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CARLO
BAZZANI
Galleria Sant'Isaia,
Bologna, 1995
Presentazione della mostra, in catagolo |
Carlo
Bazzani
Un'attenta
lettura storica e critica deve saper individuare e porre nel giusto rilievo
fatti e circostanze che danno un'impronta originale all'esperienza di un
artista. Talvolta, però, ad uno studio scevro da pregiudizi, si
sovrappone, quasi impercettibilmente, il taglio di una metodologia più
rigida, aprioristica, che tende a ridurre entro parametri codificati individualità
più sfumate e ricche.
E' quello che mi pare sia
capitato a Carlo Bazzani: gli aspetti salienti della sua vita e delle sue
scelte pittoriche sono stati da tempo individuati e raccontati in più
occasioni; in particolare resta imprescindibile il riferimento alla grande
mostra antologica dedicatagli dal Comune di Reggio Emilia nel 1986. Ma
fu proprio allora che si vennero determinando alcuni giudizi complessivi
sulla sua arte che in un certo senso 'pesano' tuttora e riaffiorano, nonostante
alcuni commenti più lungimiranti, anche nelle successive letture.
Bazzani viene infatti annoverato come pittore provinciale, completamente
assorbito e risolto in una realtà locale in cui affonda le radici
e da cui parrebbe trarre ogni ragione e significato. E ciò in virtù
dei lunghissimi anni trascorsi nel paese natale, a Canicchia, nel reggiano,
traendo ispirazione dalla sua gente, dalla vallata, dai borghi e dall'Appennino
che sale all'orizzonte dietro le colline. I suoi quadri perciò vengono
letti come il frutto di una consuetudine serena con le cose semplici, sincere
di quella terra; egli è il "pittore contadino", famigliarmente colloquiale
ma isolato, innamorato del suo piccolo mondo antico, erede dell'Ottocento
romantico di Antonio Fontanesi e di un paesaggismo sentimentale, tramandatogli
con buona maestria da Ottorino Davoli. Sempre lusinghieri i giudizi, volti
a sottolineare la piacevolezza della pittura e quella semplicità
che si fa espressione viva e condivisa, per cui ogni aspetto è immediatamente
riconosciuto e avvertito armoniosamente dal suo pubblico. Tuttavia proprio
questi accenti campanilistici, se da un lato hanno fatto di Bazzani una
gloria locale, dall'altro hanno circoscritto, forse eccessivamente, la
sua opera e la sua influenza.
Egli invece si merita il
tentativo di una lettura meno oleografica e sentimentale e più tecnica,
che lo inserisca tra le voci figurative mature del '900; se finora è
stato considerato come ultimo erede di una tradizione locale, cantore di
un angolo di terra tra la Padania e gli Appennini, è sempre possibile
spostare i termini dell'analisi dal piano della pittura di genere a quello
della qualità e dello stile. Chiediamoci quindi se la sua pittura
sia soltanto un'elegia decandente, o se egli, come Fontanesi stesso, abbia
avvertito fermenti nuovi, sperimentazioni, reazioni alle vicende culturali
a lui contemporanee. E ancora, se quel tragitto dal particolare all'universale,
che fa di un microcosmo il riflesso di valori più generali, il frammento
su cui possono specchiarsi altre latitudini, sia stato percorso e varcato,
per andare, seppur metaforicamente, al di là dell'orizzonte.
Le opere scelte per questa
mostra dalla Galleria Sant'Isaia fanno intuire come a Bazzani non siano
estranee le questioni teoriche; il suo "non abbandono" dell'immagine è
una risposta in piena coscienza a uno dei dilemmi del suo tempo, con cui
egli si pone sul versante di una figurabilità vissuta come esercizio
critico, come naturalismo di confine. A ben guardare infatti, è
assai poco sentimentale la sua pittura, non si concede al facile effetto,
cerca piuttosto l'equilibrio tra la struttura della realtà visibile
e le regole necessarie alla composizione pittorica. Sicuro nella definizione
dei piani e nel colorismo, nell'elidere i particolari descrittivi, nell'evitare
i pittoricismi di maniera, egli tende a cogliere invece l'essenziale, con
pennellate vigorose che sbalzano le forme, spesso con contrapposizione
di piani, in luci ed ombre, essenziali. Una volta confermata la necessità
di mantenere il dialogo con la visione naturale, Bazzani non si lascia
sopraffare dal modello, nei paesaggi, così come nelle nature morte,
nei ritratti e nelle figure. Ne sono un esempio quadri come l'intenso ritratto
"Maria" del '71, e "A Canicchia" del '62. E' lui che domina, che scarta,
sprezzando la fedeltà oggettiva, per giungere alla "sua" verità. |