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IL
NUDO fra Ideale e Realtà
Una storia dal neoclassicismo
a oggi
Galleria d'arte moderna,
Bologna
22.1 - 9.5.2004
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"…
QUANDO ME NE ANDRO' SARO' NUDA."(*)
Riflessioni sulla mostra
Noi non siamo
nudi. Fondamento atavico del nostro vivere sociale di matrice giudaico-cristiana
è coprire la nudità, relegando la libertà del corpo
nudo ad una sfera privatissima, dove la sua condivisione e visione con
l'altro trova una dimensione protetta e intima, ma non del tutto priva
di problemi. Per ragioni religiose, in Italia ancora più forti che
in altri paesi europei, tendiamo a censurare o proteggere la nudità
che con difficoltà allontaniamo da un concetto di peccato.
A dispetto della grande
libertà di espressione e della profusione di immagini di cui gode
il mondo occidentale, il nudo come quintessenza della "verità",
come luogo non peccaminoso della rappresentazione dell'unicità,
di una umanità di singoli diversi e irripetibili visti nella loro
individualità e dignità, viene neutralizzato dagli "anticorpi"
della società. Il corpo nudo, nella sua accezione di oggetto di
desiderio, abita indisturbato la sfera del mito che oggi è il fashion,
allontanato ed esorcizzato sulle pagine delle riviste e nelle pubblicità
patinate, ma nella sua essenza e democratica verità è rimosso
e azzerato. Poiché in sé la nudità non è affatto
rassicurante, espone e mette a rischio l'individuo davanti allo specchio
e davanti agli altri, nella nudità si rispecchiano senza infingimenti
le malattie e le sofferenze, la povertà, le differenze sociali e
la radicale ingiustizia della disarmonia. Spesso, d'altro canto, il corpo
tradisce palesemente l'idea che l'individuo ha di sé, sembra con
le sue miserie e imperfezioni non rappresentarci affatto, disagio questo
che induce a modificarlo, a rivestirlo di siliconi, tagliarlo e ricucirlo
come un bel vestito, fino alle drastiche operazioni di cambiamento di genere
sessuale, per accettarci e farci accettare.
Perché, infine, qual
è la verità di ognuno? quella limitata dalla nostra epidermide
o quella che ci costruiamo addosso? la nostra natura accidentale o la nostra
scelta culturale? E quanto spazio c'è in una tale dimensione sociale
per il lato "scandaloso" del nudo come rappresentazione?
Tanta, io credo, perché
se tutti ci portiamo sulla pelle il nostro io nudo, è pur vero che
le regole e le convenzioni ce lo fanno mortificare e rimuovere, e l'accettazione
della nudità diventa ancora oggi una conquista che ognuno dalla
pubertà in poi deve fare. Senza dimenticare che i veri tabù
della nostra epoca sono la bruttezza, la vecchiaia e la povertà,
e che nella nudità questi aspetti possono fondersi in modo intollerabile
alla nostra educata sensibilità.
Grazie a tutto ciò
il nudo nell'arte è ancora una miccia innescata.
Diventa
particolarmente interessante, in una attualità sensibile per molte
ragioni all'argomento, rivedere in un unico contesto espositivo una ricca
sequenza di opere d'arte che hanno al centro della rappresentazione il
corpo nudo e che tracciano le linee generali della storia del gusto e dello
stile dall'Ottocento a oggi. Due percorsi, uno dedicato alla pittura, alla
scultura e alle testimonianze video di alcune performance, e uno dedicato
alla fotografia, costituiscono una sequenza costellata di capolavori che
può essere letta da molti punti di vista, e l'apparato storico e
critico dei ponderosi cataloghi della mostra ne danno una erudita dimostrazione.
Il nudo,
come assoluto dell'umano, è una forma del pensiero che l'arte ha
espresso per millenni contrabbandando meravigliosi corpi nudi maschili
e femminili in formule allegoriche o sacre offrendo agli sguardi pura bellezza,
forza e armonia, ma anche spiazzando ciclicamente i benpensanti con lo
scandalo di una ferialità esibita, con i suoi limiti e le sue mediocrità.
Movimento questo, dall'Ideale alla Realtà avvenuto all'interno di
molte culture (in quella Egizia dall'Alto al Basso Regno, nella Grecia
classica e in quella ellenistica, nell'Arte Bizantina e nel Romanico, dal
Rinascimento alla rivoluzione di Caravaggio) e che trova le sue ragioni
nel permanere di due tensioni dello spirito, costanti e alternativamente
dominanti per ragioni politiche e storiche e che l'arte ha testimoniato
con pagine indelebili come fonti di conoscenza. Affrontando il tema iconografico
del nudo, l'artista si gioca con la sua presa di posizione tra queste due
categorie del pensiero non solo un ruolo relativo al suo tempo, ma la possibilità
di aggiungere nuovi e diversi livelli rappresentativi dell'uomo come soggetto
su cui si riflettono tensioni e conflitti pubblici e privati.
Se lo
sviluppo cronologico degli eventi ci fa dire che innegabilmente un percorso
dall'Ideale alla Realtà è stato compiuto (nell'arco temporale
di questa mostra dal Neoclassicismo al Realismo), provo a suggerire che
inoltrandoci nella contemporaneità esista poi un movimento inverso
che ci riporta dalla Realtà all'Ideale, o meglio, a molte declinazioni
di "idee" e di "Ideali" (quelle del Surrealismo, dell'Espressionismo, del
Concettuale, fino alla più recente neo-figurazione) che travolgono
la percezione stessa e si incardinano su alcune fondamentali conquiste
del pensiero avvenute all'inizio del Novecento. Sono la scoperta dell'Inconscio
di Sigmund Freud e la Teoria della Relatività generale di Albert
Einstein, che portano dentro l'arte nuovi concetti di frammentazione ed
esplosione dell'individuo e del suo mondo. Si possono citare le medesime
parole di Einstein che definisce la fisica "un tentativo di afferrare concettualmente
la realtà così come viene pensata indipendentemente dall'essere
osservata", per definire anche l'arte contemporanea e il nuovo atteggiamento
con cui l'artista si relaziona con ciò che lo circonda.
Ecco perché dalle Avanguardie in poi non può più interessare
a nessuno dipingere un nudo il più possibile vicino alla "realtà",
nel senso morale e simbolico della "Nuda Veritas" di Klimt o nel senso
puramente ottico, cosa che ha interessato sempre poco gli artisti, compresi
i realisti più polemici, compreso lo stesso Courbet. Spetta all'arte
invece dare spazio alle coscienze critiche, a percorsi individuali avventurosi
e sperimentali, alla realizzazione di un tessuto fitto e vivo di punti
di vista, che sono frammenti di realtà in sé unici e irripetibili,
portati dentro la comunicazione artistica come elementi di forte impatto
sociale, non sostituibili da nessuna altra forma di comunicazione.
Il dibattito sulla persistenza
o sulla perdita di un "visibile naturale" a cui gli artisti si riferiscono,
non può prescindere dal fatto che il panorama delle sollecitazioni
visive oggi è assai diverso da quello di un pittore del Settecento
o della prima metà dell'Ottocento. Se allora gli artisti lavoravano
con una presenza in carne ed ossa (la modella) o con riferimenti a modelli
artistici veicolati attraverso le incisioni, dalla nascita della fotografia,
1839, (e la mostra documenta questo arricchimento delle possibilità
di catturare con uno scatto la molteplicità umana) è stato
un crescendo di immagini sempre più diffuse e presenti, delegate
con il loro specifico linguaggio a raccontare la loro "realtà",
dal punto di vista del fotografo.
Fotografia, cinema, televisione, documenti filmati, pubblicità,
video… la pittura e la scultura del XX secolo hanno fatto i conti con un
mondo invaso di immagini e linguaggi visivi sempre più veloci, ma
anche ambigui e strumentalizzabili. Recenti frontiere aperte da una sempre
più diffusa e semplice tecnologia stanno rendendo la produzione
e la trasmissione di immagini più agibili all'individuo, e non solo
passivamente subite. Oggi il visibile naturale, poiché tale viene
percepito quotidianamente, a disposizione degli artisti deve essere considerato
ancora più allargato ad esempio a tutta la fenomenologia delle immagini
via Internet, Web cam, e persino MMS, che chiunque può produrre,
trasmettere e ricevere con una libertà e autonomia impensabili prima
di oggi. In ogni caso, e nelle migliori realizzazioni, l'opera di pittura
e scultura del XXI secolo sarà un'accesa scrittura individuale che
terrà conto del contesto, sempre più frammentato, discontinuo
e conflittuale, ma deborderà imprevedibilmente dall' occasionale
spunto di uno sguardo su un determinato "corpo", reale o virtuale sia,
allargando di un passo ancora l'orizzonte.
(*)
cit. da "Paula" di Isabel Allende.
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