Alle porte del campetto di periferia, comunque, più avanti nel tempo, venivano apportate delle migliorie. Una mattina si alzava qualcuno, dopo una notte insonne, con lo sghiribizzo di piantare dei pali di legno. Alla miglioria contribuiva tutta la "comunità" e veniva a crearsi una situazione molto tribale, quasi da edificazione di piramide. C’era un’attribuzione di compiti e si lavorava in équipe. C’era colui che veniva adibito allo scavo, c’era quello che veniva incaricato di reperire gli utensili, quello incaricato di reperire i pali… Il compito più difficile!!! Si faceva il giro dei cantieri, dei falegnami, e si entrava in possesso di quattro o cinque travi, alquanto "scheggiose", di lunghezza e di diametro diversi. Venivano così messe su delle porte con pali asimmetrici che, con le rispettive traverse, assumevano forme introvabili su qualsiasi libro di geometria. Al primo tiro serio, poi, la traversa veniva giù e anche al primo sgrullone di pioggia. I chiodi usati erano quasi sempre da "quadro". Si provava a sostituire la trave con un lungo spago ma non era la stessa cosa, anzi, dava adito a discussioni varie in sede di attribuzione della rete. Dopo una giornata quindi, rimanevano solamente due porte con due pali storti e disuguali, uno dalla forma cilindrica, l’altro più vicino a quella di un parallelepipedo, destinati, a loro volta, a crollare nei giorni successivi. E tutto tornava come prima. In alcuni campetti, comunque, le porte erano fatte con i tubi "Innocenti" e talvolta avevano anche le reti, ma ciò era rarissimo.

La mattina, raggiunto un gruppetto di una decina di persone, si cominciava a formare le squadre. I due più grandi, e anche i due più bravi, attraverso un tiratissimo pari e dispari, con tanto di "Bim, bum, ba, le, giù…" e con eventuali "scalette", si contendevano i componenti delle proprie compagini. Non si raggiungeva mai un numero pari di giocatori. Per ovviare a questo inconveniente, il calciatore più scadente e solitamente più in tenera età veniva destinato a fare l’arbitro, all’unanimità contraddetto e deriso in ogni occasione, o veniva definito "scarto" e i due capitani se lo giocavano insieme alla palla, alla possibilità cioè di centrare per primi. Spesso lo scarto subiva anche l’umiliazione, d’intensità simile a quella delle "forche caudine", di essere ulteriormente scartato a favore della palla. Ma quasi sempre interveniva una giustizia divina, o di natura che fosse, e lo scarto segnava uno splendido gol della vittoria con un imparabile tiro al volo.

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