TIMOLOGIA E AUTISMO

Romeo Lucioni - Ida Basso

 

Ci siamo trovati a riconsiderare alcune frasi di un precedente lavoro "Autismo ed inserimento scolastico":

"Riflettere sull’autismo non è solo indagare sulle disabilità, bensì capire di essere di fronte ad una persona, perché nessuna disabilità non può essere considerata "perdita di umanità".

Se ci fermiamo a considerare il "mancante", usiamo un criterio quantitativo, proprio del computo di oggetti, assolutamente inaccettabile riferito agli esseri umani.

Solo attraverso criteri qualitativi, è possibile differenziare tra salute e malattia, tra felicità ed infelicità. Se l’autismo, quantitativamente, è definibile come incapacità a relazionarsi ed a comunicare, ad organizzare il linguaggio, a fissare concetti o ad esteriorizzare affetti, possiamo anche affermare che la società e gli uomini che la costituiscono soffrono anch’essi di …. "autismo sociale".

Abituarsi a vedere la sofferenza senza reagire, a guardare la miseria senza compiangere non è meno autistico del comportamento di un bambino con questa disabilità.

L’anaffettività, l’ipocrisia, l’abitudine al dramma, il daltonismo etico che affliggono la nostra società sono da considerarsi alla stregua della "malattia dell’indifferenza". Se consideriamo l’uguaglianza e la differenza come espressioni di umanità, al contrario, l’indifferenza è qualcosa di spurio e veramente temibile."

Oggi riusciamo finalmente a vedere le situazioni limite, come sono i disturbi psico-mentali e tra questi l’autismo, in un contesto ampio, in una globalità:

Quando diciamo che l’autismo si affronta solo attraverso una "rete" i cui nodi imprescindibili sono:

vogliamo indicare l’imprescindibilità degli sforzi di tutti per creare una atmosfera che rappresenta un "senso comune", una filosofia condivisa, un modello di vita.

Quando sosteniamo che la terapia può solo attuare per ripristinare e/o strutturare i prerequisiti per rendere possibili e/o accessibili l’inserimento sociale e scolastico, sosteniamo che tutto il "mondo" che circonda l’autistico deve muoversi ed attuare rispettando le dinamiche ed i principi della TIMOLOGIA.

"Scienza degli affetti" o "scienza dei valori" questa si offre come mezzo di studio per capire il comportamento umano ed i modelli funzionali del cervello oltre che della psiche. La Timologia fa parte delle "scienze umane" e, come diciamo oggi, delle "neuroscienze" che studiano il cervello ed il suo complessissimo funzionamento neuro-chimico e neuro-fisologico senza trascurare però i meccanismi psichici e psicodinamici, le strutture percettive e sensoriali, le dinamiche relazionali, le complessità sociali, culturali ed etniche.

Proprio per la propensione "neuroscientifica" la Timologia, anche di fronte all’autismo, tiene conto di considerazioni particolari, ma importantissime.

  1. Strutturazione della funzione psico-mentale.
  2. L’uomo è l’animale che ha un cervello che, simmetrico alla nascita, diventa asimmetrico per la trasformazione che la specializzazione funzionale produce nella corteccia dell’emisfero sinistro che così permette lo sviluppo del linguaggio articolato (aree di Wernicke e di Broca).

    Per altro, il cervello dell’uomo è caratterizzato dal fatto che ben il 60% della sua corteccia è riferibile all’area frontale e prefrontale. Questa, poi, non è "matura", alla nascita, ma lo diventa tra il 18° ed il 24° mese (A.Damasio).

    Questo significa che il bambino non nasce con tutte le potenzialità pronte ad essere usate, ma è sottoposto ad un lungo periodo (2 anni) di aggiustamenti, di organizzazione che lo porteranno ad una piena e totale "umanizzazione" (intesa come maturazione cerebrale specifica).

  3. Da un punto di vista funzionale, possiamo ormai riconoscere tre aree cerebrali le cui "attività", per raggiungere un grado di "sufficienza" e/o normalità, devono integrarsi, amalgamarsi, attivarsi e disattivarsi armonicamente.
  4. LOBO LIMBICO: rappresenta il cervello centrale, arcaico (del serpente), deputato allo sviluppo ed al controllo delle espressioni emotive. Si tratta di diverse ed importantissime strutture (per es. l’ipotalamo e l’amigadala) che determinano le risposte motorie e vegetative che risultano per lo più automatiche, indipendenti dalla volontà, difficilmente controllabili.

    Le strutture limbiche non hanno connessioni con tutta la corteccia cerebrale, ma solo con quelle prefrontale e frontale con le quali sono anche unite per quanto riguarda il controllo dell’irrorazione sanguigna esercitato dal Nucleo di Meynert (Elba Fornese).

  5. CORTECCIA FRONTALE E PREFRONTALE.

Antonio Damasio ha chiaramente dimostrato come queste strutture siano legate alla funzione affettiva che, quindi, per le connessioni già citate, agisce anche da controllo sulle risposte emotive (sia contenendole che facilitandole).

L’affettività si riferisce al mondo dei "valori" e, quindi, è legata a:

L’integrazione emotivo-affettiva (che non si completa prima dei 18-24 mesi) diventa fondamentale per lo sviluppo integrato delle funzioni psico-mentali di base costituite da:

  1. Queste attività aprono alla definitiva struttura funzionale, globale ed integrata, che può essere riferita come intelligenza cognitiva e razionale.

Le funzioni analitico-deduttive permettono comportamenti perfettamente adeguati alle necessità quando rispondono anche all’integrazione emotivo-affettiva che oggi, dopo la comparsa dei lavori di Goleman e Lucioni, risultano poste nella loro giusta luce e, soprattutto, importanza.

 

TIMOLOGIA E IL VERSANTE NEUROFUNZIONALE

Se prendiamo in considerazione questi brevi cenni sullo sviluppo psico-mentale, possiamo leggere l’autismo anche nell’ordine delle neuroscienze e quindi ricordare che:

  1. Prima di tutto potremmo dire che se gli autistici presentano sempre (o quasi) un primo periodo di sviluppo psico-mentale definibile "normale" (sino ai 15-18 mesi) possiamo riferire il disturbo successivo ad un difetto di integrazione emotivo-affettiva proprio perché la corteccia prefrontale matura in questo periodo.
  2. L’incapacità di contenere le reazioni emotive (risposte di angoscia e di terrore) sarebbero l’aspetto fenomenologico della mancata integrazione emotivo-affettiva.

    L’indifferenza affettiva, l’incontinenza emotiva, l’incapacità di modulare le risposte sono caratteristiche dell’autismo, ma anche di tutte le forme "prefrontali" come l’Alzheimer ed i rammollimenti da insufficiente irrorazione.

  3. Il prevalere delle funzioni arcaiche (deficit della modulazione affettiva) porta alla strutturazione di modelli comportamentali rigidi e poco modificabili come, appunto, si osserva negli autistici che sembrano "obbligati" a risposte quasi di tipo condizionato.
  4. Si tratterebbe di una "memoria obbligata" che ha la sua sede nell’amigdala e che nell’Alzheimer è stata riportata come "nucleo mnesico persecutorio".

  5. Il disordine funzionale emotivo-affettivo diventa fattore responsabile dell’impossibilità di "strutturare gli oggetti" come realtà stabile, identificabile e riconoscibile.
  6. L’oggetto sé e tutti gli oggetti della realtà, diventano imprecisi ed irriconoscibili; si strutturano come "oggetti parziali" che vagano nell’inconscio e determinando la perdita (o la non strutturazione) dell’autocoscienza e della coscienza.

    Il "terrore per i cambiamenti", osservabile nella necessità che gli oggetti debbano stare sempre nello stesso posto, nell’impossibilità a guardarsi nello specchio, nella "proibizione" imperiosa di fare e/o di agire, diventa il paradigma fenomenologico della mancanza di coscienza che, quindi, coarta l'attenzione e la memoria, costringendo il soggetto ad un modello di funzionamento rigido, precognitivo, fondato sull’esperienza che così limita il pensiero al percepito.

    Questo "pensiero concreto" non genera sicurezze, ma solo una specie di "onnipotenza allucinatoria" che obbliga l’autistico all’impotenza ed a rinchiudersi nel proprio angolo, nel proprio mondo, rompendo i legami affettivi e sociali.

  7. Questo modello percettivo rigido spiega il perché del risultato negativo alla prova delle tre luci: non si tratta di un difetto neurologico, ma di una risposta adattiva, obbligata, se vogliamo, ma altrettanto persistente come è l’espressione di un movimento coatto. Se questo automatismo ossessivo-ripetitivo è visto come una modalità adattiva, rassicurante, controfobica, autoerotica, va intesa nello stesso senso anche la fissazione dell’attenzione, in maniera persistente, sulla luce centrale.
  8. Il mancato sviluppo "affettivo" (fondato sui valori) che preclude la socializzazione, induce anche un rapporto di tipo simbiotico con la madre che, rimasta "unica ancora di salvezza" (per es. nutritiva), suscita anche paure abbandoniche e sentimenti di distruttività orale supportati da elementi fobici nei confronti del proprio sé come potenziale soggetto che cresce e si individualizza e che determinano gli aspetti "controfobici" tanto caratteristici nell’autismo.
  9. Questi aspetti giustificano "l’afferramento" con il quale gli autistici bloccano le mani della madre o degli operatori, che appunto ha il significato di impedire di agire contro il soggetto, controllare le sue reazioni e, in questo modo raggiungere l’obiettivo che entrambi gli attori risultino "bloccati".

  10. Queste osservazioni danno significato e valore semantico ai comportamenti ripetitivi proprio perché il "fare per non fare" giustifica la chiusura autistica su elementi simbolici di onnipotenza, ma, soprattutto, permette di controllare il terrore generato dalla mancanza di coscienza e di autocoscienza.

Un oggetto che occupa sempre lo stesso posto genera una certa costanza percettiva come, del resto, anche ripetere ossessivamente un gesto o una azione.

Tutte queste considerazioni non devono fare pensare ad un aspetto anatomico responsabile della disorganizzazione emotivo-affettiva e cognitiva, ma, al contrario, ci porta a considerare quanto sia delicato e complesso lo sviluppo psico-mentale dell’uomo.

Nella pratica clinica, ci troviamo spessissimo con nuclei psico-patologici che, strutturatisi nei primi anni di vita, emergono nell’età adulta o addirittura nella vecchiaia e, non per questo ci sentiamo di parlare di una "malattia neurologica" o di un "disordine strutturale del cervello" (spesso questi pazienti hanno avuto una vita assolutamente normale e la crisi avviene improvvisamente, senza apparente legame con il nucleo mnestico profondo).

TIMOLOGIA E IL VERSANTE PSICOPATOLOGICO

Nel versante psichico che, tra i 18 ed i 24 mesi, si sta strutturando sulla base esperienziale e sui vissuti (emotivo-affettivi), nello stesso tempo che si completa la maturazione della corteccia frontale e prefrontale, possiamo riportare alcune considerazioni importanti.

Il bambino, alla nascita, ha molte "aree" immature e può essere definito come "unità biologica incompleta" (Aurora Perez T.) che, per la sopravvivenza, dipende assolutamente da altri soggetti maturi.

Per essere poi riconosciuto come "essere umano" deve raggiungere anche uno "sviluppo psichico" nel quale viene indicato il "processo di umanizzazione".

Psichismo primitivo, organo mentale, maturazione e organizzazione neuro-psichica, strutturazione dei vincoli, trama familiare, pulsioni, sviluppo neuro-linguistico, sono tutti elementi che punteggiano questa umanizzazione che si caratterizza fondamentalmente per:

Si nasce con un organo mentale immaturo, con rudimenti di struttura psichica, che può però operare ed inoltre è preparata per una programmazione che deve svilupparsi.

Dice ancora Aurora Pérez T., "…la trama interna della placenta familiare porta alla strutturazione umana formata da emozioni, fantasie, relazioni qualificate, vincoli tra soggetto e oggetti" e così pone l’accento sull’importanza delle prime relazioni sociali che, nell’autismo, risultano profondamente alterate.

L’autismo può essere dunque letto come l’espressione fenomenologica di un disordine nello sviluppo psico-mentale nel quale sia problemi di immaturità cerebrale (lobo frontale), sia questioni relative ad una disintegrazione delle funzioni psico-sensoriali che, pur in via di strutturazione, sono dissonanti.

Il problema da affrontare non è quello di una "malattia" (termine che presuppone una alterazione funzionale su base biologica e/o neurologica: oggi si propende sempre ad un disordine neurochimico che investe neurotrasmettitori), ma di un "disturbo" che sostiene un modello di disordine integrativo complesso tra elementi puramente neuro-funzionali ed altri di origine strettamente psicologica.

Se pensiamo ad un disordine neurofunzionale determinato da ritardo della maturazione delle strutture corticali frontali e prefrontali (che dovrebbe completarsi tra il 18° ed il 24° mese) è evidente che le percezioni, le esperienze, i vissuti, le relazioni interpersonali trovano un terreno inadeguato alla formattazione di un "sistema" estremamente delicato, sensibile ai difetti, difficile da riordinare.

Quando una mamma percepisce che c’è qualcosa che non va, è, di per sé, un segno chiaro e inequivocabile, della necessità di un intervento terapeutico preciso, mirato, sufficientemente specializzato per rimettere in ordine i parametri psico-mentali che si trovani nel momento del primo sviluppo.

Con tutta la buona volontà, è difficile che una persona non preparata ed addestrata possa liberarsi sufficientemente delle proprie angosce, dei propri dubbi e della propria inesperienza per poter accettare, accogliere e, quindi, lentamente modificare un funzionamento psico-mentale, per così dire, "deragliato".

Guardando l’esperienza clinico-psicoterapeutica, sono veramente tanti (purtroppo ancora) i disturbi psico-nevrotici e/o psicotici di giovani nei quali non sono state affrontate le difficoltà più o meno importanti comparse come "reazioni" in età infantili.

L’esperienza psicoterapeutica con bambini autistici ci dice e ci sottolinea sempre quali siano le difficoltà, dal momento che è come "… si debba ricominciare da capo". Ripercorrere le prime esperienze porta a ricostruire passo dopo passo le strutture dinamiche e adattive dell’IO prescindendo da pretese conoscenze sull’eziologia (le cause) e sulla patogenesi (come si va strutturando l’espressione fenomenologica).

La psicoterapia a impronta relazionale – E.I.T. – ha permesso di superare lo statuto della "sindrome" (insieme di sintomi psico-fisici e comportamentali) per affrontare la "questione del soggetto, della persona e del funzionamento psichico soggiacente, prescindendo dalla struttura".

L’autisico non è un "soggetto senza mente", ma una persona il cui funzionamento psico-mentale ha subito una disorganizzazione o meglio si è fermato nel suo processo di sviluppo.

La questione riveste prima di tutto:

TIMOLOGIA E IL VERSANTE PSICOANALITICO

L’approccio psicoanalitico all’autismo (e a tutte le questioni inerenti le prime tappe dello sviluppo) non solo ha permesso a questa "scienza", fondata da Sigmund Freud e rivisitata nelle sue teorizzazioni più importanti da Iacques Lacan, di integrarsi in un campo multidisciplinare e globalizzante come sono le Neuroscienze, ma l’ha obbligata ad aprirsi definitivamente anche allo studio dei meccanismi mentali primitivi e ad accettare anche tecniche che per tanto tempo erano state isolate o denigrate.

Melanie Klein, Winnicot, Margaret Mahler hanno dato i primi passi in questo rinnovamento, riproponendo la regola di fondare una teoria sull’osservazione, su una clinica precisa e sulla pratica terapeutica, ma già possiamo dire che è stata prodotta una rivoluzione. La psicoanalisi ha lasciato le vesti di scienza dei conflitti ed è ormai scienza delle relazioni oggettuali, dell’Io-ideale, del doppio, del Nome del Padre; il tutto incluso in quel processo che è stato indicato come "operazione del linguaggio" e che si fonda sulla relazione tra Reale-Immaginario-Simbolico (R.I.S.).

La psicoanalisi si interroga su come il "soggetto" sorge dal "vivente" e spiega come l’uomo non si "umanizza da solo" proprio perché questo processo si basa sul linguaggio che lo porta ad ammettere "l’anteriorità dell’Altro".

L’introduzione del linguaggio ha portato la psicoanalisi a puntare su una "teoria del soggetto" o, più esattamente, sulla "soggettivizzazione" perché la "parola" sovverte la nozione stessa di "vivente" e di "organismo", permettendo di sfuggire dalla "coazione biologica" (François Annermet).

La questione della nascita del soggetto può essere esplorata anche a partire dai blocchi dello sviluppo psico-mentale e, quindi, ecco l’importanza dello studio dell’autismo e di tutte quelle situazioni che si definiscono nell’alterazione del normale e prograssivo sviluppo psichico.

Per queste considerazioni la Timologia fonda le sue radici teoriche non solo nello studio dei meccanismi neuro-funzionali, ma, soprattutto, nella psicodinamica e nella psicoanalisi che permettono di non perdere di vista il "soggetto" che è sempre un "soggetto in evoluzione, in trasformazione, in crescita".

L’autistico (non ci stanchiamo di ripeterlo) non è un soggetto senza mente, non gli mancano le qualità emotive, affettive e cognitive, solamente è quella persona che "ha bisogno di essere aiutata" in un cammino che "inesorabilmente" non può transitare da solo.

L’autistico ha in sé, nei suoi occhi che esplorano e che tutto indagano, quello "sguardo mentale" che in tutti gli umani permette di "sapere" che anche gli Altri ne hanno uno.

Il percorso terapeutico ci permette sempre di scoprire come l’autistico, al di là dei suoi bisogni e dei suoi deficit, si nutre di emozioni, si arricchisce di affetti, sviluppa processi di identificazione, crea il suo modello narcisistico, trova il suo "Nome del Padre", raggiunge il suo Io-ideale, scopre codificazioni e simbolizzazioni, utilizza la mentalizzazione, trova il valore degli Altri, ama la socializzazione, cerca gratificazioni, spera nella reciprocità e nell’altruismo, mira alla consapevolezza ed allo sviluppo cognitivo-intellettivo.

Il terapeuta è per l’autistico quell’ Io-ausiliario che gli tende la mano, che si apre a lui-per lui, che permette la nascita di ponti sui quali incontrarsi in una relazione biunivoca, equilibrata e simmetrica che è il fondamento della scienza degli affetti e dei valori.

TIMOLOGIA E IL VERSANTE SOCIOLOGICO

L’uomo è un "essere vincolare". Diceva Moreno padre dello psicodramma, integrante di un sistema di incontri che si costituisce su due pilastri:

Queste, in realtà, non possono essere considerate in forma separata perché ogni vincolo è fonte di creatività, di possibilità di modificazioni, di ricchezza emotivo-espressiva oltre che emotivo-affettiva.

Nella relazione ha senso e valore quella attività psico-mentale che è stata chiamata "funzionamento della mente", che mette in rapporto l’ Io e l’ Altro in un fluire continuo e "vincolare" di impressioni, di emozioni, di desideri, di sentimenti, di comprensione, di dubbi e di certezze.

La Timologia legge il mondo come insieme di relazioni e di vincoli stabiliti con gli oggetti, animati e no, ma che appunto, per se stessi, prevedono sempre due poli che si influenzano e si condizionano vicendevolmente.

Lo sviluppo affettivo, basato sul senso di sé ed il senso dell’Altro, presuppone anche un "senso di Noi" che è il punto di passaggio inevitabile per poter giungere all’autoidentificazione ed all’autosoddisfazione.

Lacan ha messo in luce il meccanismo linguistico-significante che lega l’Io al desiderio dell’Altro che, posto come significante e traformato in sapere diventa motivazione morale quando il soggetto si chiede "… cosa vuole da me?".

In questa dialettica è l’Io che scopre se stesso nell’altro perché, come dice Beatriz Janin, "… l’affetto è la forma più elementare della scoperta del desiderio proprio e dell’Altro, che testimonia la propria vitalità pulsionale e quella dell’Altro".

L’affetto, imperativo del linguaggio, pone l’Io di fronte all’Altro e situa entrambi in un determinato "luogo" nel quale possono percepire, valorizzare e capire il funzionamento psico-mentale proprio e quello altrui in un legame di reciprocità che però diventa creatività, ricchezza e, soprattutto, senso di valere e senso di verità.

La Timologia ha come fondamenti appunto valori e verità che sono inesorabilmente necessari per creare oggetti stabili, determinabili, conoscibili, accettabili, salvabili, memorizzabili.

Come si evince da queste osservazioni, la Timologia giunge alla realtà attraverso la relazione e, quindi, si struttura come scienza del rapporto, della relazione e dei vincoli.

Vista sotto questo profilo, la Timologia, di fronte all’autismo, si pone delle condizioni particolari:

In questa proprensione relazionale la Timologia si dimostra "scienza pratica della vita", "scienza umana" che, posta tra l’Io e l’Altro, diventa pragmaticamente una "scienza di verità" che si struttura non sulla filosofia, ma sulla storia e sulla "storia personale" che, quindi, si rappresenta come punti successivi, misurabili, quantificabili e valorizzabili.

Il senso di sé, l’autosoddisfazione e l’autovalorizzazione diventano "valori" e la Timologia è "scienza dei valori", nella misura in cui questi possono essere riferiti a precisi meccanismi di funzionamento, ma, soprattutto, a determinati indici valutabili e misurabili.

 

CONCLUSIONI

Ogni volta che si struttura la peculiarità di un bambino che vede bloccare il suo normale sviluppo psico-mentale, creando un quadro di autismo, non solo il soggetto e la sua famiglia, ma anche medici, specialisti, assistenti sociali, sistema assistenziale ed educativo devono assumere ruoli e specificità d’azione che occuperanno una lunga storia che spesso si trasforma in una realtà tragica.

La timologia che, come scienza umana, assume un ruolo globale, globalizzante e coinvolgente, è l’aspetto sociologico che permea la teoria, la pratica ed anche la possibilità di delineare una prospettiva preventiva.

Anche se il risultato degli interventi terapeutici e/o riabilitativi non raggiungono sempre un "finale felice", è proprio questo aspetto sociologico che deve essere sottolineato, proprio perché ci fa pensare alla possibilità di migliorare la qualità della vita di tutti. Come abbiamo ricordato all’inizio, si tratta di rompere schemi pauperizzanti e nichilistici, di liberare da una cecità, di imporre la necessità di svelare il mistero della nascita del sé, dell’umanizzazione, della crescita della persona, liberandosi da quel "onnipotentismo" che per lo più regola l’obbligatorietà biologica che, in questa logica, ha crato lo sviluppo psico-mentale come espressione di una potenzialità organica verso il conoscere e l’apprendere.

Contribuire a curare l’autismo è dunque un mezzo per pensare sul sé, sullo sviluppo dell’individuo ed anche sui diritti di ogni cittadino del mondo a sfruttare le proprie potenzialità, a sviluppare la propria creatività e a vivere una vita degna, di qualità e "legalizzata" dalla scelta dei valori.

Questa presa di coscienza che investe tutta la società dovrebbe prima di tutto metterci di fronte all’autismo non con inutili prosopopee, volontarismi e assurde idee di "autosufficienza" e/o di validazione solo perché "… ci si mette del cuore, dell’amore materno, …" proprio perché l’autismo è "l’Everest della psicopatologia infantile", come l’ha definito John Wihegel.

Chi non ha dimestichezza con le problematiche psicopatologiche può pensare che affrontare questi temi è come per qualsiasi altra malattia, come una febbre che improvvisamente può sparire. Una psicoterapia, al contrario, è un enorme sforzo di concentrazione e di attenzione, fatto di giorni egiorni nei quali "si spostano gli accampamenti", ci sono avanzamenti e retrocessioni, false informazioni, strategie, mosse ragionate ed altre improvvisate, alleanze e iniziative … istintive.

Affrontare terapeuticamente l’autismo di un bambino richiede per lo meno tre anni di intenso impegno, due sedute ogni settimana, cercando di non perderne nessuna. Intorno a queste poi, si intessono gli incontri con i genitori, con i riabilitatori, gli educatori, gli insegnanti e tutti coloro che intervengono in quel lavoro di rete indispensabile per far uscire un autistico dal suo isolamento, per immetterlo nuovamente nella vita sociale.

Forse sono gli occhi profondi e vispi degli autistici a trarre in inganno, leggendovi intelligenza e capacità quando invece c’è chiusura, paura, opposizione, incapacità a comprendere.

L’autismo è una realtà "violenta", grave, che esige un trattamento lungo, difficile, paziente, volonteroso e … "studioso"! quanto bisogna studiare per poter capire!

 

 

 

 


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