Recensione
Dell' opera: "“Vado per quattro”. Chiaroscuri di paese" di Felice Pellegrini

Venticinque racconti brevi in cui l’A. ripercorre infanzia e giovinezza, e rievoca la fisionomia di personaggi minori, nel contesto del paese che fu: la Bisceglie solare e immutabile degli anni quaranta e cinquanta, modesta e sana, coi suoi ritmi di vita lenti e cadenzati, i valori integri, i riti perenni, gli scrupoli morali (e gl’inevitabili conformismi), non ancora alterati e rimescolati dalla vita moderna che sarà, e già s’annuncia nel suono frusciante del grammofono e d’un apparecchio radio Telefunken. Ne emerge un microcosmo composito, che oscilla tra bonarietà e malizia: una galleria di soggetti e di ruoli, e il dipanarsi di vicende, che trovano sicuro ancoraggio nel valore fondamentale della famiglia, del vicinato, della città. Prevalgono le figure femminili, le donne. I tipi ci sono tutti: la zia irrimediabilmente nubile e la prozia pinzochera, entrambe incapaci di rompere il cerchio ferreo delle convenzioni sociali e dei falsi pudori (la prozia pinzoc
hera – timorata “figlia di Maria” – morirà d’ernia strozzata, impedendo al medico di visitarla); la vedova Sabellina che tira a campare vendendo uova, ed accetta di non rivalersi contro un’altra donna, sì, ma della segretaria del Fascio, che avendola investita con la bicicletta, l’ha menomata per sempre, rendendola zoppa; un’altra vedova, l’energica Rosaria, affittacamere per necessità, e sua figlia, studentessa, tragicamente perita sotto il treno; la vicina di casa, che si guadagna il nomignolo di signora “Copputo” per il suo incerto italiano; e poi Rossella, il primo amore; Nannina, balia amorosa e lavandaia insidiosa; infine donna Rufina, sessantenne, benestante, audace (e malmaritata con un trentenne), stravagante (si denuda dinanzi ad un garzone che si dà a gambe levate), superstiziosa, maniaca della pulizia: soffre l’odierna sindrome della casalinga e pertanto ha piazzato la beneaugurale tazza d’un wat
er accanto alla porta d’ingresso…
Ma l’universo femminile, che l’Autore coglie nel corso d’una innocente tombolata, quasi una cornice narrativa, lascia spazio anche ad una variegata schiera di protagonisti maschili, tipi eccentrici, macchiette di paese: la frotta dei ragazzini, le comitive di studenti, gli sfollati, il patriarca controllato a vista perché non s’abbandoni agli eccessi del vino e del tabacco; Saverio, estroso materassaio che deve la sua fama all’abilità di mimare la “batteria” (fuochi d’artificio), gli strambi Petrazze e Pompeo; Maggiolino, simpatica canaglia e “casinista”, cioè habitué del postribolo cittadino, il distinto tenore Sinisberghi; Vincenzo Calace, qui colto non già nel consueto e severo aspetto del militante ma nell’atto privatissimo di prodursi in una liberatoria, irreprimibile, umanissima, fragorosa risata.


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