Daniela Bellotti "Scritti sull'Arte" Le mostre
DRIVE. Automobili
nell'arte contemporanea Galleria d'arte moderna,
Bologna Pubblicato in Art Journal n.1 genn-febbr. 2006 |
ARTE "IN PISTA"La dotta, la grassa, la turrita…? Tutte vecchie storie. Oggi Bologna è la “città della sperimentazione”, parola di Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente della Gam. Per rappresentare le nuove frontiere della nostra epoca di globalizzazione e scontri culturali, per mostrare le novità dell’evoluzione tecnologica, ma anche far emergere la posizione reattiva del mondo dell’arte, è nata un’inedita joint venture tra Galleria d’Arte Moderna e Motor Show, una bella ciliegina sulla torta per festeggiare i trent’anni della manifestazione ideata da Alfredo Cazzola. -DRIVE. GLI ARTISTI RIFLETTONO SULL'AUTO Cosa accade quando si coniuga ai massimi livelli il binomio arte-automobili? Quando si mette in gioco l’esperienza di due realtà come Gam e Motor Show, due team uniti in una sinergia che mira a sondare il movimento delle idee per catturarlo nella sua genesi, può realizzarsi una prospettiva che “guarda lontano”, oltre il già detto e il già fatto. “Drive” è una sorprendente mostra sulla reattività degli artisti contemporanei sul tema dell’automobile, inaugurata negli stessi giorni del Motor Show alla Gam, ma c’è tempo fino al 5 marzo per visitarla. Qui si misura la distanza tra la creatività funzionale al prodotto, accattivante, che fa presa diretta sul pubblico, e lo speciale punto di vista dell’arte contemporanea più sperimentale, un punto di vista che è sempre spiazzante, sostanzialmente raggelante, valido nella misura in cui ribalta le aspettative. Venti installazioni, venti artisti internazionali super segnalati in premi e concorsi, creano un percorso da leggere con le istruzioni per l’uso, poiché il senso di molte delle realizzazioni si coglie soltanto attraverso la conoscenza della loro genesi. Che l’opera d’arte contemporanea risulti incomprensibile a livello di pura visibilità, e che possa sciogliere i suoi enigmi solo lo spettatore che si incammina verso una lettura documentata, è un fatto ormai ricorrente. Ma che sia proprio questo ciò che vogliono gli artisti, cercare il cortocircuito con il pubblico, far sorgere dubbi e curiosità, poiché laddove non si comprende può nascere la voglia di capire? Senza scendere in dettagli, direi che gli artisti chiamati a reagire al tema automobile hanno fatto di tutto per allontanarsi dall’idea mito-tecnologico post-futurista così come dalle facili seduzioni pop di matrice pittorica; ognuno ha escogitato un oggetto-altro, attraversando le varie implicazioni dell’icona automobile, e l’ha realizzato attraverso un meccanismo suggerito dall’azione, dal viaggio, dall’esperienza personale. Qualche esempio? l’auto-trappola-per-uccelli dell’amburghese Andreas Slominski, la formula-uno-di-cartone dello svizzero Costa Vece, l’auto-infantile di Julian Opie, il garage-dei-cactus di Giuseppe Gabellone, la Ford-su-binari che attraversa la sala centrale della Gam di Xavier Veilhan, l’auto-cucina del tailandese Rirkrit Tiravanija, la Mercedes-tarocco-made-in-Thailandia di Tobias Rehberger, l’auto-elicottero-per-evasione di Franz Ackermann, il sedile-altalena di Elisabetta Benassi, l’auto-cicciona del viennese Erwin Wurm, l’auto-accampamento di Jason Rhoades, la Fiat 126 italo-polacca appesa come un quadro di Simon Starling, la lussuosa collezione di auto-di-cristallo di Plamen Dejanoff. Ma per scoprire tutte le storie che queste installazioni raccontano, e dunque l’operazione concettuale da cui ognuna deriva (e ne scoprirete davvero delle belle), è necessario il catalogo-scatola edito da Damiani, un oggetto che riprende l’estetica retrò anni cinquanta che ha ispirato anche il logo della mostra. - L’AUTO CHE VERRA’Anche l'arte al Motor Show non ha certo deluso, esempio di come si può raccontare questo tempo attraverso una manifestazione che la passione ha trasformato in un rito collettivo, che va al di là della presentazione dei motori, e che può essere considerato in sé un’opera d’arte. Un’opera “popolare”, fatta di contiguità suggestive, di stimoli visivi enfatizzati, dentro cui si cammina accompagnati dalle più sofisticate strategie d’immagine e dove si compie il miracolo di una perfetta condivisione linguistica tra opera e pubblico. Il Motor Show come un grande happening dove si realizza il co-protagonismo di tutti per il tempo di un giro in pista, spettacolo percorso dal brivido e dal rombo fragoroso delle gare, tra fango sponsor e ambiti trofei, e l’acclamazione delle star della velocità. C’è la Ferrari numero 1 di Schumacher e c’è la Yamaha 46 di Valentino Rossi e le hostess sexy che accarezzano carrozzerie lucide come specchi e sorridono a raffiche di flash; ma ci sono anche i volti dei miti di ieri dentro fotografie d’archivio che ricordano quando al Motor Show sono passati Enzo Ferrari, Villeneuve, Senna e Lauda e tanti altri eroi amati, indimenticati. Folle di ragazzi di tutte le età prendono di mira con fotocamere e videofonini gli oggetti dei loro desideri, mentre appare curiosa la memoria di un’altra epoca, una Beretta che vinse le Mille Miglia e un pupazzo-guidatore che fa ciao. Il tempo di uno sguardo al passato da museo e già siamo nel futuro, all’“Auto che verrà”. Qui sono stati presentati i signori dello styling automobilistico, i più noti car designers italiani e i loro ultimi prototipi. Le firme di questi grandi carrozzieri sono universalmente note, Pininfarina, Bertone, Stola, Zagato per ricordarne sono alcune; le loro creazioni realizzano il sogno della macchina perfetta, bellissima, aerodinamica, il non plus ultra del lusso, disegnate attraverso una ricerca culturale aggiornata sui modelli. Ma le auto del futuro non sono solo meravigliosi oggetti su cui sognare ad occhi aperti. Il concetto stesso di automobile sta cambiando profondamente, l’auto che verrà non dovrà solo essere bella e performante, ma soprattutto sicura ed eco-compatibile, insomma carica di intelligenza. Il fatto che questo sia un prodotto in profonda trasformazione, per diventare sempre più rispondente alle esigenze di ciascuno chiama in causa direttamente gli artisti, e la loro capacità di esprimere l’individuo e le sue passioni. Nello stand I-art di Dainese alcune Fiat Panda sono state trasformate in art-car, grazie alla rielaborazione pittorica eseguita in diretta da artisti internazionali quali Jennifer Garcia, Dave Kinsey, Abel Izaguirre e Marc Cabrera, tutti provenienti dal mondo della Street-Art, un’iniziativa che ha attratto in gran numero i giovani attenti a questo concetto di personalizzazione dell’auto, e che ha avuto anche il merito di presentare con una ingegnosa installazione un sistema innovativo per “proteggere l’uomo dalla testa ai piedi nella pratica degli sport dinamici”. - MITO AUTO MOTO 2. SPAZIO ALLA FANTASIA Il terzo capitolo espositivo ci porta a Palazzo, dove nella Sala d’Ercole è allestita fino al 30 gennaio una mostra offerta dalle gallerie private bolognesi associate dell’Ascom, che hanno voluto dare il loro contributo al tema. Ognuna delle tredici gallerie partecipanti presenta pezzi diversamente orientati all’argomento, globalmente più leggibili rispetto agli estremi concettuali proposti in Gam, con alcuni pezzi storici e altri decisamente aperti sul versante sperimentale e di livello assolutamente internazionale. Dalla celebrazione del mito della velocità di Giacomo Balla, alla glaciale bellezza meccanica interpretata da Gianni Piacentino, dal monumentale accumulo di rottami che diventa un totem di Arman, alla lamiera recuperata di Francesco Bocchini, dalla scultura di Mimmo Paladino che rievoca antichi sistemi di trasporto al dinamismo tutto risolto nel segno grafico di Roberto Crippa; fino alle opere fotografiche, tra cui quella bellissima di Wim Wenders scattata a Cuba e quella di Richard Billingham; la mostra propone l’oscillazione tra l’espressione della seduzione del mito automobilistico desunto dall’immaginario collettivo e dalle pubblicità, e la percezione quotidiana del mezzo che porta in sé la memoria della strada, l’esperienza del viaggio e della scoperta di luoghi sconosciuti, ma anche la ripetitività dei gesti, il degrado e la desolazione delle periferie. L’automobile come musa d’ispirazione sembra comunque amata oggi fino in fondo, fino alle estreme conseguenze, anche nel rovello distruttivo, in un amore-odio che induce tanti artisti a smontarne i pezzi, e nel privarla della sua specificità di oggetto d’uso innalzarla a segnale di un passaggio, di una sublimazione; divenuta opera, l’auto non corre più, non ci porta altrove, se non con la fantasia. |
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