I Miei Racconti



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FRASI FATTE
Microracconti
Possibili incomprensioni in famiglia

Come coloro che non ammettono di avere il vizio del fumo fintantoché non si intima loro di smetterla di scroccare sigarette, e di comprarsi i propri dannati pacchetti, così rifiutai di ammettere a me stesso di avere problemi di donne finché quasi non ebbi un incidente stradale per sbirciarne una. Era una sventolona da dieci e lode, certo, e sospetto in piedi a quell'incrocio appositamente per provocare sinistri (quanto a questo, se si fosse trovata presso una strada ferrata, avrebbe sicuramente provocato un deragliamento). Ma coscia lunga ed affusolata e capelli biondo oro sciolti sulle spalle minute non sarebbero stati argomenti sufficienti a giustificare la prematura demolizione del Mercedes del babbo. Lui non avrebbe capito.



La voce del cuore

Piccola e minuta. Capelli neri, nerissimi, lisci e lucidi dai bagliori blu e bianchi, a caschetto un po' asimmetrico. Carina e - ovviamente - ben conscia di esserlo.
"Attenta, brunetta! A tirartela così finirai per strappartela!" Le grida un ragazzotto allampanato tutto firmato, da uno scooter Suzuki appena uscito dal concessionario. Lei sorride. E il tipo quasi si schianta contro un furgone fermo a scaricare verdura. Lei continua a sorridere, e a camminare lungo il corso, con la testa un po' bassa e il faccino grazioso per metà celato sotto i Police a specchio dalla montatura argentata e lo schermo nero e soffice dei suoi capelli.
La brunetta veste in verde e renna. Dal basso verso l'alto scarpette scamosciate a mezzo tacco, minigonna stretta verde scuro, camicetta bianca che balugina provocatoriamente quasi aperta sotto l'abbondante giaccone di renna. Guardandola meglio, il tipo dello scooter decide che non è carina: toglie il respiro. E dopo aver compiuto un'elegante virata col Suzuki, le si fa sotto ansimando un poco, forse a causa dello spavento per il mancato sinistro.
"Scherzavo!" le dice con una faccia da culo che per poco non gli si stacca.
"'Fanculo." Risponde lei sempre sorridendo. Le sue gambe, affiorando a mezzacoscia da sotto la minigonna gli stanno già erodendo i neuroni. Non può mollare. Non può lasciarsi sfuggire un pezzo come questo.
"Scherzavo! Giuro! Scusa!" E' già alle scuse. Lei aveva comunque già capito che non è il duro che finge, male, di essere. Tace.
"Hei!" Non demorde il tanghero. "Da che parte vai? Vuoi uno strappo?" Intanto continua a seguirla lentamente, lungo il marciapiede, con lo scooter che borbotta sottogiri.
"Davvero! Non è un problema! Dove ti porto?"
La brunetta si ferma e si volta verso di lui, che si ferma a sua volta portando la sua faccia già da culo ad una 'culaggine' mai vista prima, e dice:
"Allora?"
Lei lo scruta da dietro le fide lenti a specchio, che sente sue come fossero un innesto bionico. Sa quanto può essere gelido e disarmate il suo sguardo, così glielo scarica addosso senza nessuna pietà, tanto che lui sembra perdere l'equilibrio col motorino che è fermo. Per un minuto buono lo bombarda di silenziosa ostilità.
"Sparisci." Dice alla fine.
Lui sparisce.



Brutta serata, anzi pessima

Si guardarono negli occhi per un lungo momento. Lei disse:
"Ti perdono solo perché sei sconvolto."



Da fuori

Lo specchio e l'individuo. Chi è l'uno e chi l'altro?
Il riflesso è perfetto in ogni dettaglio: l'espressione sicura, il mento deciso, i capelli in perfetto ordine di battaglia. Sulla guancia c'è persino il taglio che il rasoio ha lasciato poco fa. Qual è la copia? Quale l'originale? Difficile a dirsi. Anche quando i due si danno improvvisamente le spalle e dirigono - ciascuno nel suo mondo - verso la porta. Quando questa è aperta, in entrambi i mondi sulla stanza entra un forte fascio di luce mattutina. Poi, in un istante, tutto scompare. Due mani toccano all'unisono due interruttori, due lampade si spengono, due porte si chiudono, il buio esplode. Due mondi scompaiono.
E non sapremo mai quale dei due fosse reale.



Prime incrinature

-Non dire nulla. Non dire nulla, ti prego. Voglio udire solo il delicato suono del tuo respiro.-
-Come sei dolce...-
-Cazzo! Ti avevo detto di stare zitta!-



Fragili certezze

Tutto cominciò una calda mattina di luglio. Guardò un attimo in una vetrina e il destino edificò i due mesi successivi su quel gesto casuale ed innocente.
Credete nel destino? Lui si, immensamente. O per lo meno iniziò a crederci da quella mattina, perché ebbe la sensazione, anzi la certezza, che se si fosse soffermato su quella vetrina appena cinque secondi prima o dopo, tutto ciò che accadde in seguito non sarebbe mai potuto accadere.



Prima del delirio

-Mamma?-
La sua voce incerta rivolta all'oscurità quasi completa.
Davanti a lei un corridoio, una porta socchiusa dalla quale filtra pallida la poca luce lunare, il mobilio immerso nel fioco bagliore latteo.
-Mamma?-
I suoi passi leggerissimi nel silenzio, come il fruscio della stoffa del suo vestito, cautamente.
Un rumore attutito, appena udibile.
-Mamma? Mamma, sei li?-
Lo scricchiolio lieve di una porta.
-Mamma?-
Un gemito strozzato.
-Mamma?-
Pochi passi affrettati sul parquet. Una porta che non si apre, scrollata tra gli stipiti. Piagnucolii e singhiozzi.
-Mamma?-
Il coltello impugnato più saldamente. Un viso atterrito.
-Oh, mamma...-



Indicazioni

Da sempre odiava gli ospedali. Non ne sopportava l'odore, l'inquietudine che gli trasmettevano ancora prima di varcarne la porta. Detestava l'aria d'onnipotenza dei medici, l'acidità degl'infermieri, la boria degli inservienti. Lo turbava l'essere costretto a sopportare la vista di persone sofferenti, condotte da un reparto all'altro su lettighe cigolanti o sedie a rotelle tenute insieme da metri di cerotto. Gli ospedali erano posti dove s'incontravano tizi come quello che l'aveva fermato ora, baffuto e occhialuto, con l'ombrello appeso al braccio e in mano un campione di feci in un contenitore di plastica trasparente.
Il suo stomaco fece una piroetta e rimase appeso a testa in giù, ma quella mattina si era alzato con il senso dell'umorismo al posto giusto.
-Mi lasci indovinare,- disse a chi l'aveva fermato. -Gastroenterologia?-
-No,- disse quello. -Fisiopatologia gastroenterologica.-
-Bé, c'ero andato vicino,- rispose lui. -Comunque dovrebbe essere nelle cliniche nuove. Segua il corridoio a sinistra. Quando arriva in fondo, chieda.- Il tizio ringraziò sollevando il suo campione.
-Perché non l'ha messa in una sportina di plastica?- Disse lui indicando la scatolina con una smorfia.
-Che schifo!- replicò inorridito il tizio. -Così poi si schiacciava tutta!-



In compagnia

Non c'era scampo.
Tutto convergeva irrimediabilmente in quel luogo. Partiva sempre pieno di entusiasmo e di voglia di nuovo ma poi, lentamente, dopo il lento peregrinare nella notte che oramai riconosceva per suo, si ritrovava sempre là. Seduto al bancone con una birra rossa in mano, osservava, pensando a se stesso e al mondo e a come fare per mettere i due d'accordo.
Non c'era scampo.



Tridacna

Fin da quando lo conosco, e sono molti anni, nell'acquario di Manuel c'è stata la splendida Tridacna, la conchiglia che da bambino ha riportato viva da un viaggio in Egitto. Ne è sempre stato fierissimo. Gli avrò sentito ripetere duemila volte che le Tridacne possono raggiungere i due quintali di peso, e che se decidono di chiudere le possenti valve non c'è verso di fargliele riaprire. Ogni volta che lo diceva potevo vedere il Mar Rosso nei suoi occhi.
Sempre da quando lo conosco, Manuel ha avuto il naso nel monitor di un qualche computer. In principio per curiosità, poi in preda ad una vera febbre. Così il monitor ha intrapreso un viaggio dalla semplicità schematica dei fosfori verdi alla varietà fiabesca e metamorfica dei milioni di colori. Le CPU si sono soppiantate l'un l'altra competendo in velocità e potenza. E la sua stanza è diventata un tempio consacrato alla tecnologia; tra scatoloni sventrati e pile di manuali in giapponese, giace l'hardware più sofisticato a prendere polvere come il più banale posacenere. Il suo ultimo orgoglio è una maschera-oculare Virtual Reality, con cuffia stereo e microfono. Quando l'applica al volto, spingendo bene gli auricolari perchè non cadano proprio sul più bello, somiglia ad un automa cieco. Poi digita "invio" avviando il collegamento, la sua seconda anima, la sua visione dell'oltre. E parte. Nella stanza rimaniamo soli, io e la Tridacna dalle carnose labbra viola. Sott'acqua, sorride amara come un'amante abbandonata.



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L'auto corre nella pioggia.
La pioggia... è come il suo umore. Umida, triste, inevitabile.
Ed è notte. Anche la notte è come il suo umore. Buia, misteriosa, anch'essa - a modo suo - inevitabile.
Ma la pioggia è peggio.
Un lento stillicidio di ricordi. E guida in mezzo a loro, tentando di ignorarli tutti. Eroicamente, stoicamente forse.
Lo assalgono tutti insieme. Non ci voleva. Accende l'autoradio e alza il volume. Sa che non serve. Nonostante il frastuono la cosa più assordante è il silenzio. E' tardi, si dice. dovrebbe essere una sorta di giustificazione. Non ci crede nemmeno mentre lo pensa.
Non è l'ora.
E non è la notte.
E non è la pioggia.



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'Pagine Scelte' di Enrico Saletti © 1998 - 1999

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