Erano ore che se ne stava seduto in poltrona, con lo sguardo perso nella caleidoscopica fantasia di quei colori, macchie a perdere su un foglio bianco, intrecciate e irrimediabilmente unite dalla loro totale confusione. Osservava attento e scrupoloso ogni contorno, cercando di carpire l'essenza di quella trama infinita e ricorsiva, caotica ed opprimente, apparentemente inutile, ma più voleva vincere quell'incredibile commistione di punti colorati e più che questi si rifiutavano di rivelargli ciò che in realtà era già lì sotto ai suoi occhi, palese ed al tempo stesso in grado di rendere così ottusa la sua mente.
Come per un innaturale senso di pudore, infatti, quei piccoli segni colorati continuavano a celargli il loro segreto, rincorrendosi davanti ai suoi occhi, nascondendogli la verità e arrivando persino a danzare senza posa e senza ragione, mescolandosi tra loro, prima sul foglio e poi dentro ai suoi occhi, generando il caos nella sua mente che non riusciva a seguirli nel loro continuo divenire.
Si ritrovava così ad osservare, per un attimo, una traccia di colore, per poi perdersi, subito dopo, nel tratto scuro che gli correva affianco, immaginando quello che potesse trovarvi, solamente spingendovi un poco più a fondo lo sguardo. Impaziente e curioso si gettava allora tra quelli che indovinava essere meravigliosi canyon visti dall'alto, impastati del loro rosso cupo, oppure si sporgeva più in avanti e vi inventava il mare, profondo ed impenetrabile, posto vicino, chissà per quale motivo, alla foresta equatoriale di cui, però, poteva coglierne solamente il verde delle chiome.
Ma tutto questo durava solamente un attimo ed immediatamente tornava ad osservare quella fredda e tecnologica distesa di neo-graffiti di cui non sperava più di cogliere l'essenza, se mai un computer avesse potuto preventivamente inserircene una.
Era sconvolto. Come mai una macchina era riuscita a porgli un problema così inafferrabile, e perché lui l'assecondava accettando la sfida e cercando di dare una risposta ad un quesito che essa non aveva il diritto di presentargli? Non erano stati inventati i computer per risolvere i problemi per gli umani? Perché adesso si erano invertiti i ruoli?
Trasalì. Tutta quella tensione psicologica, che si era inutilmente creato, lo aveva stancato. Si sorprese ad accarezzare il felino suo amico che, sonnacchioso e beato, se ne stava disteso sui suoi pantaloni, incurante di essere lui il gatto, invece del padrone.
Chissà cosa avrebbe detto se avesse potuto parlargli.
Forse poteva, ma era troppo saggio da non farlo. La parola gli animali l'avevano lasciata all'uomo, in modo che questo, con i suoi inutili discorsi, continuasse felice a farsi del male.
Perché parlare quando si può vivere in pace con sé stessi, stando semplicemente ad ascoltare il mondo che ti scorre accanto e che comunque non puoi fermare? Sicuramente il gatto sapeva tutto questo, ma perché mai avrebbe dovuto dirlo all'uomo? Valeva veramente qualcosa lasciare la propria tranquillità per il vano parlare?
Fantasie. Ancora una volta si era perso nei suoi pensieri, animati da una strana angoscia, che lo aveva preso e soggiogato e che si materializzava nel voler vedere quell'immagine stereografica, matematicamente celata da un computer dietro ad una serie casuale di punti colorati e disposti in modo da ricreare la tridimensionalità del soggetto racchiuso in essa, in maniera da restituire alla mente tutta l'evanescenza della realtà.
C'era da diventare matti al solo pensiero che per visualizzare il concreto, il solido, le tre dimensioni spaziali, occorresse creare un quadro inintelleggibile agli occhi e possibile da vedere solo alla mente, generando, come base del disegno, una sequenza casuale ed aleatoria di punti di colore, la cui intensità era di volta, in volta decisa da un computer, sulla base del soggetto.
Pazzesco. Si creava la realtà dal caso, dalla fantasia, tramite una fredda equazione risolta da un operatore senz'anima.
Il concreto non era nient'altro che l'immagine dell'astratto e non c'era da stupirsene perché non avrebbe potuto essere diversamente.Tutto quello che lo circondava non rappresentava forse questo vano tentativo di materializzare ciò che invece non poteva essere costretto nel mondo reale senza perderne l'essenza?
Al pari di quel disegno l'uomo aveva trattato le sue idee, i suoi pensieri, i propri sentimenti, fissandoli sulla carta e impregnandoli di parole, dando loro un prezzo e un valore, di fatto relegandoli a merce di scambio. E che dire dei sogni delle persone? Rimossi dal mondo etereo delle idee essi erano caduti, e con loro chi li aveva fatti, chi vi aveva creduto, chi, purtroppo, non vi era più tornato a credere.
E nella confusione della gente, anche lui aveva voluto costruire le proprie utopie, ma adesso guardando in quel quadro aveva finalmente capito che tutti i suoi sforzi erano stati inutili, che questo mondo non era adatto a realizzare le sue aspirazioni, che qualsiasi cosa avesse pensato non sarebbe riuscito mai a materializzarla completamente. Occorreva staccarsi dalla realtà e andare con la mente lontano dal corpo e dalla folla, feroce e barbara, incosciente dell'occasione persa, ormai incapace di spiccare il volo.
Non si poteva racchiudere la bellezza del mare nell'ultima trovata olografica. Non bastava una trasformazione matematica per descrivere un sogno, un pensiero.
La realtà esisteva solo per scontrarsi con l'utopia e con le aspirazioni dell'uomo. Era stato questo, da sempre, il suo compito, ma purtroppo essa era divenuta, pian, piano, persino più importante della fantasia, della bellezza insita nell'inconsistenza delle cose, dell'incredibile poesia dei pensieri inutili, cioè di quei sogni irrealizzabili nel concreto, ma liberatori dell'anima nei confronti dello scorrere del tempo.
Perché non ci aveva mai pensato?
Non bastava infatti convincersi che non esisteva il tempo, che non c'era più né inizio, né fine, che quello che esisteva non era mai stato creato? Niente case, né vestiti, niente macchine, né soldi, niente di reale. Rimaneva solo l'anima dell'individuo e la sua coscienza di esistere svincolato dal rinnegato principio di consequenzialità tra causa ed effetto, atavicamente definito proprio in base allo scorrere di un tempo assoluto.
Senza più biunivocità tra due eventi, senza né prima, né dopo, tutto era possibile. Con la sola mente, potevamo comprendere tutto quello che fino ad allora era rimasto inspiegabile, poiché al di fuori di una logica coerente e razionale, partorita da chi, sicuramente, si era dimostrato incoerente ed irrazionale, in più di un' occasione. Quale ragione esisteva ora affinché una cosa non potesse avvenire semplicemente, senza bisogno di ipotesi e condizioni al contorno, svincolata da tutto il mondo e dipendente solo dalla nostra volontà? Era così possibile, anche realizzare sé stessi nella propria pazzia, nel modo atipico che ognuno di noi ha di essere, nell'irrazionalità di ogni nostra azione, nella nostra personalità. Ed ecco che adesso, anche lui, poteva finalmente vedere oltre quell'immagine colorata, soltanto spingendo in avanti il suo sguardo. Adesso non guardava più con gli occhi, ma con la mente e col cuore, riuscendo a vedere l'immagine di sé stesso che gli si presentava davanti, evanescente e reale al tempo stesso, rappresentante il suo doppio, imbrigliato da quel reale dal quale lui era finalmente riuscito ad evadere. Poteva quasi toccare l'inconsistenza delle certezze che sostenevano quell'immagine, vanto di una tecnologia che nel voler riprodurre un individuo aveva dimenticato la cosa più importante, la sua anima.
Le paure che lo avevano afflitto adesso si erano proiettate fuori dalla sua anima, ed apparivano proprie di quell'immagine speculare, sinteticamente ricreata, ma inevitabilmente superficiale ed inutile. La differenza tra lui ed il suo doppio era grande. Lui esisteva, l'altro era una fredda imitazione. Sarebbe bastato il solo distogliere lo sguardo e questo sarebbe sparito.
Finalmente aveva compreso sé stesso e che cosa lo spingesse avanti, quello che muoveva la sua curiosità e ciò che lo rendeva così diverso da tutte le altre creature nel mondo.
Finalmente aveva capito l'idiozia che stava alla base del suo crearsi problemi: l'illusione di saperli risolvere.
D'ora in avanti invece, anche lui, se ne sarebbe stato indifferente a tutto e tutti, somigliando sempre più al resto del genere umano.
Felice e soddisfatto, concluse che poteva riposarsi.
Non aveva più senso continuare a fissare la grande specchiera della stanza, sistemata dalla parte opposta della parete dove si trovava appeso affinché lo si potesse facilmente osservare.
Aveva finalmente compreso di esistere, e come ogni uomo, aveva subito cercato di dimenticarsene.
Del resto, se non fosse stato per la preziosa cornice, nessuno avrebbe mai capito che era solamente uno stereogramma. Poteva essere benissimo una finestra su una stanza ove un uomo, meditava accarezzando il suo sonnacchioso gatto.
Ne colgo l'occasione adesso, sperando di trovare un pubblico attento tra quello virtualmente più numeroso.E' ovvia la preghiera di rispettare i diritti d'autore....i miei!!!
David Altini
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