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JOAN
HERNANDEZ PIJUAN
Gam e Museo Morandi, Bologna
testo pubblicato in
ART JOURNAL, sett.ott.2004 |
DENTRO
IL PAESAGGIO, DENTRO LA PITTURA
La GAM di Bologna ospita
la retrospettiva di Joan Hernandez Pijuan maestro del Novecento spagnolo.
In contemporanea nella sala
ottagonale del Museo Morandi una sua raccolta di disegni suggerisce
un dialogo tra l’artista catalano e l’opera di Giorgio Morandi.
In occasione dell’inaugurazione
della sua mostra bolognese, Joan Hernandez Pijuan, - figura di spicco dell’arte
spagnola contemporanea, docente e decano di pittura alla Facoltà
di Belle Arti dell’Università di Barcellona, città dove è
nato nel 1931,- ha avuto occasione di ricordare il suo primo incontro con
la pittura di Giorgio Morandi qui a Bologna, negli anni Sessanta, e di
come allora lo avesse toccato e affascinato la sintesi del maestro bolognese,
per una segreta sintonia di sentire che con lui avvertiva in comune. “Importante
e commovente”, così ha definito questa esperienza di esporre i suoi
disegni all’interno del Museo Morandi, evento che chiude in una sorta di
cerchio ideale un percorso di sottile affinità elettiva, iniziato
più di quaranta anni fa e rimeditato a lungo. Come ci ha suggerito
Pijuan stesso, è stato uno di quei preziosi dialoghi segreti che
intercorrono tra i ”pittori dei pittori”, che colmano le distanze, e persino
le epoche.
Dialogo segreto, su cosa?
Proviamo a immaginare… privata e isolata ricerca, quasi ossessivo ritorno
a pochi elementi costitutivi di uno stile pittorico che tende a diventare
cifra identificativa, riappropriazione dell’elemento segno e della spazialità
in cui esso si accampa, progressiva messa a nudo del dipingere come atto
in sé sufficiente a dare senso ad una traccia energetica incisa
sulla pelle della pittura, essenzialità, ma non silenzio. Difficile
infatti argomentare sul lavoro di Pijuan, sulle sue ampie tele spesso
monocrome percorse e come solcate da segni semplici e complessi insieme,
senza cadere nella tentazione di definirlo pittore del silenzio; difficile
entrare nella trama che lega le superfici dipinte con vincoli di necessità
l’una all’altra, opere somiglianti eppur diverse, e che spesso sono state
analizzate con elaborate argomentazioni filosofiche, come dimostra
la ricca raccolta di testi dedicati al maestro, ma che si spingono lontano
dalla semplicità che le sue tele impongono. Bene ha fatto il direttore
della Gam, Peter Weiermair, che ha offerto all’artista un testo critico
in forma poetica, la forma testuale che meglio sembra accostarsi a queste
opere così sfuggenti e radicali, criptiche e nude: “…painting to
define elementary states of being, places in space, above and below, inside
and out…”
“Volviendo a un lugar conocido”
è una retrospettiva che spaziando dagli anni Settanta a oggi riporta
giustamente l’attenzione su Joan Hernandez Pijuan, che è stato capace
di trasfigurare la semplicità della terra nella semplicità
della pittura, riducendo l’intima conoscenza dei luoghi che appartengono
alla sua biografia, i campi della Catalogna e la tenuta dove lavora a Folquer,
a un lessico ordinato, che ha il ritmo necessario e ripetuto della vita
e della natura, immersa nella luce bianchissima della Spagna. I solchi
delle arature, i dorsi morbidi delle colline, i reticoli dei muretti dei
confini, le sagome allungate e scure di cipressi e foglie, persino la forma
circolare di un sasso o di un frutto dilagano in segni pittorici che fanno
saltare tutte le nostre abitudini percettive riguardo al paesaggio ed eludono
le categorie dell’astratto e del figurativo, per darci l’illusione di essere
insieme al pittore immersi in un’armonia misteriosa e infinita, dove possiamo
seguirlo solo con la saggezza della nostra memoria dei luoghi amati e conosciuti.
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