Daniela Bellotti "Scritti sull'Arte"                                                                                                                         Gli artisti
FILIPPO DE PISIS

 

Galleria Maggiore,

Bologna, 1993

"Il Resto del Carlino"
24.2.93

Filippo De Pisis, Poesia del "non finito"

Finiva il 1926 quando, a Parigi, in una lettera a un amico, Filippo De Pisis confidava: "L'importante sarebbe fissare, e in Italia si è ben lungi dal farlo e non si farà che tra molti anni, la mia posizione rispetto alla pittura italiana moderna. E' soprattutto colpa mia (per temperamento io sono un solitario) se ai più è sfuggita... Io sono soprattutto un poeta e un filosofo... ma possiedo (a parere di buoni giudici) doni di pittore e colorista nato...". Così possiamo immaginare il 'marchesino' ferrarese, appena trentenne, respirare come una liberazione la vita un po' bohemienne di quel primo anno parigino, profondamente conscio delle sue straordinarie qualità di letterato e di pittore, ma anche della sua diversità di uomo e d'artista, e lo immaginiamo vergare queste righe col pensiero fisso al futuro, alla vera gloria che ancora mancava a quei suoi anni giovanili, turbolenti e colti, esaltanti e pur sempre toccati da un'ombra di insoddisfazione, dal desiderio inesausto d'altre, sconosciute cose. Arrivò tutto sommato presto quella gloria, così ardentemente presagita; infatti durante quel lunghissimo periodo parigino egli fu a contatto dei grandi movimenti di idee dell'epoca, li comprese, li studiò, ma ne trasse sempre soltanto sprazzi di suggestioni, non abbracciò mai completamente un'ideologia estetica che non fosse quella dettata da una singolarità edonistica ed estrosa; da qui, la definizione di "solitario". Così era già stato per la straordinaria precocissima stagione metafisica a Ferrara, e poi col Dadaismo, il Futurismo, Valori Plastici, il Surrealismo, ... la sua pittura, personalissima, nervosa, estremamente prossima alla sfera del privato e dei suoi misteri, conquistò ampiamente la critica, senza far parte di movimenti definiti. Da quel 1926 infatti si susseguirono importanti mostre a fianco di artisti italiani, gli emergenti di allora, Tozzi, De Chirico, Campigli; poi le partecipazioni alle Biennali veneziane, fu insomma la consacrazione. Non trovò pace, invece, la sua ricerca interiore, che sfociò nei dolorosi anni della malattia nervosa che si manifestò nel 1947 e che lo portò alla morte, nel 1956, dopo anni di ricoveri in ospedali psichiatrici e case di cura, durante i quali egli continuò a scrivere poesie e a dipingere.
Una straordinaria occasione per vedere una sostanziosa raccolta di quadri di Filippo De Pisis è la mostra organizzata dalla Galleria Maggiore (via d'Azeglio 15), che si tiene praticamente in contemporanea con la grande antologica in corso a Roma. Molti sono i quadri storici, provenienti da collezioni private, tutti pubblicati in un impegnativo catalogo, curato da Marilena Pasquali. Sono opere che raccontano, pur nella loro esemplarità, la complessità e l'attualità della vicenda umana e pittorica di De Pisis: nature morte e spiagge, cieli percorsi da voli e parole, figure di giovanetti amati, rose e pesci, vibrano di tensione poetica, hanno sostanza di tracce, di striature colorate e improvvise accensioni e grumi, si librano sulle tele con sprezzatura altera e virtuosistica, testimoniando col loro senso diffuso di 'non finito', quel limite precario tra l'inenarrabile e il subitaneo apparire e mostrarsi d'ogni cosa.

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