il compito viene suddiviso e quindi affrontato per parti dal momento che ognuna di queste viene vissuta come sicuramente risolvibile.

Anche in questo caso il lavoro in gruppo e' stato particolarmente utile dal momento che il rapporto concomitante e la compartecipazione, hanno agito da stimolo rassicurante. La suddivisione dell'azione motoria in parti susseguenti é stata molto utile per risolvere problemi di "comprensione" di una determinata catena motoria e per ottenere un movimento senso-motorio particolarmente complesso per il soggetto.

 

 

DISCUSSIONE

Il proposito terapeutico e formativo-educativo, appropriato ai deficit ed alle abilità oltre che basato sullo sviluppo conoscitivo, psicomotorio e senso-motorio, non si fondamenta nel principio di "insegnare" tecniche di comunicazione o modalità atte a migliorare i rapporti interpersonali o quelli legati ai rapporti oggettuali. La finalità viene centrata in un lavoro che permetta una riflessione su sé stessi e che, utilizzando le metodiche delle esperienze di gruppo, porti a "sperimentare" nuove modalita' comunicative.

Contemporaneamente si cerca di far acquisire ai ragazzi una maggiore spontaneita' e un'indipendenza di pensiero e decisionale, oltre che rispetto e comprensione delle scelte, delle decisioni e dei comportamenti degli altri.

Questi aspetti educativi, ispirati al metodo "democratico" di Gordon, presuppongono il riconoscimento di sé, dei propri diritti e dei propri limiti, oltre che, naturalmente, di tutto quanto concerne l'Altro, diverso da sé, che si dimensiona come degno di attenzione, di rispetto e di stima.

Tutto questo, inoltre, nella dimensione del rafforzamento dell' Io, presuppone un aumento della stabilità emotiva e della maturità psico-affettiva, uno sviluppo della creativita' ed un incremento dell'autostima. Lo spazio esperienziale, visto nell'ordine preventivo ed evolutivo, viene vissuto come positivo e predispone all'introspezione, all'introiezione ed alla risistemazione psico-affettiva, psico-emotiva ed anche conoscitiva.

Questo atteggiamento psichico rende possibile un controllo del disagio ed una propensione all'evoluzione, se non proprio al cambiamento. La condivisione delle esperienze, proprio per le limitazioni intellettive presentate dai nostri ragazzi, non presuppone un confronto di idee ed analisi situazionali (anche se molto spesso venivano stimolate espressioni di giudizio e di comparazione), proprio perché le difficolta' di una presa di coscienza o di una precisa comprensione determinano, in questi casi, momenti di forte frustrazione con conseguenti atteggiamenti di rabbia, di opposizione e di rifiuto. É attraverso la presa di coscienza dei propri bisogni, sentimenti e desideri che si é potuto stimolare una autoriflessione; é atraverso un autogiudizio sui risultati che i ragazzi hanno potuto prendere coscienza della realtà e criticare atteggiamenti personali di onnipotenza e superiorità non giustificati, senza che per questo vivessero sentimenti di frustrazione.

Il sentirsi accettati, qualunque sia il risultato dell' esperienza, é indubbiamente servito ai ragazzi per accettarsie per accettare tutti i limiti personali messi in evidenza e, gradualmente, per promuovere autonome decisioni di superamento anche se veniva sempre evidenziata una facile stancabilità che, inoltre, veniva rapidamente contagiata a tutto il gruppo.

Come dice Humberto Matuana nel suo libro "Autocoscienza e realta'", i sistemi viventi sono sistemi dinamici strutturalmente determinati, con la peculiarità diessere "sistemi autopoietici molecolari", cioé unità composite organizzate come un reticolo chiuso di componenti. I sistemi viventi interagiscono notevolmente con l'ambiente al quale sono accoppiati e possono essere considerati come" nodi di un reticolo di derive strutturali ontogenetiche".

In questa dimensione, la storia di ognuno di noi potrebbe essere letta come risultato di un viaggio alla deriva determinato da spinte e controspinte che, come onde deterministiche, scrivonoil destino. Si può leggere anche che questo destino non deriva tanto dalla costituzione genetica, quanto, piuttosto, dal continuo dialogo e dall' incessante interazione con l'ambiente.

Da qui che il percorso della vita di oguno potrà sembrare imprevedibile, ma solo perché nessuno é in grado di leggere la consistenza delle spinte e controspinte che influiscono sul sistema.

Si può però anche dire che ognuno "é dove e'" e "ha la struttura che ha" proprio perché non può essere in un altro luogo, diverso da quello che occupa, né potrebbe avere una struttura diversa da quella che dimostra.

Questa lettura determinista della realtà si complica nella complicazione linguistica di molteplici realtà e quindi sfiora l'indeterminismo e la casualità. La nostra ricerca, basata su queste considerazioni e fondamentata sull'assioma per il quale i sistemi viventi sono sistemi cognitivi e che quindi vivere é inesorabilmente conoscere, ha cercato di produrre mutamenti personologico-comportamentali proprio partendo da una precisa presa di coscienza.

L'analisi di quanto operato prassicamente porta a rileggere l'esperienza in una dimensione linguistica. L' interferenza tra l' Io e l'Altro, mediata dall'esperienza senso-motoria, puo' essere vista appunto come un dialogo che supporta il senso di sé, il senso di essere e di esistere, di mettersi in relazione e di comunicare. La moltiplicazione dialettica dell'esperienza, portata anche ad essere dimensionata come complessa esperienza relazionale, permette la induzione di meccanismi di sviluppo dell' Io non solo sul piano adattivo, ma anche su quello piu' decisamente funzionale.

Ritornando alla dimensione linguistica, a noi é sembrato scorgere l'importanza dell'esperienza senso-motoria così come é stata prospettata ed attuata. La necessita' di risolvere, da un punto di vista linguistico-comprensivo e linguistico-comunicativo, il dilemma del rapporto tra le cose ed i loro nomi, che é il rapporto tra realtà e rappresentazione o, nel nostro caso, tra realtà comunicabile e comunicatori, i nostri ragazzi si sono visti condotti sul cammino di un dimensionamento cognitivo-razionale.

La necessità di strutturare un reale bidimensionale, vale a dire capace di dare significato inequivoco tra esterno ed interno-vissuto, ha portato a superare prima di tutto quei meccanismi mentali preoperatori e legati al "senso" delle cose, per immettersi in un'area cognitiva più evoluta e razionale, nella quale il senso si trasforma in significato e dove i meccanismi mentali da preconsci cominciano ad assumere dimensione e spessore decisamente consci.

La significazione iconica (o, come dice Gerard Genette, "mimologica") porta alla liquidazione di un "arbitrarismo" personologico legato a sentimenti sottesi da egocentrismo, narcisismo primario ed onnipotenza.

Non vogliamo qui certo entrare nella disquisizione filosofico-linguistica della superiorita' o meno di una soluzione iconica contrapposta a quella fondamentata nell' arbitrarietà. Va solamente sottolineato come una rappresentazione della "realtà-esperienza" resa fortemente simbolica sia stata utilizzata con profitto per permettere la formazione di processi identificatori e lo strutturarsi di meccanismi conoscitivi.

I substrati morfologici e fenomenologici hanno permesso il progressivo dimensionamento di vissuti comparativi ed associativi atti di integrare delle capacità funzionali dell' Io, da un lato ontologiche e dall'altro tassonomico-classificatorie. In questo modo i ragazzi sono passati da una presa di coscienza istintiva, impregnata di senso e di necessità libidico-affettive, ad una presa di coscienza razionale e simbolica, dialettica e rappresentativa.

La liquidazione dei sentimenti egocentrici fondamentati su di un narcisismo primario e su una onnipotenza illusionata é stato il momento principale di una presa di coscienza di sé; della formulazione di una autocoscienza accompagnata da una precisa volontà di essere quel chesi può essere. Gli iniziali meccanismi proiettivi (il terapeuta onnipotente) e quelli identificatori (posso anch'io essere come lui) hanno anticipato una comparazione dialogico-linguistica che quindi é diventata la vera molla per una presa di coscienza. Il mondo riduttivistico dell'onnipotenza primaria, del narcisismo e dell'egocentrismo (strutturato come modalità regressiva) ha lasciato il posto ad un mondo multiforme, in continuo divenire, proponibile come creativo, essenzialmente valido e gratificante. In questo modo la autogratificazione si struttura come possibilità di autovalorizzazione.

Riprendendo una immagine linguistico-illustrativa di Umberto Eco, si può dire che le doti personali difettose, ridondanti ed asimmetriche diventano prima di tutto vere e capaci di liquidare la finzione di una unicita' mitico-linguistica basata su di una sterile ridondante onnipotenza.

Da quanto detto, sembra strutturarsi una visione iniziatica del lavoro formativo intrapreso e, sotto un certo profilo, risulta evidente il valore esoterico, in quanto fortemente simbolico, del linguaggio utilizzato per l'esperienza relazionale senso-motoria. Ma, al di là della formulazione di tipo linguistico, va sottolineato il carattere "gruppale" della esperienza e, pertanto, é in questa dimensione che vanno letti molti risultati.

Seppure non si sia evidenziata chiaramente una sopra-identificazione, ciò nonostante si é potuto osservare uno "spirito di gruppo" ed una "ricerca di uniformita'" sottolineata come critica a comportamenti disconformi o diversi.

Questo ha portato ad un certo grado di "identificazione di gruppo" che ha dato energia agli atteggiamenti rivolti verso il cambiamento e verso la "capacitazione".

Il "senso" di poter ottenere un determinato risultato ha indotto il superamento di quell'atteggiamento già da noi messo in evidenza e che consiste nella tendenza ad accentuare e rafforzare le relazioni con gli oggetti interni eludendo quelli esterni.

Tutto questo resta legato a sentimenti di onnipotenza e, in quest'ottica, acquista rilievo una esperienza fatta con un gruppo di ragazzi insufficienti mentali in seduta di gruppo di psicodramma. Quando, per motivi contingenti, venne a mancare l'educatore che agiva da "Io-ausiliare", il terapeuta lo sostituì con un membro del gruppo. Il risultato fu che il gruppo reagi' positivamente ed in modo "massivo": tutti incorporarono il "nuovo" Io-ausiliare come espressione della capacità di autodefinirsi ed autovalorizzarsi.

In quella occasione, si ottennero drammatizzazioni con scambi di ruolo e di personalita' tali come mai prima si era potuto ottenere ed inoltre con grande soddisfazione personale espressa come "... mai abbiamo lavorato cosi' bene e con tanto piacere!!".

Sottolineare come sia di estrema importanza il raggiungimento di una autovalorizzazione risulta, a questo punto, ripetitivo anche se permette porsi una nuova domanda. Ci si puo' chiedere se il processo operativo centrato sulla senso-motricità potrebbe essere adottato con ragazzi normodotati e ci sembra che la risposta sia già insita nella premessa in quanto i ragazzi che dimostrano uno sviluppo intellettivo adeguato hanno già di per sé agito le esperienze sensomotorie dal momento che hanno potuto superare i meccanismi di pensiero concreto-preoperatorio e quindi hanno già raggiunto un elevato grado di coscientizzazione, di autocoscienza e di autovalorizzazione.

Il processo di individualizzazione e di strutturazione dell' Io induce un processo evolutivo che, nei ragazzi posti in training senso-motorio, si é evidenziato anche nel poter esteriorizzare una certa soddisfazione genitale ancora arcaica, perche' tendenzialmente violatoria, ma assolutamente inapparente prima dell'inizio della sperimentazione.

CONCLUSIONI

Per concludere, si può sottolineare come l'intervento senso-motorio, condotto con il fine della coscientizzazione e della strutturazione di un Io integrato e ben strutturato nelle sue funzioni, abbia prodotto il superamento delle problematiche regressive aprendo il cammino a prospettive di sviluppo e di crescita della personalità.

Rompere l'assogettazione a sé stessi, al proprio Io debole e, in ultima analisi, alle proprie limitazioni proponendosi come "persona" capace di superare i propri limiti e di strutturare strategie diverse per raggiungere piu' ampi orizzonti cognitivi del sé e del reale, é il risultato che i ragazzi hanno raggiunto nel loro cammino formativo per un efficace inserimento nel mondo del lavoro e nella società nel suo insieme.

Queste prospettive si fondamentano anche nella convinzione di aver ottenuto il non piccolo risultato di far apprendere a ragazzi con certi gradi di disabilità psichica che i loro limiti possono e devono essere superati nella ricerca di un personale dimensionamento personologico.

Per quanto visto nella nostra esperienza, si può concludere che, in una visione terapeutico-formativa, l'uso di metodiche atte alla sensibilizzazione senso-motoria e ad una coscientizzazione delle potenzialità personali, può essere aggiunto con profitto nella programmazione educativo-formativa per ragazzi portatori di handicap psichico. E questo soprattutto quando le finalità non si rivolgono solamente alla formazione di un "operaio", cioé un soggetto atto al lavoro in una struttura produttiva (quindi con funzioni ripetitive), ma soprattutto quando si cerca di strutturare una personalità più adeguata alle necessità e a quanto richiede una società complessa e conflittiva come é appunto la nostra società di tipo capitalistico-post-industriale.


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