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Poetry and art for the human touch

perversidiversi di Giorgio Scarselli

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PERVERSIDIVERSI

 

PERVERSIDIVERSI
per versi diversi
perversi diversi
per versi di versi
perversi di versi

di Giorgio Scarselli

 

Bollenti ristoranti davanti al mare
riscaldano trionfanti i piatti d'asciugare.
Li lavano contenti i cuochi messicani,
li lavano felici, si asciugano le mani.
Arriva poi il padrone, vestito di gessato
arriva poi il padrone, arriva ed è arrabbiato.
E tutti stanno zitti, nessuno che gli dice:-
"Che palle questi piatti, compra una lavatrice!

 

Passo io, con il tempo
sotto casa tua
e insieme ridiamo di me,
di ciò che sento.
Faccio un giro lento
per vederti passare,
un sospiro, poi lascio stare
e rido, col tempo.
Ce ne dobbiamo andare.
C'è vento.

 

Verranno tempi migliori.
Così dicendo tornavo a casa
un pò depresso.
Adesso, mi dicevo, cosa mi manca?
Mi stanca una cena.
Non sono in vena,
per cui non esco
e placo a mano sti giovanili ardori.
Verranno tempi migliori.
Ma adesso, dico, che fare?
Aspettare sì, mi sembra giusto,
per questo resto a casa
e mi rilasso.
Passo da un canale all'altro
coi telespettatori.
Verranno tempi migliori.
Non chiudo adesso. Passo
.

 

Dopo l'ipotesi di un risveglio
un nuovo dormire
per chi come me
se segue un sentire
lo sente camminare.
Meglio così, mi dico,
meglio vagare
mentre finisco il gelato
e passeggio.
Il resto è un pomeriggio,
un pezzo di formaggio
taleggio
non più fresco
non più peggio
di tanto aspettare.

 

Mistero in aloni
nei fiati invernali
segnali di fumo.
Appanno così i vetri
da dove mi guardi.
Per questi ritardi
ti perdo, imbronciata
nel viso, negli occhi,
per questi rintocchi
che portano via
un'altra giornata.
Mistero in aloni
o lezioni di vero.
Per questo sincero
non sono mai stato.

 

Tedio
e te Dio
di te
si sa.
Ne parliamo Lunedì
se sì tesi
tediamo i tendini.
La Domenica riposa,
di tendine e tentativi
di vita
di vati
addita.
Vattene, và.

 

Latte e sigarette
o sigarette e latte
non stanno bene insieme.
Come me e te del resto.
Per questo, e per altri motivi,
siam cose diverse, lontane.
Rimane qualcosa, penso,
a parte il disgusto.
Resto qui io,
solo per questo.
E per altri motivi.

 

Dal filo che tiene
cadeva, ogni tanto,
sottile convinzione.
Per tale ragione tornava
pronta a cadere.
"Una voglia" - diceva
"può ben morire
non appena viene"

 

Se dovessi poi vacillare,
ti prego, fa che non cada.
Fa che non cada su ciò che non ricordo,
su un giorno o un'ora passata.
Fa che "cancellare" sia l'ultima parola data.

 

Oscuro
di una voce il segnale
di un gesto l'attesa
si spenga.
Venga da una mano:
VALE
a te resa, duro
un saluto antico.

 

Al guizzo di un sasso
fermo lo stagno, con tanta cura
stringo gli alberi, bacio i venti
e chiudo l'anima in fretta.

Ma basta un ' onda, un'onda sola
(quella del tuo seno, per esempio)
che la consola
e bacio ancora ogni forma amica.

Per troppo averti amata e troppo persa
ti accarezzo le mani in ritardo
(nel dolce paese del tuo viso
un sorriso ti accende lo sguardo)

Il freddo imbianca le mura
ed ogni sera, qui nello stagno,
ti fa terrena creatura (non solo primavera)
uno spuntare di lentiggini.

 

E non c'è verso
più solo del suo pallore
la smorfia tesa
di incredulo terrore
in-certa attesa
di te io solo
di te perduta, perduto volo.

 

Chiedo alla bianca follia
l'immagine riflessa
la linea che sdoppi
che danni il mio viso.
Alla polvere mi inchino
e resto diviso.
Un ghigno
un sorriso
di freddo sapere
lucido
grido
sospesa
paralisi.

 

Il silenzio del tempio
copra i corpi dei morti,
gli altari di te vesta.
Si stenda
immobile
il gesto
che ascolto calare.
Di questo mi basto:
del tuo mancare.

 

Spettina i ricordi un soffio
(così teneva legati i capelli un silenzio).
Così la nuca al vento
restava muta anche lei.
Piovevano comunque ciocche improvvise
a salutarmi.

 

I
Ci separa una voglia, un capriccio, un rischio,
che di amanti il fuoco bruci
più rosso di rabbia che di passione.
E' una luce diversa.
All'ombra mi travolgi
così che paia nulla
(se è nulla amare di desiderio)
ciò che ci unisce.

Da lui mi dividi e da lui ti allontani
per diverso desiderare
(in diverso momento, forse,
capovolgi il verso per tuo giocare)

Ci divide un gioco, un silenzio, un sospetto,
che di amati nulla più bruci rosso
se non l'ombra
alla luce del verso.

II
Che un sospetto mi sia fedele compagno.
Al giro del verso rimango fermo: gelato,
un dolore rimpiango. Un candore.
Un segno d'amore distinto: fermato,
fisso lo sguardo,
lo stingo. In dissolvenza.
Lontano un giorno, lontana una pazienza,
una cura, una vela:
io e te, rimasti senza tela
di ragno in ragno,
una candela.

*la pazienza è il punto dove si imbrigliano le scotte delle vele sui velieri.

III
Di sue visi il separarsi
per verso divido
amanti di dolore amati
incerti e cercati,
rimasti qui, muti
da un silenzio levigati.
Un silenzio non grida, è certo,
se chiuso tra me e me
ne misuro il passo sincero.
Come una bugia non detta non parla.
Se dire è un lamento segreto,
indolore, nel dolore stesso
seguo un sentire.
Per me vado là dove mento.

 

Non ho voglia di giocare a rincorrerti.
Con terrore ti ho guardata ed ho capito
che rincorrerti non è più giocare con una voglia.
Come smettere di bere.

 

Il tuo cane si volta e ti cerca,
tra i cespugli ti riconosce.
Ed ha più cose da dirti lui di me,
prima che il tempo controluce sfumi
sul fragore dell'asfalto,
sul tuo volto annebbiato dal silenzio.

 

Saluti al vitello
prima che sia macellato.
Non voglio cera.
Che io beva il suo sangue
prima che gli occhi
leghino con i capelli
il vello pezzato,
scacchiera per le sirene.

 

Nei giochi di carte
si alternano divisi
l'improbabile, il calcolato,
gli sguardi, i sorrisi.
Segnali da scoprire:
anche ciò che è fisso nel suo restare
è travolto, mutato dalle figure.
Ripetute, inconsistenti,
scolorite misure
che si scoprono sole
e si voltano unite.
Le spogli, le pesi
per ciò che hanno dato.
Le mischi, annoiato.

 

E' il campo di fiori
tutt'intorno al poeta.
La seta che unisce
un pensiero all'altro
gli tiene ferme le mani.
Domani li raccoglierà tutti,
come si raccolgono i pensieri
prima di parlare.

 

Stanca si china,
si chiude, cammina,
poi corre, bambina,
sfiora e ricuce
ciò che ha toccato.
E' giorno passato
e non più luce.

 

Rimanimi immensa
intensa, nel corpo teso,
in me mensa.
In te cibo e bacio
rimo riflesso,
ancora su te chino.

 

Tenere lontani i piedi e le mani,
i fiori dal vaso, le dita dal naso.
Tener separati le suore ed i frati,
i padri dai figli, le volpi e i conigli.
Tenere distanti le mignotte dai santi,
tenere distinti vincitori e vinti.
E intanto mi sbaglio, e intanto che vivo,
non so più neanche chi è buono e cattivo.

 

Culi e tette all'infinito,
portati con la dovuta importanza
conditi da sguardi intriganti.
Siliconati dai versi
dei fantasiosi poeti,
che ne riempirono le sagome
di emozioni controllate
perchè non sono statue
ma vera carne cruda
di uomini, di culi e di tette.

 

 

Passa nella rossa carrozza,
fissata la strada
la segue lo sguardo
che amarla possa
e al quale non bada,
scalpitando la ghiaia
decidi: che vada.

 

Venite pure a prendermi
se tenni il tiro fermo
sul suo viso sorridente.
La uccisi suadente
e vissi solo, trasparente,
in compagnia di tanti,
se non amai nessuno
tranne me stesso.
Venite a prendermi,
ma non adesso.

 

Dieci gocce nel bicchiere,
dieci gocce, cento sere.
Cento sere, cento sogni,
(di soffrire ti vergogni).
Voli col paracadute
senza scopo, senza colpa
e volare a bassa quota
costa meno di una volta.

 

Fai conto, un sentimento,
come un vento che gira,
sale, scende e a volte non soffia.

La barca vira, se cambia il tempo,
se solo un segno, anche un gabbiano
che cambia il volo, o la tua mano,
che sfiora l'acqua ma non mi tocca.

Forse la bocca, ma non è mia,
forse uno sbaglio, un errore di rotta,
tu voli via, il porto lontano,
regge il timone un capitano.

Se oggi è stanco, qualcosa ha sbagliato,
non ferma la barca, che ormai s' è persa,
la porta piano, con una carezza
ti sta vicino e riprende fiato.

Non è colpa mia se amo le onde,
se tiro la scotta e poi si spezza,
si ferma il vento, ciò che sento non muore,
si tiene, si prova, lo sai come fa il cuore.

 

Ciclo di una signora

I

Signora,
per ogni ora passata
sarebbe stato troppo.
Per ora. O forse per sempre.
Si vede una strana aurora,
né un'alba, né un tramonto.
Neanche un lamento,
e allora, ad ogni colpo di vento,
né insieme, né tu sola,
come in un giorno senza tempo.

II

Signora,
signora di tutto
signora del tempo.
Distrutto ciò che sento,
ti vengo incontro;
come mento è il mio segreto,
come vieto al cuore
di stare con te
senza esserti dietro.

III

Signora, ti prego, canta.
Manca poco, credo,
per essere mandato fuori
con una nota.
Signora ed anche maestra.
Chissà se poi io esco,
in classe chi ci resta.

IV

Signora, con un gesto,
canta anche la tua mano.
Uomo che incanti
tu prendila piano,
piano che suoni forte,
fai che come una bambolina musicale
ondeggi ma non cada.

V

Signora, andiamo,
non c' è motivo.
Ogni istante che sono stato vivo,
non si cancella con un torto.
Non è morto il mio pensiero,
forse il cuore,
e chi sa se è vero.

VI

Signora, un pezzo,
un pezzo ancora.
C'è da aspettare
ancora un pezzo.
Il prezzo lo fai tu
ed è l'ultima sera:
signora e anche cassiera.

VII

E' ora, signora
di mettersi a studiare.
Abbiamo già pregato,
a nostro modo,
perché il nostro Karma
forse si può cambiare.
E' ora, signora,
di mettersi a cantare.
Abbiamo già perduto,
a nostro tempo,
perché il vostro Canto
si possa poi ascoltare.

VIII

Mamma, e anche signora,
per più di un momento.
Ruota di bicicletta
che ruota controvento,
catena tra i denti D'aria
mentre leggi il disegno di un fiore,
primo Dono di ogni tempo.

IX

Vado, Signora,
mentre firmo
un altro contratto.
Con tatto mi allontano,
rassicuro il padrone,
abbandono la pista.
Per essere signora,
sei anche giornalista.

X

Signora, ti saluto,
non ho venduto niente
per starti vicino.
Sto bene ed è carino
quello che ora non si sente.
Non ho finto, non si mente
quando si morde la vita
come fosse un panino.
Non è finita:
tu sei la signora
ed io il ragazzino.

 

 

Poi, ad un certo punto, nella mia vita sono cambiate cose, terribili prima, stupende dopo. Qualcuno l'ho perso ed altri ne ho ritrovati mentre li accompagnavo alla porta. Quello che sembrava perduto è tornato, più bello di prima e più forte di prima. Ed è successo questo....(7/4/1998)

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Di Giorgio Scarselli

 

Nero,
come il naso di un cane sulla neve
sporca
come uno straccio legato al collo
di un altro cane che non sono io,
come una bugia detta a Dio
annuso l'aria
e passo accanto a una figura storta.
Hai un fiore in mano: sei pure morta
gonfia
come le borse della spesa sotto gli occhi
bassi
come uno sguardo che abbaia contro
un altro me che non sono io,
passi
come una bugia sul mio colore
nero.

 

Traccia una linea
questo dolore.
Solca la sabbia.
Nessuno se ne abbia
a male se questo soffrire
non porta calore.
Monco, senza un programma
migliore, bagno un sorriso,
senza una mamma,
senza colore.
Poi all'improvviso
senza rumore
cede la rabbia
ad un nuovo amore.

 

Proprio lì, dove respiri,
una macchia di caffè.
Non sanno i pensieri
(che son tutti per te)
se poi ti ritiri.
La mano cancella
amari dolori,
su questi sospiri
di tazze e piattini.
Sul naso si posa
e la macchia non c'è
tra trenta dentini
che guardano me.

 

Siamo contenti
di essere stanchi.
Non più presenti,
poco pimpanti.
Siamo contenti di essere veri,
poco sinceri,
ma meno distanti.
Sempre più seri,
sempre vicina;
regole e baci
ti cadon davanti,
composta bambina
dagli occhi sognanti.

 

Nei giorni lenti riscaldi il mio petto,
salgo e scendo dai tuoi occhi belli,
legato ai fianchi, da tanti capelli
e poi mi manchi, e poi altri eventi,

sono lontano ma resto stretto
nella mia dolorosa natura,
tra queste parole, tra mille tormenti,
come in scarpe di un'altra misura.

Nei giorni veloci invece ti perdo,
e poi confuso cambio faccia
tra ombre lunghe, tra forti venti,
seguo la piega delle tue braccia,

come una via che riporta alla vita,
e le spalle sono una traccia,
l'unica linea che va seguita,
senza rumore, in punta di dita.

 

Ho bisogno di calma, come una laguna agitata dal vento,
ti bacio mille volte con l'anima,
come mille onde, e mille ore di un attimo solo.
E ho solo due mani e mille carezze e mille canzoni,
e mille candele e mille suoni e un solo respiro,
il tuo che vivo, e più niente ristagna,
neanche il minuto in cui non ti stringo
e ti perdo e poi ti riprendo;
come la linea di queste colline che scappa e si ritrova,
come le dita sui tasti di una musica mai uguale,
Tu, finalmente vicina.

 

Nostro figlio, il Vento,
soffia sul mio cuore
e volteggiano le dita,
e fugge il filo dalle mani
e cade sulle labbra
sulla tua spiaggia senza sabbia,
e poi riposa,
il mio aquilone.

 

Il tempo, la rabbia
una clessidra senza sabbia
la luce di Roma
che vola, dondola,
barca su un tetto,
cera che cola
e canta sul petto,
ad ogni parola
di questa canzone
che canta da sola
l'aura del porto,
mia luce nuova,
mio cerchio perfetto.

 

C'è in questo tempo che passa,
un odore, una scommessa
piatta e fastidiosa
come la corsa di un insetto
che non vola
una vita fa era un altra vita
che lascia ogni linea
a spezzare terra e cielo in una foto
e il movimento che sento
non è che vuoto pentimento
di non aver saputo essere mentre ero
nelle braccia ora forti
avrei sentito il rumore pulsante
della vita e del sangue.

I

Sarà questo.
Una mancanza svuota le mura,
intonaca la stanza una polvere nota.
Non ho voglia di riprendere quota,
aleggio come un palloncino sgonfio,
un astronauta grasso,
una vecchia ruota,
che rimbalza su tutto.
Sulla strada esco,
aspetto un vento,
una risposta,
un camionista che parta presto
un aria, un rumore fresco.
Ma il movimento del mondo,
mi sposta sempre verso me stesso.
Mi salvo solo sbattendo
sul guard rail della vita.

II

Un tonfo, del resto.
Un tuffo, e poi si nuota.
La strada, il mare,
un timone, una ruota.
Comunque un movimento,
un'attenzione nuova
svuota ogni pensiero:
destinazione ignota
di un solo viaggio intero.

14/2/1999
Seguo le linee da lontano
della mia anima che balla,
pensieri per spalle e schiena
di un lungo tenero movimento
Poi riposa
sulle pieghe rosa della bocca,
tra il nero dei capelli,
le gambe incrociate
nell'anima della mia anima,
quando cerco veloce e non saluto,
un dolore da guarire.

L’intenso, nitido
sentimento in sintonia digitale
ha sconvolto il vecchio chirurgo.
In sincronia
taglia e cuce i corpi,
poi si ferma.
La vita intera è passata
in prove tecniche
sulle vite degli altri.

Ora una buona incisione
lima la mia intelligenza,
senza che lasci sangue
al rumore di ogni tua caduta.
E mi riscalda a lungo,
più della tue meravigliose giunture,
che inciampano su uomini diversi,
questa umida mancanza
che scivola perfetta tra le dita.

Mi sembra infinito allungare un altro giorno
nel sentire che si perde nella vostra stanza
Il mio tempo non serve a cercarne
un altro e un altro ancora.

Ricorda di un momento,
di un segno ed una mano,
dei denti, un nome, un vento,
un posto, un corpo umano

che grida ma sta zitto,
confonde e sfiora piano,
le gambe, il naso dritto,
e i lacci che slegavo,

e ridi ed io non sento
non parlo e neanche vedi
che porto dentro il tempo
in cui restavo fermo

in un respiro grigio
la luce di un divano
e un bianco che perfetto
stingeva il pomeriggio.

Scopro le stanze
di questa linea silenziosa;
a caso sorrido in cucina
o scappo veloce,
come su gradini di marmo,
la tua pelle improvvisa.
A due a due,
altri cinesi in ombra
intrecciano muti segnali
(ogni curva mi ricorda
un idiogramma in bicicletta
che le percorreva il viso)

Ripeti, ti prego, la piega delle tue braccia.

Aprire rami secchi
e distinguerli da rami fioriti.
Mi impegna
come un primo albero
di bambino
ridisegnare la mia vita.

Ad latere

Mi chiedo
se questo spazio
segni ogni tua mossa,
se nel vuoto del nastro
porti una nuova canzone,
se ogni riannodata distanza
sia molto accanto troppo vicino.

Così
ti guardo
filtrare sospiri,
mediare la luce,
e danzare al caso
di rumorose menzogne,
mia lieve perduta mancanza,
segreta finestra che appari e nascondi.

Sulla pelle inatteso
brivido bianco,
ombra dell’acqua
segno, seno, croce,
respiro gelo e vento.

Lo seguo senza sosta.
Perduto qui rimango,
poi fingo, resto, stacco.
E solo se la tocco
un caso, o forse un lampo.

Nel ghiaccio saturo
segreto lamento,
stella sul porto
essenza, grazia, bocca
soffio miele e incanto.

Ma niente me ne resta.
Nemmeno è mio il tempo
di essere, qui, adesso.
Diverso, il vuoto dentro,
rimane poi lo stesso.

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