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GUNTER
BRUS
GAM Bologna, 2004-2005
testo pubblicato in:
ART JOURNAL
gen.feb. 2005
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Performance, Vienna 1965 |
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Roter Schnee, 1981 |
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Atem: Verletzung des inneren
Luftraums, 1985 |
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I
dolori del giovane Brus ovvero quando l'arte è scritta col sangue
Per chi predilige l’incontro
con percorsi creativi estremi, la mostra che la Galleria d'Arte Moderna
dedica a Gunter Brus “Viaggio intorno all’opera. Una retrospettiva dal
1960 al 1996” è un evento da non perdere. Preparatevi però
a qualcosa al limite dello shock, perché il palcoscenico centrale
della GAM questa volta è riservato a un artista che vi metterà
a dura prova, e a molti il buon senso suggerirà che l'arte è
un'altra cosa. E allora dobbiamo intenderci su cosa sia l’arte e perché
Brus sia da decenni figura di riferimento tra i Body Artists di tutto il
mondo, celebrato protagonista di un’epoca e di un modo, certamente eccessivo
e per nulla accomodante, di essere artista. Personaggio scomodo e provocatorio
che ha subito censure ed ostracismi, Brus è stato con Muhl, Schwarzkogler
e Nitsch colui che diede vita ad alcune tra le più violente e autodistruttive
performance dell’Azionismo Viennese.
Erano i primi anni Sessanta.
L’iconoclastia esacerbata della pittura informale, con i suoi contenuti
di esplosione e frantumazione dell’immagine ormai all’epilogo delle sue
possibilità espressive, ebbe una metamorfosi finale: si liberò
degli spazi chiusi e regolari di una tela e finì per coinvolgere
il corpo stesso di colui che dava origine all’opera. Anche il giovane Brus
s’immerse corpo e anima nello spazio pittorico, la pittura divenne azione
e l’azione fu tutt’uno con la fisicità dell’uomo che ne metteva
in moto il flusso energetico. Materiali dipinti e corpo dell’artista divennero
metafora della unicità, teatro dell’identità, morte dell’opera
in sé, sublimazione del gesto: intrisi di pennellate il volto il
corpo il luogo sono fissati per sempre negli scatti in bianco e nero della
fotografia. Con queste rappresentazioni il corpo veniva assunto come materia
esso stesso dell’arte, il luogo privilegiato della trasformazione, la massa
scultorea viva e pulsante su cui si sarebbe giocato il destino dell’arte
nei decenni a venire. E poiché l’arte cerca sempre di superare i
limiti raggiunti, il “gioco” sul corpo di fece duro, non vennero risparmiati
la carne, il sangue, i fluidi corporei e l’intervento sulla propria pelle
fu realizzato da Brus e da altri performers con rischio addirittura della
propria incolumità, sfiorando e spesso varcando i territori di psicopatologie
autolesioniste e sadomaso.
Per provare a comprendere
le ragioni culturali di questi eccessi, bisogna ricordarsi dello Sturm
und Drang e del Romanticismo che ci ha insegnato a pensare esteticamente
alla totalità dell’esperienza del sentimento e alla congiuntura
ideale di amore e morte; ed anche ripensare al gusto per la ribellione
all’estetica borghese che investe tutte le avanguardie dell'inizio del
secolo scorso, e non dimenticare la rivoluzione del pensiero che ha modificato
per sempre la nostra percezione della realtà fisica e psichica dell’uomo
e che porta la firma di Sigmund Freud, … tutto questo ci serve, e molto
altro, per la verità, per avvicinarci a ciò che fece poi
l’austriaco Gunter Brus.
Azioni rituali e sacrificali
studiate con minuziosi ed espliciti bozzetti preparatori di una crudezza
surreale, estetica del sangue e della costrizione, e sempre la macchina
fotografica a immortalare l’artista durante la messa in scena, mentre si
tortura, si punisce ed esegue il martirio della propria sessualità.
La ricerca del dolore e del sacrificio di sé è testimoniata
anche dalle documentazioni filmate, dove rivediamo Brus che fa subire al
proprio corpo ferite, bendaggi, operazioni chirurgiche eseguite sempre
di fronte a testimoni, a un pubblico necessario, chiamato ad essere parte
insostituibile dell’evento. Poiché non si tratta di perversione,
ma di rappresentazione del vero, il pubblico era ed è necessario,
anche se le performance sono ormai di qualche decennio fa. Ed è
un orrore che dovrebbe farci riflettere su quanta parte ha avuto la narrazione
del dolore umano nella storia delle immagini con rappresentazioni di rituali
di sangue e di morte, alcuni assunti anche a simboli fondamentali della
fede cristiana. Ma comprenderne i significati e le implicazioni psicologiche
non comporta necessariamente l’indifferenza: una sana repulsione può
essere la reazione più naturale e anche culturalmente legittima,
di fronte al volto scandaloso della violenza, sebbene assunta su di sé,
liberamente e ostentatamente, ed è uno scatto di coscienza che può
comportare la revisione di tanta parte delle nostre abitudini mentali.
Gunter Brus è dunque un artista da guardare con grandissimo rispetto
perché forse mai come nel suo percorso l’immersione nella totalità
dell’essere e del sentire espressa in termini estetici è stata più
vicina al sacrificio totale, simbolico, folle, sublime e gratuito. Le successive
esperienze dell’artista ci confortano sul piano della sopravvivenza di
una dimensione seppur anticonvenzionale di pittura e illustrazione. Le
ossessioni sessuali e le predilezioni per gli argomenti sanguinari restano
argomento privilegiato e non meno crudo nelle opere degli anni Ottanta
e Novanta, dove si rivelano gli elementi stilistici che sempre sono
stati alla base del suo fare, desunti tra gli altri da Gustav Klimt,
Egon Schiele, Edvard Munch.
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