Zaira
Adultera. Sputo di parola che racchiude il mio destino. Sessantaquattro giorni e due ore da oggi che quest'uomo entra ed esce dal mio ventre, vincitore e padrone dei miei sensi e dell'anima. Causa dolcissima di perdizione eterna. Sessantaquattro giorni e due ore da oggi che ho iniziato a vivere, fiore di nuova primavera, dopo l'inverno lungo e profondo di un talamo mai caldo, mai denso di umori e piaceri, dove i gemiti erano banditi e perdute nel buio di lontane memorie le carezze inebrianti, le devastanti estasi degli orgasmi. Lui si è appropriato di me. Io sono lui ogni volta che, furtivo, ladro, occupa gli spazi non più esplorati del mio corpo ancora voluttuoso, ancora non sazio d'amore e di piacere. Sono lui nelle segrete notti che raccolgono urla di soddisfatta e pietose nascondono il mio segreto di dannata. Adultera. Mi dice che ero sua ancor prima di andare sposa a Zoar, ancor prima che egli stesso andasse sposo. Quando le gambe pacificate s'intrecciano nella complicità del buio e delle coperte, mi racconta che solo la maledizione di un fato nemico gli ha impedito di dichiararsi prima di colui che mi venne imposto come marito. Oh, con che dovizia di particolari, descrive la tortura continua di immaginarmi di un altro, giorno dopo giorno! Il desiderio covato nel profondo dei pensieri più segreti, inconfessabili, la pena delle menzogne alla compagna inventata, non cercata, sposata per tentare di sostituirmi con essa, offendendo invece ambedue. Insinua nel mio cuore il peccaminoso orgoglio della superbia quando mi dice delle giornate vissute a spiarmi, senza che me ne avvedessi; a riempirsi gli occhi della mia figura. Adultera. Parola spietata, senza perdono che trascino dietro nelle giornate ormai nere della disperazione. Impoverisce tutto, tutto sporca. Non ho più la gioventù dei miei trent'anni. Quando la sera scolora i suoi tramonti, laggiù dove il deserto diventa orizzonte e miraggi s'alzano dalle dune, quando la canìa delle iene comincia a lacerare i silenzi, ad ogni giorno che muore, penso di aver derubato e vinto il mio destino. Ogni giorno che muore aggiunge una ruga profonda sul viso, scava solchi nel cuore, ma irrobustisce anche quel filo di speranza a cui ormai lego tutta me stessa: non morirò adultera, perchè non mi sento adultera, non capisco il significato di adultera, non percepisco il suono malefico di questa parola.
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