Daniela Bellotti "Scritti sull'Arte"                                                                                                                          Gli artisti
GUIDO SAMMARCHI 

MOSTRA ANTOLOGICA

Dal catalogo della mostra

Pinacoteca Civica di Pieve di Cento (sett. 1993)

Sasso Marconi (nov. 1993)

Monzuno (ago. 1994)

Grizzana Morandi (lug. 1994)

 

Composizione n.2

 

 

In principio la materia. Opere dal 1958 al 1962.

Verso la fine degli Anni Cinquanta, Guido Sammarchi aveva pressappoco trent'anni. E' in quel periodo che egli si avvicina alla pittura per vocazione, forse un po' tardiva, in anni di crisi dell'Informale. E proprio da lì comincia il suo lavoro, un lavoro che fin dagli esordi accetta di accostarsi agli esiti estremi della parabola informale già in atto, come presa di coscienza di un invecchiamento, di un esaurimento di quegli ideali che erano stati di una intera generazione, che aveva vissuto la guerra e ne era uscita con gravi problemi da risolvere e angoscie non facilmente sedabili. Cogliendo come una sfida per il futuro la sua condizione di autodidatta, Sammarchi comincia a muovere i primi passi, quasi per intrinseca prova, per sondare, egli stesso, i limiti di ciò che a vasto raggio si andava facendo, un poco stancamente.
A Bologna, la presenza di Francesco Arcangeli era riferimento non trascurabile, anche per chi cominciava isolatamente il mestiere di pittore. Quell'Ultimo Naturalismo individuato e sentimentalmente coordinato da "Momi" Arcangeli stagnava nell'aria e sulle tele di molti "pittori padani" in quel periodo, ma gli Anni Sessanta ormai alle porte facevano presagire novità.
Riguardando oggi quelle tele datate di Guido Sammarchi, da cui questa "mostra antologica" correttamente deve partire, si trova che poco o nulla esse hanno a che fare con il naturalismo umorale e materico, del gruppo degli arcangeliani. Sammarchi non fu uno di loro, sebbene lo stesso Arcangeli ebbe di alcuni suoi lavori giudizi positivi e addirittura scelse un'opera come "Figura" del 1960 per la "sindacale", la Mostra d'Autunno d'arte contemporanea che si tenne quello stesso anno a Palazzo Re Enzo.
In quel clima Sammarchi si innestò, ma per forzare da subito una strada in uscita. La natura non entra per nulla in questi quadri, ed è questa una caratteristica che rimarrà costante, anche nelle stagioni successive della sua ricerca. Egli è da subito anti-lirico, razionale, freddo, meta-pittorico, seppur materico. E' però materia grigia, non verde, non umorale, non terrestre, grigia e perciò già astratta, fatta come di cemento, di sabbie, di neri di catrame, pronta per essere impastata e divenire altro, muro o visione.

Il segno. Divagazioni. Opere dal 1963 al 1980.

Cerchi, segni scuri scavati nelle paste ancora alte, grumose, sabbiose; puntelli rigidi, solchi, quasi architetture essenziali... sono gli anni di ancora vaghe entità in divenire, di nuove "figure", che rappresentano il tentativo dell'artista di rimettere in piedi, seppur larvatamente, quella forma a cui l'Informale aveva cancellato, eroso i contorni. Sammarchi indugia. Cerca senza staccarsi ancora dalla materia, dalla superficie. Altri corrono più velocemente.
Fin dall'inizio è avvertibile nei suoi lavori l'influenza di un artista che in quello stesso periodo andava affrontando problemi estetici d'avanguardia: Mario Nanni. Amico e "maestro", Nanni è per Sammarchi presenza carismatica, particolarmente formativa soprattutto nel periodo del così detto post-Informale, e fino ai primi anni Settanta, allorchè Sammarchi si allontanerà da questa linea di ricerca unitaria, operata nel solco di una rimeditazione anche del lavoro di Nanni, per dedicarsi, come vedremo, autonomamente, ad una parentesi espressiva molto diversa.
Intanto, sulle "tabulae rasae" di molti artisti di quei primi Anni Sessanta appaiono come improvvise comparse i simboli di un nuovo tempo, epoca colorata, invasa di prodotti e si avvera quel boom economico che scaccia infine tutti i fantasmi del dopoguerra: è la nostra Pop, made in Italy. Sammarchi però rinuncia a questa gara delle mode, non si rivolge all'universo delle forme precostituite e si esercita diversamente, affina i propri mezzi espressivi, prende fiducia dal suo stesso cercare, dalla progressiva e quasi indotta emergenza di piccoli mutamenti, restando all'interno di un linguaggio materico, e sostanzialmente mentale e astratto. Fino all'esordio degli anni Settanta, quando, con una svolta improvvisa, tematica e stilistica, apre un diverso capitolo, definibile di "nuova figurazione"; sebbene in questa fase incontri il gusto del pubblico, avvicinandosi a quelli che erano i linguaggi di moda, e interpretando i miti pop e yippie degli anni Sessanta e poi Settanta, questa pittura non lo soddisfa. In realtà, può essere considerata una lunga parentesi, una strada poi rivelatasi senza uscita che altri forse avrebbero sfruttato commercialmente, seguendo un filone assai più facile, di forte impatto iconografico, nonchè di racconto popolare. Sammarchi intuisce invece che non è da quella figurazione dura e socialmente impegnata che trarrà i suoi risultati migliori. Riprende perciò la strada interrotta anni prima, la strada che era partita dalla materia e che nella materia ritrova il suo fondamento, sul finire degli anni Settanta. E ciò dimostra una grande capacità di rimettersi in discussione, di ricominciare. E si fa luce a questo punto una caratteristica non trascurabile per comprendere qualcosa di più profondo, ma costante, nelle sue opere dei vari periodi. Scopriamo infatti che Sammarchi ha sempre giocato le sue carte in controtempo, da non allineato, da isolato, in fondo, cogliendo inizialmente il momento declinante, estremo dell'Informale, dilazionando i tempi del suo completo abbandono, e ritornandovi poi più tardi, staccandosi da tutte le coeve esperienze artistiche e operando una sorta di personale "anacronismo". Così lo ritroviamo che, sull'esordio degli anni Ottanta, quando il nuovo verbo ovunque diffuso riporta in auge la pittura, la figura, il colore, il passato classico, lui torna indietro. E torna nel terreno del segno, delle forme scavate nella materia, e da lì cerca un nuovo ordine.

Ordine, citazione, strutture. Opere dal 1980 al 1993.

E' solo ora, probabilmente, che Guido Sammarchi è maturo per trovare se stesso, la sua individualità stilistica, dopo aver affinato tecniche e percorso strade che sono state in vero il suo lungo, sofferto, autonomo apprendistato.
Nella serie delle "Rivisitazioni" del 1981-82 compare per la prima volta una organizzazione dello spazio-pittura in piani sovrapposti, o giustapposti, scaglionati in una fittizia profondità, come tele accantonate in un studio, come sipari, immagini progressive che si nascondono e si fanno schermo l'un l'altra. Esemplari di questo nuovo approccio strutturale sono opere come "Rivisitazione numero due" e "Rivisitazione numero cinque" dove in un riquadro centrale appare una vera e propria citazione dell'Informale storico: l'artista realizza qui un preciso omaggio a Mario Nanni e ai testi visivi che avevano guidato le sue prove giovanili, copiando particolari di importanti tele degli anni cinquanta, e rendendole così simboliche di quella "ripetizione differente" che in modi diversi era serpeggiata tra i movimenti di punta di quegli anni. E' lì che l'artista individua i propri cardini per reimpostare i termini di una rinnovata pittura d'immagine. Sono dunque finestre rivolte al passato, esperienze ormai racchiuse, raffreddate da un punto di vista emotivo, e per questo citabili, coi loro cerchi come pianeti ed una matericità inerte, schematizzabile. Attorno a questo centro focale, altre realtà pittoriche cercano di coesistere, affacciandosi, anche se per ora mostrano solo ritmi grafici, tracciati verticali, diagonali, regolari, o raffinati trompe l'oeil, tavole di legno, supporti, telai buoni per altre future pitture, ancora assenti.
Il passo successivo avviene con la serie dei "Rompicapo", nella seconda metà degli Anni Ottanta, dove troviamo ampliato l'orizzonte dei possibili elementi di citazione e di riappropriazione: è così che a tracce sempre persistenti, sebbene in sorta di frammenzione archologica, di inserti informali, si vanno accostando stilemi tipici del cubismo storico, lacerti astratti di pointillisme decorativo, eleganze "matissiane". D'ora in poi il ritmo evolutivo delle opere diviene quasi frenetico, quasi come se Sammarchi, dopo aver lentamente macinato le prime tappe, sentisse ora correre la strada davanti a sè, una strada su cui incontra e congloba elementi su elementi, memorie su memorie da Braque a Picasso, da Sironi a Carrà, da Severini a Matisse a Duchamp, che si combinano tra loro, in armonie cromatiche rosate, violacee, o brune, animate da una sognante riattualizzazione di forme del passato.
Come riescono a stare insieme tutte questi brani che, come un lettore vorace, Sammarchi sceglie e rilegge? Perfezionando la costruzione strutturale con cui aveva iniziato questa nuova fase: una struttura fatta di sagome accostate, sovrapposte, scalate, falsamente tridimensionali, in realtà tutte giocate sul piatto della tela, squadernate, come un puzzle sofisticato. Il metodo appare più evidente se si osserva una serie di opere realizzate esclusivamente a collage, con carte da parati, fogli di musica, frammenti di materiali vari da arredo e da rivestimento. Le sagome ritagliate sono analoghe alle forme dipinte, mentre la qualità coloristica dell'olio viene sostituita dalle caratteristiche intrinseche del materiale, senza alcun apporto pittorico. Il discorso costruttivo, che fa da generatore dell'immagine, è comunque lo stesso.
Nel medesimo modo si configura la ricerca in ambito scultoreo. A rigore, infatti, non di sculture si tratta, ma di costruzioni, assemblaggi tridimensionali, in cui lo spazio vuoto dell'ambiente viene perforato da forme sagomate nel legno, dipinte, molto spesso di nero, e messe assieme con un ritmo compositivo simile a quello di alcuni quadri, più verticaleggianti, dinamici.

Formalismi e significati

A conclusione, chiediamoci qualcosa sul significato che culturalmente possiamo dare a questo itinerario ormai trentennale segnato da Guido Sammarchi.
Abbiamo visto con quale progressione egli sia giunto alle prove di questi ultimi tempi, senz'altro le più mature e sintetiche, le più consapevoli. Molto del suo lavoro è avvenuto a livello di ricerca formale. In questo senso egli si trova schierato, seppur in assoluta autonomia, sul versante nutrito e variegato di un'arte contemporanea basata non tanto sui contenuti, sui messaggi epocali o sui sentimenti, bensì esclusivamente sul linguaggio puro, libero delle forme, quindi più propriamente astratto. Non solo; le forme, usate da Sammarchi, sono, per così dire, "meta-forme", che esibiscono il loro status di segni di rimando, che instaurano col loro apparire una sorta di teatro di figure note, anzi "mitiche" dell'arte. Pittura dunque come rappresentazione non del mondo o delle cose, ma delle forme artistiche stesse, come individuazione di un alfabeto di sublimi segni portati dalla storia fino a noi, segni su cui l'artista fonda la sua ipotesi di contemporanea armonia.
Come un musicista che può comporre inesauribili variazioni su temi celebri, Sammarchi usa antiche partiture (e la metafora è avvalorata dalla frequenza di elementi musicali nelle sue composizioni) senza rinunciare però a trarne nuove emozioni. Egli è dunque tutto compreso nell'ottica di un "anacronismo" molto personale, che si è andato via via definendo negli anni, ma che era sostanzialmemte latente fin dalle giovanili esercitazioni. Ora è tanto preciso il metodo, che, da qualche tempo, la progressione è rapida e interna. Cioè Sammarchi cita Sammarchi. E passa oltre. Verso "nuove" forme.
 

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