Daniela Bellotti "Scritti sull'Arte" Gli artisti
FILIPPO
DE PISIS
Galleria Maggiore, Bologna, 1993 "Il Resto del Carlino"
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Filippo De
Pisis, Poesia
del "non finito"
Finiva il 1926 quando, a
Parigi, in una lettera a un amico, Filippo De Pisis confidava: "L'importante
sarebbe fissare, e in Italia si è ben lungi dal farlo e non si farà
che tra molti anni, la mia posizione rispetto alla pittura italiana moderna.
E' soprattutto colpa mia (per temperamento io sono un solitario) se ai
più è sfuggita... Io sono soprattutto un poeta e un filosofo...
ma possiedo (a parere di buoni giudici) doni di pittore e colorista nato...".
Così possiamo immaginare il 'marchesino' ferrarese, appena trentenne,
respirare come una liberazione la vita un po' bohemienne di quel primo
anno parigino, profondamente conscio delle sue straordinarie qualità
di letterato e di pittore, ma anche della sua diversità di uomo
e d'artista, e lo immaginiamo vergare queste righe col pensiero fisso al
futuro, alla vera gloria che ancora mancava a quei suoi anni giovanili,
turbolenti e colti, esaltanti e pur sempre toccati da un'ombra di insoddisfazione,
dal desiderio inesausto d'altre, sconosciute cose. Arrivò tutto
sommato presto quella gloria, così ardentemente presagita; infatti
durante quel lunghissimo periodo parigino egli fu a contatto dei grandi
movimenti di idee dell'epoca, li comprese, li studiò, ma ne trasse
sempre soltanto sprazzi di suggestioni, non abbracciò mai completamente
un'ideologia estetica che non fosse quella dettata da una singolarità
edonistica ed estrosa; da qui, la definizione di "solitario". Così
era già stato per la straordinaria precocissima stagione metafisica
a Ferrara, e poi col Dadaismo, il Futurismo, Valori Plastici, il Surrealismo,
... la sua pittura, personalissima, nervosa, estremamente prossima alla
sfera del privato e dei suoi misteri, conquistò ampiamente la critica,
senza far parte di movimenti definiti. Da quel 1926 infatti si susseguirono
importanti mostre a fianco di artisti italiani, gli emergenti di allora,
Tozzi, De Chirico, Campigli; poi le partecipazioni alle Biennali veneziane,
fu insomma la consacrazione. Non trovò pace, invece, la sua ricerca
interiore, che sfociò nei dolorosi anni della malattia nervosa che
si manifestò nel 1947 e che lo portò alla morte, nel 1956,
dopo anni di ricoveri in ospedali psichiatrici e case di cura, durante
i quali egli continuò a scrivere poesie e a dipingere.
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