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MASSIMO
CAMPIGLI
Galleria Marescalchi, Bologna,
1992
"Il Resto del Carlino"
15.10.92
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Massimo
Campigli. In giro per il quadro
"Io compongo il quadro con
grande cura, bado a far correre i contorni armonicamente, vorrei che il
quadro arrivasse a una sua propria perfezione, voglio dire secondo quel
che ogni singolo quadro impone, vorrei che appagasse senso e spirito, tale
da poterci vivere insieme pacificamente. Vorrei afferrare l'occhio del
mio spettatore e accompagnarlo in giro per il quadro, per dritte e per
curve e angoli rispondenti, punto e contrappunto." Così si legge
in un brano dell'autobiografia di Massimo Campigli, un testo straordinario,
riscoperto solo recentemente tra le carte lasciate dal maestro, rivelativo
su tanti aspetti del suo mondo interiore, sereno e rigoroso, ma anche stranamente
pieno di incanti, compreso e come voluttuosamente immerso in una dimensione
mitica e idealizzante, quella stessa da cui nacque la sua inconfondibile
cifra pittorica. Basterebbe comprendere e ricordare quelle poche righe,
una esplicita dichiarazione di poetica, e provare la docilità del
proprio occhio a seguire le armonie suggerite da ogni quadro, per riuscire
a cogliere della sua pittura il senso, non superficiale, ma semplice e
assoluto.
Una straordinaria raccolta
di opere di Campigli è attualmente esposta alla Galleria Marescalchi,
e l'occasione per cimentarsi in una lettura attenta e documentata dell'opera
di questo grande maestro è davvero da non perdere. Alla Marescalchi
sono esposte infatti opere particolarmente significative nel percorso dell'artista,
molte di altissima qualità, dei veri capolavori; inoltre sono state
scelte opere che seguono l'evoluzione dello stile di Campigli, dalla fine
degli anni Venti al 1969, due anni prima della morte, facilitando quindi
una comprensione interna, un procedere della forma e delle immagini verso
una loro naturale maturità espressiva.
Dunque, armonia visiva,
è ciò che cercava soprattutto l'artista. In mostra esempi
illuminanti di questa armonia per gli occhi ce ne sono tanti, come il giovanile
"Donna alla fontana" del '29, dove appare già enunciato con chiarezza
il suo fondamento tematico e stilistico, unico e infinitamente riproposto:
la donna-idolo, graziosa e intoccabile, libera da qualunque contaminazione
carnale, antica, pura, prigioniera di una frontalità che ne annulla
la prospettiva nello spazio come nel tempo e ne racchiude l'essenza in
uno schema da cui emergono solo grandi occhi spalancati sulle facce tonde
mentre i corpi galleggiano in una infinita varietà di atteggiamenti,
rigidi come pensati di qualche materiale eterno, scolpito una volta per
sempre. Donne col cappellino o al pianoforte, col ventaglio o sulle scale,
a teatro o in piscina o strette negli alveari delle case, delle città:
le donne di Campigli sono tematicamente l'espressione di un enigma, mille
e più volte accarezzato, e rimasto insoluto.
Il linguaggio del quadro
di Campigli dice tuttavia molto più del soggetto stesso, ed è
ciò che l'artista suggeriva: la geometrizzazione del suo mondo al
femminile induce a percorrere la superficie del quadro alla ricerca di
una sinuosità perduta, di un bellezza non espressa, di un segreto
lasciato tra le delicatezze e la pastosità rarefatta del colore.
Campigli ha dipinto ogni volta la soglia struggente, che separa l'universo
femminile da quello maschile, e ci ha lasciato la testimonianza di una
sublimazione perfetta del desiderio. |