Daniela Bellotti "Scritti sull'Arte"                                                                                                                         Scritti teorici
UNA RIFLESSIONE DELL'AUTRICE Sull'alchimia dell'arte

Mi sono chiesta spesso non solo come critico, ma in primo luogo come fruitore appassionato, innamorato dell'arte, dove sia racchiuso il segreto, quale linea, colore, gesto, idea, cosa esattamente e con tanta ineluttabile precisione faccia sì che un quadro o una scultura, una installazione, una fotografia, un readymade, una performance, un video... sia un'opera d'arte.

E' facile dare una risposta di tipo sociologico: è il sistema, il sistema culturale che attribuisce qualità d'opera d'arte, cioè i critici, i galleristi, le mostre, l'attenzione delle riviste di settore, il mercato, le aste, i musei, il collezionismo... Non si dà opera d'arte al di fuori di un sistema culturale che riconosce come arte ciò che accoglie nei suoi spazi, che approva e impone sul mercato, che determina l'ascesa dei cosiddetti artisti emergenti ed il succedersi delle tendenze.
Il critico d'arte, come un alchimista d'altri tempi, va alla ricerca dell'opus, la grande opera. Anzi, per continuare con l'immagine suggerita da questa similitudine, si potrebbe dire che il sistema accoglie due livelli di trasformazione alchemica: una è quella materiale, dell'artefice, di colui che fa, che dalla materia grezza attraverso consapevoli e segreti riti di passaggio, non solo pittorici o scultorei, ma anche filmici, fotografici o con qualunque altro mezzo espressivo, opera la prima sublimazione. Il secondo livello è quello del critico che trovandosi di fronte all'opera e, riconoscendone le qualità, la estrae alla luce della conoscenza, la trasforma in un simbolo assoluto, la impone come merce di valore.

Come critico, ho lavorato soprattutto nella mia città, Bologna, la cui vita culturale scorre vivificata da una prestigiosa Università degli Studi che ospita un corso di laurea davvero unico come il D.A.M.S. (Discipline di Arte Musica Spettacolo e Comunicazione), e una Accademia di Belle Arti di nobilissime origini, dove ho incontrato tantissimi artisti, molti noti e affermati, ma anche tanti pressoché sconosciuti al grande pubblico. Mi sono sempre accostata con curiosità al lavoro di ciascuno, cercando ogni volta quelle qualità così misteriose eppure evidenti che fanno riconoscere una ricerca che abbia originalità e spessore, l'opera perfetta e conclusa, con i suoi significati, la sua assolutezza, il suo essere emozione, pensiero, idee e forma.
L'opera d'arte non ancora mercificata, prima della quotazione, prima che il suo autore venga "scoperto", non è mai un'entità muta; essa dialoga in primo luogo con l'arte stessa, parla la lingua dell'arte, nasce dalla sua spuma semantica, e in questa carica linguistica racchiude la sua riflessione, il suo punto di vista, una verità pronta per essere offerta ad ogni ipotetico osservatore, e generare con esso una nuova comunicazione.
La capacità del critico vale dunque la fortuna di un artista, nella misura in cui sa scorgerne il linguaggio, sa riconoscerne la voce; è un passaggio obbligato all'interno del sistema globale della comunicazione, ma non può sostituirsi "concettualmente" a quella che deve essere l'artisticità intrinseca, al "dna" dell'opera d'arte.

Il fascino della prima alchimia resta oscuro e potente. Ho fatto tesoro di tutte le domande lasciate senza risposta, la necessità caparbia, primordiale dell'espressione, la seduzione sottile dell'indefinibile e del poetico, il piacere di una creatività rivelativa, il mistero del lato oscuro, dei sogni così come delle speranze e dei desideri, la ricerca di significati e messaggi che scorrono più sotto, oltre la superficie e le miriadi di schegge del nostro mondo di segnali artificiali, e mi sono addentrata io stessa come artefice nei meandri della creatività. Ho ricominciato infatti a dipingere, ritrovando intatta una passione viva fin dalla prima giovinezza, ma abbandonata proprio quando gli studi mi avevano portata più addentro agli studi teorici sull'Arte. 
Tuttavia, non voglio essere un critico che dipinge e non voglio fare la critica di me stessa. Capire un linguaggio non vuol dire automaticamente saperlo parlare.

So che c'è un confine da superare, un territorio espressivo che può essere anche solo personale, intimo, sincero e particolare e, là fuori, oltre la soglia, il grande mondo delle comunicazioni in cui l'opera con le sue sole forze non può entrare. Da autrice so che il mio mondo finisce qui, sulle superfici colorate su cui si sono stratificati i passaggi del colore, coi frammenti di pagine strappate da giornali e riviste, tra gli echi di una realtà mediata dal mondo della pubblicità, della moda, con le icone dei nostri miti, con l'inesaurito dualismo di essere e apparire... nelle immagini dove lontananze e contemporaneità si incontrano in un'eco ormai indistinguibile... nel ripensare soprattutto il punto di vista delle donne, come da donna vedo il mondo delle donne. E' vero che esiste un'urgenza della creatività, che ogni opera è solo una frase, un frammento di un discorso che si fa... come il pensiero si forma in bocca, secondo l'intuizione dadaista, così nel mio dipingere. Le mie figure, i collage, i frammenti che si incontrano e talvolta si scontrano portano storie. Storie che avevo dentro, storie che avevano bisogno del silenzio, di un tempo sospeso, di una rinascita.

 

Home
1