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Escoriosi della vite

 

L’agente causale dell’escoriosi è Phomopsis viticola (forma sessuata Cryptosporella viticola). P.viticola produce picnidi neri del diametro di 0.2-0,4 mm. L’ostiolo del picnidio si apre alla sommità di un corto collo. Le spore fuoriescono dall’ostiolo sotto forma di cirri mucillaginosi di color giallo crema. Si formano spore di due tipi:

  • il primo detto alfa spora è elittico-fusoide, con guttulazioni evidenti alle due estremità;
  • il secondo tipo è detto beta spora ed è lungo sottile leggermente incurvato.


Il fungo è coltivabile in vitro sui più comuni substrati nutritivi. La diagnosi è di facile attuazione: mettendo in camera umida un frammento con evidenti picnidi oppure effettuando un isolamento dalle lesioni fogliari o degli internodi.
La fase sessuata, o stadio ascogeno, Cryptosporella viticola, è molto raro in natura e il suo ruolo nell’epidemiologia della malattia non è ancora chiaro.

L’escoriosi della vite è una malattia diffusa in tutto il mondo ed è particolarmente distruttiva nelle regioni in cui la vite dopo il germogliamento è tenuta spesso bagnata da frequenti piogge.
La malattia tende ad indebolire le piante, ridurre la produzione, abbassare il livello qualitativo dell’uva e può anche portare a morte le barbatelle appena innestate.

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Le foglie infette mostrano delle macchie piccole, verde chiaro o clorotiche, irregolari o circolari, con centro scuro. Possono comparire anche macchie necrotiche marroni o nere lungo le nervature principali o secondarie o sui piccioli.
Le macchie necrotiche possono anche dare luogo ad “un’impallinatura “ delle foglie. Le parti infette della foglia possono in seguito anche diventare gialle o nocciola. Le foglie molto colpite possono andare incontro ad abscissione.

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I giovani germogli infetti, i rachidi e i piccioli mostrano macchie clorotiche con centro scuro. In particolare sugli internodi basali dei germogli compaiono tacche brune o nero-violacee di forma allungata che, dapprima isolate, si accrescono anche in larghezza confluendo sino ad interessare anche l’intera circonferenza del germoglio stesso.
La velocità di estensione delle lesioni e le loro dimensioni finali dipendono dalla più o meno precoce lignificazione dei tessuti. Durante la rapida crescita dei germogli queste macchie scure e necrotiche spesso evolvono in fessurazioni del tessuto corticale.
Man mano che questi tessuti maturano la superficie corticale diviene scabrosa e ruvida. Quando le lesioni interessano la zona d’inserzione del tralcio, si nota una fessura abbastanza profonda che cinge ad anello i tessuti basali del germoglio. In seguito, la pianta reagisce con la formazione di tessuti cicatriziali che determinano l’ingrossamento della base del getto.

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La riparazione delle lesioni non è però completa e può dare luogo alla formazione di caverne più o meno ampie. Il tralcio diviene, pertanto, fragile e può disarticolarsi per eventi traumatici di qualsiasi natura.

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Il rachide può seccare o divenire fragile a causa delle numerose infezioni, dando luogo anche ad una perdita di produzione. Con l’avanzare della stagione a causa della crescita delle piante e delle copertura fogliare i sintomi possono risultare meno evidenti.
Di solito sono visibili bene dal terzo al sesto internodo. Occasionalmente si può verificare anche un marciume dell’acino a partire dalle lenticelle o da una lesione sul peduncolo.
Durante l’inverno sui tralci infetti sono ben visibili i picnidi e delle macchie scure irregolari, con un centro più chiaro. I picnidi possono essere così numerosi da sollevare l’epidermide che così permette l’infiltrazione dell’aria: in questo modo compare la tipica colorazione chiaro argentea dei tralci colpiti.
Infezioni ripetute possono determinare, nell’arco di qualche anno, il disseccamento di interi tralci o dell’intera pianta e/o un aspetto cespuglioso della vegetazione e una ridotta vigoria. Ciò è causato dal mancato sviluppo dei tralci, dalla morte delle gemme basali dei tralci e dal conseguente sviluppo di gemme latenti o avventizie.
Poiché i periteci sono differenziati molto raramente, il patogeno sverna come micelio nei tessuti dei tralci infetti o in forma di picnidi. I picnidi sono abbondanti sia sulla corteccia dei tralci presenti sulla pianta, sia sui residui di potatura che, come noto, vengono molto spesso trinciati e lasciati sul terreno.
Non si è ancora a conoscenza se ed in qual misura i picnidi presenti su questi ultimi contribuiscono alle infezioni nelle annate successive. In primavera, i picnidi maturi erompono attraverso l’epidermide dei tralci o di altri tessuti infetti e producono, in condizioni umide, conidi in cirri mucosi: i conidi, che sono trasportati da schizzi di pioggia sulla vegetazione recettiva, costituiscono il principale mezzo di propagazione del patogeno: la malattia di solito è localizzata intorno alla fonte d’inoculo, poiché la diffusione del patogeno nel vigneto è affidata soprattutto agli schizzi d’acqua. La diffusione a lunga distanza è inconsapevolmente operata dall’uomo mediante il trasporto e l’impiego di materiale infetto di propagazione. Le infezioni sono molto precoci, avvengono già all’epoca del risveglio vegetativo della vite, e possono interessare i germogli dell’anno, foglie, rachidi, piccioli e gemme basali, tralci immaturi, acini prossimi alla maturazione, forse tralci maturi e branche.
Oltre che da ferite il patogeno può penetrare anche attraverso via stomatica. L’invasione dei tessuti da parte del patogeno giunge ad interessare i tessuti legnosi, perimidollari e midollari: ciò riveste una notevole importanza in quanto permette lo svolgersi della fase più pericolosa della malattia, la fase sistemica: a partire dalle zone interessate all’infezione primaria, nella seconda metà di luglio, si ha una rapida ed estesa diffusione del fungo negli internodi contigui, specie quelli più distali. Le condizioni ambientali hanno una grande influenza sul patogeno. Il fungo pare poco esigente riguardo la temperatura e la differenziazione dei picnidi è precoce tanto da precedere il risveglio vegetativo della vite. Pertanto, i germogli possono essere infettati già quando hanno raggiunto pochi centimetri di lunghezza: la germinazione dei conidi sembra possibile a temperature comprese fra i 1 e 37 °C con un optimum a 23 °C. Un elevata umidità favorisce la germinazione dei conidi e lo sviluppo del parassita. A 23 °C, un’umidità del 99 % permette la germinazione dei conidi entro un’ora, con il 90 % di umidità sono necessarie 22 ore.

La forte influenza di questo fattore è il motivo della gravità variabile con la quale la malattia può presentarsi nello stesso luogo in annate diverse e perché sia più frequente e dannosa in zone umide. Le piogge non sono indispensabili per la germinazione dei conidi, ma contribuiscono a mantenere elevata l’umidità. Le piogge primaverili hanno inoltre un ruolo fondamentale nella diffusione del patogeno in quanto gli schizzi d’acqua sono responsabili della disseminazione dei conidi contenuti nei cirri estrusi dai picnidi.

 

 

LOTTA

Poiché il fungo si diffonde principalmente all’interno del vigneto infetto, localizzandosi vicino alle sorgenti d’inoculo, è importante evitare d’introdurre P.viticola nell’impianto utilizzando materiale di propagazione sano al momento dell’impianto.
Quando la malattia è comparsa è importante eliminare il legno infetto durante la potatura ed asportare tutti i residui di potatura. I residui vanno sotterrati o bruciati.
I trattamenti protettivi devono essere eseguiti subito dopo il risveglio vegetativo, quando i germogli hanno una lunghezza di 3-5 cm (o prima in condizioni di elevata virulenza della malattia), preferendo prodotti di contatto, continuando con cadenze strette, fino all’inizio della difesa antiperonosporica.
I composti risultati più efficaci per i trattamenti preventivi sono rame, folpet, mancozeb, methiram, diclofluanide, dithianon.
Azoxistrobin ha dato buoni risultati ma a dosi più elevate rispetto a quelle comunemente impiegate per l’oidio.

 

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