Dalla ruota alla bicicletta La necessità di spostarsi velocemente è stata da sempre per l'uomo (come per molti altri animali) un'esigenza di primo piano, legata al concetto stesso di sopravvivenza. Quindi date le sue relativamente scarse capacità fisiche, l'uomo ha capito ben presto di aver bisogno di un valido e fedele alleato per i suoi spostamenti, così in molte parti del mondo si inizia ad usare il cavallo per il trasporto individuale. Animale di che per migliaia di anni ha accompagnato l'uomo, nella sua evoluzione intellettuale, portandolo a caccia, a esplorare nuove terre a conoscere altri popoli, ad assimilare nuove culture e talvolta ad uccidere altri uomini in una strana ed affascinante forma di simbiosi. Oltre all'uso del cavallo per il trasporto individuale, l'uomo ha necessità di trasportare merci più pesanti ed ingombranti, e la prima grandissima invenzione è quindi la ruota che permette di abbassare drasticamente l'attrito col terreno e di trasportare quindi carichi impensabili con semplici slitte fatte strisciare sul suolo. La prima ruota conosciuta è quella di Ur l'antica città del regno Babilonese, costruita 6500 anni fa e date le sue caratteristiche perfezionate, si ritiene che la sua invenzione risalga ad almeno duemila anni prima in Mesopotamia. Ruota di Ur Poi la ruota si diffuse in tutto il mondo antico dalla Mesopotamia all'Egitto a Creta quindi alla Grecia e da qui con la diffusione dell'Impero Romano che ne ingloba la cultura, a tutta l'Europa. L'utilizzo della ruota non è però costante nel tempo, tant'è vero che viene praticamente abbandonata con la disgregazione dell'Impero Romano e non è neanche uniforme su tutto il pianeta; in America infatti non era utilizzata prima dell'arrivo di Cristoforo Colombo. Il fatto che le raffinate ed evolute civiltà precolombiane non siano arrivate ad inventare la ruota, dimostra che questo oggetto non è il frutto inevitabile dell'osservazione da parte dell'uomo di fenomeni fisici naturali, ma una vera e propria invenzione frutto della mente di un solo uomo che sicuramente non si è reso conto di essere stato il più geniale progettista di tutta l'umanità. Una rappresentazione dell'utilizzo della ruota secondo uno schema in linea che è quello che riguarda questa ricerca (invece che su coppie all'estremità di un asse come sui carri) è presente addirittura sull'obelisco di Luxor (l'antica città egiziana) ora posto in Place de la Concorde a Parigi, dove si vede un uomo seduto a cavalcioni su un bastone che poggia alle estremità su due ruote. Più recente è invece la vetrata della chiesa di St.Gilles a Stoke Poges in Inghilterra dove nel 1642 lo sconosciuto artista (o inventore?) rappresenta un cherubino a cavalcioni di uno strano oggetto. Vetrata della chiesa di S. Gilles Ma l'inventore del Celerifero cioè il primo veicolo a due ruote è Mede de Sivrac che nel 1791 scorrazza per i giardini del Palais Royal di Parigi con un veicolo composto da una trave di legno di un metro con alle estremità due forcelle perpendicolari, su cui sono imperniate le ruote; il nobile parigino seduto su una approssimativa sella , avanza certo non senza difficoltà puntando alternativamente i piedi a terra e cercando faticosamente di mantenersi in equilibrio data la mancanza dello sterzo. Questo tipo di veicolo chiamato poi anche velocifero ebbe inaspettatamente un grosso successo in Francia diventando un oggetto molto di moda a Parigi esistevano anche versioni cammuffate da animali. La draisienne del barone Drais risalente al 1816-18 compie dei passi avanti, compare lo sterzo e vengono sperimentati diversi sistemi motrici alternativi alla pedata come quello del disegno sotto in cui il guidatore aziona a mano un manubrio che tramite un settore dentato trasmette il moto alla ruota anteriore. Draisina 1919 Anche in inghilterra esistono veicoli simili come l'hobby di Knight costruito nel 1918-19 interamente in ferro e dotato di sterzo, ma sempre troppo difficile da guidare. La svolta si ha quando il francese Pierre Michaux nel 1861 mentre cerca di riparare un velocifero inventa il sistema a pedali applicati sul mozzo della ruota anteriore e compie anche il primo tentativo di produzione industriale del suo veicolo a due ruote, la Michauline, mentre entra nell'uso comune il nome velocipede per definire il nuovo veicolo dotato di pedali. Per aumentare la velocità raggiungibile a parità di pedalate (cioè per allungare il rapporto) la tendenza è quella ad utilizzare ruote anteriori sempre più grandi, con problemi di equilibrio e di difficoltà nel raggiungere i pedali con i piedi (talvolta sono applicate anche delle leve a parallelogramma), nascono così strani e pericolosi veicoli come quello nel disegno (sotto). Biciclo di Renard, con ruota ant. di tre metri di diametro Nel 1870 gli inglesi James Starley e William Hillman inventano la ruota a raggi tangenti (vedi scheda Ariel) molto più leggera di qualsiasi altra ruota ma che però deve avere diametro inferiore; di conseguenza si iniziano a montare le prime catene di trasmissione (che nonostante fossero già state inventate da Leonardo da Vinci nel 1482, si erano iniziate ad usare solo nel 1709 da Vaucanson) che permettono di utilizzare qualsiasi rapporto e di trasmettere il moto alla ruota posteriore, lasciando a quella anteriore solo le funzioni di sterzo. Nel 1888 il veterinario inglese John Boyd Dunlop nel tentativo di ridurre le vibrazioni trasmesse dalla strada a ruote e telaio e per diminuire l'attrito sperimenta e brevetta il primo pneumatico. E' nata la Bicicletta la cui struttura si conserverà praticamente immutata fino ai giorni nostri. La bicicletta di Dunlop 3 Dalla ruota alla bicicletta La necessità di spostarsi velocemente è stata da sempre per l'uomo (come per molti altri animali) un'esigenza di primo piano, legata al concetto stesso di sopravvivenza. Quindi date le sue relativamente scarse capacità fisiche, l'uomo ha capito ben presto di aver bisogno di un valido e fedele alleato per i suoi spostamenti, così in molte parti del mondo si inizia ad usare il cavallo per il trasporto individuale. Animale di che per migliaia di anni ha accompagnato l'uomo, nella sua evoluzione intellettuale, portandolo a caccia, a esplorare nuove terre a conoscere altri popoli, ad assimilare nuove culture e talvolta ad uccidere altri uomini in una strana ed affascinante forma di simbiosi. Oltre all'uso del cavallo per il trasporto individuale, l'uomo ha necessità di trasportare merci più pesanti ed ingombranti, e la prima grandissima invenzione è quindi la ruota che permette di abbassare drasticamente l'attrito col terreno e di trasportare quindi carichi impensabili con semplici slitte fatte strisciare sul suolo. La prima ruota conosciuta è quella di Ur l'antica città del regno Babilonese, costruita 6500 anni fa e date le sue caratteristiche perfezionate, si ritiene che la sua invenzione risalga ad almeno duemila anni prima in Mesopotamia. Ruota di Ur Poi la ruota si diffuse in tutto il mondo antico dalla Mesopotamia all'Egitto a Creta quindi alla Grecia e da qui con la diffusione dell'Impero Romano che ne ingloba la cultura, a tutta l'Europa. L'utilizzo della ruota non è però costante nel tempo, tant'è vero che viene praticamente abbandonata con la disgregazione dell'Impero Romano e non è neanche uniforme su tutto il pianeta; in America infatti non era utilizzata prima dell'arrivo di Cristoforo Colombo. Il fatto che le raffinate ed evolute civiltà precolombiane non siano arrivate ad inventare la ruota, dimostra che questo oggetto non è il frutto inevitabile dell'osservazione da parte dell'uomo di fenomeni fisici naturali, ma una vera e propria invenzione frutto della mente di un solo uomo che sicuramente non si è reso conto di essere stato il più geniale progettista di tutta l'umanità. Una rappresentazione dell'utilizzo della ruota secondo uno schema in linea che è quello che riguarda questa ricerca (invece che su coppie all'estremità di un asse come sui carri) è presente addirittura sull'obelisco di Luxor (l'antica città egiziana) ora posto in Place de la Concorde a Parigi, dove si vede un uomo seduto a cavalcioni su un bastone che poggia alle estremità su due ruote. Più recente è invece la vetrata della chiesa di St.Gilles a Stoke Poges in Inghilterra dove nel 1642 lo sconosciuto artista (o inventore?) rappresenta un cherubino a cavalcioni di uno strano oggetto. Vetrata della chiesa di S. Gilles Ma l'inventore del Celerifero cioè il primo veicolo a due ruote è Mede de Sivrac che nel 1791 scorrazza per i giardini del Palais Royal di Parigi con un veicolo composto da una trave di legno di un metro con alle estremità due forcelle perpendicolari, su cui sono imperniate le ruote; il nobile parigino seduto su una approssimativa sella , avanza certo non senza difficoltà puntando alternativamente i piedi a terra e cercando faticosamente di mantenersi in equilibrio data la mancanza dello sterzo. Questo tipo di veicolo chiamato poi anche velocifero ebbe inaspettatamente un grosso successo in Francia diventando un oggetto molto di moda a Parigi esistevano anche versioni cammuffate da animali. La draisienne del barone Drais risalente al 1816-18 compie dei passi avanti, compare lo sterzo e vengono sperimentati diversi sistemi motrici alternativi alla pedata come quello del disegno sotto in cui il guidatore aziona a mano un manubrio che tramite un settore dentato trasmette il moto alla ruota anteriore. Draisina 1919 Anche in inghilterra esistono veicoli simili come l'hobby di Knight costruito nel 1918-19 interamente in ferro e dotato di sterzo, ma sempre troppo difficile da guidare. La svolta si ha quando il francese Pierre Michaux nel 1861 mentre cerca di riparare un velocifero inventa il sistema a pedali applicati sul mozzo della ruota anteriore e compie anche il primo tentativo di produzione industriale del suo veicolo a due ruote, la Michauline, mentre entra nell'uso comune il nome velocipede per definire il nuovo veicolo dotato di pedali. Per aumentare la velocità raggiungibile a parità di pedalate (cioè per allungare il rapporto) la tendenza è quella ad utilizzare ruote anteriori sempre più grandi, con problemi di equilibrio e di difficoltà nel raggiungere i pedali con i piedi (talvolta sono applicate anche delle leve a parallelogramma), nascono così strani e pericolosi veicoli come quello nel disegno (sotto). Biciclo di Renard, con ruota ant. di tre metri di diametro Nel 1870 gli inglesi James Starley e William Hillman inventano la ruota a raggi tangenti (vedi scheda Ariel) molto più leggera di qualsiasi altra ruota ma che però deve avere diametro inferiore; di conseguenza si iniziano a montare le prime catene di trasmissione (che nonostante fossero già state inventate da Leonardo da Vinci nel 1482, si erano iniziate ad usare solo nel 1709 da Vaucanson) che permettono di utilizzare qualsiasi rapporto e di trasmettere il moto alla ruota posteriore, lasciando a quella anteriore solo le funzioni di sterzo. Nel 1888 il veterinario inglese John Boyd Dunlop nel tentativo di ridurre le vibrazioni trasmesse dalla strada a ruote e telaio e per diminuire l'attrito sperimenta e brevetta il primo pneumatico. E' nata la Bicicletta la cui struttura si conserverà praticamente immutata fino ai giorni nostri. La bicicletta di Dunlop 3 I pionieri in Inghilterra Per quello che riguarda la fase pioneristica, la suddivisione in categorie tipologiche come automobili e motociclette è diversa da quella attualmente applicabile perché diverso è il contesto storico e soprattutto non è legata al numero delle ruote, in quanto esistono veicoli che possono essere considerate motociclette a due, a tre ma anche quattro ruote; mentre ci sono automobili a quattro come a tre ruote. La differenza và ricercata nella filosofia progettuale applicata al mezzo in esame. Il tema della ricerca sono le moto inglesi quindi d'ora in poi cercherò di indirizzare l'analisi sui prodotti di questo paese, anche se in alcuni casi saranno inevitabili riferimenti a nomi di altri nazioni, sia per effettuare dei confronti sia perché spesso si tratta di realizzazioni composte da componenti di differenti nazionalità. La rivoluzione industriale del diciottesimo secolo, il conseguente sviluppo di industrie metallurgiche avanzate, e la propensione dell'Inghilterra alla sperimentazione di nuove tecnologie meccaniche , sembrerebbero i migliori presupposti per una immediata leadership; ma invece agli esordi l'industria motociclistica (e motoristica in genere) inglese ebbe non poche difficoltà. Ostacoli soprattutto legislativi, come il 'Locomotive Acts' del 1865; che imponeva a qualsiasi mezzo a motore di essere preceduto ad una distanza di 55 metri, da un uomo a piedi sventolante una bandiera rossa. Sarà solo nel 1896 che imposizioni di questo tipo verranno eliminate, lasciando comunque il posto a limiti di velocita di 19 km/h . I mezzi a motore, avevano poi altri tipi di ostacolo; le moto in particolare erano sotto accusa da parte di stampa ed ambienti benpensanti per la polvere che sollevavano, per i fumi di scarico ed i rumori prodotti; erano accusate di provocare terribili malattie in uomini ed animali, di far diminuire la produzione di uova e latte , ed altro ancora (in fondo certi 'ecologisti contemporanei' utilizzano ancora su questi argomenti...) Quindi è solo dal 1896 che l'industria motociclistica inglese inizia a svilupparsi ed in pochi anni nascono decine di marchi che si faranno conoscere in tutto il mondo e permetteranno all'Inghilterra di recuperare lo svantaggio iniziale rispetto a Francia Germania e Stati uniti. Merito anche delle prime riviste motociclistiche inglesi 'The Motor Cycle' e 'Motor Cycling'e di scrittori come Rudyard Kipling o come Arthur Conan Doyle che si schierano dalla parte dei motociclisti (e degli automobilisti) denuciando gli abusi delle autorità e la mala fede della stampa antimotoristica, con racconti, articoli e libri sull'argomento. Nel 1879 Dugald Clerk inventa il motore a due tempi che si pone come alternativa a quello a quattro tempi, Per gli inglesi l'inventore della prima motocicletta del mondo è il connazzionale Edward Butler, che nel 1884 presenta allo Stanley Cycle Show di Londra il suo progetto con relativo brevetto di un triciclo motorizzato. Il primo esemplare però non venne realizzato che nel 1886 mentre già nel 1885 il tedesco Gottlieb Daimler fà marciare il suo velocipede a due ruote. La diatriba quindi può essere considerata ancora aperta. Il veicolo di Butler ha tre alte ruote sottili ma per i motivi prima esposti è da considerarsi una motocicletta. La ruota posteriore è singola ed i cilindri sono disposti orizzontalmente ai suoi lati. All'inizio la bicilindrica di Butler adotta un motore a due tempi secondo lo schema di Clerk, di una cilindrata complessiva di 1037 cc,la distribuzione è regolata da un sistema a valvola rotante, l'accensione avviene grazie ad un apparecchio elettrostatico progettato da Butler stesso, il raffreddamento era ad acqua, che circolava in un serbatoio semicircolare che fungeva anche da parafango posteriore. La trasmissione avviene direttamente con un sistema di bielle ricurve che dal cilindro portano il moto alla ruota posteriore, non esiste quindi frizione e per permettere le manovre di avviamento , partenza e fermata è presente un pedale che azionato col piede sinistro, solleva due rotelline ai lati della ruota motrice rendendola cosi folle rispetto al terreno. Lo sterzo è composto da due leve azionabili con le due mani, ognuna delle quali aziona indipendentemente una delle due ruote anteriori. Questa prima motocicletta raggiunge una velocità di 20 km/h con il motore che gira a 100 giri/min. In seguito Butler realizzò un secondo mezzo dotato di motore a quattro tempi (molto piu avanzato del contemporaneo motore di Daimler) con valvole di aspirazione e scarico rotative come il precedente 2t, azionate da catena, avviamento a pedale ed un carburatore a spruzzo che precede di 5 anni quello di Maybach. La trasmissione realizzata con un ingranaggio riduttore epiciclico, consente di portare il regime di rotazione a 400 e poi a 600 giri/min. Butler motociclo, disegno complessivo e schema valvola rotante Edward Butler sul suo veicolo Lo sterzo è a fuso snodabile, il freno e la frizione sono azionati da pedali e il parafango posteriore è decorato dalla scritta 'THE PETROL-CYCLE', Butler infatti è anche l'inventore della parola inglese 'petrol' (benzina). Butler non riuscì comunque a causa del 'locomotive acts' a portare avanti il suo progetto. Un altro pioniere del motociclismo Inglese è il colonnello H.Capel Holden che nel 1896 costruisce la prima motocicletta a 4 cilindri, i cilindri, fusi in ghisa sono disposti orizzontalmente; longitudinalmente alla moto con una cilindrata totale di 1052,96 c.c.. Holden 1896 Su ogni lato della moto vi sono due cilindri disposti sullo stesso asse, e contrapposti tra di loro, quindi su ogni lato vi è una biella unica collegata ai due pistoni, biella che poi tramite una manovella trasmette direttamente il moto alla ruota posteriore. I quattro cilindri avanzano ed arretrano contemporaneamente, i due anteriori (uno a dx ed uno a sx) sono nella stessa fase del ciclo ed analogamente i due posteriori. Il carburatore è del tipo cosidetto a superficie, cioè nella vaschetta col carburante è immersa una rete metallica a maglie molto fini, che imbevendosi per capillarità di liquido ne accelera la normale evaporazione, i vapori così ottenuti vengono immessi in una canalizzazione in pressione, che dopo un'ulteriore aggiunta di aria in corrispondenza di una camera di miscelazione posta sul cannotto, arrivano alla camera di combustione dove entrano attraverso valvole che si azionano per depressione. La pressione nella canalizzazione ora descritta è mantenuta immettendo i gas di scarico nella vaschetta del carburatore, che oltretutto, data la loro elevata temperatura facilitano l'evaporazione. Inizialmente il motore era raffreddato ad aria, poi dal 1899 al 1902 verrà venduta una versione con raffreddamento a liquido. L'accensione è a batteria e bobina, il telaio è una leggera struttura tubolare senza molleggio, le prestazioni di questo stupefacente motore sono di 3 cv a 420 giri/min. che sono sufficenti a spingere la Holden a 40 km/h. Holden Progetto di motore e trasmissione La Holden è anche uno dei primi esempi di produzione industriale di motociclette in inghilterra, la 'Motor traction company' viene fondata nel 1898 e la quattro cilindri venduta con discreto successo, purtroppo a lungo termine si rivela fallimentare la ostinata scelta di voler utilizzare una trasmissione finale a stantuffo (biella e manovella) invece che la cinghia la catena o gli ingranaggi che erano soluzioni già più che collaudate, quindi la fabbrica chiude i battenti nel 1903. Una holden del 1900 Da questo momento in poi naseranno moltissimi marchi Inglesi, le cui storie si intersecano con continue rivalità, scambi di parti comuni, di progettisti ed arrivando talvolta a fusioni di più marchi in nuove società. 17 Tra i due secoli Nel 1895 l'inglese Alfred Cox utilizza sulla sua bicicletta a motore la trasmissione finale a catena, anticipando così di almeno un quarto di secolo l'universale adozione di questo sistema su quasi tutte le moto del mondo. La prima bicicletta a motore costruita interamente con materiali nazionali è la realizzazione del diociottenne Sidney Shaw nel 1896, una 250 cc. con trasmissione a catena. E del 1896 è anche il motore a due cilindri costruito da Arthur Hertschmann che può essere montato su qualsiasi bicicletta, il moto viene trasmesso da una ruota dentata che và ad agire sulla catena della bicicletta. Vi sono anche sperimentazioni di carburanti alternativi alla benzina, il Roots Tryke ad esempio funziona alimentato da una miscela di aria e olio combustibile, fortemente riscaldata che esplode a contatto di un tubetto incandescente. Nel 1899 nasce la OK nota poi come OK-Supreme, utilizza motori SOS (1906), Precision (1911), Green raffreddato ad acqua (1911) e ABC (1913). Nel 1897 vengono montati sulla Excelsior (che fino a quel momento produceva biciclette) un motore Minerva. La Norton viene fondata nel 1889, la AJS e la Ariel nel 1898, la Royal Enfield, la Rex, la Douglas, la Triumph, la James, la Scott, la Zenith, nascono entro il 1905. Per la storia delle principali di queste marche rimando alle relative schede. Rex forecar 1904 18 Nascita delle grandi case inglesi La AJS come fabbrica di moto complete nasce nel 1898, in precedenza i fratelli Stevens avevano costruito un motore monocilindrico, verticale di 406 cc, con valvola di ammissione automatica, valv. di scarico laterale comandata, raffreddamento a liquido ed una potenza di 2,75 cv, che viene venduto con successo a parecchi assemblatori. Caratteristica di questo periodo della AJS è di insistere con i monocilindrici, nonostante verso il 1910 molte case optino per i bicilindrici e nel 1914 questa costanza è premiata con una vittoria al Tourist Trophy con una macchina dotata di un totale di 4 rapporti (vedi scheda AJS). La Matchless (impareggiabile) nasce nel 1878 come costruttrice di biciclette, nel 1899 fabbrica la prima motocicletta motorizzata e dopo aver montato per un breve periodo bicilindrici Peugeot, nel 1906 le Matchless montano i primi bicilindrici di fabbricazione inglese, motori piuttosto avanzati che utilizzano bielle in bronzo. Si continuano comunque a montare anche motori prodotti da altri come il Jap un bicilindrico di 994 cc che permette alla Matchless di vincere il T.T. del 1907, o come il motosacoche bicilindrico 496 cc con camera di scoppio emisferica, valvole inclinate, testa riportata e distribuzione ad aste e bilanceri comandate da albero a camme collocato alla base della 'V' dei cilindri. Il modello 8 B sidecar del 1914, motorizzato MAG, adotta soluzioni all'avanguardia come: accensione a magnete, cambio separato e trasmissione sia primaria che secondaria a catena racchiusa in carter. La Ariel inizia a produrre moto nel 1902, monta motori Kerry il carburatore è a galleggiante ed in anticipo sui tempi il sistema di accensione è a magnete ; la potenza del motore è portata con alcune modifiche a 2,5 cv nel 1904. Nel 1904 viene utilizzato un telaio a culla aperta composto da due tubi paralleli che scendono dal cannotto all'attacco della forcella posteriore, all'interno dei quali è collocato il serbatoio; il motore appeso davanti alla pedaliera è un mono Peugeot 334 cc e 2,25 cv. Nel 1906 viene adottala una forcella anteriore elastica a biscottino oscillante, la lubrificazione è affidata ad una pompa a mano ed i freni sono a pattino, mentre l'accensione è a magnete. La Ariel 1913 produce un 498 cc dotato di cambio Armstrong nel mozzo, trasmissione a cinghia, 3,5 cv e nel '14 una piu semplice monocilindrica con puleggia variabile (foto in scheda Ariel). La prima bicicletta a motore prodotta dalla Royal Enfield nel 1901 ha un motore di 175 cc con biella in bronzo e senso di rotazione invertito, montato insolitamente sopra la ruota anteriore ma il moto è trasmesso con cinghie incrociate alla ruota posteriore. Royal Enfield 1901 Nel 1902 il motore viene spostato dietro la sella e solo nel 1903 trova la classica collocazione al centro di un telaio sdoppiato alla base del cannotto e poi incurvato seguendo la forma della ruota, per aggirare un brevetto Werner. La produzione di macchine bicilindriche motorizzate Motosacoche inizia nel 1910 con due moto, una con trasmissione a cinghia, cambio nel mozzo e 2,25 cv, l'altra più raffinata con trasmissione a catena e cambio PM a due rapporti. Royal Enfield , motore Motosacoche 2,75 cv 1910 Il primo motore originale viene costruito nel '13 è un bicilindrico a 'V' 425 cc 3 cv,con pompa dell'olio automatica ad ingranaggi (serbatoio olio in vetro), montato su telaio a culla, trasmissione a catena, cambio a 2 rapporti, una versione 347 cc, di questa moto partecipò al T.T. del 1914 classificandosi terza; dalla 347 derivò anche una versione turismo. Royal Enfield bicil. 425 cc 3 cv 1914 Anche una due tempi 225 cc. la 225L viene prodotta poco prima dello scoppio della guerra, disponibile anche con un particolare telaio aperto adatto alla guida con gonne lunghe, sono presenti paragambe per la pioggia ed il serbaoio è a barile. Un altro due tempi è il 289 cc sperimentale, con distribuzione a camicia scorrevole nel cilindro, comandata da due biellette solidali all'albero motore; sistema che permette un ottimo lavaggio ed un elevato rendimento ma problemi di raffreddamento ne sconsigliano la produzione. Royal Enfield 225L (vers. Atelaio aperto) Anche la Triumph iniziò nel 1902 montando motori minerva, Jap e Fafnir, su telai ciclistici, inizialmente nell'insolita posizione davanti alla pedaliera Triumph Minerva 1902 solo nel 1905 viene realizzato in proprio anche il motore un valvole laterali di 3,5 cv montato su un vero telaio motociclistico. Nel 1906 viene introdotta una forcella anteriore molleggiata con una strana struttura ad arco e molla elicidale ed il motore è montato con funzione strutturale in un telaio a culla aperta. Già dal 1911 tutte le Triumph sono dotate di frizione nel mozzo, e nel 1913 di cambio separato di produzione Sturmey Archer. Mentre nel '14 si aggiungono la lubrificazione semiautomatica e l'accensione a magnete mentre la cilindrata è salita a 547 cc. La James dopo aver prodotto negli ultimo anni dell'ottocenti bicicli con enormi ruote anteriori chiamati 'penny farthing' , produce nel 1902 una bicicletta con motore montato inclinato lungo il tubo inferiore del telaio con trasmissione a rullo alla ruota posteriore, e successivamente a catena. James 1902 Nel 1908 viene presentato il modello Safety (sicurezza), il motore è monocilindrico verticale, con valvole di ammissione e di scarico concentriche, sospensione anteriore a biscottini oscillanti , i freni sono a ganasce di bronzo al fosforo in tamburi d'acciaio, le ruote intercambiabili e c'è una biella di scorta fissata al telaio. In seguito vengono adottati cambio a due e tre velocità, la trasmissione diventa a catena racchiusa in carter e l'impianto frenante viene utilizzato per la prima volta il rivestimento in Ferodo per le superfici d'attrito. Poco prima della guerra oltre ad un bicilindrico 500, viene prodotto un nuovo monocilindrico 600 cc. James 600 20 Alfred Angus Scott geniale progettista e fondatore della Scott iniziò a cavallo dei due secoli a lavorare sui motori a due tempi e dopo alcuni esperimenti sui motori (utilizzati anche per uso nautico) montati su telai ciclistici, prima sulla ruota anteriore (motrice) e poi lateralmente con trasmissione a cinghia alla posteriore, Scott riesce finalmente a produrre nel 1908 una bicilindrica che suscitò grande scalpore. La cilindrata totale è di 333 cc, le teste dei due cilindri paralleli sono raffreddate ad acqua, la distribuzione è a valvola rotativa a catena, c'è un cambio a due velocità con comando a pedale, trasmissione a tutta catena, avviamento a pedale, telaio aperto, formato da una struttura a reticoli triangolari e forcella anteriore con molleggio telescopico. Il successo di questa macchina nelle gare è tale che la Federazione Motociclistica inglese stabilì che la Scott non potesse correre nella categoria relativa alla sua cilindrata effettiva, ma a quella ottenuta moltiplicando questa per un fattore di 1,32. Scott 450 cc.(analoga al 333 cc) 1910 Nel 1910 il serbatoio è spostato davanti al tubo reggi sella, nel '11 tutta la superficie dei cilindri è raffreddata ad acqua, nel '12 la cilindrata arriva a 532 cc e la valvola rotativa di distribuzione viene azionata da ingranaggi, nel '13 il telaio viene irrobustito e stranamente le teste adottano il raffreddamento ad aria mentre i cilindri restano raffredd. ad acqua. Scott 532 cc, 3,75 cv 1912 Dal 1885 John Alfred Prestwich apre la sua officina in cui produce strumenti scientifici e macchine speciali, dal 1901 inizia anche la produzione di motori di 923 cc che saranno venduti in tutto il mondo con il marchio JAP e montati su svariati modelli di motociclette. La Tooley's Patent Bicar (futura Zenith) presentata nel 1904 stupì per il suo telaio, una struttura triangolata a piramide montata su una struttura tubolare orizzontale. Al centro della piramide c'è un motore Fafnir da 3 cv , lo sterzo è azionato da leve e tiranti, c'è la frizione ed il molleggio su entrambe le ruote. La Zenette risale invece al 1907 con sospensione anteriore a doppia molla ed un leggerissimo telaio triangolato. Zenette 1907 Nel 1908 la Zenith introduce il cambio Gradua che è di tipo continuo funziona nel seguente modo: la puleggia solidale all'albero motore entro cui scorre la cinghia a 'V' si allarga e si restringe variando cosi il diametro su cui lavora la cinghia, naturalmente restringendo il diametro la cinghia tenderebbe ad allentarsi , cosi la puleggia posteriore e con lei tutta la ruota motrice scorre su una guida; questo movimento è comandato tramite una manovella posta sul serbatoio dal pilota che cosi può scegliere con precisione un qualunque rapporto compreso tra 3,5:1 e 9:1. Questo sistema si dimostrò talmente efficace (anche perché era uno dei pochi cambi disponibili su moto con trasmissione a cinghia) che nel 1910 ne fù proibito l'utilizzo nelle gare e la Zenith con intelligenza sfrutto questo fatto per enfatizzare ancora di più le qualità del suo cambio e introdusse nel marchio l'inferriata di una prigione e la parola 'barred' (proibito). Nel 1911 il serbatoio diventa rettangolare e scompare il molleggio posteriore . marchio Zenith 25 Dopo aver prodotto armi (vedi scheda) la BSA entra nel mondo delle motociclette nel 1905 con motori stranieri. Nel periodo in analisi si succedono modelli senza caratteristiche eccezzionali ma che riscuotono un discreto successo grazie alla buona fama di cui gode il nome BSA dal 1911 sono disponibili frizione e cambio a due velocità nel mozzo e nel 1912 la trasmissione diventa a tutta catena e l'accensione a magnete. La Wilkinson nota nel settore delle armi, inizia la produzione motociclistica ad inizio secolo con una monocilindrica, ma la prima realizzazione significativa è la TAC (Touring Auto Cicle) del 1910 che è una vera e propria 'automobile a due ruote' nei primissimi esemplari dotata di un bicilindrico a 'V' ben presto sostituito da un quattro cilindri in linea di 679 cc, trasmissione ad albero con vite senza fine e cambio a tre velocità, valvola di ammissione automatica e scarico comandata frizione a cono con superficie d'attrito in cuoio,freni ad espansione interna , avviamento a manovella, molleggio anteriore e posteriore, telaio in tubi molto basso su cui è montata una poltrona, lo sterzo a volante. Nel 1911 si adotta un più motociclistico sterzo a manubrio ed il nome si trasforma di conseguenza in TMC (Touring Motor Cicle), viene adottato il raffreddamento a liquido e la cilindrata portata a 848 cc. Wilkinson TMC 4 cil. 848 cc 1912 All'inizio del secolo la futura Velocette produce i marchi VMC e Veloce monocilindriche di 500 cc; solo nel 1913 compare il marchio Velocette sul serbatoio di una due tempi 206 cc. Che è una delle prime moto di successo della casa; aveva una potenza di 2,25 cv, cambio a due velocità e trasmissione a catena (due soluzioni quest'ultime veramente all'avanguardia per l'epoca), nel listino Velocette fino allo scoppio della guerra sono presenti poi modelli di varie cilindrate, frazionamento a due e quattro tempi. Velocette 2,25 cv 1913 La Sumbeam già impegnata nella produzione di automobili produce nel 1912 una monocilindrica a cilindro verticale di 349 cc, trasmissione a tutta catena, cambio a due velocità e forcella anteriore elastica. Nel 1910 anche la Rudge si converte alla produzione motociclistica; il primo modello é un monocilindrico verticale con trasmissione a cinghia, ma nello stesso anno viene sviluppato un nuovo sistema di cambio a variazione continua (simile a quello della Zenith) si chiama Multi ed è comandato da una lunga leva azionabile a mano, che controlla l'espansione della flangia della puleggia anteriore e la tensione della cinghia permettendo una scelta infinita di rapporti compresi tra 5,75:1 e 3,33:1, anche questo sistema ha un successo incredibile. Rudge multi 500 1913 Anche il motore rotativo ha origine in questi anni, ad opera di Fred Umpleby che nel 1909 presenta la sua richiesta di brevetto. 29 Tecnica da inizio secolo al 1915 In generale nello studio della storia della motocicletta di questo lasso di tempo si effettuano ulteriori suddivisioni che sono diverse a seconda degli autori. Possono essere significativi le date delle edizioni del 'Manuale Hoepli del motociclista' rispettivamente 1902, 1908 e 1914 visto che tale genere di pubblicazione deve essere aggiornata quando la tecnologia ha definitivamente superato la vecchia edizione. Fino al 1902-1905 i motori sono montati spesso piuttosto in alto, su corti telai di derivazione ciclistica, l'avviamento è quasi sempre a spinta, le valvole di aspirazione sono automatiche (a depressione), la lubrificazione è a pompa a mano, la trasmissione finale è affidata a cinghie di cuoio, il rapporto è fisso, il telaio è piuttosto alto e corto e di conseguenza la posizione in sella è piuttosto elevata, è presenta spesso il molleggio sulla ruota anteriore ma non su quella posteriore o sulla sella ed i freni sono a tampone sul cerchione. La moto di tipo nuovo, viene invece definita dai contemporanei del 1914: più bassa ed allungata, il motore montato il più in basso possibile (per abbassare il baricentro), messa in moto a pedale con le ruote a terra e quindi dotata di frizione, la trasmissione a cinghia o a catena con il cambio in mozzo, forcella anteriore posteriore e sella elastiche, lubrificazione a pompa, valvole entrambe comandate e freno a ceppi nel mozzo. L'accensione è affidata negli anni tra il 1903 ed il 1910 ad accumulatori, mentre dopo questa data si ha una diffusione praticamente totale di sistemi a magnete, grazie alla qualità molto superiore di questi sistemi, in particolare quelli della Bosch che ha modelli specifici per tutti i tipi di frazionamento e di distribuzione dei cilindri. Dal 1909 al 1914 vi sono notevoli progressi nel settore dei motori, prodotti in proprio dalle marche più importanti che realizzano tutta la moto ma anche venduti sciolti a costruttori-assemblatori che così si limitano alla costruzione della sola parte ciclistica, questo spiega il grande proliferare di marchi di questo periodo soprattutto in Inghilterra dove questa filosofia costruttiva ebbe il massimo sviluppo. Per la maggior parte si tratta di monocilindrici di circa 500 cc con una potenza di 3,5 cv. I bicilindrici sono quasi sempre a 'V' con angolo tra i cilindri compreso tra 40° e 90°, raramente i cilindri sono paralleli uno dei pochi esempi è il 650 Triumph che prefigura quello che sarà uno scema tipico della scuola motoristica inglese. Molto rari frazionamenti più elevati, tra le inglesi da citare quello della Wilkinson. Ci sono poi rari motori radiali a 3 e 4 cilindri, ed il rotativo di Redrup. Nel 1914 i motori a due tempi (inglesi) più riusciti sono quello della Scott di 552 cc, il Levis, il Velocette. In particolare il due tempi appare subito la soluzione ideale per motociclette più economiche e di cilindrata più contenuta, nel caso dell'Inghilterra attorno ai 250 cc. e modelli di questo genere sono presentati da :Triumph, Rex, Wooler, Royal Enfield, Clyno, Villers, . Nel campo della distribuzione (motori a quattro tempi) si passa gradatamente dalla valvola di ammissione automatica a quella comandata grazie soprattutto all'impulso dato dalla francese Peugeot che dimostra pubblicamente la superiorità in termini di potenza erogata di questa seconda soluzione. Le valvole prima erano diposte anteriormente al cilindro (verticale) oppure una per ogni lato dello stesso, mentre la tendenza fino al 1914 è a diporre le valvole sempre lateralmente ma entrambe sullo stesso lato; questo anche perché utilizzando due valvole comandate è cosi possibile raggruppare su un solo lato il sistema di comando di entrambe le valvole, che a questa data consiste nella maggior parte dei casi in aste e bilanceri. Non mancano comunque esempi di 4 tempi e 2 tempi a distribuzione rotativa, o tra i due tempi l'originale sistema della Wooler in cui la compressione non avviene nel carter ma in uno dei due compartimenti in cui è diviso il cilindro, mentre nell'altro avviene lo scoppio. L'alimentazione è ormai nel 1914 affidata ad un vero e proprio carburatore che ha raggiunto eccellenti livelli di raffinatezza, sostituendo tutti i sistemi sosidetti a superfice, come quello della Holden descritto in precedenza. Ci possono essere uno o due spruzzatori, e comandi separati per l'aria e per la benzina che entrano in funzione a seconda delle necessità, in alcuni casi si hanno proprio due carburatori praticamente indipendenti o che entrano in funzione a diversi regimi, come il Jarnac. La lubrificazione era inizialmente affidata a pompe da azionarsi continuamente a mano, poi gradualmente si passò a sistemi parzialmente automatizzati, in cui il conducente tirava a sé una comando a pistoncino che poi tornava sospinto da una molla lentamente nella posizione iniziale, spingendo il lubrificante nel circuito, quindi per un certo lasso di tempo non c'era bisogno di intervenire. Verso il 1913 si iniziarono a diffondere comunque anche sistemi a pompa automatica, cioè azionata dal motore stesso (spesso pompe ad ingranaggi) con sistemi di recupero dell'olio e rimessa in circolazione (prima invece andava perso come nei due tempi). Fino al 1905 quasi nessuna motocicletta è dotata di frizione né tantomeno di cambio, la partenza avviene a spinta con balzo in sella all'avviamento ed è perciò inevitabile lo spegnimento del motore ad ogni fermata. Quindi la prima esigenza è quella di un sistema che permetta di mantenere il motore in folle da fermo, i più diffusi sistemi in questo periodo consistono in puleggie a flange mobili che allontanandosi ed avviccinandosi determinano il maggiore o minore attrito con la cinghia di trasmissione che quindi può trasmettere il moto oppure girare a vuoto. Nascono anche le prime puleggie a diametro variabile, in particolare il sistema della NSU ed i famosi schemi Zenith Gradua e Rudge Multi descritti in precedenza danno buoni risultati come cambi di velocità, in precedenza esisteva solo la possibilità di cambiare il rapporto con interventi da fermo. Le cinghie dal cuoio passano a gomma e tela. Riguardo alla trasmissione un'osservazione che si può fare è che la diffusione di sistemi a tutta catena, è avvenuta molto più tardi di quanto sarebbe stato possibile con le tecnologie dell'epoca. La superiorità della catena era stata ampiamente dimostrata, e le richieste del mercato andavano in questa direzione, ma le case prodruttrici soprattutto quelle inglesi sono state molto restie ad abbandonare la cinghia, sviluppando i cambi Rudge Multi o Zenith Gradua ben oltre la loro naturale epoca. Questo perché l'adozione della catena imponeva l'utilizzo di una frizione più evoluta e di un vero cambio di velocità e le case inglesi essendo per la maggior parte piccole aziende che soprattutto assemblavano componenti prodotte da altri vivevano una situazione di concorrenza spietata tra loro e nessuna poteva azzardarsi a sperimentare in proprio nuovi e complessi sistemi cambio-frizione. Frizioni più evolute di quella prima descritta, si ebbero quindi solo verso il '14 quando appaiono frizioni a bagno d'olio con un numero di dischi che và da 1 a 48 (sulla Hele Shaw), o a secco con dischi rivestiti di materiali d'attrito a base di amianto, in entrambi i casi con una sola molla. Per quello che riguarda i telai come detto la tendenza è a renderli più bassi; in generale per le moto più piccole la struttura è a culla chiusa, il tubo anteriore si curva passando sotto il motore per arrivare all'attacco posteriore, superiormente ci sono due tubi che partono dal cannotto e vanno parallelamente verso la sella per ospitare la quale quello superiore si incurva verso il basso; tra questi due tubi che poi si collegano a quello verticale reggisella , c'è solitamente il serbatoio che in questa fase è quasi sempre un semplice parallelepipedo di lamiera. Le forcella anteriore è la prima a ricevere il dono del molleggio inizialmente con sistemi come quello a biscottini oscillanti, poi con svariati schemi tra cui da segnalare quello a doppi bracci con mollone centrale che prefigura quello a parallelogramma che diventerà lo standard nel primo dopoguerra. Posteriormente spesso non ci sono sistemi di sospensioni, per motivi di semplicità ma anche perché si credeva che un telaio rigido migliorasse la tenuta di strada; per il confort del conducente ci si limita al molleggio della sella con sistemi telescopici o analoghi, sella che come oggetto in sé è ancora di tipo ciclistico. Il diametro delle ruote è solitamente di 26 pollici (66 cm) i copertoni sono a tallone per evitare scorrimenti ed uscite dal cerchione, visto che i percorsi che si percorrono sono per lo più definibili fuoristradistici e le scarse capacità delle sospensioni (se ci sono) fanno sì che le ruote siano molto sollecitate. L'illuminazione è affidata a lampade ad olio fino al 1908 e ad acetilene fino al 1914, le lampade elettriche non hanno un grande successo all'inizio perché essendo indipendenti dall'impianto elettrico di accensione del motore devono essere alimentate da dinamo supplementari (Mira e FRS entrambe inglesi) azionate per attrito sulla ruota o direttamente dal motore o ancora da batterie specifiche da sostituirsi ogni volta e quindi si appaiono solo un'ulteriore complicazione oltre alle numerosi già presenti nell'utilizzo delle moto dell'epoca. Infatti come già si è ricordato il conducente dopo aver effettuato tutte le regolazioni doveva accendere la moto a spinta, poi stando attento a non spegnerla mai, viaggiare su strade sterrate ceduto su un telaio rigido, azionare ad intervalli precisi la pompetta di lubrificazione e nel caso avesse a disposizione un cambio di velocità azionare quest'ultimo con una leva lasciando così il manubrio, per quello che ri guarda i freni poi la situazione non è molto migliore. L'antiquato freno ciclistico a pattino resiste fino a quasi il 1914, solo a questa data il freno ad espansione inizia a diffondersi spazzando via qualsiasi altro sistema compreso quello a trazione (consistente in un nastro metallico che si stringe sulla superfice esterna del mozzo) che per un po' l'aveva affiancato. Nonostante queste difficoltà con le moto si iniziano anche ad affrontare le prime gare come il Tourist Trophy che si inizia a correre dal 1907. 32 Le moto inglesi durante la grande guerra e negli anni immediatamente successivi La prima Guerra Mondiale è il primo conflitto in cui la macchina entra come protagonista ed anche la motocicletta assieme ad aereoplani, autocarri, automobili, e mezzi navali fa la sua parte. Certo nell'utilizzo della motocicletta in guerra ci sono errori, dettati soprattutto dall'inesperienza nel settore di chi è preposto a decidere quali modelli utilizzare e come. Spesso si dà la precedenza alla quantità dei mezzi, requisendo tutto ciò che è disponibile senza curarsi delle specifiche tecniche di ogni modello, delle sue prestazioni sui vari tipi di terreno e soprattuttodella compatibilità dei pezzi di ricambio molto difficile quando nello stesso reparto esistono motociclette di diverse marhe e modelli. In inghilterra si formano dei corpi di motociclisti volontari i 'Despatch Riders' che si riveleranno indispensabili in molte azioni. Tecnicamente l'approssimarsi della guerra prima e il suo svolgersi porta a numerosi progressi tecnici; come conseguenza più che di veri e propri studi metodici, dell'accelerata, imminente necessità di risolvere problemi pratici. Si constata che i motori raffreddati ad aria, sono molto più sicuri di quelli raffreddati ad acqua perché un proiettile che anche colpisse l'alettatura non impedisce il funzionamento del motore, come invece farebbe colpendo un radiatore; e questa osservazione fatta in campo aereonautico viene traslata sulle moto che iniziano ad utilizzare quasi esclusivamente questo metodo di raffreddamento (come nel più genuino spirito dakariano 'quello che non c'è non si rompe'). Già nel 1913 la maggior parte delle moto esposte all'Esposizione di Londra utilizzano la trasmissione finale a catena, in luogo della cinghia e nel 1920 ormai tutte le moto utilizzano un cambio di velocità adiacente al motore, invece che nel mozzo come i primi sistemi. Anche l'uso delle sospensioni aumenta durante la guerra, soprattutto di quelle anteriori (come già detto prima). La Douglas inizia a produceva in quest'epoca moto a due cilindri contrapposti, disposti longitudinalmente , la distribuzione è a valvole laterali ed il cambio a due rapporti. La scelta delle cilindrate si allarga nel 1920 con analoghi modelli di 350 e 500 cc, il cambio diventa a tre velocità ed al T.T. è presente una Douglas con valvole in testa comandate da aste e bilanceri, e aria di ammissione riscaldata dai gas di scarico. Douglas Model D 340 cc 2 cilindri contrapp. 1910 La Royal Enfield durante la guerra mantiene gli stessi modelli del periodo prebellico e sperimenta una quadricilindrica 846 cc con frizione a nastro, accensione a magnete, cambio a tre velocità carburatore di tipo automobilistico ed anche qui troviamo il condotto di ammissione riscaldato da quello di scarico. La moto non và in produzione per il costo eccessivo che avrebbe avuto. Fin dall'inizio alla Scott si era lavorato su modelli per uso militare nella speranza di una remunerativa commessa; un primo veicolo viene realizzato per l'esercito nel 1913 si tratta di una moto equipaggiata con un sidecar che è praticamente la struttura del treppiede della mitragliatrice che così può entrare in funzione anche durante la marcia della moto, mentre fino ad allora il sidecar veniva utilizzato solo per il trasporto dell'arma che poi doveva essere montata ed utilizzata a terra. Il motore è raffreddato a liquido (e questo da dei problemi di congelamento) ed il nome del reparto che le utilizza si chiama 'Motor machine Gun Service' A questo primo modello che riscosse notevoli successi prima dell'arrivo di più specifici mezzi blindati a quattro ruote, segue un secondo motocarrozzino a tre ruote con le due ruote posteriori allineate e l'anteriore in linea alla posteriore sx, c'è un'estesa blindatura ed i due occupanti sono seduti parallelamente su sedili di tipo automobilistico; questo modello servì più che altro come base di studio per la Scott Sociable che viene presentato nel dopoguerra. Motocarrozzella Scott (2° tipo) La AJS nel dopoguerra produce una bicilindrica di 748 cc son cambio a tre rapporti, e nel 1920 produce la famosa 350 vincitrice al T.T. ha sei rapporti testa emisferica riportata e le valvole (in testa) sono inclinate di 90° tra loro con uno schema molto moderno ed insolito per l'epoca. La distribuzione è ad aste e bilanceri, il serbatoio era formato da due parti unite è un precursore del tipo a sella che si diffonderà più avanti consistente non più una scatola appesa al telaio ma una struttura più arrotondata appoggiata sopra al tubo orizzontale superiore che si raccorda con la sella, forma e disposizione che in moto con schema classico è ancora oggi utilizzato. AJS 350 G6 (strada) Il modello di punta della BSA nel dopoguerra è la bicilindrica 770 cc. (vedi scheda) dotata di cambio a tre marce separato, trasmissione a tutta catena racchiuso in carter e valvole laterali. Oltre a questo grosso e fortunato modello adatto all'uso con sidecar, sono prodotte le monocilindriche di 499 e 557 cc. La Triumph durante la guerra fornisce all'esercito oltre trentamila monocilindriche do tate di cambio separato a tre marce e soprannominate 'trusty Triumph' la moto in questione è il modello H (vedi scheda), dotato di avviamento a pedale ed accensione a magnete. Triumph Type H versione sidecar-1914 La Matchless cessa la produzione durante la guerra e solo nel '19 esce una nuova bicilindrica la Model H che ha cambio separato a tre marce, e sospensione sia anteriore che posteriore (vedi scheda), questo modello rimarrà in produzione fino al 1928. La Norton fabbrica durante la guerra oltre a moto per l'esercito una varietà di altri prodotti bellici. Nell'immediato dopoguerra la produzione si basava sui monocilindrici di 490 e 633 cc, praticamente analoghi ai modelli BS e BRS del periodo anteguerra (vedi scheda). Le Rudge Multi furono prodotte durante e dopo la guerra nelle cilindrate di 499 e 750 cc ed inoltre si inizia la produzione di un bicilindrico di 1000 e 889 cc, anch'esso inizialmente con cambio multi ed in seguito (già nel 1920 in campo agonistico) con trasmissione a tutta catena e cambio a tre velocità. Rudge Multi-gear 499 cc, monocil. 1923 La Ariel produce nel '19 due bicilindrici di 750 e 500 cc, con cambio a tre velocità e trasmissione a cinghia-catena e nel '22 assume Val Page che progetterà una 500 a valvole in testa e rivoluzionerà la posizione di guida delle moto adottando una sella bassissima e d un serbatoio più arrotondato facendo salire vertiginosamente le vendite della Ariel di questi anni. 40 1920-1925 Dal 1920 con la ripresa delle corse la AJS continua a sviluppare il suo monocilindrico, la 350 del '22 ha freni ad espansione, nel '23 nasce la Big Port (cioè grande 'luce' in riferimento al diametro del tubo di scarico) con sedi delle valvole riportate in bronzo posizionate sulla testa che è in alluminio (è la prima ad utilizzare questo tipo di testa), nel '24 la lubrificazione diventa tutta automatica, per tornare però a perdita nel '25. C'è anche la bicilindrica di 800 cc. AJS Big Port 1923 La Ariel oltre alla monocilindrica a valvole in testa progettata da Val Page ha in catalogo delle bicilindriche con motore Jap di 994 cc. La prima Brough Superior è presentata nel 1921, il motore è un bicilindrico Jap di 980 cc con distribuzione a valvole in testa, la trasmissione è a tutta catena e c'è un cambio separato Sturmey Archer a tre velocità. La cura e la raffinatezza con cui sono costruite le Brough Superior le valse il nome di 'Rolls delle moto' ed in effetti sono presenti particolari come rivestimenti in cromo ed un caratteristico serbatoio a goccia non comuni. Sono montati anche motori di Jap di 680 e 750 cc ed in seguito , propulsori di altre case; MAG e Matchless. La Broughg del '24 si chiama SS 80 e rimane in produzione quasi immutata fino al 1940. Brough Superior SS 80 (Jap) 1931 La BSA produce monocilindriche di 500 e 557 cc, una bicilindrica di 771 cc e nel 1924 viene presentata la monocilindrica 250 model B soprannominata Round Tank (dalla forma del serbatoio) che riscuoterà notevole successo per la sua praticità ed economia come pure nel fuoristrada (vedi scheda). BSA model B 250 cc Round Tank 1924 La Douglas che partecipa al T.T. del '23 ha un sistema di frenatura consistente in un anello solidale alla ruota contro cui viene spinto un cuneo, lo schema è praticamente quello dei freni a disco. La HRD nasce nel 1924 dall'insoddisfazione di H.R. Davis un famoso pilota, per i mezzi con cui doveva correre. Quindi decise di realizzare una moto come la voleva lui; la volle più bassa delle altre e quindi realizzò un serbatoio (ormai decisamente a sella) che si assottiglia per raccordarsi alla sella decisamente più bassa del tubo superiore del telaio che è completamente coperto dal serbatoio. La forcella anteriore è una Druid il cambio separato è Burman la trasmissione è a catena e la motorizzazione è di provenienza Jap con distribuzione sia a valvole in testa che laterali. Le moto nelle cilindrate di 350 e 500 ebbero un discreto successo e permisero a Davis di vincere al T.T. del '25. HRD 350 1925 I bicilindrici montati dalla Matchless in questi anno sulle sue moto erano di produzione MAG ed avevano la particolarità delle valvole contrapposte, la trasmissione secondaria è a catena Renold a rulli e nel '25 niene costruita la prima Matchless con distribuzione ad albero a camme in testa (vedi scheda). La Royal Enfield oltre ad un due tempi applica la distribuzione in testa su alcuni motori Jap e nel '25 realizza il suo primo motore originale (con la doppia possibilità per la distribuzione). La Rudge riesce ad emergere nella spietata lotta tra le case costruttrici di questo periodo con una nuova moto 350 cc con distribuzione a quattro valvole disposte in testa radialmente che le permette di ritornare alle corse che aveva abbandonato per un certo periodo. La moto su cui è montato ha poi freni ad espansione e trasmissione a catena con cambio S.A. a tre rapporti (in luogo di cinghia e multi gear), serbatoio a sella. Carburatore Amac alimentato ad alcool, Rudge 350 quattro valvole 1926 41 Scott Super Squirrel 1929 La Scott produce la Scott Sociable derivata dal carrozzino corrazzato precedentemente citato e nel 1922 esce il modello Squirrel basato sugli schemi già sperimentati, con motore di 486 cc cambio a tre velocità e freno anteriore ad espansione , nel '25 con la Super Squirrel la Scott ritorna al raffreddamento dei cilindri ad acqua mentre nasce anche il modello Flyng Squirrel con un più profilato serbatoio che comunque non inficia l'originale e controcorrente linea delle Scott, ed anzi accentua col suo disegno moderno, l'idea di essere un accessorio posto a colmare il vuoto al centro di un telaio otticamente ancora aperto superiormente nascondendo il tubo che collega il sottosella al cannotto che in realtà lo fa essere un telaio chiuso. Riesce cioè a mantenere la sua dinamica spinta diagonale provocata dal telaio aperto che collega i due punti principali della struttura (gli attacchi di sospensione anteriore e posteriore) adattandosi alle nuove tendenze estetiche. Scott Flying squirrel La Sumbeam in questi anni ha in listino monocilindriche di 350 480 e 596 cc in versioni Standard e Sport. La trasmissione è a tutta catena su tutti i modelli e la distribuzione di norma a valvole laterali ed a valvole in testa su alcuni modelli sport 350, nel 1925 vengono realizzati anche modelli da corsa in cui le valvole sono comandate da camme. Vi sono poi pressochè invariate le Sumbeam bicilindriche 976 cc motorizzate Jap. Ricardo famoso progettista della Triumph realizza nel '21 la Type R derivata dalla Type H da cui differisce per la cilindrata porteta da 550 a 499 è per l'adozione di una testata a quattro valvole sempre con ad aste e bilanceri. Harry Ricardo che ha progettato questo motore intuisce che quattro piccole valvole, hanno una massa in movimento in feriore a quella di due grosse e quindi possono raggiungere regimi superiori; così riesce ad ottenere 20 cv ed una velocità di punta di 120 km/h. Il cilindro è ricavato dal pieno, la trasmissione è a tutta catena, c'è il cambio separato a tre velocità, il forcellone anteriore a parallelogramma e nel '24 , che è anche l'ultimo anno di produzione adotta i freni a tamburo. Triumph Type R, Fast Roader 1923 (Ricardo) La Velocette si fa conoscere con una vittoria nel '19 alla Sei Giorni di regolarità con delle due tempi, apparteneti alla serie D2 e DL2, che si differenziavano per il tipo di telaio, tradizionale il primo ed aperto il secondo adatto per essere utilizzato con la gonna, queste moto seguono di un anno le D1 e DL1. Sono dei 220 cc, due tempi con un vasto carter accessibile da uno sportello svitabile a dx, una pompa a stantuffo garantisce una lubrificazione accurata, il telaio ha due tubi anteriori, forcella anteriore Brampton, freno posteriore è ad espansione e leva del cambio sul serbatoio. Velocette D2 1921 Sulle due tempi che partecipano al T.T. del '21 la Velocette adotta per la lubrificazione una pompa rotativa. La Coventry Eagle, Flying Eight (otto volante) del 1924 può raggiungere i 130 km/h ha un motore bicilindrico JAP di 980 cc ed una potenza di 8 cv. Trasmissione a tutta catena, forcella anteriore elastica con molla a balestra orizzontale; un modello che andò ad inserirsi come alternativa più economica nel settore delle grosse bicilindriche sportive dove il punto di riferimento era la Brough Superior. La Norton presenta nel '22 la sua monocilindrica dotata di valvole in testa azionate da aste e bilanceri e cambio a tre rapporti Sturmey Archer si tratta della Model 18 che con solo modifiche alle sospensioni e l'adozione del cambio a 4 marce arriverà fino al 1954 e può vantare due vittorie al T.T. nel '22 e nel '24. Mentre la più tradizionale Big Four 663 cc viene aggiornata con un cambio separato a 4 velocità. Norton Model 18 mono 500 18 cv 1927 46 Lo stato dell'arte nel 1925 la Motocicletta finalmente è qualcosa di ben distinto dalla bicicletta motorizzata e pur essendoci in Inghilterra una folta schiera di costruttori che utilizzano motori altrui iniziano a delinearsi le tendenze e le caratteristiche specifiche dei vari marchi. Per quello che riguarda i motori la maggiore attenzione è concentrata sul monocilindrico, anche perché la sempre maggiore complessità generale impone lunghe fasi di sperimentazione per ogni nuovo componente, sperimentazione che può essere certo semplificata riducendo il frazionamento. La cilindrata si assesta in Inghilterra sui 500 cc per il modello di punta ma viene molto apprezzata anche la misura di 350 cc che ormai può fornire una potenza più che sufficiente per tutti i tipi di uso. I bicilindrici partono dai 700 cc fino a circa 1000 cc ed i cilindri sono disposti a 'V' oppure paralleli verticali, è ormai abbandonato lo schema orizzontale. Il quattro cilindri resiste bene in America, anche se questo schema tornerà di attualità anche in europa in fasi successive. La distribuzione è oggetto di attente sperimentazioni da parte di tutte le case; alla disposizione laterale delle valvole si tende a sostituire quella in testa, nei casi più raffinati con valvole inclinate tra loro, le macchine più sportive adottano l'albero a camme mentre normalmente si usano aste e bilanceri. Le teste sono riportate e si ha un progresso generale nei materiali soprattutto delle valvole che iniziano a rompersi più difficilmente. Ci sono anche motori a 4 valvole per cilindro (come la Rudge) ma i vantaggi del sistema non sono ancora tali da giustificare le complicazioni e vi si preferisce spesso 2 sole valvole di grosso diametro; d'altra parte riuscire a capire e programmare con precisione cosa succede all'interno della camera di scoppio è una scienza molto complessa dove ancora oggi esistono non pochi enigmi e sovente scelte empiriche hanno avuto più successi di seri studi sull'argomento. Il raffreddamento come già detto è quasi sempre ad aria, (la Scott e poche altre raffinate realizzazioni sono un eccezione) i pistoni nel 50% dei casi sono in alluminio mentre per la testa si continua a preferire la ghisa. La lubrificazione è ormai universalmente affidata a pompe automatiche liberando così il conducente da almeno uno dei suoi adempimenti, e si iniziano anche a considerare fattori come la silenziosità finora fiuttosto critica a causa degli organi meccanici in movimento spesso esposti, alle alte tolleranze negli accoppiamenti ed agli scarichi liberi; e la facilità d'intervento meccanico nel tentativo di rendere sempre più appaetibile ed amichevole la motocicletta anche ad una clientela meno specialistica. La trasmissione a cinghia è quasi completamente abbandonata e di conseguenza anche quei sistemi di variazione del rapporto legati a questo schema, la catena ormai dotata di parastrappi e in rari casi racchiusa in carter umido è quasi universalmente utilizzata e solo in rari casi si usa l'albero per la trasmissione finale. Quindi si generalizza anche l'uso dei cambi di velocità, di norma separati ed aquistati dai grandi coctruttori specializzati nel settore come la Sturmey Archer; ed anche quando viene mantenuta la trasmissione finale a cinghia questa parte da un cambio separato. Rarissimi sono i cambi in blocco col motore, i rapporti sono di solito due raramente tre ed ancora più raramente quattro. I telai sono più robusti e progettati appositamente per le moto, la forma sagomata del già descritto serbatoio a sella spinge più in basso sella, posizione del pilota e baricentro della moto, la sospensione anteriore adotta quasi sempre lo schema a parallelogramma mentre la posteriore è momentaneamente accantonata per mancanza di schemi validi e perché (come già esposto in precedenza) si ritiene che il retrotreno rigido sia più stabile. I telai in lamiera stampata non hanno successo per ora a causa del peso, che inizia ad essere un dato importante, i pesi aumentano ed anche le moto più piccole sono ormai sui cento chili. Le misure dei pneumatici sono 24-2,5; 26-2,5; 26-3,00; 28-3,00 quindi la tendenza è a diametri inferiori, la ricerca nel settore è indirizzata soprattutto alla ricerca del disegno ideale del battistrada anche se già dal '25 ci si orienta verso ruote più larghe e pressioni più basse. Esistono anche ruote con perno sfilabile, con la possibilità cioè di smontare la ruota lasciando in posizione la corona (un'accorgimento che sarebbe utilissimo anche oggi, perché permetterebbe di velocizzare le operazioni di cambio pneumatici od addirittura per chi come il sottoscritto fà un uso poliedrico della motocicletta avere più treni di ruote con diversi tipi di copertone, cosa più difficile con le ruote normali su cui sono fissate corona e disco del freno, anche per motivi di costi) I freni ad espansione nonostante una certa diffidenza dei motociclisti e di alcuni progettisti, sono ormai quasi universalmente adottati. L'accensione è affidata al magnete ad alta tensione, e molte moto vengono vendute con impianti di illuminazione elettrici forniti come optional a pagamento. Dal 1924 la Bosch nota prodruttrice di componenti dell'impianto elettrico pubblica la famosa scala Bosch relativa al grado termico delle candele, che ormai dato l'aumentato numero di giri sono prodotte con caratteristiche diverse a seconda del numero dei cilindri del tipo di distribuzione del frazionamento e del ciclo (2 o 4 tempi) del motore a cui sono destinate. 50 I grandi progressi dopo il 1925 Nel 1926 in inghilterra per guidare una motocicletta basta richiedere un permesso in un qualsiasi ufficio postale, che lo rilascia senza la necessità di nessun tipo di esame; e con 580330 motociclette il egno Unito è il primo paese al mondo come numero di mezzi circolanti. Il periodo dal '26 al '30 è definito del 'New Look'; le motociclette iniziano ad avere linee meno spigolose, i serbatoi a sella arrotondati si diffondono e le selle sono anatomiche e molleggiate e non più di derivazione ciclistica, sul serbatoio ci sono protezioni di gomma per poterlo stringere bene senza rovinarlo. In campo telaistico c'è un regresso , il telaio elastico posteriore viene quasi abbandonato, per i motivi di cui si è detto e per motivi di costo, e riappare solo attorno al '30. Di seguito alcuni schemi di molleggio posteriore di moto inglesi dell'epoca: Vincent-HRD triangolo posteriore oscillante con molle cilindriche racchiusa in astuccio OEC molle cilindriche vericali in tubi cilindrici La AJS corre il T.T. del '26 con la G10 un mono 500 cc con distribuzione a valvole in testa ad aste e bilanceri; nel '27 viene sperimentato anche l'albero a camme che dà risultati buoni sulle 350 e scarsi sulle 500 e viene poi adottato anche sulle moto di serie. Nel 1930 viene presentata una bicilindrica a cilindri trasversali a 'V' di 500 cc con valvole laterali comandate da catenae trasmissione dal motore al cambio effettuata per mezzo di un albero. Una versione della 350 ad albero a camme in testa , è denominata R7 e da questa moto deriverà la 7R Boy Racer (vedi scheda). AJS R7 (30/7) 346 cc 1930 La Ariel produce nel 1930 la sua prima 4 cilindri su progetto di Edward Turner (vedi scheda), una 500 rivoluzionaria con i cilindri disposti in quadrato, due alberi a camme in testa per la distribuzione e cambio a quattro marce; si chiama Square Four, la sua cilindrata salirà poi a 600 cc nel '37 e la sua evoluzione prosegue anche nel secondo dopoguerra. Ariel Square Four 55 4 cilindri in quadrato 1932 Da quando nel 1924 Teage un giornalista di Motor Cycling definì la Brought Superior come la 'Rolls Royce delle motociclette' questa definizione entrò nel gergo degli appassionati e della stampa specializzata, fino a chè la nota casa automobilistica inviò un suo dirigente presso la fabbrica della Brought con l'intento di protestare per l'uso gratuito fatto del marchio e del prestigio della Rolls, al chè George Brought in persona invece che tentare una difesa, propose al dirigente della Rolls Royce un contratto di distribuzione delle sue motociclette e dopo avergli mostrato l'accuratezza con cui venivano costruite (gli operai utilizzavano addirittura guanti bianchi per non corrodere col sudore delle mani le cromature ) la definizione 'Rolls Royce delle motociclette' divenne lo slogan ufficiale. Nel 1927 la Brought Superior presenta la sua prima 4 cilindri, ci sono due coppie di cilindri a 'V' e la cubatura totale è di 994 cc. Nel '28 invece vede la luce un'altra 4 cilindri con motore MAG in linea di 900cc. Nel '31 finalmente le sperimentazioni portano ad una quattro cilindri prodotta in serie , la cilindrata è di 800 cc, il motore è un Austin Seven raffreddato ad acqua, si tratta di un tre ruote. Poco prima dello scoppio della guerra nasce un'altra 4 cilindri, la Golden Dream stavolta i quattro cilindri sono orizzontali e sovrapposti a coppie (in sostanza due boxer uno sopra l'altro). La trasmissione è ad albero e la sospensione posteriore telescopica. Brought Superior Dream 998 cc, 4 cil. 1938 La produzione delle Brought Superior continua fino al 1940, anche con le motorizzazioni JAP con un livello qualitativo sempre eccezionale, in totale non sono state prodotte più di 3000 Brought. Brought Superior SS 100 JAP 980 cc 1939 52 La BSA presenta nel '26 la Model S più conosciuta come Slooper (vedi scheda), una monocilindrica prodotta nelle cilindrate di 350, 500 e 600 con valvole in testa distrib. ad aste e bilanceri, telaio a due montanti (cioè due tubi anteriori che collegano il cannotto al motore); forcella anteriore a parallelogramma e cambio separato a tre rapporti. La scelta di inclinare in avanti il cilindro è dettata dalla tendenza di questi anni di rendere la moto sempre più bassa ed oltre alla sella si vuole abbassare il serbatoio e quindi per non interferire col con la testa del cilindro (che oltretutto date le temperature deve stare ad una certa distanza dal contenitore della benzina) si è optato per questa pendenza. BSA Sloper 500 1926 Questa moto con lievi modifiche ebbe un enorme successo negli anni successivi e fu la base per le successive monocilindriche che nelle versioni più sportive erano identificate dal suffisso Star ci saranno la Blue Star, la Silver Star, ls Empire Star e la leggendaria Gold Star. Nel 1930 la Matchless presenta la famosa Silver Arrow che è una bicilindrica con i cilindri a 'V' con un angolo molto stretto tra loro (vedi scheda). La Royal enfield adotta nel '26 il cambio a tre velocità sulle sue Red Squirrel e nel 1930 presenta una 500 a valvole in testa con cilindro inclinato in avanti (come la BSA Slooper) . La Rudge continua l'evoluzione del suo motore a quattro valvole in testa e la Rudge Ulster del 1929 è una delle migliori moto da corsa del mondo disponibile in versione 500 cc e 350 cc quest'ultima dotata anche di camera di combustione emisferica e valvole inclinate tra loro. La Triumph rinnova le piccole cilindrate (vedi scheda). Mentre la Velocette presenta nel 1925 una 350 con albero a camme in testa, il progetto è di Percy Goodman; è Il modello K 350 che ha distribuzione a camme in testa comandate da albero e coppie coniche, lubrificazione è a carter secco con pompa ad ingranaggi, forcella anteriore a biscottini oscillanti con molle elicoidali e i freni ad espansione interna. Velocette Model K 350 1925 Nel '29 segue la KTT 350 con albero a camme in testa, una delle prime macchine da corsa realizzate su misura per i piloti privati, che ebbe un successo strepitoso tanto che nel Manx Gran Prix del del 1930 le prime otto moto all'arrivo erano Velocette KTT. Velocette KTT (1929) Dopo questi successi vi fù anche la realizzazione di alcuni prototipi di 415 cc (su base KTT) per le corse su pista piana di cenere. La Velocette sperimenta in questi anni anche un telaio elastico con forcellone posteriore oscillante con molle elicoidali poste sotto la sella. Telaio sperimentale Velocette 1928 La Zenith oltre alle moto con motori JAP in cilindratae da 175 cc a 1000 cc (mono e bicilindriche) e Villers a due tempi, produce una 350 a valvole in testa raffreddata ad olio, i cambi sono separati prodotti dalla Burman o dalla Sturmey Archer e le sospensioni anteriori a parallelogramma della Brampton o della Druid. Le HRD degli anni attorno al 1927 tracciano la strada per quello che riguarda l'aspetto delle moto, adottando selle più basse e telai dalla linea più moderna e quando Val Page negli anni trenta indirizzerà decisamente in questo senso la linea delle BSA riconoscerà di essersi ispirato anche alle HRD di questi anni. Una motocicletta carrozzata è presentata nel 1927 dalla AJW, il suo nome è Super Four, la forcella anteriore ha un ammortizzatore telescopico, lo sterzo è indiretto , il motore è un quattro cilindri 985 cc, raffreddato a liquido prodotto dalla British Anzani. AJV , motore Austin 750 carenata, compressore 1928-29 questa stessa moto, completamente carenata viene nel '28 equipaggiata con un motore Austin 750 cc, sempre a quattro cilindri raffreddato a liquido che nella versione sovralimentata (1929) dispone di ben 70 cv. Dal 1929 la Scott inizia a sperimentare schemi motoristici diversi dal suoi tipici bicilindrici verticali raffreddati a liquido e cioè un monocilindrico 398 cc , un 650 a cilindro verticale ed un 986 a tre cilindri in linea raffreddato a liquido e nel '35 un due cilindri 650 in cui i cilindri sono invertiti, cioè a testa in giù. Scott motore a tre cilindri 1934 Una delle prime Norton dotate di albero a camme in testa fù la CS1 del1927, il telaio è a culla continua ed i freni pur a tamburo da 210 mm erano molto inefficenti. Questa moto fù soprannominata 'mazza da cricket' per la forma dell'alloggiamento degli ingranaggi elicoidali. Norton CS1 490 cc 1928 57 Anni trenta Il motore a quattro cilindri appare in questi anni il più moderno e quello destinato ad equipaggiare le moto del futuro, ma non ci sono schemi precisi per quel che riguarda la disposizione dei cilindri, in quanto lo schema in linea preso a prestito dalle automobili non è l'ideale (come si è già detto) soprattutto per motori raffreddati ad aria. Quindi gli schemi più efficaci si dimostrano quelli a 'V' , oppure in linea frontali (che poi sono le disposizioni che sono arrivate fino ai giorni nostri) Oppure quello in quadrato della Ariel che è una delle poche case che riesce a produrre quattro cilindri efficaci e soprattutto compatte con le sue Square Four, L'ostacolo alla diffusione delle quattro cilindri rimane comunque il prezzo. La maggiore affidabilità e la conseguente minore necessità di interventi frequenti sulla meccanica, accelera la tendenza a racchiudere gli organi meccanici all'interno di carter e protezioni di vario tipo. Il dibattito sulla motocicletta del futuro è molto vivo in questi anni a dimostrazione della vivacità del settore nel pieno del suo sviluppo ed una delle possibiltà che accende la fantasia di appassionati e giornalisti del settore è la possibilità di avere una motocicletta completamente carrozzata come dimostrano le inchieste di Motor Cycling. Anche pittori ed intellettuali si lanciano in fantasiose ipostesi che comunque non appaiono lontanissime da realizzazioni del prossimo dopoguerra soprattutto in campo scooteristico. Motocicletta ideale del pittore William Rossi (1930) La AJS riscuote imaggiori successi con le sue 350 monocilindriche a valvole in testa (come la R7 descritta in precedenza); e nel '31 poco prima di essere aquistata dalla Matchless, presenta una bicilindrica con una linea totalmente nuova ed originale; il motore è a 'V' frontale, (come le moderne Guzzi) con un angolo tra i cilindri di 50°, le valvole sono in testa comandate da un albero a camme esterno a sua volta azionato da una catena, il nome di questo modello è S3. AJS S3 bicil.'V' frontale 498 cc 1931 Ma come le altre case costruttrici neanche la AJS resiste alla tentazione di sperimentare a partire dal '35 una moto da corsa estrema che ebbe però poca fortuna. Si tratta di una quattro cilindri a 'V' di 50° 498,5 cc che inizialmente sviluppa una potrenza di 48,5 cv. Dal '38 si adotta il raffreddamento a liquido ed il compressore, la distribuzione è ad albero a camme sulla testa di ogni cilindro comandata da catena, il telaio è a doppia culla chiusa, la sospensione anteriore a parallelogramma mentre la posterioreè a ruota guiidata a frizione, il cambio è a quattro marce e la trasmissione finale a catena. La potenza della macchina del '39 è attorno agli 80 cv e la velocità di punta è di 217 km/h; questa moto fù la prima a compiere un giro di pista in gara ad una media superiore ai 160 km/h. AJS 495 cc 4 cil. A 'V' compressa 1939 il progetto sarà comunque abbandonato per lo scoppio della guerra e in seguito per l'attenzione rivolta dalla AJS alla bicilindrica porcospino (vedi scheda). La Matchless nel '31 assume il controllo finanziario della AJS e nello stesso anno in competizione con la Ariel Square Four presenta la sua avanzatissima quattro cilindri, la Silver Hawk (vedi scheda). Matchless Silver Hawk 1933 Alla Norton in questi anni si lavora soprattutto sulla distribuzione dei monocilindrici che dal 27 è ad albero a camme in testa e nel '37 a due alberi a camme in testa; anche le Norton ormai sono tutte dotate di telaio elastico con ammortizzatori posteriori a stantuffo, telaio soprannominato Garden Gate (cancello da giardino) per la sua linea spigolosa. Norton 500 gara 1936 La New Imperial riesce a conquistare nel 1935 il record del giro più veloce a Brooklands con una media di 186 km/h. La moto pilotata da Ginger Woods ha due cilindri a 'V' con una cubatura totale di 500 cc, valvole in testa e cambio Sturmey Archer ed a parte questa impresa non ebbe molto successo nelle gare a causa della sua scarsa maneggievolezza. New Imperial 500 1935 Dal '31 al '37 la Royal Enfield produce il modello Bullet con distribuzione a quattro valvole e le aste che comandano le valvole sono racchiuse in sedi ricavate nella fusione del cilindro, invece che protette da semplici carter montati come avvieniva di solito. Royal Enfield JF 500 4 valvole 1936 63 Anche la Rudge prosegue la produzione dei suoi monocilindrici a quattro valvole, che ora sono disposte radialmente per allontanarle tra loro e permettere così una maggiore dispersione del calore ed applica questa soluzione (le quattro valvole) anche ad un bicilindrico dotato anche di turbocompressore sperimantato nel '31. I successi sportivi sportivi ottenuti dalla Rudge nel periodo 1937-'39 con i modelli Ulster e Special dotati di testa a 4V radiali non bastano a salvare la casa dal fallimento che chiude i battenti appunto nel '39. Rudge Ulster 500, 1937 4 valvole radiali (sopra il motore) Alla Triumph negli anni trenta nascono due bicilindriche progettate dai due forse più geniali progettisti inglesi. La prima è una 650 cc; con cilindri verticali affiancati, pistoni in moto parallelo, distribuzione a valvole in testa comandate da aste e bilanceri, cambio in semiblocco, trasmissione primaria ad ingranaggi a doppia dentatura elicoidale lubrificazione a pompa ed albero motore monolitico; è stata disegnata da Val Page nel 1933. motore bicilindrico verticale progettato da Val Page per la Triumph 1933 Lo schema del bicilindrico verticale affiancato sarà soprattutto nel dopoguerra un 'classico' della scuola motociclistica inglese (oltre naturalmente al monocilindrico verticale che comunque si può considerare più universale). Poco dopo arrivò a capo della Triumph un altro geniale progettista , Edward Turner che rinnovò tutta la gamma dei monocilindrici dal punto di vista estetico e ben presto volle creare un suo bicilindrico, quindi nel '37 prendendo forse anche qualche spunto dalla Triumph di Val Page, progettò un classico della storia motociclistica inglese, la Speed Twin (vedi scheda). Questa moto aveva i pesi e gli ingombri di una monocilindrica, infatti adottava lo stesso telaio della Tiger 90 ;le Tiger 70 , la Tiger 80 e la Tiger 90 sono le monocilindriche Triumph a valvole in testa di quegli che erano state progettate da Page al suo arrivo nel '32 ed ora rinnovate con sfavillanti cromature e verniciature argentate, la cifra indica la velocità massima in miglia orarie. Tornando alla Speed Twin, a distribuzione è ad alberi a camme in testa comandati da aste alloggiate in sedi di alluminio tra i due cilindri, pompa dell'olio a doppio stantuffo con spia di segnalazione, forcella a parallelogramma e cambio separato; aveva 27 cv a 6300 giri che la spingevano a 150 km/h. Edward turner si era già fatto conoscere negli anni '20 quando aveva realizzato per la Ariel un rivoluzionario 4 cilindri in quadrato (vedi scheda) ed anche in quel caso era riuscito con la sua straordinaria capacità creativa a mettere in ombra l'opera del meno appariscente Val page che lì (alla Ariel) stava lavorando fin dal primo dopoguerra ad avanzatissimi monocilindrici plurivalvole in testa ed a un'idea di motocicletta che come si è visto risulterà poi nel decennio successivo quella vincente e cioè: sella abbassata e serbatoi a sella arrotondati. Quindi Val Page dopo l'esperienza alla Triumph passa nel '33 alla BSA dove inizia a lavorare sulle monoclindriche derivate dalle Sloper, i progetti che ne vengono fuori sono la Serie M, ilcilindro è tornato verticale. L'M20 a valvole laterali verrà poi utilizzato dall'esercito. Nel '37 una macchina da corsa che doveva chiamarsi M24 vince il l'ambita stella d'oro alla gara del British Motor Cycling Club; l'alimentazione è ad alcool e la testata ed il cilindro dovevano essere in lega leggera (anche se poi in realtà nell'esemplare in gara erano in ghisa) inizia così la grande saga delle Gold Star che si svilupperà nel secondo dopoguerra. Naturalmente la BSA non rimane immune allo scalpore suscitato dal successo della bicilindrica Triumph Speed Twin ed inizia a lavorare su una sua bicilindrica la Star Twin che però vedrà la luce solo nel dopoguerra. Un altro progetto interessante della BSA è un motore per biciclette del '38, con asse centrale fisso e cilindro torico rotante, il ciclo è a due tempi e cisono due camere di combustione per una cilindrata totale di 34 cc, un'originale interpretazione sul tema del motore rotativo. I pistoni sono due segmenti di toro e sono collegati all'asse centrale con uno spinotto, mentre la tenuta è garantita da particolari segmenti; oltre alle camere di combustione vi sono altre due camere con funzione di compressione. Comunque sia questi che il progettodi un bicilindrico verticale con con valvole rotanti vengono abbandonati per lo scoppio della guerra. Motore BSA 34 cc, due tempi a cilindro torico rotante: 1) camma dell'interruttore di contatto, 2) distributore oscillante, 3) imbiellaggio, 4) luce di travaso, 5) camera di combustione, 6) camera di aspirazione e di precompressione della miscela. A destra: schema del cinematismo di trasformazione del moto adottato. Le Velocette a due tempi intanto riscuotevano sempre meno successo a causa delle maggiori potenze raggiungibili dai nuovi quattro tempi a valvole in testa, comunque il due tempi GTP del 1930 aveva numerose raffinatezze come la pompa dell'olio regolata dal carburature per regolare la percentuale di olio nella miscela in funzione del numero dei giri, una soluzione ripresa poi negli anni settanta per primi dai giapponesi. Velocette GTP 250 cc, due tempi 1930 Le quattro tempi della serie KTT continuarono quindi ad evolversi naque nel 32 il Mark IV con testa in lega di bronzo ed alluminio. La volontà di realizzare però anche un mezzo più economica portò alla creazione della MOV una 250 ad aste e bilanceri presentata nel '33 e che poco dopo divenne la MAC 350; l'evoluzione di queste moto fù portata avanti parallelamente alle più costose Mark ad albero a camme, creando talvolta anche un'imbarazzante concorrenza interna dato che le prestazioni non erano molto diverse. Prosegue anche la sperimentazione in campo telaistico e l'attenzione è concentrata soprattutto sugli ammortizzatori posteriori ad aria e gas. Al 1939 risale invece la Velocette Roarer (ruggente) bicilindrica con compressore, il cui motore è ottenuto dall'accoppiamento di due motori monocilindrici di 250 cc l'uno, che fece solo una breve apparizione prima dello scoppio della guerra. I due cilindri sono uno fianco all'altro e gli alberi ruotano su un asse che è longitudinale alla moto, sono collegati tra loro da ingranaggio ed azionano uno (quello di sinistra) la frizione ed il cambio a quattro rapporti e l'altro il compressore nei primi prototipi il raffreddamento era ad acqua poi diventò a liquido. La trasmissione è a cardano racchiuso nel braccio sinistro del forcellone che è controllato da due ammortizzatori verticali a molle cilindriche. Velocette Roarer 69 La situazione allo scoppio della seconda guerra mondiale L'industria motociclistica inglese inizia negli anni trenta a veder minacciata la sua supremazia soprattutto in campo sportivo dalle marche tedesche ed italiane. Questo non significa che ci sia stato un rallentamento del progresso tecnico in Inghilterra, anzi al contrario è certamente il periodo piu florido del motociclismo inglese durante il quale emergono gli schemi tecnici che ne saranno la bandiera nel dopoguerra; ma semplicemente la situazione mondiale stà diventando più equilibrata. Il motore monocilindrico a quattro tempi è certamente il più diffuso per la sua direi quasi fisiologica adattabilità al mezzo a due ruote, è una scelta praticamente obbligata sulle piccole cilindrate e con i nuovi sistemi di distribuzione inizia a dimostrare anche la sua competitività rispetto al motore a due tempi (teoricamente sempre avvantaggiato a parità di cilindrata). Senza contare poi l'adattabilità del monocilindrico a tutte le tipologie di moto , anche quindi a quelle pensate per un uso in fuoristrada anche se a questa data e soprattutto durante la guerra non ci sono idee chiare al proposito tanto che spesso vengono ancora utilizzate grosse bicilindriche per percorsi fuoristradistici (come la tedesca BMW), col risultato far apparire tutte le motociclette inadatte all'uso su fango e sassi ed orientarsi quindi su mezzi fuoristrada a quattro ruote come la famosa Jeep od analoghi mezzi della Mercedes. Comunque tornano ai motori delle moto ed appurato il ruolo del monocilindrico; questi sono anche gli anni del quattro cilindri che come si è visto diventa negli anni trenta un po' il simbolo del progresso tecnologico della modernità. La corsa al frazionamento era dettata all'epoca come in tutte le epoche successive dalla ricerca di sempre maggiori potenze massime, poiché naturalmente più cilindri significano (detto molto grossolanamente) a parità di cilindrata la possibilità di immettere più miscela e di farla esplodere in condizioni ottimali, poiché è più facile gestire tanti cilindri piccoli che un solo cilindro grande, per i problemi di flusso e di accensione della miscela. C'è poi la questione del raffreddamento che è in ogni caso più facile con un numero maggiore di cilindri perché è superiore la superfice degli stessi e comunque a questo punto ci sarebbe da fare il solito discorso sulla disposizione poiche essendo per la maggior parte motori raffreddati ad aria la posizione rispetto al flusso d'aria provocato dalla corsa è fondamentale. Comunque i motori a quattro cilindri migliori di quest'epoca sono certamente quelli a in quadrato (come quello della Square Four progettato da Edward Turner) a dimostrazione che in ogni caso i problemi di raffreddamento non sono ancora preponderanti. La scelta del raffreddamento a liquido è spesso di accompagnata a soluzioni particolarmente avveniristiche, quasi a volersi garantire un margine di sicurezza maggiore per lo meno a livello termico, a fronte dei maggiori rischi dovuti a scelte più azzardate rsu altri elementi; ad esempio la distribuzione rotativa nel caso del motore di Cross o il compressore come sulla AJS V4 del '38-'39. La mia impressione è che non sia ancora una scelta dettata dalla chiara intenzione di raggiungere determinate prestazioni ma direi quasi un ripiego una scorciatoia; e che idealmente il raffreddamento ad aria sia considerato l'ottimo, se tutto il resto funziona a dovere. La distribuzione è un punto focale in questi anni; come si è detto la distribuzione a valvole laterali con la sua semplicità costruttiva mostrò ben presto i suoi limiti e pur essendo ancora utilizzata come soluzione economica da molte case in Inghilterra venne soppiantata nei modelli di punta da quella a valvole in testa che permette certamente un migliore riempimento della camera di scoppio trovandosi le valvole sopra a quest'ultima. Le valvole in testa avevano fatto la loro prima eclatante comparizione al T.T. del 1920 quando una AJS 350 con testa emisferica e valvole a 90° tra loro, vinse nella categoria delle 500. Gli ultimi anni venti e tutti gli anni trenta sono gli anni della distribuzione a valvole in testa che è ormai diventata una scelta obbligata per tutte le case su almeno un modello sportivo di punta. Anche la Rudge le dispone radialmente tra loro così da porre tra le stesse una quantità maggiore di metallo e facilitare la dispersione termica, aspetto sempre critico parlando di teste; oltretutto la Rudge utilizza quattro valvole per cilindro e quindi è stato forse proprio il maggiore affollamento della testa dovuto a questa scelta a suggerire di distanziare di più le valvole inclinandole. motore 250 cc Rudge Comunque in linea di massima le valvole in testa di solito sono parallele. Le quattro valvole per cilindro, soluzione diventata oggi la norma anche su motori non sportivi non era comunque una rarità neanche negli anni trenta, le utilizzava anche la Royal Enfield . Gli anni trenta sono anche gli anni degli alberi a camme, in alcuni casi addirittura doppi ,il primo motore inglese a doppio albero a camme in testa è progettato da Val Page per la JAP addirittura nel 1922, e nel '37 la Norton sbaraglia in gara tutti gli avversari col suo motore a doppio albero a camme. Comunque l'albero a camme soprattutto singolo è per lo meno preso in considerazione da tutte le case inglesi su tutti i tipi frazionamenti e spesso adottato sui modelli da gara per poi passare sulla normale produzione; una diffusione che non troverà poi conferma nel secondo dopoguerra quando c'è un parziale ritorno alla più economica soluzione delle aste e bilanceri. Quando è utilizzata quest'ultima soluzione si tende a coprire sempre di più le aste che portano il moto dal blocco, entro apposite scocche oppure in apposite sedi ricavate direttamente nella fusione; dell'unico cilindro nel caso della Royal Enfield (quattro valvole) ed in mezzo ai due cilindri paralleli nel bicilindrico verticale progettato da Val Page per la Triumph nel '33. Nel caso invece dell'utilizzo dell'albero a camme il trasferimento del moto avviene tramite più razionali e compatti alberelli, con conseguente sempre maggiore facilità carterizzazione del sistema di distribuzione con tutti i vantaggi che ne derivano, se poi si utilizzano due alberi a camme non servono più reanche i bilanceri di comando delle valvole, poiché un albero comanda la valvola (o le valvole) di aspirazione e l'altro albero quella (o quelle) di scarico. Nei due tempi si nota una certa diffusione di valvole rotative, mentre a livello di cambi di velocità ormai quasi tutte le case adottano cambi a quattro velocità; separati nella maggior parte dei casi ed in blocco col motore nelle realizzazioni più avanzate come nel bicilindrico del 1933 dell'ultracitato Val Page. Dal '27 in poi grazie alla Velocette si inizia a diffondere il cambio con comando a pedale in luogo di quello a leva che non rappresentava la soluzione ideale in quanto costringeva il pilota a lasciare il manubrio ad ogni cambiata e che scomparirà definitivamente dopo la seconda guerra mondiale. La trasmissione è quasi sempre affidata alla catena e raramente ad un albero. La motocicletta di questi anni è più leggera sia di quella che l'ha preceduta che di quella che la seguirà; perché per la prima volta si iniziano ad usare i metalli leggeri e le moto non sono ancora dotate di tutti quegli accessori che diverranno indispensabili nel dopoguerra (impianti di illuminazione potenti, avvisatire acustico, strumentazione ...) col risultato che una 500 che all'inizio degli anni trenta pesava sui 200 kg, nel 1940 si aggirava sui 150 kg. Il telaio è generalmente a tubi, le moto carrozzate o carenate sono per il momento accantonate, e per quello che riguarda gli scooter è un fenomeno che non riguarda in questa fase l'Inghilterra. La scelta della culla aperta è ancora la preferita per moto con motori voluminosi, soprattutto se pluricilindrici, ma non vi sono regole precise. In generale si può constatare che certamente la creazione di una grossa bicilindrica o quadricilindrica era nel complesso un progetto piuttosto gravoso ed ambizioso che quindi poteva tranquillamente comprendere anche la riprogettazione ex-novo del (certamente più razionale e compatto se integrato strutturalmente col motore come nel caso della culla aperta). Mentre nel caso di monocilindriche anche se sportive era talvolta più importante riuscire ad immettere sul mercato in anticipo sulla concorrenza una moto magari dotata di una nuovo motore più potente, utilizzando il vecchio telaio che quindi doveva essere piuttosto universale. Il serbatoio a sella arrotondato è utilizzato su tutte le moto col risultato di nascondere il trave superiore del telaio, non è più un oggetto piatto ed invisibile, ma ha un suo volume un suo peso visivo che lo fa diventare il fulcro attorno al quale ruota tutta la vista laterale della motocicletta. Questo ruolo del serbatoio è dovuto al fatto che sia l'unico elemento della motocicletta che presenti una superfice continua relativamente grande; e quindi l'unica parte con un colore diverso da quello del resto della motocicletta che in linea di massima consiste nelle varie tonalità dei metalli e nel nero che è certamente il colore più adatto alle parti esposte soggette a sporcarsi. Quindi sul serbatoio campeggiano i colori tipici di ogni marchio, ma soprattutto il marchio stesso ,il nome od il simbolo della casa costruttrice; una collocazione talmente radicata ormai nel linguaggio visivo delle moto che anche oggi volendo identificare un modello sconosciuto l'occhio cade sempre in quella zona dove c'è il serbatoio o meglio dove c'era poichè oggi spesso il vero e proprio serbatoio è nel caso delle moto da strada realizzato in plastica grezza nascosto nei meandri del telaio e poi ricoperto da plastiche più rifinite e nel caso delle moto da fuoristrada si allunga fin quasi sotto la sella (per abbassare il baricentro) che a sua volta arriva fin quasi al tappo del carburante. Negli anni trenta, il molleggio anteriore è quasi sempre affidato a sistemi a parallelogramma con quattro biscottini e mollone centrale, posto davanti al cannotto. La forcella anteriore telescopica inizia ad essere sperimentata dalla tedesca BMW ma sarà solo nel dopoguerra che questa soluzione vedrà la grande diffusione grazie agli eccezzionali vantaggi che offre soprattutto quando sarà anche idraulica (cioè con l'olio come ammortizzatore) tant'è vero che ancora oggi pare che tutti i sistemi che tentano di sostituirla siano destinati a fallire e per ultima ci stà provando proprio la BMW con il suo sistema Telelever (simile comunque ad uno schema della stessa casa del dopoguerra). Il mito dell'instabilità alle alte velocità del telaio molleggiato posteriormente, cade finalmente in modo definitivo dopo le vittorie in gara di moto così equipaggiate alla fine del decennio e quindi le richieste del mercato si rivolgono improvvisamente in questa direzione; gli schemi adottati sono numerosi i principali sono comunque a forcellone oscillante collegato al telaio da vari tipi di elementi elastici ad esempio un ammortizzatore telescopico oppure molle a frizione ecc. Si può dire ormai che la motocicletta inizia ad avere un'aspetto moderno intendendo con ciò il raggiungimento di un tipo di immagine che resterà più o meno invariato fino agli anni settanta e per certe categorie di moto anche oltre fino a diventare una specie di icona della motocicletta. L'unico elemento spiccatamente arcaico è la forcella a parallelogramma, ma a parte questo abbiamo una sospensione posteriore con due elementi elastici cilindrici, un serbatoio arrotondato e voluminoso raccordato alla sella che se anche non ha ancora la classica forma allungata non è più il sellino dei pionieri, un motore che inizia a d avere una sua fisionomia compatta ed unitaria e non più quella caotica (ma comunque altrettanto affascinante) massa indistinta di tubicini, aste, leve ed ingranaggi che era in precedenza. 64 Il dopoguerra e le conclusioni Nel dopoguerra l'industria motociclistica inglese ha un boom, le moto inglesi sono vendute in tutto il mondo e vincono su tutti i campi di gara. In inghilterra nascono competizioni come il clubman T.T. riservato a piloti non professionisti che riscuote un grande successo (fino a chè non verrà interrotto nel'55 per il monopolio della BSA). Le case inglesi negli anni 50 sono economicamente raggruppate in due grossi gruppi: la Associated Motor Cycles che comprende: AJS, Matchless e Norton ed il gruppo che fa capo alla BSA che ha inglobato Ariel e Triumph. I modelli derivano per la maggior parte da moto nate nel periodo prebellico e questo se da una parte dimostra la bontà dei progetti iniziali, certo non è un vantaggio in un mercato moderno ed ad alto contenuto tecnologico come quello della moto. Un'altra pecca dell'industria motociclistica inglese di questi anni è di non essersi mai voluta dedicare seriamente (salvo poche eccezzioni) allo sviluppo di moto di piccola cilindrata lasciando questa grossissima fetta di mercato in crescita esponenziale alle case straniere. Quindi continuarono a produrre moto di grossa cilindrata che pur continuando a riscuotere grande successo presso l'utenza più sportiva, iniziarono a mostrare i loro limiti in termini di affidabilità, di confort, di facilità d'uso in genere quando sul finire degli anni sessanta iniziarono a comparire le prime giapponesi. La produzione di moto inglesi ebbe quindi un tracollo vertiginoso negli anni successivi tanto che alla fine degli anni settanta l'unica moto inglese ancora in vendita è la Triumph Bonneville. Poi il marchio Triumph è stato recuperato con successo negli anni novanta (vedi scheda) con una gamma di moto attualmente molto interessante che comunque non ha legami, se non di immagine col passato. Negli anni ottanta poi il nome Norton è stato legato ad un motore rotativo Wankel che con tenacia e passione è stato portato in gara con risultati a volte soddisfacenti ed ha anche equipaggiato alcuni modelli stradali. Parlare di moto inglesi oggi quindi significa soprattutto analizzare le moto in listino della Triumph che pur con le premesse ora fatte può dare alcune indicazioni interessanti. Oggi è molto difficile stabilire la nazionalità di una produzione industriale di questo tipo i fattori da considerare infatti sono tanti: il luogo dove avviene materialmente la produzione (che poi comunque in parte è sempre un'opera di assemblaggio di manufatti altrui), la provenienza dei capitali necessari, la nazionalità dei progettisti, la paternità degli schemi di base adottati. La maggiore facilità di avere contatti e scambio di informazioni rapidamente con persone ed aziende lontane fisicamente tra loro permette la nascita di prodotti in cui sono riversate le capacità e le conoscenze di persone che forse cento anni fa avrebbero avuto più difficoltà ad incontrarsi. Quindi io apprezzo molto la rinascita di un marchio come quello della Triumph come da appassionato apprezzo e mi interessa la nascita di qualsiasi nuova motocicletta. Ora invece è chiaro che nel rilanciare il nome Triumph c'è anche l'intento di effettuare un'operazione nostalgia, naturalmente in modo molto garbato e solo in piccola parte. Infatti nel listino Triumph 1997 ci cono splendide moto da strada internazionali come le Daytona, un'enduro turistica che semmai deve qualcosa a gare come la Paris-Dakar in cui non c'è niente di inglese, moto da superturismo in stile Honda Goldwing come la Trophy, e moto come la Trident che con le sue linee un po' spigolose ricorda le maxi-moto anni 80 epoca in cui la scuola inglese aveva già fatto il suo tempo, per non parlare poi dell'originalissima Speed Triple attualmente confrontabile per l'effetto che provoca al primo sguardo solo con la diffusissima Ducati Monster. La mia piccolissima critica si rivolge a modelli come la Adventurer e la Thunderbird; Per quello che riguarda la prima si tratta di una cosidetta custom; la storia inizia quindi negli Stati Uniti durante i primi anni 50, in questo periodo la Harley Davidson rimasta unica rappresentante dell'industria motociclistica americana, produceva moto grosse, lente, pesanti e costose (esattamente come oggi insomma) che erano quindi surclassate nelle vendite dalle moto straniere e per la precisione inglesi che con cubature di meno della metà erano più potenti piu leggere ed anche più economiche. Così alla Harley si cercò di correre ai ripari tentando di far emanare dal governo misure protezionistiche contro le moto straniere; fallito questo tentativo e nell'impossibilità di riprogettare tutta la moto si pensò di migliorarne le prestazioni alleggerendola cioè togliendo gli ampi e pesanti parafanghi, sostituendo le voluminose selle con sellini da motocross, adottando sottili ruote anteriori senza freni, eliminando i borsoni e le barre di protezione ed altre operazioni di questo tipo; da questo lavoro di potatura deriva il nome chopper (to chop). Poi negli anni 60 questo tipo di moto viene inglobato nel fenomeno hot rod che consiste nella creazione di fantasiosissime e bizzarre motociclette con cromature e verniciature coloratissime e forcelle chilometriche. Nel '69 le splendide immagini di ' Easy Rider' diffusero in tutto il mondo la passione per i chopper. Negli anni 70 le moto utilizzate per le elaborazioni chopper non erano più solo Harley anzi per la maggior parte erano giapponesi, delle vere e proprie sculture. Qui sotto alcuni chopper degli anni 70. In europa vi sono realizzazioni artigianali a fine anni 70 di moto di questo genere fino a chè le grosse case costruttrici soprattutto giapponesi non si buttano su questo filone negli anni ottanta. In primo luogo quindi modelli come l'Adventurer sono sbagliati perchè a parte la soggettiva simpatia per operazioni di rinascenza storica; in ogni caso lo spirito originale di questo tipo di moto era quello di togliere di potare la moto da tutti gli accessori inutili e pesanti, mentre gli tra gli appassionati di custom c'è la tendenza opposta e cioè quella ad aggiungere il più possibile accessori costosi e firmati. Poi in seguito come si è visto il fenomeno si è trasformato nel senso di un'interpretazione della propria moto come una creazioni artistica, o comunque unica, e quindi anche qui ben lontano dall'idea di accessori prodotti dalla casa stessa come invece spesso avviene per questo tipo di moto. Infine queste elaborazioni erano fatte su moto moderne per l'epoca (contemporanee) senza nessuna ricerca di arcaismi o citazioni storiche gratuite, mentre oggi sembra proprio che le custom siano tanto più belle quanto più riescono ad assomigliare a moto d'epoca. In pratica voglio dire che se si volesse fare oggi una realizzazione bizzarra ed artistica con quello spirito bisognerebbe partire da un ZX-7R Kawasaki oppure da un'Honda CR 250 e non da un'Harley Davidson coi parafanghi della Indian. In Inghilterra un fenomeno degli anni 60 parallelo a quello dei Chopper americani è quello delle cosidette cafè racer che erano le moto prodotte dalle case in versioni sportivissime con serbatoi in alluminio e manubri bassi, destinate alle gare tipo il clubmans T.T. e che però venivano utilizzate anche in furibonde sfide su strada da un cafè all'altro. Ecco forse questo tipo di moto sarebbe stato più adatto se proprio si voleva fare una citazione del passato ed in particolare depassato del motociclismo inglese. La Thunderbird invece ricalca la linea delle moto turistiche di quegli anni mettendo in mostra particolari come i terminali di scarico e le decorazioni sul serbatoio; certamente nel complesso una bella moto e comunque più coerente, delle custom ma a mio giudizio rimane pur sempre una moto moderna travestita da moto d'epoca. Tornando al tema della ricerca; per quello che riguarda la trattazione generale mi sono fermato alla seconda guerra mondiale, mentre nelle schede relative alle principali case la discussione prosegue anche successivamente. Questa è stata quasi una scelta obbligata dopo essermi reso conto della complessità e della vastità dell'argomento. Trarre delle conclusioni finali è a questo punto piuttosto difficile perché credo di aver già lasciato trapelare piuttosto platealmente quali erano le mie opinioni e le mie impressioni rispetto ai vari argomenti che di volta in volta trattavo. L'Inghilterra ha certamente occupato un posto da protagonista fin dall'inizio della storia della Motocicletta; il fatto che molte delle future case motociclistiche fossero poi fabbricanti di biciclette e che quindi all'inizio pensassero alla motocicletta come all'assemblaggio di un telaio ciclistico e di un motore ha influito molto sul tipo di struttura che poi sono venute ad avere. Questa miriade di piccole fabbriche ed officine intente ad assemblare motociclette utilizzando motori e molte altre parti comuni mi fa venire in mente quello che succede oggi nel mondo dei personal computer; con componenti comuni che vengono montati e preparati da mani e menti diverse. Forse guardando quella che è stata l'evoluzione successiva questo paragone può sembrare fuori luogo ma io credo che per i pionieri inglesi di inizio secolo l'impressione fosse proprio quella di trovarsi di fronte ad un oggetto nuovo ancora tutto da inventare da definire e con in mano una vastissima possibilità di scelte tra cui muoversi, senza regole e senza costrizioni, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che questo può comportare. I vantaggi sono la possibilità di progettare manufatti senza tutti i problemi e le inerzie che può dare il far parte di grossa azienda che ponendo le esigenze economiche (sua ragione di esistere) davanti a tutto può soffocare la fantasia, la creatività del progettista. Gli svantaggi sono il senso di smarrimento e la mancanza di punti di riferimento di fronte a questa moltitudine di possibilità di scelta di motori, carburatori, cinghie e valvole; che magari poi porta a crearsi artificialmente quei punti di riferimento che mancano, imponendosi certe scelte e giustificandosele con parole tipo affidabilità, sicurezza e creando in questo modo uno standard che però è solo un qualcosa di artificioso. Naturalmente queste sono solo considerazioni personali ed i progettisti-costruttori in questione nella maggior parte dei casi sono personaggi di altissimo livello in grado certamente di cavarsela sia in una grande azienda che in un laboratorio personale, però è un dato di fatto che all'inizio per lo meno in Inghilterra la maggior parte delle case prodruttrici era poco più che una semplice officina. Oppure la produzione di motociclette era intrapresa da grosse aziende che producevano altri tipi di manufatto, per differenziare la produzione e prevenire eventuali crisi e quindi il progettista oltre a dimostrare la validità del suo progetto doveva dimostrare anche la validità della scelta di produrre motociclette invece che pentole. Quindi dopo la primissima fase dei pionieri di fine ottocento le cui storie si intrecciano con invenzioni ed intuizioni che si perdono nei secoli passati, si arriva al decennio che precede la prima guerra mondiale in cui a causa dei condizionamenti ambientali sopra descritti si assiste ad un generale livellamento delle scelte progettuali, o per essere più precisi alla tendenza verso scelte comuni. Questo porta in primo luogo alla scelta definitiva della collocazione del motore al centro del telaio, anche in questo caso si può dire che tutti abbiano sperimentato tutto per arrivare poi alla stessa conclusione. Ora non vorrei ripetere le stesse considerazioni fatte nei capitoli precedenti analizzando le tappe del progresso tecnico, però in generale si può dire che allo scoppio della prima guerra mondiale la motocicletta sia già delineata nella sua struttura generale, soprattutto a livello teorico. Mi spiego meglio; se anche la moto di questi anni appare ancora come un'esile bicicletta su cui è applicato in modo precario un piccolo motore collegato alla ruota con una cinghia di cuoio ed una selva di leve, tubi e manettini; in reltà tutte le sperimentazioni relative ad esempio al telaio molleggiato, alla trasmissione a catena, ai cambi di velocità meccanici (nel senso di 'non a puleggia variabile') erano già stati fatti ed anche se queste soluzioni non avevano una larga diffusione, ne erano ben chiari i pregi ai progettisti più attenti ed all'avanguardia. Esistevano già il raffreddamento a liquido ed i motori a quattro cilindri (la Holden ad esempio) ma è come se tutto fosse volutamente rallentato , semplificato, razionalizzato in preparazione del grande sviluppo successivo. Le soluzioni prima citate diventano nel dopoguerra la norma, l'adozione soprattutto di sistemi di frizione è secondo mè importantissima perché permettendo soste e partenze più agevoli ed un'andatura meno ossessionata dall'incubo dello spegnimento, contribuisce certo a rendere più urbana la motocicletta. Naturalmente questo come più volte ricordato in precedenza è ancora spesso ottenuto con l'antiquato sistema a cinghia, ma il risultato finale in questo caso non cambia. Poi negli anni venti inizia un grande periodo di progressi esponenziali, tutte le soluzioni sperimentate e lodate negli anni precedenti diventano realtà e sono applicate sulle motociclette di tutti i giorni. La trasmissione a catena in particolare contribuisce senz'altro ad aumentare anche psicologicamente l'impressione di affidabilità della motocicletta , (aspetto ancora parecchio critico) per quello che riguarda la persistenza del sistema a cinghia, il motivo è da ricercare ancora nella struttura delle case costruttrici inglesi. Come ho già detto in precedenza infatti le piccole dimensioni delle aziende e la complessità della progettazione di un elemento complesso come un cambio di velocità, fece sì che molti costruttori preferissero relizzare moto con scomode trasmissioni a cinghia magari puntando su un prezzo conveniente , piuttosto che rischiare. Quindi hanno trovato spazio anche sistemi di cambio come il Gradua o il Multi schemi certo di alto livello ma forse più complicati di un normale cambio ad ingranaggi. Comunque il problema si risolse quando aziende specializzate come la Sturmey Archer iniziarono a produrre cambi racchiusi in carter sigillato che potevano essere applicati a qualsiasi motore, certo da questo punto in poi l'obiettivo dei progettisti più ambiziosi è quello di inglobare il cambio nel blocco motore, ma il cambio separato resterà per molto tempo ancora un ottimale soluzione per la maggior parte dei costruttori. Dalla fine degli anni 20 a tutti gli anni trenta, l'evoluzione della moto ha un'ulteriore impennata, le valvole in testa ormai sono sinonimo di sportività e tutte le case hanno almeno un modello dotato di questo sistema. Il motore a quattro cilindri rinasce e viene identificato come ideale per la moto del futuro, potentissima e velocissima, mentre il bicilindrico a 'V' per parecchi anni sininimo di maximoto sportiva tende almeno in Inghilterra a perdere questo ruolo. Sarà il bicilindrico verticale nato nei primi anni trenta e salito alla ribalta poco prima dello scoppio della guerra il nuovo oggetto del desiderio dei motociclisti sportivi inglesi e non solo. Il compressore è l'ultima novità prima che la guerra porti via tutto, un'ultimo sogno che poi nel dopoguerra non potrà essere sviluppato poiche sarà vietato nelle gare. Quindi concludo questa parte generale, di una ricerca che nonostante le difficoltà è stata interessantissima e molto importante per me; e che spero di poter continuare e completare in futuro. Seguono le schede relative ad alcune tra le principali case motociclistiche inglesi, trattate singolarmente. Excelsior La prima moto inglese ad essere prodotta in serie e regolarmente venduta, è la Excelsior (chiamata anche Bayliss-Thomas in seguito per non essere confusa con la Excelsior americana) siamo nel 1897 il motore è un Minerva da 1,5 cv; nel 1902 si adotta un motore MMC di derivazione De Dion, ruote piccole e parecchie raffinatezze, come un manicotto antivibrazioni, un lubrificatore automatico. Nel 1903 Harry Martin, un pionere del motociclismo sportivo si cimenta per la prima volta nella storia in una prova sul miglio con una Excelsior, coprendolo in 59,8 sec il luogo è il Phoenix park di Dublino. Nel 1910 Diventa Excelsior Motor co. Ltd e nel 1914 utilizzavano motori MMC di 650 e 850 cc monocilindrici. Nel 1917 la Excelsior viene ceduta alla R.Walker e figli di Birmingham. I nuovi proprietari credono molto nelle corse e quindi la Excelsior partecipa dal 1923 in poi, regolarmente al Tourist Trophy, nelle classi 250 e 350, impiegando motori JAP e Blackburne, ed è con questo secondo tipo di motore che nel 1933 in piena crisi economica, viene realizzata una 250 da corsa soprannominata Mechanichal Marvel (meraviglia meccanica), che domina l'edizione di quell'anno. Per ottenere pero anche un successo commerciale è necessario approntare un modello più semplice come la Excelsior Manmax apparsa nel 1935 ed affiancata anche da una versione a sedici valvole ; non vinse mai il Tourist Trophy ma ottenne numerosi successi e soprattutto col modello 250 'motorizzò' molti inglesi fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra furono presentate le Talisman con motori due tempi bicilindrici (250 cc) e tricilindrici (350 cc) che però non ebbero successo. Quindi negli anni '60 la Excelsior produsse ancora modelli più popolari come il Concord da 98 cc con un primitivo telaio molleggiato a parallelogramma davanti e rigido dietro e lo scooter Monarch Excelsior di 147 cc troppo grosso e pesante; dopodichè la produzione motociclistica fù abbandonata. Excelsior Mechanich Marvel AJS La AJS nasce in quella zona nota come 'regione nera' per la tradizione carbonifera, tra le contee di Stafford e Warwick, dove la passione per la meccanica contagia alla fine del secolo scorso il fabbro ferraio Joe Stevens ed i figli: Harry, George, Jack, Joe jr. e Billy. Il primo motore viene realizzato nel 1897, un monocilindrico verticale di 406 cc, raffreddato a liquido, potenza 2,75 cv e viene venduto con successo a parecchi costruttori-assemblatori di moto. Nel 1911 la AJS ormai dedita alla costruzione di moto complete, debutta al Touristh Trophy,e nel 1913 dispone già di un modello 350 cc con novità tecniche come il freno posteriore ad espansione interna, e la trasmissione completamente a catena. Le moto AJS dispongono nel 1914 di cambio di velocità a 4 rapporti effettivi (all'epoca due rapporti erano la norma). La 350 vincitrice al T.T. del 1920 ha le valvole in testa, testa riportata in ghisa emisferica e il cambio a due catene (come nel 1914) offriva una scelta di ben 6 rapporti e la moto raggiungeva la velocità di 129,5 km/h. Nel 1927 viene presentata una 350/500 con distribuzione ad albero a camme, che però verra sviluppata con successo solo 25 anni più tardi. Imbarcatasi in produzioni non motociclistiche la AJS viene acquistata nel 1931 dalla Matchless, ma la produzione dei due marchi si mantenne differenziata almeno finoal '49, anno dopo il quale si differenzieranno solo per il marchio sui serbatoi e per i colori. AJS Porcospino Dopo la seconda guerra nasce la Porcospino così chiamata per l'alettatura sui due cilindri orizzontali, che puntando sulla sovralimentazione (come un precedente modello AJS degli anni '30) voleva contrastare nel mondiale 500 le pluricilindriche italiane; ma l'abolizione del compressore nelle gare inficia le qualità del progetto. Nonostante questo la Porcospino vince il mondiale 1949, e continua ad evolversi nel telaio, nel motore e con l'adozione di un serbatoio avvolgente ed aerodinamico, posizionato piu in basso, ma resta incolmabile lo svantaggio rispetto alle 4 cilindri continentali. AJS Boy racer Più successo ebbe invece la 7R-Boy Racer una monocilindrica apparsa nel 1948 di cui sono stati venduti mezzo migliaio di esemplari ai piloti privati di tutto il mondo. Fù in produzione fino al 1961 e dominò per anni la classe 350. La Boy Racer è l'ultima autentica AJS le cui radici affondano nel modello 350 del 1927. Motore della Boy Racer Norton James Landsdownwe Norton, un uomo profondamente religioso e dedito all filantropia, non era tipo da gettarsi in spericolate avventure imprenditoriali; eppure non ci mise molto ad intuire le potenzialità del nascente mercato motociclistico ed a orientare in questo senso la sua Norton Manufacturing Company, fondata nel 1899 e dedita alla fabbricazione di parti ciclistiche. Inizialmente Norton fornì i telai a Garrard e quest'ultimo vi montava sopra i motori francesi Clément di cui era importatore. Norton stesso iniziò a montare motori stranieri sui suoi telai, e la prima motocicletta Norton si può quindi far risalire al 1902, vennero utilizzati anche motori Peugeot e Moto Rève (svizzera). Ma il trampolino di lancio dell'azienda fù la partecipazione alla prima edizione del Tourist Trophy corsa sull'isola di Man nel 1907 a cui il pilota privato Rew Fowler scelse di partecipare con una Norton. James Norton in persona, nelle vesti di meccanico-aiutante; accompagnò il pilota che nonostante 13 fermate per problemi meccanici e salite percorse con l'aiuto dei pedali, vinse questa prima edizione del T.T. svoltasi sulla mitica isola nella classe Bicilindrici, con un motore Peugeot con i cilindri a 'V'. Dopo questa vittoria si decise di produrre il primo motore Norton, un monocilindrico di 663 cc, denominato Big Fours, per i suoi 4 cavalli di potenza. James Norton partecipò come pilota ad alcune gare (1909, 1910, 1911), con scarsi risultati (se non quando utilizzò una 'profetica' 490), ma poi per problemi fisici si dovette allontanare dall'azienda che cadde quindi in una crisi da cui si risollevò solo con l'acquisizione da parte della R.T. Shelley & Company che cambiò il nome in Norton Motors Limited. Raw Fowler con la Norton-Peugeot 1907 D.R. O'Donovan un pilota-corridore autore di diversi record, si occupava in questo periodo della messa a punto e della 'preparazione' dei motori della big Four che dopo la sua cura veniva consegnata al cliente in versione B.R.S. (Brooklands Racing Special) con una velocità massima di 112 km/h od in versione B.S. che invece raggiungeva i 120 km/h. La moto personale di O'Donovan soprannominata vecchio miracolo che battè almeno 112 record a Brooklands ed altrove, è oggi custodita al Museo Nazionale Inglese dell'Automobile a Beaulieu. Allo scoppio della guerra la Norton fornì alcune moto alla Russia (prima dello scoppio della rivoluzione) come ad altri paesi in guerra. Nel dopoguerra; dopo un breve periodo di eccezzionale richiesta di mercato, in cui come altre aziende la N. raccolse ogni tipo di residuato bellico, per poi rivendere moto assemblate, venne la necessità di progetti innovativi. James Norton aveva nel cassetto, l'idea di un motore a valvole in testa e distribuzione desmodronica. Il primo prototipo toccò i 145 km/h (il record della classe 500) a Brooklands nel 1922, pilotata da Rex Judd. I successi al T.T. non furono eclatanti ma il modello stradale che ne derivò il Model 18 ebbe successo; la trasmissione finale era a catena, due valvole in testa, distribuzione (aimè!) ad aste e bilanceri e cambio separato a tre rapporti di produzione Sturmey-Archer. Anche la Big Four continuò ad essere prodotta con aggiornamenti estetici ed in seguito con l'adozione di un cambio Norton a 4 rapporti (di cui fù dotata anche la Model 18) Il fondatore della Norton morì il 21 aprile 1925 senza poter vedere i più eclatanti successi delle sue creazioni. Norton 500 del 1925 aste e bilanceri, cambio Sturmey Archer Nel 1927 Walter Moore (un brillante progettista) crea per la Norton un motore con distribuzione ad albero a camme in testa, soluzione che si era già dimostrata vicente sulla Velocette al T.T. del '26. Il motore di Moore era un 490 cc (misure 79 x 100), l'albero di distribuzione dotato di coppie coniche alle estremità sale sul lato sinistro del cilindro. Per la prima volta viene usato un telaio a culla chiusa completa che venne poi adottato anche su una versione del model 18 denominata ES2. La crisi del 1930 non fù fatale per la Norton che aveva una posizione piuttosto solida. Joe Craig affiancato da Arthur Carrol, proseguì il lavoro di Moore (che nel frattempo era passato alla NSU) soprattutto nella direzione di una maggiore facilità di manutenzione. Piloti di grosso calibro, come: Jimmy Guthrie, Jimmy Simpson, Tim Hunt, 'Crasher' White, Stanley Woods, Harold Daniel e Freddie Frith ottennero tra il 1931 ed il '39 innumerevoli successi. La linea piuttosto squadrata dello schema telaistico valse alle Norton di questo periodo il nomignolo di 'Norton cancello da giardino'. Nel 1939 nonostante gli sforzi di Craig che riuscì a 'tirarne fuori' ben 52 cv, il monocilindrico Norton iniziò a cedere allo strapotere della BMW la moto simbolo proprio della nazione a cui da lì a poco la gran Bretagna dichiarò guerra (e non in campo sportivo). In questo periodo tutte le innovazioni tecniche sperimentate sui mezzi da competizione passavano direttamente alla produzione di serie e questo rappresentava certo una notevole attrattiva per chi intendesse correre come pilota privato; è sempre stata una costante della produzione motociclistica inglese, la commistione cioè di mezzi di serie e da corsa, dovuta forse anche alle dimensioni mai eccessivamente grandi delle aziende e quindi alla necessità pratica di sfruttare tutte le risorse progettuali disponibili in mancanza di uffici progettazione specifici per ogni settore. Per il fuoristrada c'era in produzione un modello pronto gara che in pratica era un diverso allestimento della moto stradale, con ruote artigliate, scarico rialzato, e sella di gomma. Durante la guerra la Norton fornì all'esercito numerose 16H (un modello ormai datato) che nonostante le scarse capacità fuoristradistiche fù utilizzato in tutti i climi e latitudini. Nel 1948 fù introdotta la forcella anteriore telescopica della AMC, nel 1950 il telaio denominato 'letto di piume'. In questi anni Geoffrey Duke entra a far parte della squadra Norton assieme a: Artie Bell, Harold daniel, e Jonnhy Lockett; e vincerà tre titoli mondiali con la N. Nel 1948 viene presentata la Dominator, con motore a due cilindri verticali, di 497 cc. La sospensione posteriore fù dotata nel 1953 di forcellone oscillante, ed il telaio 'letto di piume' fù sostituito, la cilindrata raggiunse i 750 cc col modello Atlas. Norton Atlas Nel 1958 venne presentata la Jubilee 250, e la 350 Navigator bicilindriche. Seguirono vari problemi economici dell'azienda finche nel 1958, una volta ritrovata la serenità venne presentata una nuova bicilindrica, la Commando. La cilindrata era di 750 cc, ma fù poi portata ad 850 cc, il motore era per la prima volta montato su supporti elastici antivibrazioni (Isolastic), in seguito venne dotata di avviamento elettrico, è stata Motocicletta dell'anno 5 volte consecutivamente, e fino al '77 è stata di diritto in quel settore che si può definire Maximoto o Supermoto stradali, in lotta agguerrita con giapponesi ed italiane. Norton Commando riedizione '77, 58 cv a 6000 giri/min., vel. max. 178 km/h Triumph Quando Siegfried Bettman arrivò in inghilterra dalla Germania, nel 1884 lavorò prima come interprete; poi iniziò ad importare macchine da cucire ed infine a importare e produrre biciclette, sull'onda del crescente interesse per il settore in tutta europa. Il nome 'S.Bettman & Company' suonava però troppo poco inglese, quindi venne cambiato in 'The Triumph Cycle Company'. Nel 1887 un altro tedesco l'ingegnere Maurice Schulte entra nella società, ormai gli affari vanno a gonfie vele, ma nonostante l'interesse e le sperimentazioni nel settore, i tempi non vengono ancora giudicati maturi per la produzione di motociclette. Solo nel 1902, i due soci decidono di utilizzare i motori Minerva da 1,75 cv, su un telaio ciclistico. La prima vera motocicletta Triumph, è però del 1904; adotta un motore Fafnir da 3 cv, montato verticalmente su un vero telaio. Charles Hathaway crea nel 1904, una motocicletta di 298 cc, con valvole laterali ed albero motore su cuscinetti a sfera, telaio rigido con forcella a doppio tubo anteriore ed accensione a magnete come 'optional' (invece che a bobina-ruttore). Con questa macchina Ixion (il reverendo Basil H. Davies) noto collaboratore della rivista 'The Motor Cycle' riesce a percorrere un totale di 2050 km in sei giorni, (pur dopo un tentativo fallito a causa dell'usura eccessiva di cilindro-segmenti e della rottura della forcella anteriore rigida). Questa impresa frutto più che altro della passione, servì come lancio pubblicitario ed a migliorare il modello del 1906 che utilizzava diversi materiali per il gruppo termico ed un telaio a tubo anteriore unico. Nel 1907 vengono adottati volani stampati in acciaio con bordi in ghisa, e lo stesso anno all'Isola di Man il pilota Jack Marshall conquista il secondo posto. La cilindrata era stata portata a 475 cc, la fusione del cilindro era realizzata con un modello di ottone e questo garantiva una maggiore precisione; il carburatore a due vaschette era una realizzazione Triumph. Come optional si poteva avere il cambio a 3 velocità Sturmey-Archer oppure una trasmissione finale a cinghia con rapporto variabile, la cui particolarità era però che per cambiare il rapporto bisognava fermarsi ed intervenire con una chiave inglese ! I successi al T.T. continuano a spingere la produzione di serie (nel 1909 vennero prodotte 3000 macchine) ed a esserne il banco di prova per le innovazioni tecniche, come la frizione a dischi multipli inserita nel mozzo. Nel 1910 Albert Catt, programmò un'impresa incredibile da compiersi con una Triumph di serie; percorrere 3200 km in sei giorni, in pieno inverno con ghiaccio e neve, all'epoca non esisteva nessuna rete di assistenza stradale e le strade stesse non erano asfaltate. Catt si scontrò con un camion, poi grippò, riuscì a riparare il motore da solo, ma alla fine riuscì ad arrivare a solo poco più di 3000 km. Quindi riprovò sei mesi dopo riuscendo a percorrere stavolta ben 3800 km; il prezzo che dovette pagare per quest'impresa su una moto senza sospensione e con sottilissime ruote fù un disturbo al cuore che lo accompagnò fino alla fine della sua vita. Triumph 1910, monocilindrico, valvole laterali, 3,5 cv, frizione nel mozzo, senza cambio. Sempre nel 1910 Shulte iniziò la sperimentazione su un motore bicilindrico, prima analizzando una realizzazione francese, poi con la costruzione di un prototipo di 600 cc, in cui i due cilindri verticali si muovevano alternativamente (a differenza che sui successivi bicilindrici) , albero a camme centrale longitudinale comandato da ingran. obliqui. Nel 1913 invece Hathaway progetta la Triumph Junior con motore due tempi di 225 cc, sprovvista di frizione e messa in moto, ma con un cambio a due velocità al manubrio. La monocilindrica 4 tempi standart, del 1914 con cilindrata portata a 550 cc, (ed ancora senza cambio), fù inizialmente ordinata dall'esercito inglese ma subito dopo fù il Modello H a rappresentare il grosso delle ordinazioni militari. Questo modello aveva inizialmente trasmissione primaria a catena e finale a cinghia, nel 1920 venne adottata la catena anche per la finale e per assecondare i gusti del pubblico abituato alla maggiore 'dolcezza' di trasmissione della cinghia, fù utilizzato anche un parastrappi sul modello denominato per questo motivo Spring Drive (trasmissione elastica). Modello del 1919, realizzato per il T.T., 499 cc, 3,5 cv, trasmiss. Finale a cinghia. Nel 1921 le valvole vengono incorporate nella testa,ed inizia un periodo di sperimentazioni sui campi di gara, rivolte soprattutto allo sviluppo di distribuzioni a quattro valvole e valvole laterali su un motore di 498 cc. ad opera di Harry Ricardo e il maggiore Frank Halford che durarono fino al 1924. Motore Triumph 1921 progettato da Ricardo ed Halford Triumph T.T. 1927 bicilindrico, 2 valvole per cilindro serbatoio olio separato. Nel 1923 la Junior fù maggiorata a 250 cc, e nel '26 fù tolta dalla produzione. Il Modello LS di 346 cc,invece nonostante raffinatezze tecniche come il cambio in blocco, frizione a dischi metallici, e freni ad espansione interni (nei mozzi) ebbe scarsissimo successo. Grosso successo ebbe invece il Modello P, presentato al Salone di Londra del 1924, aveva valvole laterali, 484 cc., e soprattutto un prezzo imbattibile sul mercato. I successivi modelli denominati N,Q e QA, furono poi aggiornamenti del modello P. Nel periodo 1928-29 l'impegno dell'azienda si concentrò più sul settore automobilistico, e la produzione motociclistica si ridusse ai modelli più significativi. La sportiva di 498 cc.(Ricardo, Halford) a due valvole, rappresenta il modello di punta di questo periodo, in cui viene anche adottato il serbatoio,sella. Triumph 1929 La crisi economica del 1930, spinse verso cilindrate più contenute, come la 150 cc. Skyes, monocilindrica a valvole in testa. Val Page, dal '32 in poi rinnova tutta la gamma dei monocilindrici e progetta un nuovo bicilindrico, 650 cc., con cambio in semiblocco, lubrificazione a pompa ed albero monoblocco, questa moto vinse una medaglia d'argento alla sei giorni internazionale del '33. Un cambiamento di strategie aziendali portò poi alla divisione del settore moto da quello auto. Il segnale di questo cambiamento fù la presentazione nel 1937 della Speed Twin un bicilindrico verticale totalmente nuovo, che ebbe un grande successo in tutto il mondo e fù seguita nel '39 da una versione potenziata denominata Tiger 100 (progettata da Edward Turner) Triumph 500 Speed Twin 1937 Una nuova 350 bicilindrica fù prodotta per l'esercito ma quasi tutti gli esemplari furono distrutti durante i bombardamenti su Coventry,. Nel periodo bellico fù prodotto un motore bicilindrico di 500 cc., AAPP (Airborne Auxiliary Power Plant) che serviva ai generatori di energia elettrica per i bombardieri, la testa e il cilindro erano in alluminio-silicio per motivi di peso. In tempo di pace questo motore venne montato su una versione della Tiger 100 dotata anche di un'inedita sospensione all'interno del mozzo,e sul modello TR5 che ebbe un grande successo nel Trial nello Scramble e nella Regolarità. Una nuova 350 bicilindrica venne aggiunta alla gamma. La Triumph Grand Prix del 1947 era una monocilindrica 500 cc, destinata alle corse, non era una moto ufficiale ma un'ottima arma per i piloti privati. Triump Grand Prix '47 Nel 1949 la Thunderbird una 650 cc., due cilindri verticali và ad inserirsi nel nascente mercato americano delle moto inglesi, ed a motorizzare le pattuglie della polizia stradale di molti paesi, la cilindrata di 650 cc viene adottata poi anche sui modelli Tiger 100, che poi diventerà Bonneville. La Triumph viene assorbita assieme alla Ariel, dalla BSA nel 1951 ma per un certo periodo le produzioni si mantengono distine. Nel 1968 viene invece presentata la tricilindrica Triuph Trident che ha poche differenze dalla BSA Rochet Three (quest'ultima monta il motore in posizione inclinato mentre sulla Triumph è verticale). Il telaio delle 650 fù modificato con l'adozione di grosso tubo soperiore con la funzione aggiuntiva di serbatoio dell'olio. Nel 1973 la Triumph-BSA fallì, le fabbriche vennero inglobate dal gruppo Norton-Villers e dopo varie e complesse vicende economiche, lotte sidacali e politiche la produzione riprese nel '74 con la produzione delle Bonneville e della Tiger 100 di 750 cc, ma solo nel '77 la produzione si stabilizzò e per rinnovare la bonneville ormai datata, venne presentata nel '78 una nuova bicilindrica. Triump Trident anni 70 4 cilindri La Bonneville rimane in produzione fino alla fine degli anni'80, ma una bicilindrica di 750 cc con 50 cv non può essere un'attrattiva che per pochi fedeli appassionati ed infatti il nome Triumph cade quasi nel dimenticatoio. Le cose cambiano agli inizi degli anni '90 quando il marchio viene recuperato con le solite complesse operazioni finanziarie e nasce una nuova generazione di motori con 3 e 4 cilindri, rispettivamente di 900 e 1200 cc. Motori moderni naturalmente a 4 valvole per cilindro, raffreddamento a liquido e potenze da 85 a 128 cv, ora la Triumph ha un listino completo di cui di seguito esporrò una breve carrellate fotografica. L'enduro Tiger 900 è una granturismo senza troppe pretese fuoristradistiche dato il peso (209 kg) ma che detiene il primato dell'enduro più potente in commercio con 85 cv, grazie al suo tre cilindri. Tiger 900 1997 Il settore custom è rappresentato dalla Adventurer 900 che però ha rispetto ad analoghe realizzazioni di altre marche più recenti un reale collegamento col passato, in particolare nel disegno del serbatoio. Triumph Adventurer 900 La Thunderbird 900 pur inserendosi nello stesso filone nostalgia, si rifà ad un più coerente stile inglese invece che a quello americano tipo Harley Davidson, nel confronto con la Adventurer (con cui condivide tutta la meccanica) si nota infatti una tradizionale sella a due posti ed in generale sovrastrutture più classiche. E' una moto molto di moda. L'attuale Trident che riprende il nome del modello degli anni '70, interpreta il tema della sportiva nuda, disponibile nelle cilindrate 750 e 900 (sempre a tre cilindri) si riallaccia con le sue linee spigolose alle maxi-moto dei primi anni '80, quando ancora non erano diffuse le carenature sulle moto da strada. Trident 900 1997 Per il turismo a largo raggio è presente nel listini Triumph la Trophy (900 e 1200) dotata di bellissimi gruppi ottici ellittici. Trophy 1200 La Daytona è invece il modello più sportivo, anche in questo caso 900 o 1200 può confrontarsi ad armi pari con giapponesi ed italiane, dispone di rispettivamente 128 e 147 cv. Daytona 900 T595 Infine una moto eccezzionalmente bella che ha stupito un po' tutti alla sua uscita, (molti l'avevano scambiata per una special) è la Speed Triple 900 T509, in cui è esibito il bel telaio in tubi accoppiati tramite saldatura e sul cui manubrio è fissato un insolito gruppo ottico. Triumph Speed Triple 900 T509 1997 Matchles H.Collier iniziò insieme ai figli Charlie ed Harrya fabbricare biciclette a Plumstead alla fine del secolo scorso, la prima realizzazione motociclistica è l'installazione di un motore De Dion da 2,75 cv, sulla ruota anterioredi un telaio. Ben presto il motore viene spostato dietro la sella ed infine nella classica posizione, al centro della triangolazione del telaio. Prima Matchless prodotta 1902 Nel 1904 dopo una infruttuosa esperienza con un veicolo a tre ruote (molto di moda in quegli anni) viene sviluppata una nuova moto, equipaggiata con motore bicilindrico JAP, sospensione posteriore a forcellone oscillante e le forcelle anteriori a biscottini oscillanti. Harry Collier partecipò con questa macchina alla International Cup Race in francia nel 1905 e nel 1906 assieme al fratello Charlie, che riuscì ad arrivare terzo in questo secondo anno. Charlie partecipò quindi al primo T.T. del 1907 vincendo ad una media di 61 km/m la categoria monocilindriche, con un mezzo dotato di motore JAP a valvole in testa e carburatore B&B che l'anno seguente divenne un modello di serie, (oltre che disponibile per i piloti privati) 250 cc, tre marce. I successi dei due fratelli Collier continuano nel T.T. del 1909, e sulla nuova pista di Brooklands; nel T.T. del 1911 Charlie regala la vittoria alla Indian poiché viene squalificato per non aver fatto il rifornimento al suo box. Nel 1912 l'introduzione del cambio a tre velocità nel mozzo comportò il ridisegno del telaio, si rinunciò all'ammortizzamento (che però rimase su un modello da competizione dotato di cambio a 6 velocità), e venne curvato in corrispondenza della sella per abbassarla. Matchless 2B cambio a tre velocità Ma sempre nello stesso anno si iniziò la produzione in proprio di motori prima con un monocilindrico di 250 cc. Subito accantonato in favore di un bicilindrico, montato sul nuovo modello 8B(in seguito diventerà 8B 2) con ruote intercambiabili,cambio separato a tre marce, accensione a magnete, frizione a pedale, trasmissione primaria e secondaria a catena in carter e freno a tamburo posteriore; questo modello era particolarmente indicato per l'uso con sidecar. Modello 8B Dopo la guerra, viene prodotto il modello H sempre bicilindrico di 965 cc., il cambio è separato racchiuso in carter, impianto di illuminazione elettrico, e forcella anteriore a parallelogramma e posteriore a molle verticali, sincronizzate con quelle del sidecar. Nel '23 venne realizzato un mono 347 cc con distribuzione ad albero a camme per le corse e nel '24 un 591 cc, che andava ad affiancare nella produzione di serie i bicilindrici-sidecar. Il 347 aveva aspirazione e scarico nella parte anteriore del cilindro ed un serbatoio più moderno, non più inserito tra i tubi del telaio. Il nuovo bicilindrico del 1925 di 990 cc. Era uno dei più potenti dell'epoca per le moto senza sidecar. Nel 1927 in occasione del Salone Motociclistico di Londra venne rinnovata tutta la gamma, in particolare tutti i nuovi modelli avevano il serbatoio carburante realizzato con due pannelli bianchi tenuti insieme da due strisce d'acciaio rivestite in nichel. Del '29 è il nuovo 250 cc , ed il V5 di 586 cc, munito di sidecar, entrambi i modelli monocilindrici a valvole laterali, ed il 586 con testa del cilindro riportata. Un nuovo razionale motore a 'V' naque nel 1930 era un 400 cc, l'angolo molto acuto tra i cilindri (26°) lo faceva assomigliare ad un bicilindrico verticale affiancato, la moto su cui venne montato fù chiamata Silver Arrow. I due cilindri erano fusi in blocco unico; analogamente le due teste, e le valvole disposte verticalmente al loro interno ricevevano il moto da un unico albero laterale, l'alimentazione arrivava da un tubo unico ricavato nella fusione dei cilindri, il serbatoio dell'olio era imbullonato nel carter, quindi tutto il complesso risulta molto compatto, senza organi esterni in movimento e senza tubi dell'olio esterni. La forcella anteriore era a parallelogramma e la sospensione posteriore a triangolo oscillante con molle elicoidali e due ammortizzatori a frizione di gomma regolabili a mano. Questa moto rivoluzionaria non ebbe successo a causa della bassa cilindrata della insolita silenziosità che mal si conciliava con le richieste conservatrici degli utenti. Matchless 400 Silver Arrow, bicilindrica, 1930 Nel '31 appare un'altra novità, la Silver Hawk, montava un motore quadricilindrico 593 cc. a 'V' con un angolo molto acuto tra i cilindri. Anche questo era un motore eccezzionalmente all'avanguardia, ogni fusione comprendeva due cilindri, la distribuzione era comandata da un'unico albero verticale mosso da coppie coniche, l'albero motore era composito, il motore montato trasversalmente nel telaio dotato di sospensione posteriore a forcellone oscillante con silent-block come sulla Silver Arrow. Il cambio della Silver Hawk, era uno Sturmey-Archer separato, a 4 rapporti e sul manubrio era montato un pannello-strumentazione, ma anche questa realizzazione non ebbe molto successo motore a 4 cilindri della Silver Hawk 1931 Nel '31 venne anche modificato il telaio delle monocilindriche allo scopo di montare il motore inclinato, e l'estetica generale delle moto fa un passo avanti, le cromature si sostituiscono ai rivestimenti in nichel, le gomme a tallone vengono sostituite con quelle a cerchietto e per la prima volta compare sui serbatoi la 'M' (per ora senza ali laterali). Nel 1931 la Matchless aquista la AJS che stava attraversando una profonda crisi economica senza però portare ad una sovrapposizione dei marchi, almeno fino al 1949. Un successo Matchless di questi anni fù il modello D/5, una 498 cc. Molto leggera (meno di 100 kg a pieno carico) e per questo motivo rientrante nella categoria motoleggere che aveva agevolazioni fiscali,. Il vecchio bicilindrico 990 cc. Rimase in produzione fino alla fine degli anni trenta, mentre le innovative Silver Arrow e Silver Hawk resistettero alle dure leggi del mercato, solo fino a (rispettivamente) 1933 e 1935. Dal 1935 in poi nascono le serie Clubman e Clubman-special e conteporaneamente la lunga serie dei modelli G che con continue evoluzioni raggiunse livelli notevoli, la distribuzione era a valvole in testa e piu raramente a valvole laterali, in alcuni modelli vi erano molle a spillo sulle valvole e coperchi delle punterie alettati. La G5 che partecipò al T.T. del '35 era un 498 cc. Monocilindrico a valvole laterali e distribuzione interamente racchiusa in carter. Anche un'altro famoso marchio venne acquistato nel 1938, la Sumbeam la nuova società divenne 'Associated Motor Cycles Ltd.' Ed alla 'M' del marchio crebbero le ali. Nel 1941 sulle Matchless si iniziarono ad adottare forcelle anteriori telescopiche secondo lo schema che oggi sarebbe definito upside-down. Il brevetto di queste forcelle è della AMC; già la BMW e la Norton avevano adottato forcelle telescopiche, ma il sistema Teleidraulic-AMC aveva in più la funzione di ammortizzamento ad olio. Ottantamila esemplari di G3 e G3L ( L indica i modelli dotati di forcella Teleidraulic) furono forniti all'esercito inglese durante la guerra. Nel dopoguerrà si risvegliò il mondo delle competizioni e la Matchless presentò una G3L da regolarità, era più alta dal suolo delle normali G3L aveva pneumatici da competizione, era privo di impianto di illuminazione e con questo mezzo Hugh Viney ed altri piloti ottennero eccezzionali successi in tutte le gare di regolarità internazionali. Nello Scrambler vincevano i piloti Eddie Bessan e Basil Hall e nelle gare su piste d'erba c'era invece Jack Colver (figlio di Bert Colver) a tenere alti i colori della Matchless. Matchless 49-G3LS monocil. 347 cc. 1948 Il 1948 vede la presentazione della bicilindrica G9 (cilindri verticali) 500 cc., dotata di cuscinetto centrale sull'albero motore, e sospensione posteriore a forcellone oscillante ed ammortizzatori telescopici idraulici di produzione Matchless. Matchless G9 1954 bicil. 594 cc. Nel '52 la G9 bicilindrica si evolve nella versione da corsa G45 che doveva essere l'atteso modello per il ritorno alle corse su strada, ma i tentativi di Peter Murphy e Pip Harrys non portarono a grandi risultati. Solo nel 1954 viene adottata la sospensione posteriore a forcellone oscillante sulle moto da competizione dove per una vetusta interpretazione telaistica, non era mai stato abbandonato il telaio rigido; nella fattispecie sul bicilindrico G11 e per la prima volta compare il freno a tamburo centrale. Nello stesso anno muore il fondatore Charlie Collier la G9 lascia il posto alla G11 con una cilindrata di 592 cc. che successivamente (nel 1958) diventerà G12 con 646 cc. Matchless G12 bicil. 646 cc. 1958 Il G12 viene realizzato anche in una versione più sportiva il CSR ed una scrambler. Del '58 è anche il nuovo monocilidrico G2 di 250 cc. Con la particolarità del cambio in blocco (nella stessa fusione) nel motore. Matchless G5 monocil. 350 cc. 1962 Il modello da corsa G45 viene sostituito dal monocilindrico ad albero a camme in testa G50 (analogo alla AJS-7R) una moto in diretta concorrenza con la Norton 500 di cui non riuscì mai ad egualiare i successi se non in gare brevi. Matchless G50 monocil. 498 cc. 1958 Nel '65 la Matchless si fonde con la Norton e la produzione continua con una 750 bicilindrica in versioni turistiche e sportive motorizzata Norton-Atlas ma l'interesse verso il marchio Matchless era in fase calante, e venne completamente a mancare quando fù presentata la Norton Commando su cui si concentrò tutta l'attenzione dei vertici aziendali. Ariel ...come lo spirito dell'aria nella commedia di Shakespeare 'La tempesta' è questo il nome che nel 1870 James Starley e William Hillman diedero al loro brevetto per sottolinearne la principale caratteristica; la leggerezza. L'invenzione in questione è nientedimeno che la ruota a raggi, un oggetto destinato a rivoluzionare l'idea (ed il peso) della bicicletta ed a rendere possibile la nascita stessa e la crescita della motocicletta. Quindi Ariel fù il nome della nuova società nata quando nel 1890 James Starley fuse la sua azienda con la Westwood Manufacturing Company di Birmingham e tra le tante altre cose si iniziò a produrre cerchioni e copertoni. La Ariel si affaccia sul mondo dei motori nel 1898 con un quadriciclo con motore montato posteriormente dietro l'assale, subito sostituito con un triciclo in cui il motore era montato centralmente. Triciclo ariel 1898 Il primo motociclo prodotto nel 1902 era più avanzato rispetto a quelli della concorrenza e per questo motivo fù scelto a rappresentare l'Inghilterra pilotata da J.S. Campbell alla Coppa Internazionale del 1905, alle cui prove libere la Ariel riuscì a spuntare il miglior tempo alla media di 66 km/h. Una avanzata motocicletta a due tempi dotata di cambio a tre velocità ,frizione ed avviamento a pedale ed un peso molto contenuto, era stata progettata in questi anni da Jack Sangster (figlio di Charles), ma gli eventi bellici impedirono alla Arielette (questo era il nome scelto) di venire alla luce. Ariel modello da corsa 1914 Nel dopoguerra dopo la realizzazione di una vetturetta a quattro ruote chiamata Ariel Nine, la Ariel reclutò tra i suoi progettisti Valentine Page autore di un notevole motore ad albero a camme in testa,portandolo via alla JAP. Page progettò subito una 500 cc. a valvole in testa Ariel turismo 1918 Ariel monocilindrica, 3 marce, 1924 e successivamente nel 1926 una 557 cc. A valvole laterali, che grazie a dimensioni di interasse molto compatte, una posizione della sella più bassa del solito e l'insolito serbatoio a sella (che comunque non era una novità assoluta), incontrò un notevole successo. A fine anni venti, viene presentata la Colt una maneggevole 250;mentre Page stesso lavora al progetto di un monocilindrico ad 8 valvole col cilindro molto inclinato (quasi orizzontale). Un impresa di questi anni, degna di essere citata è l'attraversamento della manica, andata e ritorno a borbo di una motocicletta Ariel 500 dotata di galleggianti ed una semplice elica azionata da una corona addizzionale; artefice di questa impresa è Harry Perrey noto pilota di trial, ma soprattutto specialista di imprese spettacolari-pubblicitarie come questa o come l'arrampicata del monte Snowdon (la più alta cima del Galles) compiuta da un nutrito gruppo di motociclette, in questo caso BSA. Nel frattempo un'altra storia si incrocia con quella della Ariel quella di del giovane ingegnere Edward Turner; che alla fine degli anni venti decise di dedicarsi allo sviluppo di una tipologia di motore, il quattro cilindri, molto diffuso allora soprattutto negli Stati Uniti (per quanto questo oggi possa suonare insolito). La disposizione dei cilindri era allora aveva quasi sempre in linea in senso longitudinale alla moto;e questo naturalmente implicava misure di interasse molto elevate con tutti i problemi di scarsa maneggevolezza che ne derivano. Turner (che già aveva realizzato un prototipo di motore monocilindrico 350 ad albero a camme in testa), ebbe quindi una geniale idea, cioè di disporre i quattro cilindri in quadrato e cominciò a lavorare a questo motore nella sua casa-officina a Dulwich. Oggi il mondo della motocicletta, e mi riferisco sia ai produttori che ai motociclisti è molto diffidente rispetto alle novità, i progressi sono pochi e qualunque nuova soluzione per affermarsi deve superare un lungo tirocinio disseminato di pregiudizi di vecchie abitudini di categorizzazioni di strategie aziendali, e di comparazioni col vecchio non sempre obiettive; mentre nell'epoca pioneristica della breve storia della moto c'era molta più voglia di sperimentazione, di novità, di innovazione, un'entusiasmo per la tecnologia che forse oggi ritroviamo più in altri settori (come l'informatica ad esempio) , tanto che da appassionato di moto relativamente ignorante della sua storia, non finisco mai di stupirmi quando studiando motociclette di questi periodi scopro soluzioni che mi erano state spacciate per novità assolute ed erette quasi a bandiera di moto anni '80-'90. Quindi stupisce un po' vedere che quando Edward Turner presentò il suo progetto alle maggiori fabbriche di moto si sentisse rispondere unanimemente 'Nò grazie' evidentemente il suo schema era troppo ardito ache per quel periodo; finche non arrivò da John Sangster, un dirigente della Ariel che credette nel suo quattro cilindri in quadrato. Lo Square Four 500 cc di Turner è in pratica un bicilindrico accoppiato poiché ha due alberi motore trasversali al senso di marcia (vedi disegno) collegati da ingranaggi,il moto è trasmesso al cambio dall'estremità sinistra dell'albero posteriore e la distribuzione è ad albero a camme in testa comandato da catena. L'insieme è talmente leggero e compatto da poter essere montato per i collaudi iniziali sul telaio del monocilindrico 250; comunque quando la quattro cilindri venne presentata ufficialmente al Salone dell'Olympia di Londra nel '30 aveva un telaio specifico piu rigido e robusto. Già nel '31 Somersville Sikes preparò una versione con compressore meccanico a palette azionato da catena, per gareggiare a Brooklands accreditata di 40 cv, ma problemi di raffreddamento nella zona delle teste provocò distorsioni e rotture, e problemi ebbe anche al Senior Tourist Trophy del '31. Ben Bickell riprovò con la stessa moto sovralimentata al Motor Cycle Cup nel 1933 che era un premio indetto per premiare la prima moto che raggiungesse le 100 miglia orarie sul suolo inglese (sempre a Brooklands); la cilindrata fù ridotta a 500 cc., rispetto ai 600 della moto di serie per rientrare nella relativa categoria, ma nonostante le notevoli prestazioni velocistiche (un giro percorso a 179,023 km/h) problemi di affidabilità delle guarnizioni di testa e cilindronon permisero alla Ariel di concludere la gara,che fù vinta da una bicilindrica a 'V' della New Imperial. A questo punto per riprendersi dai recenti fallimenti sportivi l'inesauribile Perrey ideò un programma pubblicitario, teso a rilanciare in grande scala l'immagine Ariel. Il 'seven seven test' erano una serie di prove estreme di diversi modelli di serie che avevano lo scopi di evidenziare particolari qualità delle Ariel; il tutto impostato sul numero sette. La prova principale era la percorrenza di 700 miglia in 700 minuti con una Square Four 500 , riuscì al secondo tentativo, per la precisione 668 miglia percorse alla media di 100,712 km/h. Un'altra prova era quella di avviamento, che consisteva nel fare avviare sette motociclette Ariel da sette bambini; che riuscirono nell'impresa tranne uno, il più piccolo...!? Neanche questa massiccia operazione di marketing riuscì però a salvare la Ariel dalla crisi internazionale che nel 1932 portò alla chiusura della fabbrica e fù solo l'arrivo dei capitali di Jack Sangster che l'azienda potè rinascere con una nuova denominazione; Ariel Motors (JS) Ltd Harry Perrey andò alla Triumph; Val Page alla Triumph poi alla BSA e solo successivamente tornò alla Ariel. Siamo nel 1932, Edward Turner inizia a lavorare sulla monocilindrica di Page soprattutto rispetto agli aspetti più propriamente estetici, e dalla sua matita uscì la Red Hunter, con un serbatoio molto curato verniciato in rosso brillante e decorato con cromatura. Ariel Red Hunter 250 cc. 1936 La rinnovata Square Four del '37, non ha più l'albero a camme, ma le valvole sono comandate ad aste e bilanceri, gli alberi motore sono in un unico pezzo (prima erano scomponibili ), dal '39 è disponibile (anche per le Red Hunter) un molleggio posteriore impostato su convenzionali ammortizzatori telescopici, ma con una raffinatezza in più, un sistema di biellette che permette di mantenere costante la tensione della catena in tutte le fasi dell'escursione. Ariel Red Hunter modello da fuoristrada 500 cc. 1938 La Square Four è disponibile nelle cilindrate di 600 cc. e 1000 cc. quest'ultimo disponeva di 38 cv a 5000 giri/min. Nel periodo bellico l'unica Ariel destinata ai militari fù la W/NG basata sulla Red Hunter 350 del '39, con maggiore altezza dal suolo per migliorarne le capacità fuoristradistiche. La stessa moto rimessa rimessasi nei più civili colori rosso e cromo, fù la prima a riapparire nei listini Ariel del dopoguerra, ben presto seguita dalla Square Four 1000. Quando apparve anche una nuova bicilindrica 500 la Ariel, potè declamare nelle sue pubblicità 'i soli al mondo ad avere una gamma completa di mono, bi e quadricilindrici'. Nel frattempo il controllo finanziario era passato nelle mani della BSA, fatto che però non influì per il momento con le scelte progettuali. Sulla Square Four fù adottata una forcella anteriore telescopica e adottata una fusione teste-cilindri in lega leggera che permise una riduzione di peso di 15 kg. Motore Square Four 1000 lega leggere 1953 Ulteriori modifiche nel '54 portarono al famoso 'quattro tubi' March II, che deve il suo nome ai 4 tubi di scarico splendidamente rifiniti. La migliore qualità dei carburanti permise l'innalzamento a 7,2:1 del rapporto di compressione, portando così la potenza massima a 42 cv a 5800 giri/min. Questo modello nonostante il grande successo riscosso non riuscì a reggere l'agguerrita concorrenza, soprattutto a causa di alcune soluzioni che erano rimaste antiquate come il vecchio sistema di sospensione posteriore ad ammortizzatori-biellette invece del nuovo sistema a forcellone oscillante adottato invece sulle Red Hunter e sulle bicilindriche; quindi nel '58 la quattro cilindri uscì di produzione. Ariel Square Four MK IV 1000 cc realizzato in due soli esemplari 1957 Val Page ritornato alla Ariel, progettò una nuova bicilindrica a due tempi realmente innovativa denominata Leader (ed Arrow nella versione economica che ebbe più successo). Il telaio era una struttura scatolare in acciaio stampato, che si estendeva dal cannotto di sterzo fino all'attacco della sostensione posteriore,un finto serbatoio con funzione di portaoggetti a chiusura ermetica era appoggiato sul telaio, la sospensione anteriore era a biscottini inferiori, il motore era appeso al telaio (uno schema che in combinazione al telaio scatolato, è stato adottato da tutte le sportive stradali dagli anni '80 in poi) e protetto lateralmente da due gusci di lamiera. Come optional c'erano:paraurti posteriore, luce di stop, freccie ed orologio con carica per 8 giorni; infine la particolare facilità di elaborazione del bicilindrico due tempi, spinse molti privati a portare in gara questa Ariel specialmente nella versione da competizione che fù realizzata successivamente. Ariel Arrow 250 cc Le corse non furono mai un'attività ufficiale della Ariel ma furono molti i preparatori ed i piloti che utilizzavano le Ariel nelle varie specialità: la velocità, lo scrambling o il trial specialità nella quale era attivo ( come lo era nellavelocità) Sammy Miller impegnato soprattutto nella maniacale riduzione di peso, che lo portò a realizzare partendo da una Red Hunter Trial 500 di serie, una famosissima special nota come GOV 132 dalle cifre della targa,che pesava 108 kg, grazie anche a particolari come i perni ruota in titanio. Ariel Red Hunter Trial (di serie) 500 cc. Ariel trial special-Miller (GOV 132) L'impegno di Miller continuò nel trial e nella velocità per parecchio tempo, preparò una Arrow per la Sei giorni di trial e la usò per arrampicarsi sul monte Ben Nevis dove fù fermato solo da un violenta nevicata. Sammy Myller in azione con la sua GOV 132 Appare evidente come a questa data risultino ancora molto meno marcate divisioni in categorie (strada, motocross,enduro,trial,motoalpinismo....) che invece oggi appaiono, molto più nette, la struttura era più o meno la stessa per tutte le moto e con un motore monocilindrico o bicilindrico si poteva spaziare dal trial alla pista senza troppi problemi. L'esempio della Arrow preparata per il trial poi è molto esemplificativo, poiché il telaio stampato-scatolato non è una struttura classica (come quella in tubi) e quindi 'universale' bensì una novità, una sperimentazione, che ancora oggi difficilmente viene utilizzata su una moto da fuoristrada. Le ramificazioni lungo le quali si sono evolute le diverse tipologie di moto, a volte per motivi anche casuali, hanno portato a convenzioni (e convizioni) che rendono sempre più difficile da parte dei progettisti sperimentare nuove soluzioni senza scontrarcisi. Per restare sull'esempio precedente la prima moto da fuoristrada moderna con telaio scatolato in alluminio da fuoristrada, è apparsa sul mercato in questa stagione,la Honda CR250 (1996-97) quando questo telaio con innegabili doti di rigidità è adottato ormai quasi universalmente sulle stradali sportive (Ducati a parte) ed addirittura solo la Kawasaki prima della Honda aveva avuto il coraggio di usare un telaio perimetrale per il fuoristrada in luogo del monotrave centrale. Tornando alla Ariel, a fine anni '50 il gruppo BSA trasferì gli stabilimenti da Selly Oaks a Small Heat, producendo così sulla stessa catena di montaggio della Arrow, anche il Pixie 50, che ne utilizzava la stessa tecnologia telaistica (acciaio stampato). La Arrow continuò ad essere venduta sul mercato interno, era invece poco gradita in quello estero ed americano in particolare, che in quegli anni era il più attraente per le fabbriche di moto inglesi, a causa probabilmente del suo telaio anticonvenzionale. Quindi nel '66 la produzione cessò definitivamente e dopo questa data sono da citare solo due progetti legati al nome Ariel. Che però non arrivarono mai alla produzione, la Ariel Three e la 4 cilindri 600. La Ariel Three progettata da George Wallis è uno strano veicolo a tre ruote, in cui la parte anteriore si piegava in curva come se si trattasse di una moto, il motore era un Anker costruito in Olanda. Ariel Three Senza sbilanciarmi in affermazioni circa l'originalità di questa soluzione , posso comunque dire chè è stata poi utilizzata in parecchi altri prototipi ed anche oggi la si vede spesso su progetti avveniristici di pseudo-scooter in quanto si presta bene alla risoluzione di alcuni problemi specifici. Una piccola divagazione è ora necessaria. Volendo realizzare un veicolo teso a risolvere i problemi cronici del traffico, del parcheggio e dell'inquinamento, la prima soluzione che viene in mente è la motocicletta o comunque lo scooter, che rispetto ad un automobile,occupa meno spazio (quindi a parità di veicoli il traffico è inferiore, in uno stesso spazio ce ne stanno parcheggiate di più) ed è più leggera (a parità di prestazioni consuma ed inquina di meno). Ma per potersi confrontare con l'auto l'amato due ruote deve fare i conti con un fattore che non può essere trascurato; cioè la stagione invernale. Non esistono infatti, (e mi riferisco agli spostamenti quotidiani e non ai divertimenti del fine settimana) giacche-supertecnologiche, caschi, parabrezza, o eroismi che tengano quando la temperatura si abbassa sotto lo zero, magari piove o nevica, e si devono percorrere qualche decina di chilometri, che possano competere con la combinazione riscaldamento-autoradio-poltrona di un'automobile, o per dirla diversamente con la protezione totale dagli agenti atmosferici che può dare l'auto. L'unica soluzione è quindi creare un'abitacolo perfettamente chiuso sulla moto; che può essere strutturale o meno, di metallo o di materiali plastici, removibile o fisso, non importa per ora, basta che dia quella sensazione di caldo abitacolo che sconfina quasi nel sadismo, quando fermi al semaforo sotto un'acquazzone vediamo oltre il parabrezza, la sagoma confusa di un motociclista completamente inzuppato. Ma realizzare un abitacolo completamente chiuso su un due ruote, significa impedire al conducente di appoggiare a terra il piede quando è fermo o quando comunque il momento di inerzia delle ruote non è sufficiente a tenere dritto il veicolo. Le soluzioni potrebbero essere diverse, ad esempio utilizzare un motore inerziale, cioè un motore che oltre a servire a dare il moto al veicolo, abbia un sistema di grossi volani che permettano al veicolo di restare miracolosamente diritto anche da fermo, ma oltre al peso notevole che verrebbe ad avere il veicolo, questo sistema funziona solo a veicolo in moto. Si potrebbero allora pensare a rotelle (o qualcosa di simile) che escono lateralmente quando si scenda sotto una certa velocità. In entrambi i casi, bisognerebbe però sperare che tutto il sistema meccanico e nel secondo caso anche l'elettronica, funzioni sempre alla perfezione per evitare spiacevoli ed umilianti ribaltamenti al semaforo. Una soluzione più ragionevole sarebbe prevedere all'altezza dei piedi delle aperture attraverso le quali uscire fuori col piede per appoggiarsi;magari chiuse durante la marcia da uno sportello che viene scansato dal piede quando ci si stà per fermare. In questo caso oltretutto non sarebbe necessario rieducare tutti i motociclisti al nuovo comportamento da tenere da fermi; (non è infatti molto naturale a chi già sappia guidare una moto, fermarsi e restare coi due piedi sulle pedane e aspettare che la moto trovi da sola il suo equilibrio), però così si perderebbe l'effetto abitacolo, e il tutto sarebbe qualcosa di simile ad uno grosso parabrezza un po' piu esteso del normale. Alla fine l'unica alternativa a queste o ad altre più fantasiose soluzioni sono le tre ruote; questa soluzione comporta due sottocategorie a seconda che le due ruote siano davanti o dietro, ma in entrambi i casi rimangono problemi di comportamento in curva.sechi Restringendo il campo alle due ruote dietro (come l'Ape Piaggio) la forza centrifuga in curva tente a caricare la ruota posteriore esterna, impedendo una guida disinvolta e divertente, e il divertimento nella guida è un valore aggiunto della motocicletta a cui non vorremmo rinunciare. Non è insolito vedere questi veicoli affrontale allegramente (magari con pesanti carichi nel cassone) strette curve cittadine su due ruote, con notevole pericolo per il conducente e per gli altri utenti della strada. Poi bisogna considerare che per mantenere caratteristiche dimensionali (in larghezza) vicine a quelle di una moto (e quindi avere i vantaggi di cui si parlava) la distanza tra le due ruote posteriori dovrebbe essere molto contenuta (molto meno che nell'Ape o in motocarri simili) e la tendenza al ribaltamento quindi sarebbe ancora più accentuata. Quindi la soluzione (della Ariel) di creare un avantreno, che ruota rispetto al retrotreno su un'asse parallelo al terreno e longitudinale rispetto al senso di marcia; permette di curvare in modo motociclistico, piegando cioè il corpo del conducente che, assieme a sella ed eventuale abitacolo è solidale con la parte anteriore basculante, mentre l'asse posteriore con le due ruote rimane sempre parallelo al terreno ricevendo una spinta pressochè parallela ad esso. L'avantreno non necessita di particolari accorgimenti, può essere una normale forcella telescopica, il motore può essere montato sia solidale all'asse posteriore sia sulla parte centrale basculante (in questo caso è necessario un giunto cardanico per trasmettere il moto) ed ancora ci possono essere varie soluzioni rispetto al sistema di sospensione posteriore. Infine la posizione di guida può essere più scooteristica se lo spazio tra le gambe è libero o più motociclistica se vi è invece qualcosa (il motore ad esempio). Voglio concludere la storia della Ariel parlando di un'ultimo progetto irrealizzato, che ha una storia piuttosto curiosa; l'idea nasceva da una commessa da parte dell'esercito di un motore leggero 600 a quattro cilindri per azionare un generatore elettrico; che doveva venire sviluppato dalla Ariel e costruito grazie a questo cospicuo gettito di provenienza statale, poi una parte di questi motori sarebbero stati montati anche su una motocicletta. Questa moto aveva i 4 cilindri in linea, cambio a 4 velocità, avviamento elettrico e trasmissione finale ad albero, il telaio era quello scatolato della Leader ed anche qui il motore era completamente chiuso da due pannelli (carenature) laterali, il raffreddamento era affidato ad una grossa ventola che aspirava il calore da dietro i cilindri. La pompa dell'olio era asportabile per accedere con facilità ad albero motore e cuscinetti. Come già detto questo progetto non andò in porto, i tagli alle spese militari non lo resero possibile e fù costruito solo un esemplare, l'ultima Ariel della storia. Ariel 600 4 cilindri prototipo BSA Nel secolo scorso la BSA produceva armi ed è con questo tipo di produzione (come altre aziende del settore, ad esempio l'americana Winchester) che mosse i primi passi verso un processo di standardizzazione del prodotto. Si era visto cioè che nonostante i problemi aggiuntivi nell'utilizzare i nuovi sistemi produttivi legati alla catena di montaggio, era molto più conveniente produrre esemplari tutti uguali, cioè costituiti da pezzi standardizzati e quindi intercambiabili. A fine secolo i problemi della produzione di armi (dipendenza dalle commesse dell'esercito e dallo sviluppo dei conflitti in corso) spinsero i dirigenti della BSA a differenziare la produzione, in un primo tempo con una bicicletta, poi con mozzi per ruote di biciclette, prodotto quest'ultimo con il quale la BSA esporta in tutta Europa. Poi si passò alla produzione per conto terzi, di parti di biciclette e di motociclette, fino al primo progetto di motocicletta risalente al 1905. Il motore è di provenienza francese, forcellone posteriore oscillante a molla, il tubo che collega il cannotto di sterzo alla sella è telescopico (questa soluzione sarà adottata anche su alcune biciclette) la moto non viene prodotta. Nel 1907 la BSA acquista la fabbrica di biciclette Eadie e nel 1909 esce la prima motocicletta BSA; è monocilindrica a valvole laterali con trasmissione finale a cinghia ed è dotata di pedali. Sono disponibili due versioni di 499 cc e 575 cc che riscuotono un discreto successo grazie anche alla fama di cui già disponeva il nome BSA. Durante la Prima Guerra Mondiale molte BSA sono impegnate sul fronte occidentale, e la fabbrica produce anche armi, automobili (era stata acquistata la Coventry Daimler), biciclette piegevoli, di parti di aereoplani e svariate altre produzioni belliche. A fine guerra la 557 torna in vendita dotata di cambio, e trasmissione finale a scelta del cliente: a tutta catena oppure a catena e cinghia. BSA 557 1918 mentre la 499 cc è in vendita in versione 'tipo T.T.' poiche nel '13 la BSA aveva partecipato con scarsissimi risultati (5 ritiri su sei moto) alla celeberrima gara. BSA che partecipò al T.T. del 1913 Nel 1919 viene presentata una bicilindrica a 'V' di 770 cc.; l'angolo tra i cilindri è di 50° e nel complesso si presentava come un mezzo destinato soprattutto ad uso turistico e con il sidecar, che veniva anch'esso costruito dalla BSA. BSA bicilindrica con sidecar 1921 Per rifarsi della figuraccia del '13 la BSA decide nel 1921 di ritornare al T.T. in grande stile; inizia così la preparazione di un mezzo speciale. Su un telaio a doppia culla molto basso è montato in posizione inclinata un motore, inizialmente doveva avere una testa in lega leggera e distribuzione a quattro valvole, poi però si optò per una convezionale testa in ghisa e due sole valvole. Il pistone venne invece realizzato in alluminio, il tubo di scarico si sdoppia in due terminali, e sono presenti addirittura due circuiti di lubrificazione, una pompa meccanica lubrifica le pareti del cilindro, mentre un sistema a pedale si occupa dei cuscinetti di banco. Alla fine del secondo giro tutte e sei le BSA sono ferme con i pistoni di alluminio fusi, ( che non a caso data la tecnologia metallurgica dell'epoca era denominato un 'metallo infido') dopo quest'ennesima sconfitta la BSA non produrrà più mezzi da competizione. Queste sconfitte comunque non intaccarono il nome della BSA che continuò a riscuotere successi con motociclette tipo la 250 model B progettata da Harry Poole che aveva valvole laterali, cambio a due velocità e che diventò il mezzo preferito di fattorini, operai del telegrafo... e di chiunque usasse la moto per lavoro e volesse un mezzo economico e facile da guidare. Inoltre la possibilità di asportare i parafanghi la rendeva anche un mezzo particolarmente indicato a muovere i primi passi in fuoristrada, fù soprannominata Round Tank e ne furono venduti 35000 esemplari. In seguito la Round Tank adottò un cambio a tre marce e il freno anche sulla ruota anteriore (in realtà la legge imponeva già che le moto dovessero avere due freni, ma non specificando che dovessero essere sulle due ruote la BSA l'aveva aggirata dotando le prime model B di due comandi del freno agenti entrambi sulla ruota posteriore !). Questa moto è anche la protagonista di un'impresa pubblicitario-sportiva; la scalata del monte Snowdon compiuta dal pilota di trial Harry Perrey (che poi compì altre imprese simili anche per la Ariel) e da un altro gruppo di motociclisti tra cui Mc Lean che riuscì a raggiungere la cima, in 30 minuti e 55 secondi, percorrendo una strada ferrata. Dopo una fallimentare 175 due tempi nel '28, Harold Briggs (un grande progettista suicidatosi di lì a poco, per una delusione amorosa) progetta una 493 a valvole in testa, soprannominata Sloper (cioè pendente) per la forte inclinazione in avanti del cilindro, il serbatoio dell'olio è in un'estensione anteriore del carter. Questa moto nonostante qualche problema di maneggevolezza ha molto successo e rimane in produzione fino agli anni '30. Per i clienti più sportivi vi è la serie delle Blue Star, (250,350 e 500 cc) anch'esse con serbatoio dell'olio nel carter, erano in pratica elaborazioni di Sloper di serie eseguite secondo le direttive di Bert Perrigo che le usava per correre e che per questa sua consulenza riceveva 1/2 penny su ogni Blue Star venduta. Anche in seguito il nome Star e la stella a sei punte, sul serbatoio identificheranno i modelli più sportivi. Una bicilindricaa 'V' di 500,750 e 1000 cc a valvole in testa viene presentata a fine anni '20, ma nonostante le commesse di polizia ed enti statali, la crisi economica mondiale fa sentire la necessità di modelli più economici. BSA 500 bicilindrica valvole in testa 1934 e così nasce il Model X un 150 cc a valvole in testa con notevoli prestazioni, che in una versione a cilindrata ridotta a 125 cc. riuscì ad ottenere notevoli successi in fuoristrada. Le Empire Star sostituiscono le Blue Star ed al Salone dell'Olimpia di Londra del 1933 , la BSA presenta un progetto sconcertante. La moto in questione ha un convenzionale motore 500 cc, ma ha trasmissione idrodinamica e cambio Wilson a preselezione delle marce. In pratica: nel carter in sostituzione della frizione c'è un volano idraulico, cioè un rotore a palette che trasmette gradualmente il moto ad un'altro rotore grazie all'olio presente tra i due rotori, poi con un pignone ed una catena il moto arriva al cambio epicicloidale Wilson. Quindi la leva della frizione non c'è, e la coppia viene trasmessa automaticamente dal raggiungimento di un certo numero di giri in poi, mentre le marce sono selezionate da una levettta sul manubrio. Questa macchina non và in produzione. BSA Red Star 1936 Val Page, il brillante progettista che lavorò anche per Ariel e Triumph disegnò nel per la BSA i modelli della serie M, in particolare la M20 una 500 cc a valvole laterali, che munita di sidecar viene scelta dall' Automobile Club per le pattuglie del soccorso stradale, e durante la guerra verrà utilizzata dalle pattuglie inglesi su tutti i fronti del mondo. Il 30 giugno '37 Wal Handley si presenta a Brooklands alla partenza della gara organizzata dal British Motor Cycling Racing Club, con una BSA Empire Star con la quale grazie anche all'alimentazione con una miscela di alcool riesce a sbaragliare tutti gli avversari, correndo ad una media di 164,583 km/h con il giro più veloce percorso alla media di 173,112 km/h, guadagnando la stella d'oro che veniva consegnata a chi durante le gare superasse i 160 km/h di media. Dopo quest'esaltante esperienza doveva essere presentata nel '38 una nuova 500 progettata da Val Page la M24 che in onore della vittoria a Brooklands doveva chiamarsi Gold Star, con testa e cilindro in lega leggera, ma l'arrivo della guerra la bloccò per il momento ed in produzione rimase solo la M20 per le forniture belliche. Soldati Neozelandesi della 'Signals Division' ricevono istruzioni sulla BSA WD M20 1940 Durante la guerra la BSA aveva anche altri tipi di produzione bellica, tra cui la bicicletta piegevole utilizzata dai paracadutisti, che era stata inventata proprio dalla BSA durante la prima guerra mondiale. Nel '46 la BSA presenta un modello per le competizioni di trial la B32, basata sull'evoluzione del modello B31 curata da Bert Perrigo, consistente in un innalzamento delle sospensioni, nel''adozione di uno scarico rialzato e di parafanghi cromati. Dopo la B32 nasce la B34 che con piloti come John Draper, Bill Nicholson, Arthur Lampkin, John Burton e Brian Martin monopolizzano tutte le gare di Trial e Scramble. Sempre del '46 è la bicilindrica verticale A7, i due cilindri sono affiancati, la distribuzione a valvole in testa è comandata da un abero a camme rialzato. Ma questo modello è presto soppiantato dal bicilindrico A10 conosciuto (in Italia) come Golden Flash progettato da Bert Hopwood. Il '48 è un'anno importante per la BSA perché inizia la produzione della prima Bantam un modello di cui nella sua lunga carriera finita nel '70 furono venduti mezzo milione di esemplari in tutto il mono soprattutto negli Stati Uniti; il primo modello era il 125 D1 seguirono la Bantam Major 150 ed infine la 175 cc D14/4. bantam 175 Alla Sei giorni internazionale del '52 in Austria la BSA partecipò con tre Star Twin una nuova 500 bicilindrica; prima della gara i mezzi compirono un rodaggio di mille miglia e dopo aver vinto tre medaglie d'oro i mezzi continuarono la prova percorrendo un totale di 8000 km senza denunciare problemi. Ma la moto che più di altre ha fatto la storia della BSA e del motociclismo in genere è certamente la Gold Star, una moto che ha dominato nelle sue diverse versioni tutte le specialità motociclistiche esistenti all'epoca: velocità, cross, trial ed enduro. La Gold Star è nata nel '39 con la sigla di M24 dalla mente del geniale Val Page come modello da pista, poi come si è detto le vicende della guerra e i problemi dell'immediato dopoguerra ne rallentarono lo sviluppo, ma quando nel '49 la Federazione Motociclistica Inglese organizzò il Clubmans Tourist Trophy una gara riservata a piloti dilettanti su moto di serie all'Isola di Man, la Gold Star 350 dimostrò di essere di gran lunga la miglior alternativa tra quelle disponibili sul mercato. Ben presto giunse anche la 500 presentata in occasione della Sei giorni del '49 dove conquista subito undici medaglie d'oro, dimostrando fin da subito la sua vocazione poliedrica. Sempre alla Sei giorni, nel '50 viene adottato il forcellone oscillante in luogo degli ammortizzatori telescopici, La versione Trial esisteva già nell'immediato dopoguerra, la forcella era già telescopica (invece che a parallelogramma) e dall'esperienza immagazzinata con questa versione oltre che con quella da enduro che già dominava le Sei giorni da prima della guerra, nacque nel '51 la versione cross, forse la più famosa nel mondo di tutte le Gold Star. BSA Gold Star Cross 1958 Semplice affidabile e robusta la Gold Star Cross non si differenzia molto dalle altre versioni, se non nelle sospensioni, nella mancanza di impianto di illuminazione, il motore era notevole, mentre il telaio non era esente da cedimenti dopo i salti più duri; non vinse mai il campionato mondiale di motocross perché questo fu istituito quando la sua carriera era ormai alla fine. Nel frattempo la versione strada aveva monopolizzato completamente il Clubmans T.T. all'edizione del '55 su 37 iscritti 35 pilotavano Gold Star. Tanto che in breve tempo questo campionato fù eliminato perché non serviva più al suo scopo originario, che era quello di stimolare la produzione di moto sportive di serie, in quanto tutti usavano la stessa moto. In questi anni la vita ed i progetti di Val Page padre della Gold Star, si incrociano ancora una volta con quelli di Edward Turner che aveva disegnato in quello stesso periodo la Tiger 100 e non vedeva di buon occhio la concorrenza interna della Goldie all'interno del gruppo Triumph e BSA e sembra che sfruttando la sua posizione di maggior potere in seno all'azienda abbia bocciato l'approvazione di alcuni aggiornamenti previsti sulla moto di Page per renderla più competitiva. L'ultima Gold Star viene costruita nel '62, a sua sostituzione viene sviluppata la 250 C15, un modello adatto al trial ed all'enduro, che si evolverà poi in una 350 cc, 440 cc ed infine la Victor 500 leggera e maneggevole che permise a Jeff Smith di vincere due campionati di motocross, ma ormai l'avanzata dei due tempi, nel fuoristrada non lasciava più spazio alle pesanti quattro tempi (forse se avesse resistito altri 20 anni...). BSA Victor 500 cross 1969 Di seguito tutta una serie di fallimenti; uno scooter bicilindrico 250, un motore 175 derivato dal Batam, il Dandy 90 e il Beagle 75. Oltre all'Ariel Three che può essera considerata tra i fallimenti BSA visto che la Ariel ormai ne faceva parte e di cui ho già parlato in precedenza. La Fury 350 a due cilindri affiancati forse avrebbe potuto cambiare le cose ma non entrò mai in produzione. L'unica moto ancora in vendita nel '73 con il nome BSA è la Rocket Three (una 740 cc, quattro tempi con 60 cv e 200 km/h di punta) ed è in quell'anno che il gruppo BSA-Triumph ed Ariel passò sotto il controllo della Norton-Villiers. BSA Leader 650 vincitrice al T.T. '66 sidecar FINE Cristian Rossi www.geocities.com/soho/7863 criros@tin.it crart@rocketmail.com tel 0541-53419 69