Spari ed urla concitate, all'esterno della casa, si susseguirono per
alcuni minuti. Poi sul luogo dell'azione cadde un silenzio di morte.
Il capitano Stahl, che aveva trovato momentaneo riparo sotto la volta
della scala che portava al primo piano, si portò senza esitazione
all'esterno.
"Achtung!" "Seht dort!"" Schiess!"
Le imprecazioni dei suoi soldati gli fecero capire che
essi stavano inseguendo qualcuno. Probabilmente l'uomo o gli uomini in
fuga stavano inoltrandosi nell'intricata macchia che abbracciava sul
retro la casa.
E così fu infatti. Un uomo era riuscito a sottrarsi al
fuoco dei soldati tedeschi e, correndo a perdifiato, si era rifugiato
nel bosco. Sul terreno aveva lasciato due suoi compagni senza vita.
Il capitano Stahl fece la sua apparizione sullo spiazzo
antistante il casolare.
"Un uomo è fuggito, Herr Caepten!" Kurt si
irrigidì sugli attenti nel riportare la notizia all'ufficiale.
"Uno solo?"
"Yawohl. Si è riparato nel bosco riuscendo ad
evitare i nostri colpi."
"Helmut e Franz sono morti! Non riuscirà a farla
franca, ve lo giuro!"
"Verdammter Teufel!" Esclamò Kurt
impallidendo.
"Ma anche noi abbiamo ucciso due di loro!"
Aggiunse Hans cercando conforto nella vendetta.
"Questo non basta a riportare il conto in parità."
Tagliò corto l'ufficiale tedesco, rivolgendosi ai suoi soldati
sconvolti dalla ferale notizia.
Poi, soffermandosi a guardare uno dei due italiani morti,
mentre con la punta dello stivale ne girava il viso per meglio
osservarlo, gli urlò: "La tua guerra è finita, bastardo!
Andiamo via!"
L'ufficiale tedesco, prima di salire sulla camionetta,
rivolse un ultimo sguardo ai due partigiani stesi in terra. Poi
telefonò al quartier generale perché fossero messi a disposizione
uomini e mezzi per la caccia all'uomo che aveva intenzione di
ingaggiare.
Quando giunse al castello di Nerola, dove si era
insediato il Comando della brigata di stanza a Rieti, il capitano fece
un dettagliato rapporto sull'accaduto al maggiore Juergen Hoeness,
comandante in capo delle forze tedesche della zona.
Il maggiore ascoltò attentamente quanto l'ufficiale
aveva da dirgli e al termine del suo rapporto ordinò che "tutto
il possibile deve essere fatto perché il partigiano sia
catturato."
Alcuni brigatisti neri locali, che collaboravano con il
comando tedesco segnalando gli elementi sospetti, furono convocati al
castello.
Osservando la mappa del luogo dove il combattimento era
avvenuto, il maggiore e gli altri ufficiali del Comando conclusero che
il fuggiasco avrebbe dovuto necessariamente chiedere aiuto a qualcuno
delle vicinanze. Dalla lista di antifascisti che i collaborazionisti
italiani avevano approntato, il maggiore estrapolò quelli che
abitavano intorno alla zona teatro dello scontro.
Il piano di azione fu delineato in un batter d'occhio: il
capitano Stahl avrebbe organizzato il rastrellamento della zona e le
perquisizioni nei cinque casolari reputati adatti ad ospitare il
fuggiasco. Quattro camionette con diciotto soldati, più i due
brigatisti, lasciarono in gran fretta il castello.
5. Cesare Liguori
Il fuggitivo era Cesare Liguori, capo di una formazione
autonoma partigiana. Il suo gruppo, denominato "Alma" era
una delle tante unità in lotta contro l'esercito d'occupazione
tedesco e il regime collaborazionista della Repubblica di Salò, nate
nell'Italia di quei momenti di sbandamento e che con il tempo
finirono per diventare minoritarie.
Subito dopo lo scontro con i tedeschi, Liguori,
effettuato un largo giro, aveva raggiunto il cascinale di Carlo
Colletti, un benestante e noto antifascista, la cui figlia Clelia era
la sua promessa sposa. Dallo spiazzo antistante la porta d'ingresso,
Cesare chiamò il futuro suocero a gran voce.
"Carlo, Carlo!"
Una finestra del primo piano si aprì e la figura di un
uomo apparve. Era il Colletti.
"Cesare! Cosa è successo?"
"Non ho tempo di spiegarti."
Il Colletti si precipitò per le scale. Arrivò a
pianterreno in un lampo. Cesare raccontò la sua vicenda all'uomo che
ascoltava con aria pensierosa.
"Devi nasconderti. Quelli avranno già iniziato le
ricerche.potresti andare per qualche tempo giù a Montelago."
Suggerì, visibilmente preoccupato il futuro suocero ancor prima che
Cesare avesse terminato il suo racconto.
La zona a cui faceva riferimento Colletti era un
bassopiano distante circa sette chilometri, dove, su un terreno di sua
proprietà, si trovava una casupola per il rimessaggio degli attrezzi
e dei macchinari agricoli. Cesare avrebbe trovato rifugio lì per
qualche giorno. Poi avrebbe dovuto cambiare aria, magari emigrando a
sud dove gli alleati stavano avanzando, prendendo graduale possesso
dei territori in mano ai tedeschi.
Clelia avrebbe provveduto a rifornirlo di cibo in quei
giorni. Così fu fatto.
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