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LUIGI
ONTANI
Villa delle Rose, Bologna,
1990
"Il Resto del Carlino",
16.11.1990 |
Luigi
Ontani, sguardo affondato in un grande sogno
"Il Clown della rosa" è
il titolo dell'esposizione allestita a Villa delle Rose e dedicata a Luigi
Ontani, una delle personalità più originali e trasgressive
del contemporaneo. Le opere in mostra si ispirano ad un concetto di arte
come gioco e finzione, in esse si alternano le caratteristiche del narcisismo,
dell'egocentrismo, dell'ambiguità, cui si inttecciano le eleganze
di un erotismo esotico e di una magia dai toni evanescenti. Il percorso
di Luigi Ontani è riccamente documentato dalla mostra bolognese,
a fianco e dentro i movimenti a cui l'artista si è rapportato fin
dai suoi esordi nel Settanta: dall'arte povera alla performance, dal ritorno
alla pittura alla transavanguardia, fino al citazionismo. Come in un unico,
coloratissimo sogno o in una imprevedibile piéce teatrale, l'artista
riveste tutti i ruoli, alla ricerca di un'identità profonda, ogni
volta fittizia e precaria, ma piena di suggestione, simile ad un infinito
carnevale. La prima celebre realizzazione di Ontani fu quella degli "Oggetti
pleonastici", piccole sculture ludiche, volte ad un recupero delle forme
infantili. Con esse iniziava una pratica che sarebbe rimasta costante nella
sua produzione, l'uso di materili poveri (il gesso, il cartone ondulato,
la gommapiuma, la cartapesta), che ha consentito la creazione di forme
prensili e colorate, allettevoli al tatto come giocattoli, nelle quali
la povertà intrinseca della materia viene riscattata dalla trasfigurazione
libera dei soggetti, dall'opulenza dei colori e degli ornamenti. Già
nella serie degli "Oggetti pleonastici", raccolti in mostra in un'ambientazione
dal titolo "Stanza delle similitudini", si può individuare la chiave
di tutto il sistema artistico ontaniano: la categoria stessa del pleonastico,
del superfluo è assunta da Ontani come la sola in cui l'arte può
nascere e divenire fonte di un piacere insieme fisico e culturale.
Attraverso le opere di Luigi
Ontani si possono leggere i vari capitoli della storia di quest'ultimo
ventennio di ricerche artistiche. Tuttavia Ontani resta fuori dagli schemi,
troppo individualista per riconoscersi appieno in una codificazione chiusa
e collettiva. Così, quando negli anni Settanta egli realizzava le
sue memorabili performance, il rigore concettuale delle rappresentazioni
si stemperava sempre nella ricchezza dell'armamentario scenico, evocativo
di episodi mitici e fantastici. Varie fotografie esposte sono la testimonianza
di questa prolifica attività, insieme a numerosi tableaux vivant,
simulacri fotografici in cui Ontani, personaggio dopo personaggio, diviene
cavaliere, martire, divinità orientale, replicando anche celeberrime
opere del passato (come San Sebastiano di Guido Reni, e il giovane con
frutti di Caravaggio...).
Negli anni Ottanta con il
ritorno alla pittura e le grandi figure tridimensionali in cartapesta,
Ontani apre un nuovo capitolo: egli inventa uno spazio galleggiante, senza
peso, dove figurine agili, dai profili che discendono da lontani archetipi
vascolari e strani idoli dalle forme ibride e metamorfizzate, vivono una
loro assoluta libertà, fatta di mimica e di allegra frenesia sessuale;
sono presenze in cui si riflette ancora una volta l'artista stesso con
i suoi modi stravaganti, il suo essere costantemente in gioco. Anni fa
egli scriveva: "...Ricostruire l'Unità originale, la follia controllata,
il sorriso, il pianto, tutte le manifestazioni dei sensi, i segni dell'umore,
creeranno una danza continua di felicità od altro...".
A questa danza, a questo
baccanale post-moderno si assiste a Villa delle Rose, sulle tracce di una
esornativa congerie di opere, dove albergano l'inutilità fastosa,
il gesto gratuito, la costruzione illogica, la favola amorosa, l'ornamento
superfluo, l'atteggiamento provocatorio. E in questo regno delle apparenze,
Luigi Ontani celebra in primo luogo se stesso, il proprio volto dalle innumerevoli
maschere e dallo sguardo affondato dentro un sogno di artificiosa bellezza,
e infine si rinnova la funzione dell'arte, come specchio di una soggettività,
instancabile genitrice. |