STORIE DI BELACQUA E I SEMIDEI (narrate da Orson Welles)
scritta da Carlo Guastalla
Uno degli aspetti decenti del lavoro era che non doveva dormire. Per questo Belacqua poteva aggirarsi nel lungo tempo libero che aveva alla ricerca di qualche nuovo pub. Bevevo, certo, ma sorseggiava con calma, degustava con dovizia e provava nuovi abbinamenti tra birre e sigari.
Non erano per niente male quei sigari italiani. Forti e pieni di personalità. La sua missione adesso era trovare la giusta birra per quel sapore caldo che gli riempiva la bocca e il naso.
Accendeva il suo mezzo toscano originale con un Minerva, un fiammifero di legno, e poi si metteva a scegliere con cura la birra. Aveva già provato quasi tutte le doppio malto e anche le Stuot, ma il sapore caldo quasi ridondava su toscano. Lo accompagnavano come fossero delle spose e non delle amanti, come voleva lui. Serviva una birra che lo dissetasse, forse una Waiss.
Al primo sorso sentì che l’intuizione era esatta: il grano torbido si confondeva nel fumo del tabacco nero e non si mescolava. Era un amore solo fisico, una mescolanza erotica. Il toscano si dissetava con la birra e la birra desiderava il grano acrobatico di tutte quelle bollicine della birra.
Tutto il corpo di Belacqua partecipava all’atto d’amore e quasi non si accorse dell’arrivo dei Semidei.
Aspettarono che finisse il sigaro e il boccale.
Si sedettero ed esposero il problema. Non lo avevano cercato a lungo perché Caliban, vecchio compagno di giochi, conosceva le sue abitudini e non gli ci volle molto per indirizzare tutto il gruppo sulle sue tracce. Belacqua domandò il motivo di quella visita inattesa e fu proprio Caliban a prendere la parola.
C’era un disavanzo tra il numero di anime che erano arrivate nel Libero Cielo e il numero di quelle che vi erano. Era un prosaico problema di contabilità, tuttavia si sa – lo interruppe Belacqua – che la matematica, quando i conti non tornano, diventa filosofia. Caliban ammirava il pensiero intuitivo di Belacqua ma non poté fare a meno di esprimersi secondo la sua indole. Era una maestro nell’arte della dimostrazione e con lucidità espose la sua tesi. Sarà difficile verificare questa discordanza numerica, in quanto non si può sapere se gli angeli che avrebbero incontrato sul loro cammino sarebbero appartenuti al gruppo di coloro che erano arrivati o a quello di coloro che erano nel Libero Cielo. E anche se glielo avessero chiesto, di certo non avrebbero saputo rispondere.
Belacqua estrasse dal suo sacco un sigaro per ogni ospite, offrì loro un toscano originale e ordinò birra di grano per tutti. Poi li invitò a rimanere in silenzio. A pensare. Estrasse anche la pioggia cosicché Caliban disse che non era il caso di muoversi finché non si fosse rimesso il tempo.
Belacqua si era quasi addormentato quando qualcuno disse che il problema in quel momento non poteva essere risolto, che sarebbe stato meglio aspettare, che quel disavanzo, come era cominciato, sarebbe aumentato fino a diventare evidente e, quindi, comprensibile e affrontabile. Non fu il senso, fu il suono delle parole che trasse a Belacqua la conclusione che ci doveva essere, da qualche parte, una apertura che non conoscevano, e che era lì che dovevano andare.
Cessò di piovere e si incamminarono, ma quando Caliban interrogò il gruppo su quale direzione prendere si ebbe un momento di incertezza. La discussione si animò in maniera inattesa e si trasformò in una disquisizione puramente speculativa su cosa fosse il Libero Cielo, fino a che Belacqua affermò che non era questa la domanda giusta per uscire da quella situazione. Dovevano chiedersi per chi fosse. Caliban non esitò a rispondere che era per tutti e anche gli altri Semidei si affrettarono a dargli ragione. Allora Belacqua disse che non avevano alcun problema da risolvere, tirò fuori un sigaro e si diresse ancora alla ricerca di un pub. Non si sorprese che gli altri non lo seguissero. Si portava dietro il suo carattere, era bravo a rompere ma non si curava di mettere insieme i cocci per chi non lo capiva e non gli chiedeva lumi. Toccò a Caliban difendere il suo amico e dimostrare ai Semidei tutti la giustezza del suo agire.
Signori, siamo dei religiosi e non dei burocrati. Belacqua ha offerto sigari e ordinato birre di grano per il piacere della compagnia. Senza il piacere non può esserci alcuna birra. Come è vero che senza reato non può esserci alcun reo.
Un vecchio uomo lacero con delle scarpe lucide e il volto bruciato dal sole si avvicinò.
Dov’è qui?
Un semidio rispose che lì era il Libero Cielo, il Cielo dei Liberi. Poi chiese all’uomo chi fosse e da dove venisse. Quello indicò dietro di sé, ma i semidei non poterono vedere nulla se non una vecchia, una donna e un bambino.
Io non ce li avevo tutti quei milioni.
Per fare il viaggio, dico, e cambiare miseria. Si nasce con un destino, è vero? Ditemi che è così che magari riesco a spiegarmelo.
Allora ho preso tutto e sono andato via. In un qualsiasi altro non so. Ma non lì E non più lontano perché io non ce li avevo tutti quei milioni. Ho seguito il vento, io e la mia famiglia piccola, per tutta una vita di transumanza forzata.
Ieri mi sono fatto cambiare le scarpe. Come sono lucide! Sono nuove. Anche io mi sono potuto permettere almeno un lusso nella vita.
Ho detto Amore mio non ce la faccio più a camminare, i piedi mi si sono consumati in questa vita, sono vecchio e vi ho fatto vedere tanta geografia. Amore mio forse era lì la gioia, in quei panorami che non abbiamo mai guardato, che non abbiamo mai potuto guardare, nelle montagne e nei deserti, nei loro nomi nelle diverse lingue. Forse era lì e noi non lo sapevamo ma nella fame e nella sete e nella disperazione un po’ di gioia ci era intorno. Quieta.
Mettimi le scarpe Amore, quelle belle e scomode che non hanno suola per camminarci.
Non sapevo di non avere un appuntamento qui. Pensavo sarebbe stato facile, o almeno più facile. Non mi volevano far passare, ancora una volta. Ma in faccia a uno come me non si chiude nessuna porta!
Così ho scavalcato, come facevo di bambino per entrare nel parco la notte. Prima della fine.
Anche qui non esiste futuro, vero?
I semidei guardavano l’uomo lacero con le scarpe lucide. Caliban lo accompagnò verso il pub, gli altri Semidei seguivano e disquisivano di matematica pura. Il vecchio entrò e si sedette al tavolo di Belacqua, che gli offrì un mezzo toscano originale e una birra di grano.
Belacqua e i Semidei si diressero verso qualche altro altrove dissertando sul significato nascosto nelle equazioni di secondo grado. Non erano stanchi perché il corpo di un Semidio non può sentire la stanchezza. È uno dei prezzi da pagare. Un altro è l’impossibilità a capire, così si diressero senza badare al fatto che il Libero Cielo aveva chiuso la frontiere.
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