Quando la luce del giorno, troppo
presto arrivò, la loro ardente passione bruciava ancora intatta
davanti al caminetto caldo e compiacente.
"Juergen perché la guerra? Se la vita fosse
soltanto un gigantesco orgasmo.
"Questo era possibile in paradiso, poi Eva colse la
mela."
"Allora è colpa sua se i nostri sogni muoiono
all'alba?"
"Forse è proprio grazie alla colpa di Eva che
possiamo vivere i nostri momenti più belli"
"E perché?"
"Perché senza dolore non c'è piacere."
"Ma chi ha detto che si deve soffrire per provare
piacere?"
"Nessuno...ma è così..."
"Mein Liebling". Amore mio, ripeteva intenerito
Juergen lisciandole i capelli. Mein Kleines, piccola mia, le
sussurrava guardando attraverso la grande vetrata la luce del giorno
avanzare inarrestabile.
Clelia gustò quei momenti di grande tenerezza dal sapore
sconosciuto: guardò felice e appagata Juergen disteso sul letto,
perfettamente consapevole che di lì a poco lui ed i suoi soldati se
ne sarebbero andati per sempre. E a quel pensiero tutta la sua gioia
si tramutò in intenso dolore.
E Cesare? In quel momento, incredibile a pensarci, lui
non contava più niente per lei: quella semplice constatazione
l'atterrì.
Allora non era amore quello che nutriva per lui? Era solo
una pura e semplice illusione di ragazza? E pensare che era stata
sempre fiera di amare un uomo bello come Amedeo Nazzari, l'uomo dei
suoi sogni! Ma allora perché fino a qualche ora prima tanto la
terrorizzava l'idea di perderlo?
La colpa, concluse convinta, era dello champagne bevuto
con troppa generosità. Lei sapeva di amare Cesare e che l'avventura
con il maggiore era solo strumentale. Però le immagini dei suoi due
uomini cominciarono a contrapporsi e a sovrapporsi dentro di lei in
uno spietato gioco di specchi. Non riuscendo a comprendere bene il suo
sentimento, preferì sospendere ogni giudizio, sperando di penetrare
in fretta la fitta nebbia che ora le ottundeva l'intelletto. Confidò
che, all'arrivo del giorno, la magia di quei momenti sarebbe sparita
per sempre e che ognuno si sarebbe riappropriato del suo ruolo: i bei
sogni allora, come tante bolle di sapone multicolori, sarebbero volati
via, scoppiando uno dopo l'altro.
I due amanti non avevano molta voglia di parlare: se
qualcuno avesse visto in quei momenti le loro facce scure, non avrebbe
certo creduto che solo alcuni secondi prima essi avevano vissuto
momenti indimenticabili.
12. Al chiaro di luna
La luna bassa nel cielo, che la luce invadente del sole
non era riuscita a cancellare, dette l'ispirazione giusta a Juergen.
"Voglio regalarti un momento di commozione. La
musica più di ogni altra cosa è capace di cementare nell'animo un
ricordo di vita vissuta. Suonerò per te "Al chiaro di luna"
di Beethoven."
Quando si sentì pronto, posò le mani sulla tastiera,
assunse la sua inconfondibile posizione ed iniziò a suonare.
Le note rotolarono giù dai tasti con dolcezza, intrise
di malinconia e, come chiodi, si conficcarono nel cuore di Clelia.
Tante lacrime, quante erano le note della sonata, scesero dai suoi
occhi.
Al termine dell'esecuzione il maggiore con un nodo in
gola si rivolse a Clelia.
"Non suonerò mai più questo brano. Troppo grande
è il sentimento che ora mi lega a te. Solo se un giorno ti rivedrò,
troverò la forza di suonarlo ancora ..."
Queste parole colpirono la giovane donna con la forza di
un pugno.
13. La ritirata tedesca - Giugno 1945
Tre settimane dopo, gli Alleati, rompendo prima del
previsto la resistenza delle divisioni tedesche nel Casertano,
marciavano spediti alla volta di Roma.
Con qualche giorno d'anticipo, la brigata tedesca di
stanza nel Reatino dovette abbandonare le proprie posizioni. Ci fu
grande confusione in quei momenti decisivi per le sorti dell'Italia e
della Germania. I tedeschi salirono sui loro camion dopo aver
distrutto quanto erano costretti a lasciare.
Cesare e Carlo, rimasti prigionieri, furono accomunati al destino
degli invasori in ritirata.
Clelia, dal ciglio della strada sterrata dove la colonna
tedesca sfilava in direzione Nord, cercò disperatamente i suoi tre
uomini. Tante facce anonime di soldati tedeschi le passarono davanti
agli occhi.
Dal loro camion Carlo e Cesare la videro mentre si
asciugava gli occhi pieni di pianto. Urlarono il suo nome con quanto
fiato avevano in gola per richiamarne l'attenzione. Clelia li vide e
gridò a sua volta. Li raggiunse correndo dietro al camion che
viaggiava a bassa velocità. Un soldato tedesco cercava inutilmente di
tenerla lontana con il calcio del fucile.
"Geh weg!" 'Vattene via!' Ripeteva l'uomo.
"Papà, Cesare, .dove vi portano?"
"In Germania." Le rispose il padre con un filo
di voce.
"In Germania? E perché?" Domandò sconvolta.
"Perché siamo prigionieri. Clelia, non ti
avvicinare.questo è capace di spararti." La implorò Carlo
guardando il soldato tedesco che si faceva sempre più minaccioso .
"Ma che senso ha portarvi fin lassù?"
"Nessuno, come non ha senso questa guerra
maledetta."
"Torneremo Clelia, torneremo. Ormai è questione di
qualche giorno, poi tutto finirà."
Cesare cercò di essere convincente, ma non credeva fino
in fondo a quello che diceva. Sapeva che i tedeschi avrebbero potuto
fucilarli in qualsiasi momento. Tutti loro inoltre sarebbero potuti
cadere in un agguato dei partigiani.
Quando il cuore impazzito le rese doloroso il respiro,
Clelia si fermò. Senza più energie si abbandonò a terra. I suoi
uomini si allontanavano da lei e li avrebbe persi forse per sempre.
E il maggiore? Per un attimo il maggiore personificò
tutto il male del mondo, come se lui e soltanto lui, chissà perché,
fosse stato la causa di quella terribile guerra. E lo maledisse. Poi
l'emozione e lo sforzo sostenuto le fecero perdere i sensi.
L'ufficiale tedesco dalla sua camionetta vide Clelia
scivolare a terra. Si impose, da soldato, di non indulgere al
sentimento: ma la sua anima sanguinava. Avrebbe voluto saltare a
terra, raccoglierla e fuggire via con lei verso un futuro tutto nuovo.
Ma non avrebbe mai abiurato ai suoi doveri. E lei, del resto, sarebbe
stata disposta a rinunciare al suo Cesare per lui?
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