Archeologia del sapere e storia dell'arte
L'analisi dei fatti artistici ispirata ai criteri di indagine di Michel Foucault

 

La storia

Spesso ci portiamo dietro un'idea dello storico come di colui che inscrive i fatti nel territorio del sapere attraverso la loro descrizione. Detto in altre parole lo storico sarebbe colui che osserva un evento, lo descrive e così facendo ne fa la storia. In questo modo l'evento è inserito nel dominio delle cose scritte, delle documentazioni, della cultura. Lo storico, dunque, sarebbe soltanto un'interfaccia tra il semplice accadimento di qualcosa e la sua rappresentazione nella testimonianza. Questa, infatti, sarebbe una funzione simile a quella del testimone che, per es., vede una persona ucciderne un'altra. Egli, mettendo per iscritto i suoi ricordi, produce un documento che serve poi da punto di riferimento per le iniziative della società (condanna penale, informazione giornalistica ecc.). Se accade qualcosa senza che nessuno lo possa testimoniare - ovvero tradurre in parole e documenti - non si produce nessun fatto. Tutt'al più si può sospettare o dedurre che un fatto sia accaduto. Per esempio se una persona è scomparsa potrebbe essere morta. Sicuramente alcuni eventi sono avvenuti, ma, non conoscendoli, non si può dire se essa sia morta o meno.
Spesso però l'effettivo lavoro degli storici contraddice questa prima opinione. Essi lavorano soprattutto su elementi già esistenti. Operano già su fatti del sapere: descrizioni, testimonianze, documenti. In tal senso si potrebbe tracciare quasi una linea di separazione tra il lavoro di testimonianza, compiuto ad esempio dai giornalisti, e quello di ordinamento dei fatti, compiuto dagli storici.
La storia dell'arte contemporanea sembra in ogni modo dare ragione al primo tipo di storico che abbiamo descritto. Succede spesso che lo storico d'arte contemporanea sia anche un diretto testimone dei fatti stessi che va a descrivere e classificare. Egli allora potrebbe essere tentato di vedere la storia come cronaca della sua esperienza personale nel campo dell'arte o di mescolare la sua azione di critico (che come tale concorre alla formazione dei fenomeni artistici) a quella di storico e pretendere così di raccontarci la verità e l'essenza di una certa poetica che ha conosciuto da vicino. Si commette così l'errore che compiono molti critici quando, per il fatto di conoscere personalmente l'artista, pretendono di dare una descrizione dell'opera che corrisponde in realtà solo a ciò che pensano loro stessi. In molti casi, infatti, il critico e lo storico incorrono nella sovrainterpretazione. Si fa dire alle opere, agli artisti e ai movimenti ciò che ha in mente lo storico, ma che nulla ha a che vedere con quanto sostengono i diretti interessati o con le circostanze che hanno consentito l'emergere del fenomeno. Questo abuso di interpretazione, questa prevaricazione ermeneutica è in un certo senso "autorizzata" da un modo di intendere l'arte, risalente al puro-visibilismo e alla critica formalista. Secondo tale assunto, per parlare di un'opera d'arte è sufficiente vederla. Non interessa sapere cosa aveva in mente l'artista (psicologismo), cosa si era (o era stato) incaricato di rappresentare (iconologia) o infine le problematiche sociali a cui l'opera può essere relazionata (sociologismo) ecc. Basta vederla per giudicarne le forme, e inquadrarle così dentro una linea progressiva di evoluzione del linguaggio formale. Oggi però, in una situazione in cui la linea evolutiva non progredisce più e vengono a galla tanti "neoismi", cosa può dire il critico o lo storico? Lo storico in particolare sembra essersi ridotto a presentare la cronaca del succedersi delle mode: "...prima è venuta la transavanguardia, poi l'anacronismo, poi il simulazionismo, il medialismo, il neoconcettuale...". Si finisce così in un cul-de-sac che scoraggia l'impresa della ricerca storica.

 
 

 

L'arte come formazione discorsiva


Per Foucault il sapere è indagabile solo attraverso gli enunciati. Quindi si pone all'opposto di chi pensa di raccontare ciò che ha visto, anche perché dal suo punto di vista sarebbe inutile. La realtà che Foucault è interessato a descrivere è quella dei fenomeni culturali, di ciò che è importante dentro la società in un determinato momento. Non gli interessa aggiungere le sue esperienze a quelle documentate o peggio ancora privilegiarle per far vedere di essere più vicino alla sorgente dei fatti. I fatti che interessano Foucault sono tali perché sono stati riconosciuti importanti da una comunità attraverso gli addetti ai lavori e gli specialisti. Secondo questa prospettiva non è interessante raccontare un nuovo aneddoto ad es. sulla vita di Picasso che nessun altro sa, l'obiettivo è capire come si sia costruito un oggetto del sapere "Picasso", perché è stato ritenuto importante, quali meccanismi hanno consentito che prima venisse accreditato come artista, poi come genio e infine come simbolo della cultura del '900. L'archeologia del sapere e la genealogia studiano gli artisti non come soggetti irriducibili che si collocano alla base delle vicende storiche dell'arte, come farebbe lo storicismo. Secondo il punto di vista genealogico «Picasso-persona» non è che uno degli attori in campo nella partita che porta alla produzione di «Picasso-genio-del-secolo» insieme a critici, storici dell'arte, direttori di musei, galleristi, mercanti d'arte ecc.

L'artisticità dell'opera d'arte è un fatto culturale e non naturale. Un'opera è designata "opera d'arte" nel corso di un'incessante contrattazione che vede molte parti in causa. Essa deve essere riconosciuta come tale, deve essere "approvata" ripetutamente prima di poter essere definitivamente consacrata e lo stesso accade anche per l'artista. Un'opera non è naturalmente artistica al contrario ad es. del rame nativo che è naturalmente rame. L'opera d'arte, Nel dominio degli eventi che non sono ancora qualificabili come "fatti", non esiste. Se un cadavere è tale anche se nessuno lo vede e quindi può essere scoperto, raccontato e inscritto nell'ordine dei fatti, documentato, storicizzato, indagato; se un terremoto è un evento precategoriale e quindi esiste sia che io sia in grado o meno di descriverlo e raccontarlo agli altri, l'opera d'arte invece no. Essa nasce già come un fatto, altrimenti è qualcosa (una scultura, un quadro) ma non un'opera d'arte. Io posso realizzare un dipinto senza che nessuno lo sappia, ma affinché questo possa essere considerato "opera d'arte" occorre il consenso di una comunità, che viene tributato attraverso operatori del settore che condividono la categoria concettuale "arte" e molte altre annesse. Esistendo quindi l'arte solo nel dominio saperi, essa non può essere semplicemente testimoniata alla stregua di un evento naturale, poiché essa è sempre un evento culturale e il suo apparire non è mai solamente riducibile alla realizzazione dell'oggetto fisico (il quadro, l'installazione, la scultura ecc.) - che non è neanche indispensabile - , bensì all'azione di numerosi meccanismi e agenti che ne determinano la consacrazione.

Dobbiamo allora tenere presente in primo luogo l'arte come formazione discorsiva. In secondo luogo artisti, movimenti, tendenze e opere vanno considerati tutti come oggetti prodotti dalle formazioni discorsive. Alla base quindi non abbiamo l'intima psicologia dell'artista, la sua ineffabile genialità, non abbiamo l'essenza del movimento o della tendenza, non abbiamo infine la verità interiore espressa dall'opera d'arte, ma un continuo lavoro di costruzione di valori che passa attraverso una folta produzione di enunciati. Ciò però non significa che tutti gli oggetti culturali, per il solo fatto di essere tali, siano del tutto equivalenti. Un autore non è uguale a un'opera o a un movimento. Essi rappresentano tre tipi di coagulazioni enunciative che si situano su tre piani differenti.
Il movimento può essere descritto come insieme di artisti, l'artista a sua volta come insieme di opere, l'opera infine come insieme di influenze riconducibili a uno o più movimenti. Tutto nell'universo dei prodotti culturali può essere insieme di qualcos'altro.

 

Il movimento artistico


L'unità del movimento non va ricercato nei caratteri formali comuni reperibili nelle opere dei maggiori artisti che lo compongono, ma nei fattori storici che ne descrivono l'emergenza e la continuità. Questi ultimi sono rintracciabili negli enunciati e nel loro ordinamento. Vanno poi analizzate come dice Foucault le superfici di emergenza, le istanze di delimitazione, le griglie di specificazione. Le superfici di emergenza sono le aree discorsive in cui è presente l'oggetto in questione, il campo su cui appare l'insieme, che vi occupa uno spazio attraverso istanze di delimitazione. Queste nel caso dell'oggetto "movimento" ricostruiscono a un livello più interno le stesse problematiche di separazione inerenti al discorso. Esse riguardano soprattutto l'estensione del movimento artistico nel territorio discorsivo. È come se tracciassimo una carta geografica del movimento stabilendo la sua estensione in termini di artisti aderenti ad esso (o ascritti dalla critica e dalla storia), di critici, di galleristi e di altri operatori agenti in quell'area. Questa mappatura del movimento non è mai stabile nel tempo, bisogna seguirne quindi le modificazioni, e comunque essa difficilmente avrà dei confini netti. Le tendenze e i movimenti artistici si presentano sempre come insiemi fuzzy, ovvero insiemi sfumati in cui è difficile separare in modo netto tutti gli appartenenti a pieno titolo al movimento da quelli estranei come se fosse una distinzione tra bianco e nero (A o non-A, 1 o 0). Spesso vi è una gradazione che procede dai componenti centrali a quelli minoritari a quelli occasionali a quelli dubbi e infine agli estranei (da A a non-A, da 1 a 0). Per esempio nel caso del concettuale abbiamo un nocciolo di pochi artisti intorno ai quali è maturato il fenomeno, poi abbiamo un insieme più ampio di artisti che sono stati salutati dai critici fin da subito come concettuali e infine abbiamo una vasta area di artisti, ora qualificati come concettuali ora no, che magari militano anche in altre correnti artistiche. Si ha quindi l'esigenza di stabilire contemporaneamente tanto la collocazione degli artisti (e delle altre figure implicate) quanto l'intensità della partecipazione, cosa che è rilevante per stabilire le dimensioni stesse del fenomeno. Per creare questa mappatura ci si rifà alle dichiarazioni dei critici, alle inclusioni già operate dagli storici, dalle selezioni effettuate nel caso di esposizioni pubbliche e private.

Chiaramente se ci troviamo ad esaminare una tendenza o un movimento, occorre innanzi tutto sfuggire alle tentazioni universalistiche o generalizzanti. Con ciò si allude alle dichiarazioni del tipo: "è optical tutta l'arte basata su effetti ottici aniconici" o "è surrealista tutta l'arte basata su elementi onirici". Questo è l'errore in cui si incorre quando si vuole stabilire l'essenza di un movimento artistico in una regola poetica generale al di là della contingenza storica, come se fosse una legge fisica. In questo modo dovremmo desumere che sono optical art molte decorazioni musive romane, basate su giochi di rombi che vanno intrecciandosi verso il centro, oppure dovremmo sostenere, come è stato anche fatto, che Bosch sia un pittore surrealista.
I movimenti artistici non sono la concretizzazione di astratte polarità astoriche, ma i prodotti di una determinata organizzazione dei saperi in un determinato momento e in una determinata area geografica. Il fatto che poi essi stessi alludano o aspirino a una universalizzazione della loro poetica è un fatto che va letto come prodotto culturale e non come premessa dell'analisi. Non occorre quindi chiedersi se un movimento che pretende di essere universale lo sia poi veramente, ma semplicemente per quale motivo quel movimento arriva a formulare l'esigenza di essere universale ovvero quali condizioni di esistenza hanno reso pensabile questa concettualizzazione.

Dunque, quando ci si appresta ad analizzare un movimento artistico, bisogna innanzitutto eliminare l'idea di doverne cercare l'essenza come criterio unificatore, per stabilire chi vi possa appartenere o meno. Occorre cioè astenersi da formulazioni generali che permettono l'aggiunta a nostro piacimento di altri artisti, che non vi appartengono storicamente, per il semplice motivo che hanno una produzione affine o compatibile con i principi da noi delineati.

Personalmente quando ho affrontato il caso dell'arte concettuale mi sono posto il problema di scegliere tra varie definizioni. Ad esempio la definizione data dalla Lippard dell'arte concettuale come arte dematerializzata avrebbe comportato un criterio di appartenenza secondo il quale avrei dovuto considerare concettuali solo quelli che sceglievano di non presentare oggetti. Diversamente seguendo la definizione data da Migliorini - dell'arte concettuale come arte interessata al momento germinale dell'ideazione che lui chiama poiesis - avrei dovuto eliminare tutta un'altra serie di artisti. Il criterio di definizione condiziona direttamente la mappatura del movimento ed è interessante notare che le diverse definizioni, non solo producono differenti mappature tra loro, ma anche mappature che non coincidono mai (a meno di non ricorrere alle solite forzature) con l'estensione del movimento che ci è invece consegnato dalle varie documentazioni storiche. Per questo motivo occorre rinunciare a qualsiasi definizione aprioristica, per concentrarsi sull'analisi degli enunciati e far emergere dal confronto e dalle ridondanze statistiche l'eventuale presenza di un comun denominatore teorico. Questo va trovato però a-posteriori e non deve rappresentare neanche la nostra maggiore preoccupazione. Infatti, l'eventuale esistenza di un principio unificante del fenomeno non è che una delle caratteristiche del fenomeno stesso. La storia dei saperi è piena di fenomeni dotati di una capacità di emergere dallo sfondo pur non essendo omogenei al loro interno. Queste disomogeneità possono essere sia diacroniche (=le discontinuità studiate dalla genealogia) che sincroniche come nel caso di contenitori culturali che contengono al proprio interno elementi che hanno più differenze tra loro che con elementi esterni (l'arte è uno di questi). Non si può infatti presumere una coerenza nei fenomeni storico culturali, così come non la si può presumere nelle persone, senza cadere almeno in ingenue impostazioni metafisiche. I movimenti possono inoltre suddividersi in sottoinsiemi, possono ordinare al loro interno altri oggetti secondo determinate griglie (anche se in questo caso la nozione foucaultiana di "griglia di specificazione" mal si adatta al campo artistico in quanto esso non è mosso da un intento di conoscenza razionale tassonomica).

 

L'artista


Veniamo adesso all'oggetto "artista" o "autore". L'artista o l'autore non va confuso con la persona fisica. La persona fisica esiste anche indipendentemente dal fatto che nessuno la conosca, l'autore e l'artista no. La persona fisica vive nella biosfera, l'autore nell'infosfera. L'esistenza di una persona fisica prescinde dall'esistenza dei linguaggi, l'esistenza dell'autore o dell'artista no. Non a caso Foucault parla esplicitamente di "funzione-autore". Anche qui il costituirsi dell'autore non è una premessa scontata dell'analisi storica, poiché come scrive lo stesso Foucault "La funzione-autore è quindi caratteristica di un modo di esistenza, di circolazione e di funzionamento all'interno di una società". Occorrerebbe addirittura chiedersi: quale bisogno c'è della figura dell'autore? Per quale motivo gli scritti non possono circolare anonimi, o sotto nomi mitici? Quando e perché si è sentita l'esigenza di una referenza dello scritto a colui che l'ha prodotto? L'attribuzione delle opere a un autore comporta l'instaurarsi di un gioco di definizione reciproco: l'autentificazione delle opere tramite l'autore e dell'autore tramite le opere. Bisogna tener conto quindi che, essendo l'autore un prodotto culturale, esso non è in quanto tale sempre uguale nella storia. Parlare di autore nel medioevo ha un senso ben diverso del parlarne nella modernità. Quindi, indipendentemente, dai ben noti mutamenti dello statuto e del ruolo dell'artista nel corso della storia occidentale, occorre ricordarsi che l'artista, anche per quanto concerne la relazione di paternità con le proprie opere, che ne fa un autore, è da considerarsi una variabile storica. Appare chiaro a questo riguardo che l'obiettivo dello storico dell'arte è l'artista come figura culturalmente determinata, è l'autore, il che potrebbe non coincidere affatto con la presunta individualità storica della persona fisica. L'autore va ricondotto alla meccanica del discorso storico artistico che deve imporre una paternità a un opus. Si pensi ad autori "fantasma", che abbondano nella storia dell'arte greca e romana, la cui esistenza storica è scarsamente probabile, come ad es. "Il maestro della Colonna traiana". Si pensi ancora ad altre figure di "milite ignoto" dell'arte come ad es. il "Maestro dell'Annunciazione Gardner". Sicuramente qualcuno ha scalpellato i marmi della Colonna traiana, ma nessuno ci autorizza a pensare che fosse una persona sola o un gruppo di persone guidate da un'unica mano. Perché mai dovrebbe esserci la regia di un unico disegnatore dietro? Perché poi quell'uniformità di stile (che forse è tale solo ai nostri occhi) non potrebbe essere dovuta a un omogeneo lavoro di squadra o a una formazione comune delle maestranze? Che bisogno c'è infine di inventare un'identità putativa quando non abbiamo le prove storiche per farlo? Non va forse capita la Colonna traiana nel suo essere anonima? Non va invece proprio approfondito il fatto che i romani apprezzassero la figura del grande scultore come qualcosa di appartenente alla cultura greca e al passato, ma non per la loro stessa cultura? Allo stesso modo non deve essere chiaro il fatto che l'anonimia dell'opera è qualcosa che deve essere considerato e non rimosso anche nel rinascimento, invece di presentare una dimensione contraffatta di un passato in cui vigono le stesse preoccupazioni identificative che si sono affermate solo tra Sette e Ottocento? Dobbiamo quindi evitare di cadere nella trappola dello schematismo aproristico della formula "vita, opere e fortuna critica" da applicare forzosamente a tutte le situazioni. Tra l'altro questa può avere una sola validità mnemotecnica, può andare bene per ricordarsi dei dati che non si intende approfondire, ma altrimenti non ha alcuna consistenza scientifica. Perfino da un punto di vista storicistico non ha senso isolare le opere dalla vita. Il problema sta soprattutto nel fare i conti con quella santificazione dell'artista che non deve essere data per scontata. Altrimenti si finisce per scrivere un'agiografia dell'artista e cercare in tutta la vita i segni della santità o della genialità successivamente attribuitagli. Il risultato sarebbe inevitabilmente un "santino", un prodotto irreale che difficilmente potrà coincidere con l'effettiva vicenda storica della persona fisica. Occorre allora evidenziare proprio il processo di beatificazione dell'artista, le descrizioni che implica, la revisione della sua vita trasformata in agiografia artistica e a questo punto può servire riferirsi a dati sulla vita della persona fisica per evidenziare la differenza che si è prodotta tra il livello della vita fisica e quello della "vita-d'artista" proprio in quanto "icona" o "santino" della storia dell'arte. Si tratta quindi di un lavoro di esplicitazione in cui portare in superficie tutti i processi di consacrazione che di solito vengono lasciati dietro le quinte. Tutto ciò equivale a chiedersi: com'è possibile che un tal pittore (o simile) sia stato eletto artista e inscritto nella storia dell'arte?
Anche per quanto riguarda l'analisi dell'oggetto "artista" occorre poi allontanarsi dalla presupposizione di un'insita coerenza e dalla ricerca di una formula astratta che la riassuma tutta. Pena il cadere in un lavoro di limatura che finisce col divenire una vera mistificazione fatta di omissioni e correzioni. Foucault riporta a questo proposito i criteri usati da San Girolamo nel De viris illustribus: « San Girolamo espone quattro criteri: se in mezzo a vari libri attribuiti a un autore, uno è inferiore agli altri, bisogna ritirarlo dalla lista delle sue opere (l'autore allora è definito come un certo livello costante di valore); allo stesso modo, se alcuni testi sono in contraddizione di dottrina con le altre opere dell'autore (l'autore è allora definito come un certo campo di coerenza concettuale o teorica); bisogna ugualmente escludere le opere che sono scritte in un uno stile differente, con parole e giri di frasi che non s'incontrano generalmente sotto la penna dello scrittore (è l'autore come unità stilistica); infine si devono considerare come interpolati i testi che si riferiscono ad avvenimenti o che citano personaggi posteriori alla morte dell'autore (l'autore è allora momento storico definito e punto d'incontro di un certo numero di avvenimenti) ».
Questa visione monolitica dell'autore, utile alla filologia, va anche al di là della preoccupazione di eliminare opere spurie e inautentiche. La sistematica eliminazione nelle analisi di artisti di periodi e di opere, pur sicuramente autentiche, ma giudicate concordemente poco interessanti, finisce col produrre quel santino dell'artista che si distacca notevolmente dalle vicende storiche della persona. Questa tendenza a considerare determinati periodi e a creare delle equivalenze spicciole, del tipo per es. De Chirico = metafisica, si mostra in alcuni casi così forte da spingere l'autore stesso a uniformarsi alle aspettative sociali tornando alla produzione stilistica che lo identifica.

 
 

 

L'opera d'arte


Veniamo infine all'oggetto culturale "opera d'arte". Questo è solitamente il terreno su cui la fantasia della critica, il travisamento dotto, la mistificazione ermeneutica si sbizzarriscono di più. Il primo dato, con cui fare i conti è, dal punto di vista dell'analisi degli enunciati, quello rappresentato dalle dichiarazioni d'intenti e dalle spiegazioni fornite dall'autore stesso. Questo va fatto però non al fine di ristabilire una verità filologica grettamente alterata. Infatti dal punto di vista della genealogia è interessante accludere anche gli stravolgimenti operati da critici e storici. Questo perché l'opera come "oggetto" culturale è composta tanto dai primi elementi quanto dai secondi. Si tratta allora anche qui di esplicitare proprio questa dinamica in cui un'opera viene prodotta attribuendole un significato e viene accolta con un altro e poi con un altro e con un altro ancora. La sostanza dell'opera però non sta nell'intenzione dell'artista (il quale talvolta cambia anch'egli versione nel corso degli anni), ma nell'itinerario semantico che essa compie e che evidenzia come l'opera di fatto sia creata dell'intera collettività degli addetti ai lavori e non solo dall'artista.

In conclusione va notato che comunque un'indagine genealogica non è mai fine a stessa. Essa è sempre un atto strategico all'interno di una politica. Essa si serve di metodi di indagine obiettivi per finalità che sono di parte e che non potrebbero non esserlo. Quando parliamo di politica non parliamo di sinistra o destra, ma di una politica di ricerca che solo molto alla lontana può essere ricondotta a dinamiche di schieramenti parlamentari. In questo senso poi molti strumenti di analisi potranno essere usati o meno a seconda della funzione a cui sono rivolti. È chiaro però che questa stessa piccola enucleazione metodologica risponde già di per sé a una strategia mirante alla demistificazione dell'arte e dei concetti che essa usa. Va sottolineata comunque la dimensione strategica perché un altro elemento molto importante sta proprio nella scelta del movimento, dell'artista o dell'opera da analizzare. Attraverso queste analisi si mettono in luce l'uso di determinate strutture che governano il discorso dell'arte.

 

Roberto Terrosi


 

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