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GIOVANNI
MARANI
"Opere in terracotta"
gennaio 1997
Presentazione della mostra |
Incontro
con l'artista Giovanni Marani
Con Giovanni Marani incontriamo
uno di quegli artisti che, come si suol dire, si son fatti da sè.
Una vocazione un po' tardiva, ma sorretta da una autentica vena espressiva,
unita alla costanza del lavoro e ad un vivace senso critico, permettono
a Marani all'inizio degli anni Ottanta di affacciarsi al mondo dell'arte
come autore di piccole figure in terracotta policroma. L'orizzonte con
cui egli si confronta, e dal quale trae stimoli e insegnamenti, è
quello della grande tradizione emiliana della scultura in terracotta, che
ha avuto nel Novecento esempi illustri ed è tuttora amata ed apprezzata
per quello spirito di piccola commedia, di teatrino un po' vernacolare,
talvolta caricaturale, talvolta malinconico.
Proprio attraverso lo studio
delle opere dei maestri e un instancabile esercizio pratico, Marani cerca
un modo personale di trattare la terracotta, affronta e risolve i piccoli
problemi tecnici, raggiungendo quella abilità che oggi fa delle
sue opere un originale apporto al genere. Nella creta, elemento povero
e quasi primordiale, e nel gesto arcaico del plasmare, anche Marani riscopre
la strada della memoria, riproponendo così le scelte tematiche tradizionali;
sotto le sue mani prendono forma infatti i personaggi di un piccolo mondo
antico, fatto di mestieri e gesti quotidiani semplici e sereni, che la
lontananza rende carichi di affetto. Tuttavia, a Marani non sfugge che
la validità di opere come queste si gioca tutta nello spazio concesso
all'interpretazione dei canoni tipologici fissati dalla tradizione e alle
piccole varianti narrative ispirate da questa iconografia. Appare particolarmente
significativo, in questo senso, il suo stile, il modo quasi un po' sprezzante
di modellare la creta che rimane scabra, abbozzata, che si palesa con la
sua essenza materica, partecipando in qualità di superficie alla
resa finale della figura. L'amore per la resa dei particolari si evidenzia
invece nella perizia con cui sono ricostruiti gli oggetti, gli utensili
e talvolta strani complicati attrezzi, che diventano veri e propri elementi
di seduzione dell'opera. Qui la terracotta è trattata con estrema
precisione, che dimostra come l'autore sappia imprimerle caratteristiche
stilistiche diverse, secondo le esigenze. Vere e proprie prove di abilità
sono ad esempio la ricostruzione della macchina dell'arrotino, dove è
stata riprodotta in tutti i particolari un'antica mola; da osservare per
gustarne le minime delizie, il tavolo del falegname, l'antico portale a
cui lavora il fabbro, la cucina raccontata nel suo aspetto accogliente,
l'insolita figura dell'idraulico e la più classica vecchina delle
caldarroste. C'è poi un altro aspetto che deve essere sottolineato,
l'attenzione che l'autore pone nella resa dei volti; egli sfugge sia alla
tentazione di costruire un volto modulare più o meno simile in tutte
le figure, sia di indulgere alla caricatura, al grottesco fisiognomico.
Marani ci offre invece una carrellata di piccoli ritratti: basta osservare
il gruppo delle due suorine per capire quale sensibilità egli pone
nel modellare queste piccole teste, argute ma non caricaturali, espressive
e dignitose. Ecco, forse è proprio con questo aspetto di dignità
che l'autore regala ai suoi personaggi un significato in più, quando
li racconta al lavoro e quando li immagina nei momenti di divertimento,
o nelle comunioni silenziose dei gesti; uomini e donne ispirati alla vita
di paese e di campagna del passato, per parlare agli uomini e alle donne
di oggi. Non meraviglia che Marani abbia voluto affrontare anche temi religiosi
come il Presepe e l'Ultima Cena; in essi infatti ha trasfuso quella serietà
d'intenti e quell'amore da cui nasce il suo omaggio alle qualità
più umili e più nobili della vita umana. |